8 agosto. Se, come sembra, gli italiani saranno chiamati di nuovo alle urne (a novembre?), le forze dell'opposizione sociale e politica dovranno decidere che scelta fare. Poco è cambiato rispetto al quadro che avevamo quando si votò a febbraio. A meno di sorprese dell'ultimo minuto il Movimento 5 Stelle è il solo veicolo per portare nelle urne la voce di chi vuole davvero mandare a casa i "ladri di Pisa" di Pdl e Pd. Non siamo affetti da "cretinismo elettorale", continuiamo a pensare che dal marasma si esce soltanto con una svolta radicale, una svolta che può venire solo da una generale sollevazione popolare. Una vittoria elettorale di M5S, combinata con una nuova sconfitta dei partiti di regime, avvicinerebbe la svolta.
«Riteniamo doveroso scrivere queste righe perché – pur non essendo iscritti al MoVimento 5 Stelle né identificandoci con esso – pensiamo che alcune delle critiche mosse quotidianamente a tale forza politica, che costituisce l’unica reale opposizione in Parlamento, siano in gran parte infondate.
In modo particolare, vogliamo indirizzare questo articolo a chi “da sinistra” è solito attaccare il Movimento 5 Stelle, non rendendosi conto dell’incredibile errore politico commesso. Oltre alle ripetute offensive mediatiche, il MoVimento è stato vittima di attacchi anche da parte di forze e soggetti che, in un modo o nell’altro, si collocano in una prospettiva di opposizione e di critica al sistema politico italiano. Citiamo i numerosi interventi del collettivo Wu Ming e del Partito Comunista dei Lavoratori che anche in campagna elettorale “gufavano” contro l’ascesa dei cinquestelle. Esaminiamo in questa sede due delle principali critiche, tra cui quella di un presunto leaderismo e quella di un eccessivo purismo che avrebbe creato, di fatto, una situazione di stallo e di ingovernabilità.
L’accusa di leaderismo al Movimento 5 Stelle è ormai una cantilena ridondante che sembra non accettare repliche. Di fronte a chi avanza questo genere di accuse non v’è possibilità di controbattere, perché chi le fa, generalmente, non tiene conto di tutta una serie di problematiche tipiche del caso italiano. Sotto gli occhi di tutti è il fatto che il Movimento 5 Stelle sia una forza politica nuova anche a livello organizzativo, nata e cresciuta in un modo del tutto inconsueto.
Beppe Grillo è (era?) un comico, il blog – ai primi tempi pluripremiato da riviste internazionali – è di sua proprietà, il marchio pure, e l’intera campagna elettorale si è basata prevalentemente sul carisma di questa persona, che è stata mostrata quasi ossessivamente anche dai mezzi di comunicazione. Questa serie di particolarità ha portato a formulare da più fronti una generica accusa di leaderismo e di partito personale. A nostro avviso essa è fuori luogo, poiché tende a ignorare la disastrosa situazione mediatica e culturale in cui l’Italia ristagna da almeno vent’anni. Il cosiddetto “leaderismo” del signor Grillo e la sua ingombrante e scenografica presenza sono serviti da “cavallo di Troia” per entrare energicamente in un’opinione pubblica in larga parte assuefatta. Proprio grazie ai suoi interventi le acque si sono smosse, o perlomeno increspate, sino a giungere ad un vero e proprio tsunami elettorale – ma non solo – che si è abbattuto sul sistema politico italiano. Come ha avvisato Giulietto Chiesa, un’onda del genere sarà seguita sicuramente da altre. Grazie alle urla di Beppe Grillo, dietro le quali però si trovano parole di ragionevole buonsenso, molte persone prima disinteressate o disilluse dalla politica sono tornate ad informarsi e a interessarsi dei problemi reali di questo paese, prendendo coscienza che molte di quelle che i media ci propinano come emergenze nazionali sono in realtà inezie, utilizzate come armi di distrazione di massa. E, soprattutto, cosa ancora più importante, si è creato un nuovo soggetto aggregante che vuole porsi al di là della destra e della sinistra capitalistiche, il quale si pone in prospettiva critica nei confronti delle scelte politiche ed economiche di orientamento liberista compiute da governi dell’uno e dell’altro colore. Tutto ciò anche senza necessariamente possedere un pedigree di “sinistra” o di marxismo. Questo ultimo aspetto che abbiamo sottolineato non può essere sottovalutato, ma anzi deve essere analizzato e compreso, senza pregiudizi né atteggiamenti snobistici e settari.
