19 agosto. Nel dibattito innescato nel maggio scorso dalle nostre critiche al "Bagnai-pensiero" uno dei punti venuti fuori è quello se l'economia sia una scienza e, nel caso lo fosse, di che tipo. Ci pare utile ripubbblicare un articolo del luglio 2010 che affronta proprio questo tema.
DI CHE SCIENZA STIAMO PARLANDO?
È più grave la crisi economica del capitalismo o quella teorica degli economisti? In risposta a Antonio Guarino
Che l’ultima crisi economica sia una cosa serissima lo si vede anche dagli effetti teorici collaterali: nessuna delle recessioni recenti aveva mobilitato come questa le truppe speciali mentali del sistema. Centinaia di economisti, accademici o addirittura premi Nobel, disquisiscono da almeno tre anni sulle cause della crisi, sulle terapie per uscirne, nonché sull’efficacia delle misure poste in essere dai governi. Testate come Financial Times, Economist, Wall Street Journal e, da noi, Il Sole 24 Ore, pubblicano un giorno sì e l’altro pre, interventi e contro-interventi. Il risultato è una vera e propria babele. Tutti contro tutti. «La conclusione è sconcertante: gli economisti sono divisi in tribù: liberisti, post-keynesiani, marxisti, monetaristi, sraffiani, neoclassici; e non si mettono d’accordo su nulla». (1)
Questa babele è significativa: demolisce la pretesa che l’economia sia una scienza, almeno nella sua apparente accezione empiristico-galileiana, che è quella che va per la maggiore tra gli stessi accademici. Ove il galileismo in economia è in verità, oramai, una metafora per intendere la più brutale matematizzazione dei modelli e delle teorie economiche. Ma su questo torneremo più avanti.
In verità l’affermazione di cui sopra contiene un falso. L’analisi attenta di questa “sconcertante” olimpiade accademica tra economisti, vede gareggiare solo partigiani del capitalismo, per quanto multiformi siano le loro posizioni dottrinarie. Nessun economista marxista è stato infatti ospitato da queste blasonate testate, e chi volesse ascoltare le voci marxiste deve andarsele a cercare negli abissi di internet o in qualche rivista cenacolare. La qual cosa è sintomatica. E’ vero che si assiste ad una riscoperta di Marx, ma essa matura sottotraccia e gli organi di stampa liberali, tranne rarissime eccezioni, si guardano bene dal dare voce ai marxisti, verso i quali opera un ostinato ostracismo.
Cosa intendano per “economisti marxisti” i sodali mentali e gli accademici del capitalismo-casino è presto detto, si riferiscono ad esempio allo “Appello dei cento” (da noi pubblicato l’altro giorno).
Cosa ci sia di marxista è per noi difficile da capire, per Antonio Guarino invece, luminare della London School of Economics, è quanto mai evidente. Sentiamo:
Tuttavia il bello sta da un'altra parte: veniamo a sapere che definire liberisti le concezioni che sono state alla base dell’euro e dei successivi trattati, nonché i piani di rigore di recente adottatati, è considerato dalla “comunità scientifica”... "volgare ideologia". Ciò è come minimo disarmante e la dice lunga su cosa questa “comunità” intenda per scienza. Che l’euro sia nato all’insegna di concezioni liberiste e monetariste, anche stando alla discutibile dicotomia weberiana, è infatti un banale “giudizio di fatto”, e non anzitutto “di valore”. Se affermo che Milton Friedman, in quanto fondatore della scuola monetarista, era un “liberista convinto”, compio forse un oltraggio alla scienza? Ovvio che no! Dare un nome alle cose non è “ideologico”, è al contrario un imprescindibile modalità della scienza di cui Guarino immagina essere una vestale, proprio come un etologo è tenuto ad attenersi ad una rigorosa classificazione del mondo animale, distinguendo ad esempio i mammiferi dai molluschi. Evidentemente per Guarino, dire che la tigre è una bestia, è … pura ideologia.
