24 agosto. C’è un luogo dal quale la testimonianza dell’inaudito sacrificio imposto con la forza delle armi al popolo palestinese ci appare con più evidenza. C’è uno sguardo che, tra i tanti, ci sembra penetrare di più in quella realtà. E c’è un fronte di lotta dal quale la narrazione dell’esproprio della terra subito dai pale-stinesi e della loro condanna alla miseria e alla emarginazione ci restituisce senso e verità.
In Val di Susa, nei primi di giugno, si è tenuta a Bussoleno la seconda edizione di Una montagna di libri contro il Tav, l’iniziativa che dal maggio del 2012 vede confrontarsi scrittori, musicisti, editori e tutti coloro che lavorano nel campo dell’immaginario con il popolo No Tav e con quanti si oppongono alla costruzione della linea Torino-Lione e alla rapina del territorio.
Anche quest’anno tutto è girato intorno alla Libreria del Sole e alla sua infaticabile libraia, Rita Cevrero: incontri con gli autori, mostre fotografiche, intermezzi musicali, letture di testi teatrali e poetici.
Sul banchetto di uno degli editori partecipanti le copie fresche di stampa di Filastin l’arte di Resistenza (Eris Edizioni), una raccolta di 175 disegni e vignette di Naji Al-Alì, l’artista palestinese assassinato a Londra il 22 luglio del 1987 che ha dato vita ad Handala, il personaggio-bambino che non ha volto, diventato nel mondo l’icona della lotta del mondo arabo. Naji Al- Alì, nato nel 1936 nel villaggio di Asciagara in Galilea, diventa profugo nel ’48 quando, con la proclamazione della costituzione dello Stato di Israele da parte di David Ben Gurion, lo scontro interetnico e la guerra non si possono più scongiurare.
Nel corso di pochi mesi l’usurpazione delle terre e la distruzione dei villaggi palestinesi causa la deportazione di 750.000 arabi che saranno rimpiazzati dai 687.000 ebrei giunti in Palestina nel triennio ’48-’51. A segnare indelebilmente anche la vita di Naji sarà proprio la Nakba (la Catastrofe), quella “causa profonda del conflitto” che ci appare fondamentalmente ancor oggi – così come scrisse già nel 1969 Maxime Rodinson – «la lotta di una popolazione indigena contro l’occupazione da parte di stranieri del suo territorio nazionale». (1)
Naji troverà rifugio con la sua famiglia nel sud del Libano nel campo profughi di Ain Al-Hilwa, nei pressi di Sidone, e non ritornerà mai più in Palestina.
Da quel piccolo carcere dove «ci guardavamo intorno chiedendo aiuto a tutte le forze del bene» come disse in un’intervista rilasciata nel 1984 e riportata nel libro, Naji incominciò ad avvertire il bisogno di dare una forma alla sua indignazione per la prepotenza subita e per esprimere la radicalità delle sue posizioni politiche. Lo fece disegnando.
«Tutte le volte che venivo arrestato ero attento ad avere con me la mia matita anche in carcere» scrisse. Così nacque Handala il bambino-profugo che veniva dal campo di Ain Al-Hilwa, l’alter ego dell’artista, testimone inconciliabile della causa degli oppressi del mondo, e con lui, nelle sue vignette, vennero alla luce le ricorrenti figure dei profughi che dal ’48, ancora oggi, continuano a marcire segregati nei campi e ritratti nei poveri panni dei contadini che difendono strenuamente diritti e identità o quelle dei fedayin con il volto e la testa avvolti nella kefiyah. Così come non mancano le rappresentazioni dei nemici ,vuoi che abbiano le sembianze dei soldati israeliani con la stella di David sull’elmetto, vuoi quelle degli osceni borghesi arabi sempre ritratti in forme abominevoli e debordanti. E la dolente immagine di una giovane e fiera donna altro non è che il simbolo della Madre Terra Palestina alla quale si anela tornare come nella casa del villaggio natio della quale non si sono smarrite le chiavi, appese al filo spinato.
In questi giorni la già drammatica situazione dei profughi accampati a Sidone è totalmente fuori controllo a causa dello straripante flusso di profughi provenienti dalla Siria in guerra. Agli ottantamila stabilmente residenti nei due chilometri quadrati che misura il campo se ne sono aggiunti altri ventiduemila palestinesi e siriani. Sostenere il popolo palestinese significa soprattutto non far cadere nell’oblio la storia politica e le espressioni artistiche e culturali che ne preservino l’identità.
Il Comitato di Solidarietà con il Popolo Palestinese di Torino che ha sostenuto l’iniziativa editoriale congiuntamente a Eris Edizioni devolverà il ricavato della vendita di questo libro a quanti in in Palestina, fuori e dentro i campi, continuano a combattere, a resistere e a sopravvivere.