Tornando a Beppe Grillo, è sotto gli occhi di tutti che con le sue spigliate capacità comunicative è riuscito a intercettare il malessere collettivo che si stava diffondendo nel paese, orfano di un soggetto politico di riferimento, convogliandolo in un unico MoVimento, inizialmente sottovalutato dai media, che però non hanno potuto ignorarlo quando il fenomeno ha assunto dimensioni ragguardevoli. Molto probabilmente senza un “leader” – in realtà si tratta di una figura comunicativa e di garanzia, anche dell’unità interna – tutto ciò non sarebbe stato possibile e gli scenari avrebbero potuto essere persino peggiori di quelli attuali. Abbiamo detto che a un’onda di tale portata probabilmente, e ce lo auguriamo, seguiranno delle altre. Ma è stato importante rompere il “naturale” bipolarismo italiano centro-destra/centro-sinistra, smarcarsi – anche se non del tutto – dall’osceno teatrino berlusconiani/antiberlusconiani, dato da molti per assodato, mostrare come sia possibile racimolare un notevole consenso elettorale e, infine, proporre un nuovo concetto di “militanza”, in cui l’elettore non solo deve sentirsi un membro attivo di un movimento comunitario, ma deve anche esserlo, intervenendo in prima persona nelle discussioni locali e nazionali, senza più delegare. Insomma, ognuno è chiamato a riscoprire nell’essenza della natura umana il zoòn politikòn aristotelico.
Parlare del presunto leaderismo del Movimento 5 Stelle è funzionale a mettere in ombra quella che è stata la più importante e benemerita – seppure anomala – funzione di Grillo nel panorama politico italiano. La sua presenza ha ridestato una carica politica ormai sopita da anni a seguito di promesse non mantenute, scelte impopolari, malcostume della “casta” politica, ma soprattutto della sottomissione del politico alla sfera del tecnico-economico, avallata anche e soprattutto dal centro-sinistra. Le sinistre radicali, talvolta sedicenti comuniste, hanno costituito un’utile stampella alle forze sistemiche, in quanto hanno abbracciato sovente battaglie secondarie finendo con il perdere di vista le fondamentali questioni della sovranità economica, politica e militare del nostro Paese. Per fare un esempio su tutti, il bombardamento della Jugoslavia che, pur essendo stato criticato a parole, non portò a conseguenti dimissioni dei ministri “comunisti italiani” che continuavano assai ambiguamente a sedere negli scranni dei governi euro-atlantisti Prodi, D’Alema e Amato per tentare di “cambiare le cose dall’interno”… E di nuovo tutti insieme appassionatamente, anche con il “Partito della Rifondazione Comunista” nel fallimentare Governo Prodi 2 (2006-2008) e le questioni secondarie cui accennavamo prima sono state portate prepotentemente nell’agone politico, senza peraltro concludere nulla. Questa apoteosi di “bertinottismo radical-chic” che ha recentemente assunto con Ingroia le forme di un esasperato legalitarismo “arancione”, anch’esso miseramente fallito, spesso hanno persino costituito in falsa coscienza le propaggini ideologico-culturali del capitalismo stesso (si vedano a tal proposito le riflessioni di Jean-Claude Michéa e Alain de Benoist, Costanzo Preve e Diego Fusaro).