L’intervento di Guarino (L'ideologia è un vecchio arnese) è disarmante proprio su quello che dovrebbe essere il suo punto di forza, quando, in indiretta polemica col marxismo, deve spiegare cosa sia la cosiddetta “scienza economica”.
Ecco la seconda chicca teorica:
Veniamo così a sapere che la “comunità scientifica” “cerca solo di capire i fenomeni”, e che “le migliori scuole… non si distinguono in scuole”, tanto più se “legate ad opinioni politiche”. Siamo quindi in presenza, in barba all’epistemologia moderna, della puerile e antidiluviana idea che i fenomeni sociali, tanto più quelli attinenti alla società capitalistica, possano essere considerati alla stregua di quelli fisici o naturali. Dobbiamo ancora conoscere un economista che non abbia un’idea politica, e che in sede analitica possa sbarazzarsi delle sue idee politiche, così come ci si libera di un paio di scarpe. Il solo fatto che la “comunità scientifica” di cui parla il Guarino la pensi a questo modo, ovvero che studi il capitalismo a prescindere dalla sua storicità, che non consideri la sua natura antagonistica, è indice sicuro di una determinata concezione del mondo, quella della società borghese, che considera sé stessa eterna nonché perfettibile, sinonimo, sic et simpliciter, di economia.
Del resto l’idea che lo scienziato, anche quello fisico, possa porre tra sé e l’oggetto da indagare, un arbitrale distacco, è una stupidaggine della più bell’acqua.
Se le cose stessero davvero come proclama Guarino, come mai la babele? Le divergenze tra economisti attengono forse solo alla sfera delle tecniche? Dei modelli matematici o statistici? O non sono anzitutto riferibili a diverse dottrine o scuole? E ove si trattasse di scuole e dottrine, come in effetti è il caso, sono esse scevre da condizionamenti politici? Non hanno forse esse un pur implicito sostrato ideologico? Peggio: non debbono forse rispondere ai loro famigerati committenti (quasi sempre grandi gruppi finanziari e bancari globali)
Sentite cosa dice Guarino:
Siamo dunque al di sotto dello stesso empirismo, siamo davanti alla pura e semplice ignoranza, che Guarino pensa di giustificare affermando bellamente che «Leggere La Teoria generale di Keynes non serve a niente: un chimico o un biologo non consultano libri di 200 anni fa ma guardano alle scoperte più recenti». (sic!).
In questa affermazione intimidatoria quanto volgare, c’è in effetti un salto logico rispetto all’empirismo, che faceva spallucce rispetto alla filosofia, o degli economisti neoclassici rispetto al marxismo. C’è tutta la tracotanza dello scientismo lillipuziano di scuola anglosassone che pretende di essere considerato la “sola scienza”, che non ha ancora scoperto la verità, ma dichiara di essere il solo in grado di scovarla.
Per tornare al nostro titolo, la presunzione di questi sacerdoti della neo-scienza imperialistica è pari solo al loro fallimento. La crisi storico-sistemica è sopraggiunta, e i nostri “scienziati” non sanno che pesci pigliare. Essi saranno dunque gli ultimi a poter scoprire le cause della crisi, che le si può trovare solo andando alla radice, e per andare alla radice di un sistema sociale in gravissima crisi, l’econometria, la matematica, le diavolerie algoritmiche, servono a ben poco. Serve appunto la scienza, ovvero un pensiero radicale. Ma chiedere a questi “scienziati” un pensiero radicale è come pretendere di cacciare sangue da una rapa.