Note
1) Maxime Rodinson, Israele e il rifiuto arabo, 75 anni di storia - Einaudi 1969
* Fonte: L'Altra Pagina
In Val di Susa, nei primi di giugno, si è tenuta a Bussoleno la seconda edizione di Una montagna di libri contro il Tav, l’iniziativa che dal maggio del 2012 vede confrontarsi scrittori, musicisti, editori e tutti coloro che lavorano nel campo dell’immaginario con il popolo No Tav e con quanti si oppongono alla costruzione della linea Torino-Lione e alla rapina del territorio.
Anche quest’anno tutto è girato intorno alla Libreria del Sole e alla sua infaticabile libraia, Rita Cevrero: incontri con gli autori, mostre fotografiche, intermezzi musicali, letture di testi teatrali e poetici.
Sul banchetto di uno degli editori partecipanti le copie fresche di stampa di Filastin l’arte di Resistenza (Eris Edizioni), una raccolta di 175 disegni e vignette di Naji Al-Alì, l’artista palestinese assassinato a Londra il 22 luglio del 1987 che ha dato vita ad Handala, il personaggio-bambino che non ha volto, diventato nel mondo l’icona della lotta del mondo arabo. Naji Al- Alì, nato nel 1936 nel villaggio di Asciagara in Galilea, diventa profugo nel ’48 quando, con la proclamazione della costituzione dello Stato di Israele da parte di David Ben Gurion, lo scontro interetnico e la guerra non si possono più scongiurare.
Naji Al-Alì |
Nel corso di pochi mesi l’usurpazione delle terre e la distruzione dei villaggi palestinesi causa la deportazione di 750.000 arabi che saranno rimpiazzati dai 687.000 ebrei giunti in Palestina nel triennio ’48-’51. A segnare indelebilmente anche la vita di Naji sarà proprio la Nakba (la Catastrofe), quella “causa profonda del conflitto” che ci appare fondamentalmente ancor oggi – così come scrisse già nel 1969 Maxime Rodinson – «la lotta di una popolazione indigena contro l’occupazione da parte di stranieri del suo territorio nazionale». (1)
Naji troverà rifugio con la sua famiglia nel sud del Libano nel campo profughi di Ain Al-Hilwa, nei pressi di Sidone, e non ritornerà mai più in Palestina.
Da quel piccolo carcere dove «ci guardavamo intorno chiedendo aiuto a tutte le forze del bene» come disse in un’intervista rilasciata nel 1984 e riportata nel libro, Naji incominciò ad avvertire il bisogno di dare una forma alla sua indignazione per la prepotenza subita e per esprimere la radicalità delle sue posizioni politiche. Lo fece disegnando.
«Tutte le volte che venivo arrestato ero attento ad avere con me la mia matita anche in carcere» scrisse. Così nacque Handala il bambino-profugo che veniva dal campo di Ain Al-Hilwa, l’alter ego dell’artista, testimone inconciliabile della causa degli oppressi del mondo, e con lui, nelle sue vignette, vennero alla luce le ricorrenti figure dei profughi che dal ’48, ancora oggi, continuano a marcire segregati nei campi e ritratti nei poveri panni dei contadini che difendono strenuamente diritti e identità o quelle dei fedayin con il volto e la testa avvolti nella kefiyah. Così come non mancano le rappresentazioni dei nemici ,vuoi che abbiano le sembianze dei soldati israeliani con la stella di David sull’elmetto, vuoi quelle degli osceni borghesi arabi sempre ritratti in forme abominevoli e debordanti. E la dolente immagine di una giovane e fiera donna altro non è che il simbolo della Madre Terra Palestina alla quale si anela tornare come nella casa del villaggio natio della quale non si sono smarrite le chiavi, appese al filo spinato.
In questi giorni la già drammatica situazione dei profughi accampati a Sidone è totalmente fuori controllo a causa dello straripante flusso di profughi provenienti dalla Siria in guerra. Agli ottantamila stabilmente residenti nei due chilometri quadrati che misura il campo se ne sono aggiunti altri ventiduemila palestinesi e siriani. Sostenere il popolo palestinese significa soprattutto non far cadere nell’oblio la storia politica e le espressioni artistiche e culturali che ne preservino l’identità.
Il Comitato di Solidarietà con il Popolo Palestinese di Torino che ha sostenuto l’iniziativa editoriale congiuntamente a Eris Edizioni devolverà il ricavato della vendita di questo libro a quanti in in Palestina, fuori e dentro i campi, continuano a combattere, a resistere e a sopravvivere.
Note
1) Maxime Rodinson, Israele e il rifiuto arabo, 75 anni di storia - Einaudi 1969
* Fonte: L'Altra Pagina
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