Anche l’accusa di prepoliticismo rivolta al Movimento 5 Stelle dovrebbe essere ridimensionata. Se è vero che molti dei cavalli di battaglia del MoVimento sono istanze di stampo pre- (o meta-)politico, che talora scivolano in un fastidioso moralismo che rischia di annientare la politica, va anche detto che in questa fase l’azione prepolitica è essenziale, considerate le disastrose condizioni italiane, ove il sistema clientelare e partitico tende da decenni a essere di ostacolo allo sviluppo culturale, politica e morale della nazione. Se non si abbatte un certo malcostume con la trasparenza, l’onestà e il buon senso è impossibile ragionare in termini politici. L’azione prepolitica del Movimento 5 Stelle è, quindi, in questa fase importante per ristabilire le condizioni base per poter fare politica. Tuttavia occorre superare la sfera della morale individuale in quella dell’eticità comunitaria, che hegelianamente distinguiamo, pena l’ennesima delegittimazione della politica e la continua subordinazione della stessa alle imposizioni economico-finanziarie. Sconfitta su sconfitta, sino a giungere a “cifre da prefisso telefonico” – per prendere in prestito una espressione azzeccata del filosofo Costanzo Preve – lo spazio del dibattito politico italiano si era pressoché appiattito, lasciando agire indisturbate le oligarchie finanziarie che detengono il vero potere. In questo modo, inoltre, si è spianato il terreno all’avanzata delle cosiddette “destre populiste”, non doverosamente protezioniste ma intrinsecamente razziste, come di fatto sta accadendo in altri paesi, si pensi ad Alba Dorata in Grecia.
Si badi che non è nostra intenzione fare un’apologia del Movimento 5 Stelle, ma semplicemente smentire le accuse più infondate. Noi ci poniamo in una prospettiva comunista, ma siamo tenuti a comprendere la natura di questa realtà politica che ha raccolto quasi nove milioni di voti, riuscendo quindi a catalizzare gran parte del dissenso crescente nel Paese che restava privo di un soggetto politico di riferimento. Le sinistre italiane – più o meno radicali – si sono mostrate palesemente non all’altezza, sotto ogni profilo, di proporsi come soggetti politici di riferimento e, come l’economista Emiliano Brancaccio ha già osservato, c’è da chiedersi se il treno non lo abbiano perso definitivamente. Probabilmente non ha tutti i torti Diego Fusaro quando scrive che “la sinistra è il problema e, insieme, si pensa come la soluzione”.
Rammentando quindi quanto commesso dai governi di centro-sinistra negli ultimi vent’anni, cade anche l’accusa di purismo nei confronti del Movimento 5 Stelle. Per anni i partiti di sinistra sono stati accusati di connivenza, di promettere in campagna elettorale e di fare l’esatto contrario in parlamento, per anni si è sentito ripetere il tedioso mantra del partito di governo e di lotta, con i conseguenti risultati contraddittori, tragici a dir poco. Così procedendo, una dialettica perversa ha condotto molte energie antisistemiche che non condividevano tale operato a frantumarsi in una miriade di partiti e movimenti fortemente identitari e autoreferenziali, chiusi in codici ideologici tra la buona volontà oppositiva e quella testimoniale, con vene di folklore. Alcuni di essi decidono di non presentarsi alle elezioni, per preservare intatta la propria verginità. Il MoVimento 5 Stelle avrebbe potuto restare extraparlamentare per scelta, ma ha preferito sporcarsi le mani, andando incontro alle conseguenze del caso.
Ora che finalmente questa forza politica è riuscita ad ottenere un consenso elettorale di ampia portata – sebbene non sufficiente a garantirle un ruolo di governo – e a mantenere le promesse assunte con gli elettori, tentando di restare coerente e di rispettare la linea esposta a chiare lettere e senza possibilità di equivoci, sentiamo levarsi da più parti accuse di purismo, se non di vera e propria ottusità, per non aver voluto fare alleanze con il Partito Democratico, quando prima delle elezioni avevano sempre dichiarato che ogni tipo di alleanza sarebbe stata negata e che avrebbero dibattuto caso per caso sulle singole proposte di legge. Esattamente l’opposto di quanto avvenuto in casa PD, dove però in questi giorni si è distinta l’onestà intellettuale della senatrice Ricchiuti che ha affermato: “abbiamo ingannato i nostri elettori”; pur avendo promesso, infatti, che non si sarebbero mai alleati con il PDL, alla fine si sono ritrovati assieme nel Governo Letta, giungendo persino a sostenere apertamente l’operato del vicepremier Angelino Alfano su cui pendeva una mozione di sfiducia individuale.