Una prova inquietante di questa sì radicale e costitutiva impotenza, non solo metodologica, ce la da William Scarpe, anche lui professore emerito e Nobel per l’economia. Per dare un’idea dello stato confusionale in cui versano gli economisti (e le giurie del Nobel) e in che cosa egli sia affacendato mentre il capitalismo occidentale crolla dalle fondamenta, citiamo da una sua recentissima intervista:
Note
(1) Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2010
(2) Il Sole 24 Ore, ibidem
(3) Il Sole 24 Ore, ibidem
(4) Il Sole 24 Ore, ibidem
(5) Corriereeconomia, 19 luglio 2010
DI CHE SCIENZA STIAMO PARLANDO?
È più grave la crisi economica del capitalismo o quella teorica degli economisti? In risposta a Antonio Guarino
Che l’ultima crisi economica sia una cosa serissima lo si vede anche dagli effetti teorici collaterali: nessuna delle recessioni recenti aveva mobilitato come questa le truppe speciali mentali del sistema. Centinaia di economisti, accademici o addirittura premi Nobel, disquisiscono da almeno tre anni sulle cause della crisi, sulle terapie per uscirne, nonché sull’efficacia delle misure poste in essere dai governi. Testate come Financial Times, Economist, Wall Street Journal e, da noi, Il Sole 24 Ore, pubblicano un giorno sì e l’altro pre, interventi e contro-interventi. Il risultato è una vera e propria babele. Tutti contro tutti. «La conclusione è sconcertante: gli economisti sono divisi in tribù: liberisti, post-keynesiani, marxisti, monetaristi, sraffiani, neoclassici; e non si mettono d’accordo su nulla». (1)
Questa babele è significativa: demolisce la pretesa che l’economia sia una scienza, almeno nella sua apparente accezione empiristico-galileiana, che è quella che va per la maggiore tra gli stessi accademici. Ove il galileismo in economia è in verità, oramai, una metafora per intendere la più brutale matematizzazione dei modelli e delle teorie economiche. Ma su questo torneremo più avanti.
In verità l’affermazione di cui sopra contiene un falso. L’analisi attenta di questa “sconcertante” olimpiade accademica tra economisti, vede gareggiare solo partigiani del capitalismo, per quanto multiformi siano le loro posizioni dottrinarie. Nessun economista marxista è stato infatti ospitato da queste blasonate testate, e chi volesse ascoltare le voci marxiste deve andarsele a cercare negli abissi di internet o in qualche rivista cenacolare. La qual cosa è sintomatica. E’ vero che si assiste ad una riscoperta di Marx, ma essa matura sottotraccia e gli organi di stampa liberali, tranne rarissime eccezioni, si guardano bene dal dare voce ai marxisti, verso i quali opera un ostinato ostracismo.
Cosa intendano per “economisti marxisti” i sodali mentali e gli accademici del capitalismo-casino è presto detto, si riferiscono ad esempio allo “Appello dei cento” (da noi pubblicato l’altro giorno).
Cosa ci sia di marxista è per noi difficile da capire, per Antonio Guarino invece, luminare della London School of Economics, è quanto mai evidente. Sentiamo:
«L’Appello dei 100 economisti si basa su teorie marxiste, a cui la comunità scientifica internazionale non da alcun valore, semplicemente per lanciare un messaggio politico. Non a caso l’Appello ci spiega all’inizio “che l’attuale instabilità dell’Unione monetaria costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione. E’ questa un’affermazione scientifica? Ovviamente no, è solo una dichiarazione ideologica». (2)Abbiamo così che Guarino demonizza (lui sì in modo ideologico!) l’Appello dei cento come “marxista” in virtù della ferma condanna del liberismo e delle scelte rigoriste adottate di recente dalla BCE e dai governi europei. E’ evidente che Guarino, della teoria economica marxista, non ha capito un’acca, quali che siano i titoli onorifici o accademici che gli hanno attribuito. Anche il più sprovveduto tra gli economisti teorici dovrebbe sapere, ed usiamo il condizionale non a caso, che la denuncia del liberismo a la riproposizione di una politica economica espansiva, di stimolo dei consumi interni, sta al marxismo più o meno come l’animismo sta all'Islam. Tutt’al più, l’Appello dei cento, avanza una miscela a base di keynesismo e di sraffismo, ma nulla, decisamente nulla a che vedere col marxismo. In nessuna parte dell’Appello i firmatari utilizzano l’impianto categoriale marxista, in nessun modo spiegano la crisi andando alla radice, alle contraddizioni intrinseche del modo capitalistico di produzione. E’ di tutta evidenza che essi non partono affatto dalla teoria marxiana del valore (e del plusvalore). L’Appello, politicamente parlando, non a caso sostiene le più classiche ricette socialdemocratiche.