Secondo il nostro punto di vista, la lettura, comparsa mesi fa sul Fatto Quotidiano, tendente a dipingere la realtà interna del Movimento 5 Stelle come spaccata in ortodossi (puristi e utopisti) e riformisti, è fuorviante. Che ci siano tendenze eterogenee all’interno del MoVimento e fuor di dubbio, tuttavia il problema non è colto nel suo fulcro. Il Movimento 5 Stelle si è presentato come un soggetto politico esplicitamente votato al superamento del sistema partitocratico esistente. Progetto condivisibile o non condivisibile, attuabile o non attuabile? Lo si vedrà “sul far del crepuscolo”; forse in molti lo hanno votato senza conoscerlo o crederci appieno, ma il punto principale sta altrove. Per la prima volta nella storia della nostra nazione, un’organizzazione politica entrata in Parlamento non ha preso per i fondelli gli elettori, ma ha mantenuto una linea, nei limiti della ragionevolezza e delle possibilità concrete, coerente con quanto affermato prima delle elezioni. E anche questo per noi non è poco. Infatti, oltre a essere un precedente di cui tutti quanti ormai dovranno tenere conto, rappresenta una svolta emancipativa del fare politica e del comportamento morale, indispensabile da assumere nei confronti degli elettori. Anche questa è prepolitica? Sì e no. Rispondiamo affermativamente, perché si tratta di un gesto che serve a creare le condizioni minime di base e di decenza per poter svolgere l’azione politica; rispondiamo negativamente, perché rifiutare alleanze con chi ha contribuito alla svendita del Paese rappresenta un atto politico chiaro e preciso. Prendiamo atto che non tutti gli elettori abbiano condiviso o compreso appieno questo gesto – complice la disinformazione dei media – e di conseguenza si è potuta verificare una lieve emmorragia in uscita verso l’astensione; qualcuno è stato richiamato nostalgicamente dal canto delle sirene dei partiti tradizionali (pochi da PD, una manciata in più dal PDL), ma è anche vero che senza questa prassi politica una vera e propria rottura con il passato non sarebbe stata possibile.
La partecipazione è un’altra delle potenzialità del Movimento 5 Stelle. Spesso lo si critica perché in fin dei conti a votare in rete sono solo poche migliaia di persone, ma così non ci si rende conto che gli strumenti di democrazia diretta proposti dal M5S sono tra i più avanzati e originali tra quelli comparsi fino ad ora nello scenario politico. Forse si potrà dire che è un po’ troppo ottimista, per il fatto che fa affidamento su uno strumento come la rete che in Italia, quando è utilizzata, in molti casi lo si fa in modo sterile. Oppure si ha una visione erronea delle potenizalità di Internet, con un dibattito sempre polarizzato tra tecnofobia e tecnomania. Certo, si tratta di un mezzo, e non di un fine o, ancor peggio, di un nuovo impalpabile soggetto che agirebbe spontaneamente. Dietro ci deve essere pur sempre il cittadino, il vecchio animale politico, altrimenti è come avere una città fantasma. Senza dubbio potrebbe essere giovevole un’educazione alla partecipazione diretta digitale, comunque sta al cittadino decidere come utilizzare questo strumento, scegliendo se partecipare attivamente oppure se voltarsi individualisticamente dall’altra parte. L’agorà si trova lì, se poi all’assemblea pubblica partecipano solo in tre, saranno quei tre – nel bene e nel mate – ad assumere la decisione, anche se sarebbe sempre auspicabile la maggiore partecipazione possibile.