Tuttavia il bello sta da un'altra parte: veniamo a sapere che definire liberisti le concezioni che sono state alla base dell’euro e dei successivi trattati, nonché i piani di rigore di recente adottatati, è considerato dalla “comunità scientifica”... "volgare ideologia". Ciò è come minimo disarmante e la dice lunga su cosa questa “comunità” intenda per scienza. Che l’euro sia nato all’insegna di concezioni liberiste e monetariste, anche stando alla discutibile dicotomia weberiana, è infatti un banale “giudizio di fatto”, e non anzitutto “di valore”. Se affermo che Milton Friedman, in quanto fondatore della scuola monetarista, era un “liberista convinto”, compio forse un oltraggio alla scienza? Ovvio che no! Dare un nome alle cose non è “ideologico”, è al contrario un imprescindibile modalità della scienza di cui Guarino immagina essere una vestale, proprio come un etologo è tenuto ad attenersi ad una rigorosa classificazione del mondo animale, distinguendo ad esempio i mammiferi dai molluschi. Evidentemente per Guarino, dire che la tigre è una bestia, è … pura ideologia.
L’intervento di Guarino (L'ideologia è un vecchio arnese) è disarmante proprio su quello che dovrebbe essere il suo punto di forza, quando, in indiretta polemica col marxismo, deve spiegare cosa sia la cosiddetta “scienza economica”.
Ecco la seconda chicca teorica:
«Che scienza è quella in cui ci si distingue in scuole, peraltro chiaramente legate a opinioni politiche? Per fortuna le cose non stanno così. In tutti i dipartimenti di economia del mondo in cui si fa ricerca scientifica, da Harvard a Standford alle migliori scuole europee, gli economisti non si distinguono in base a faziose visioni del mondo, ma solo in base alla specializzazione scientifica. (…) La scienza economica progredisce con ricercatori che propongono nuove teorie e altri che le sottopongono a verifica empirica. Così si fa in economia, così come in tutte le scienze. I ricercatori di economia cercano solo di capire i fenomeni economici con gli strumenti matematici e statistici che negli anni hanno sviluppato, non vogliono proporre una visione del mondo». (3)Che abbiamo? Che scienza equivale per Guarino a specializzazione, matematizzazione e successiva verifica empirica. Senza scomodare Feyerabend, di sicuro anche Popper resterebbe basito. Notoria è la spocchia che certi cattivi scienziati hanno per la filosofia; vaglielo a spiegare che la loro concezione della scienza è anch’essa una “visione del mondo”. Vaglielo a spiegare che la matematizzazione compulsiva è indizio sicuro di razionalismo cartesiano se non di vero e proprio platonismo pitagorico, che quindi dietro ad ogni empirismo radicale c’è un malcelato idealismo filosofico altrettanto dogmatico!
Veniamo così a sapere che la “comunità scientifica” “cerca solo di capire i fenomeni”, e che “le migliori scuole… non si distinguono in scuole”, tanto più se “legate ad opinioni politiche”. Siamo quindi in presenza, in barba all’epistemologia moderna, della puerile e antidiluviana idea che i fenomeni sociali, tanto più quelli attinenti alla società capitalistica, possano essere considerati alla stregua di quelli fisici o naturali. Dobbiamo ancora conoscere un economista che non abbia un’idea politica, e che in sede analitica possa sbarazzarsi delle sue idee politiche, così come ci si libera di un paio di scarpe. Il solo fatto che la “comunità scientifica” di cui parla il Guarino la pensi a questo modo, ovvero che studi il capitalismo a prescindere dalla sua storicità, che non consideri la sua natura antagonistica, è indice sicuro di una determinata concezione del mondo, quella della società borghese, che considera sé stessa eterna nonché perfettibile, sinonimo, sic et simpliciter, di economia.
Del resto l’idea che lo scienziato, anche quello fisico, possa porre tra sé e l’oggetto da indagare, un arbitrale distacco, è una stupidaggine della più bell’acqua.
Se le cose stessero davvero come proclama Guarino, come mai la babele? Le divergenze tra economisti attengono forse solo alla sfera delle tecniche? Dei modelli matematici o statistici? O non sono anzitutto riferibili a diverse dottrine o scuole? E ove si trattasse di scuole e dottrine, come in effetti è il caso, sono esse scevre da condizionamenti politici? Non hanno forse esse un pur implicito sostrato ideologico? Peggio: non debbono forse rispondere ai loro famigerati committenti (quasi sempre grandi gruppi finanziari e bancari globali)
Sentite cosa dice Guarino:
« Certo che c’è un dibattito scientifico che va avanti e vengono espresse valutazioni diverse. (…) Questo dibattito scientifico deriva dal fatto che si fa fatica a scoprire la verità, semplicemente perché il ciclo economico, la crescita, le crisi finanziarie, etc. sono fenomeni molto complicati dei quali abbiamo ancora una comprensione tutt’altro che perfetta». (4)Si fa dunque fatica a scoprire, niente meno, che la “verità”. Cosa intende Guarino per “verità”? Tutto ci saremmo aspettati, da un accolito della concezione primitiva ed empiristica sulle scienze, meno che egli stesse cercando la “verità”. Un empirista dovrebbe almeno sentirsi in dovere, tra una ricerca di modelli matematici e l’altra, di farsi una ripassata, se non altro, di David Hume, che da scettico realista qual’era, sottolineava i limiti della ragione umana, e liquidava “la ricerca della verità” come l’oggetto per antonomasia di “filosofie astruse, precettive e consolatorie”.
Siamo dunque al di sotto dello stesso empirismo, siamo davanti alla pura e semplice ignoranza, che Guarino pensa di giustificare affermando bellamente che «Leggere La Teoria generale di Keynes non serve a niente: un chimico o un biologo non consultano libri di 200 anni fa ma guardano alle scoperte più recenti». (sic!).
In questa affermazione intimidatoria quanto volgare, c’è in effetti un salto logico rispetto all’empirismo, che faceva spallucce rispetto alla filosofia, o degli economisti neoclassici rispetto al marxismo. C’è tutta la tracotanza dello scientismo lillipuziano di scuola anglosassone che pretende di essere considerato la “sola scienza”, che non ha ancora scoperto la verità, ma dichiara di essere il solo in grado di scovarla.
Per tornare al nostro titolo, la presunzione di questi sacerdoti della neo-scienza imperialistica è pari solo al loro fallimento. La crisi storico-sistemica è sopraggiunta, e i nostri “scienziati” non sanno che pesci pigliare. Essi saranno dunque gli ultimi a poter scoprire le cause della crisi, che le si può trovare solo andando alla radice, e per andare alla radice di un sistema sociale in gravissima crisi, l’econometria, la matematica, le diavolerie algoritmiche, servono a ben poco. Serve appunto la scienza, ovvero un pensiero radicale. Ma chiedere a questi “scienziati” un pensiero radicale è come pretendere di cacciare sangue da una rapa.
Una prova inquietante di questa sì radicale e costitutiva impotenza, non solo metodologica, ce la da William Scarpe, anche lui professore emerito e Nobel per l’economia. Per dare un’idea dello stato confusionale in cui versano gli economisti (e le giurie del Nobel) e in che cosa egli sia affacendato mentre il capitalismo occidentale crolla dalle fondamenta, citiamo da una sua recentissima intervista:
«D. Ci parla degli esperimenti di finanza comportamentale che sta facendo?
R.Sto lavorando a un test che usa un software per cambiare il look delle foto dei soggetti dell’esperimento, mentre fanno delle scelte sulla loro pensione. I soggetti sono giovani lavoratori che si possono muovere su una scala grafica che va da sinistra —zero risparmi— a destra, il massimo di risparmi: andando verso sinistra la faccia di un giovane diventa sempre più felice, ma la sua faccia da vecchio, elaborata al computer, è sempre più triste, viceversa verso destra il vecchio diventa più felice. Io sto costruendo la parte finanziaria del test. Di fronte a una rappresentazione visiva delle conseguenze delle proprie scelte la gente dovrebbe capire meglio che deve risparmiare di più». (5)Minchia!
Note
(1) Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2010
(2) Il Sole 24 Ore, ibidem
(3) Il Sole 24 Ore, ibidem
(4) Il Sole 24 Ore, ibidem
(5) Corriereeconomia, 19 luglio 2010
14 commenti:
E così, dopo avere perso Bagnai, adesso vi siete giocati anche Emiliano Brancaccio, che fu uno dei principali promotori di quell'appello. Brancaccio è un marxista con i controcoglioni, che ha saputo liberare il Marx scienziato dalle letture manichee dei suoi peggiori epigoni e ha più volte ridicolizzato le tesi di economisti ortodossi ben più ferrati di quello sconosciuto imbecille che si chiama Guarino (al quale date una rilevanza enorme, e questo dimostra ancora una volta che non avete il minimo senso della politica, oltre che della scienza).
Il fatto che Brancaccio abbia promosso quella iniziativa nel lontano giugno 2010, quando Bagnai ancora suonava e voi ancora abbaiavate alla luna, dovrebbe indurvi a riflettere un tantinello di più. Ma si sa, internet è il luogo degli attivisti incapaci che giocano a fare gli scienziati incompresi.
Franco
"Quando Bagnai ancora suonava"
Suonare è una parola grossa per quella cosa che fa Bagnai sul clavicembalo.
Guardate questo filmato e fatevi spiegare da un vostro amico che ci capisce di quali schifezze è capace Albertone in quel pezzo.
Tanto per dare una traccia: è un pezzo elementare eppure lo suona con la partitura; a un certo punto si perde e fa finta di fare un rubato (tra 44 e 47), subito dopo chiude la frase con un trillo che sembra una torta di vacca; nel finale sulla frase un po' più complessa perde il filo, non vede l'ora di arrivare alla fine, ovviamente quando ci arriva si deconcentra del tutto e prende una steccaccia orrenda (2:33). Indipendentemente dagli errori è un dilettante il che è un merito per un professore di università, peccato che lui sia andato avanti per mesi gridando ai quattro venti che lui era un musicista professionista, che era prima un musicista e poi un economista...
Deliri da vecchia soprano carampana in pensione.
http://www.youtube.com/watch?v=fR4-li3r1D0
Mi pare che Brancaccio dopo quel manifesto abbia e di molto cambiato la sua posizione. L'evoluzione della situazione ha dato torto ai cento economisti.
Secondo me invece quell'appello è ancora attualissimo. Notare i seguenti passaggi:
"....Se non vi saranno le condizioni politiche per l’attuazione di un piano di sviluppo fondato sugli obiettivi delineati, il rischio che si scateni una deflazione da debiti e una conseguente deflagrazione della zona euro sarà altissimo. Il motivo è che diversi Paesi potrebbero cadere in una spirale perversa, fatta di miopi politiche nazionali di ”austerità” e di conseguenti pressioni speculative. A un certo punto tali Paesi potrebbero esser forzatamente sospinti al di fuori della Unione monetaria o potrebbero scegliere deliberatamente di sganciarsi da essa per cercare di realizzare autonome politiche economiche di difesa dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione. Se così davvero andasse, è bene chiarire che non necessariamente su di essi ricadrebbero le colpe principali del tracollo della unità europea....."
E ancora:
"...Qualora le opportune pressioni che il Governo e i rappresentanti italiani delle istituzioni dovranno esercitare in Europa non sortissero effetti, la crisi della zona euro tenderà a intensificarsi e le forze politiche e le autorità del nostro Paese potrebbero esser chiamate a compiere scelte di politica economica tali da restituire all’Italia un’autonoma prospettiva di sostegno dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione."
Cioè: uscire dall'euro, da "sinistra", come oggi diciamo.
Tre anni fa, quando Bagnai ancora strimpellava e Borghi ancora faceva il venditore ambulante di pacchi finanziari ;-), una roba del genere era pura eresia. Non so come Brancaccio abbia saputo convincere tanti baroni a firmare. Perfino De Cecco, Lunghini, Bosi, vari economisti della Bocconi.
Penso anche io che ormai Brancaccio sia su posizioni ancora più pessimiste sull'euro e sull'Europa. Ma ha seguito un filo logico preciso, a differenza di tanti altri saltimbanchi. Criticare questa sua iniziativa del 2010 secondo me è una cazzata.
Il resto della Lettera qui (a occhio non sono 100 firme, mi sembrano almeno il doppio):
http://www.letteradeglieconomisti.it/
Red Wolf
Mah!
Senza entrare in sofismi e raffinatezze che non mi appartengono, io il discorso lo circoscriverei semplificando in questi termini.
Accetto e sottoscrivo la tesi di Barnard, secondo la quale nel dopoguerra prima e soprattutto negli anni 70 poi, ci fu un complotto (chiamiamolo per nome) ordito dalle grandi elites finanziarie per azzerare i benefici apportati dalle teorie monetariste keynesiane alla popolazione, sostituendole con le tristemente famose teorie neo-liberiste che prevedono lo "smarcamento" dello stato sociale a favore dell'assoluto arbitrio dei mercati.
Punto di forza di queste teorie neo-liberiste furono le prese di posizione della speculazione finanziaria, attuate grazie alla privatizzazione delle banche centrali, all'utilizzo dei derivati, alla truffa degli interessi sui debiti statali, alla moneta unica e via discorrendo.
Ritornando alla famosa frase...che fare? Io non credo che si possa rinunciare ai dogmi del capitalismo inteso come libero scambio di merci avente come fine il lucro, se il tutto viene regolato e controllato da uno Stato libero dal controllo della speculazione finanziaria.
Se l'Italia degli anni 80 non avesse aperto certe crepe a sinistra, forse avremmo potuto correggere prima i nostri difetti senza consegnarci direttamente al nemico.
@Redazione
Cara Redazione, leggete Ars Longa?
Sta smadonnando a tutta forza contro uno che non la pensa come lui. Se non era firmato Ars Longa avrei scommesso che era Bagnai a parlare tanta è la foga e la brutalità verbale.
Così a naso escludereste che si tratta di Bagnai in incognito?
Io comincio ad avere qualche sospetto; mi dispiace ma la scompostezza nelle reazioni non mi piaceva su Goofynomics e non mi può piacere su Irradiazioni.
Temo che si tratti di una persona del tutto inutile politicamente.
Mi interesserebbe molto una vostra opinione.
Grazie
@Indipendentemente dagli errori è un dilettante il che è un merito per un professore di università, peccato che lui sia andato avanti per mesi gridando ai quattro venti che lui era un musicista professionista, che era prima un musicista e poi un economista...
Deliri da vecchia soprano carampana in pensione.
Un po' di erudizione (non "cultura"), strimpellare uno (due) strumenti, un men che mediocre posizionamento nel ranking degli economisti nazionali - vedasi Ideas, dal Nostro tanto sbandierata quando gli faceva comodo e sbugiardata subito dopo quando ha mostrato i suoi limiti - ed un ego smisurato hanno proiettato sulle luci della ribalta un mediocre cafone opportunista, il quale deve ringraziare chi gli paga uno stipendio, vedendolo (per fortuna) molto di rado all'opera, causa crescenti impegni: la propaganda di se stesso e del suo Magnum Opus, grazie all'improvvisa e imprevista "notorietà" acquisita, mentre altri ben più quotati docenti e semplici ricercatori lavorano e producono in silenzio.
@anonimo delle 00.43;non perdere tempo prezioso nella inutile lettura di Irradiazioni.Non serve a nulla,se non a creare cortine fumogene,utili a giustificare(sic),l'impero neocoloniale costruito intorno alla Germania. A loro insaputa,s'intende!E poi si dovrebbe sapere che in ogni sito non allineato,oggi si direbbe "antagonista",si avventa una pletora di personaggi che dietro l'apparente commento,sempre naturalmente in linea con il pensiero della classe dominante,distribuiscono critiche(?),funzionali allo scopo di disorientare un potenziale avversario dello stato di cose presente.E' una tecnica diffusa e molto utilizzata dalle élite con risultati davvero sorprendenti.Insomma:DIVIDI ET IMPERA!
Colgo questa occasione per una domanda a proposito di economia come scienza.
Ammettiamo che Marx in persona sia catapultato ai giorni nostri con lo scopo di valutare gli avvenimenti di politica economica dell'eurozona e di fornire la sua ricetta per riportare un certo grado di benessere alle popolazioni martoriate dalle ristrettezze in
cui le ha gettate la troika (ovviamente non mi riferisco a stalin-zinoviev-kamenev).
Dopo aver coscienziosamente valutato i dati delle varie organizzazioni internazionali (fmi, ocse, ue, ecc), secondo voi Marx che cosa proporrebbe :
- continuare nell'applicazione dell'austerità espansiva che ormai la crisi è agli sgoccioli;
- uscire dall'euro, ripristinare il Glass-Steagall, rinazionalizzare le banche centrali, reprimere la libertà dei capitali;
- oppure qualcosa di ancora diverso?
Vorreste fornire la vostra indicazione in proposito in qualità di economisti marxisti?
Caro Moreno,
anche se a prima vista puo' sembrare fuori tema ti invito a dare un'occhiata ad un vecchio post che scrissi tempo fa.
Credo che le critiche che tu esponi contro lo scientismo attuale si sposino bene al nucleo del mio post che puoi trovare all'indirizzo http://contraddittoriale.blogspot.it/2012/04/la-lezione-dei-neutrini.html?m=0
siccome siamo al seminario di studi "Filo Rosso" non riusciamo a curare il blog con puntualità, come vorremmo. Ci ripromettiamo di rispondere fra un paio di giorni.
Nel dibattito innescato nel maggio scorso dalle nostre critiche al "Bagnai-pensiero"...
Perché, pensa pure? Credevo ragliasse solo insulti e improperi.
L'ultimo post di bagnai penso si rivolga anche a voi.
Max affermava di non essere marxista.
Il che dimostra che le sue teorie erano strumentali, cioè finalizzate a scopi ben precisi e se egli non vi aderiva "de corde" era perché le giudicava "para scientifiche" (ricordare sempre comunque che teorie definite scientifiche spesso, con l'andar del tempo si sono rivelate erronee).
In pratica Marx agiva "da bombarolo" per preparare una rivoluzione che scardinasse il sistema tradizionale al fin di abbattere "i potentati" del tempo ed eliminare la "nazioni". Il che, in nuce, significava preparare la strada ad un N.W.O.
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