Il motto pentastellato “uno vale uno”, a nostro avviso limitante e specchio di un egualitarismo un po’ ingenuo, ma che riteniamo esagerato definire “nichilista”, potrebbe essere tranquillamente sostituito da una espressione molto più efficace quale “tutti sono utili e nessuno è indispensabile”. Gli evidenti limiti di questo slogan non hanno impedito, tuttavia, di lasciar emergere figure quali Alessandro Di Battista, Carlo Sibilia, Federica Daga e Luigi Di Maio, cittadini che hanno mostrato, nonostante l’inevitabile inesperienza e alcune prese di posizione che personalmente non condividiamo, di saper ricoprire “con disciplina e onore” il loro ruolo, nonché di essere degli abili comunicatori. A questo proposito ci chiediamo come sia possibile continuare ad avanzare accuse di incapacità, di inesperienza, di improvvisazione ai parlamentari del Movimento 5 Stelle quando il nostro parlamento è stato – ed è tuttora – occupato da personaggi di incompetenza inaudita, che di certo non portano lustro al nostro Paese. Senza fare nomi – è inutile sparare sulla Croce Rossa – i lauti stipendi di queste donne e uomini catapultati in Parlamento suonano come un’offesa per milioni di lavoratori, di studenti e di famiglie che ogni giorno devono fare enormi sacrifici per vivere dignitosamente. Al contrario, i parlamentari del M5S hanno portato freschezza, passione ed onestà in un ambiente in putrefazione. Costringendo gli avversari, in alcuni casi, a giocare sul loro terreno. Scusate, questo non ci sembra poco.
Una nota di critica è però indispensabile. Qui ci ricolleghiamo anche a quanto detto, tra gli altri, da Stefano D’Andrea in un suo intervento solo in parte condivisibile: la vaghezza della politica estera. Su questo punto è necessario assumere una linea esplicitamente definita; non si tratta di una questione accesoria. In modo particolare, riguardo il futuro dell’eurozona e la strategia geopolitica che la nostra nazione dovrebbe adottare (eurocentrica, euratlantica, eurasiatica, neutralista o isolazionista) Grillo e il Movimento 5 Stelle hanno sempre avuto posizioni poco chiare, lasciando trasparire, ai più ben disposti, idee confuse sul tema, mentre, ai più smaliziati, opportunismo. Noi crediamo e speriamo si tratti del primo caso. Va però detto che – senza illuderci troppo – parrebbe che le acque si stiano smuovendo: un recente post di Grillo lascia intravedere una maggiore chiarezza sulla questione che potrebbe aprire la porta a nuovi scenari ancora tutti da scrivere. Non essendo Grillo né un dittatore, né tantomeno una figura che detta incondizionatamente la linea, è evidente che questo recente articolo rispecchia un dibattito che lentamente sta emergendo all’interno del Movimento 5 Stelle sul ruolo dell’Italia nell’eurozona e sulle scelte di politica economico-monetaria da adottare. Infatti, non ci dobbiamo dimenticare che la metodologia di discussione politica interna al M5S è ancora “sperimentale”, perchè mai fino ad oggi si era cercato di creare un meccanismo partecipativo di tale portata che si avvantaggia dei mezzi informatici per fare rete. Di conseguenza, è ovvio che alcuni sviluppi siano ancora lenti e talvolta contraddittori; evidentemente la piattaforma di dibattito interno deve ancora prefezionarsi e sarà necessario del tempo per permettere di sviluppare in modo ottimale gli strumenti di democrazia partecipativa che permettano realmente alla base di dettare la linea politica. Ma su questo vogliamo essere fiduciosi e speriamo sinceramente che il Movimento 5 Stelle riesca a proporre un modo di far politica che sia non solo nuovo e digitale, ma soprattutto efficace e compiutamente democratico, partecipativo, che possa sopravvivere ai continui colpi di cui è vittima.
Siamo consci che il percorso da fare non sia semplice, soprattutto quando si sta cercando di risvegliare la coscienza politica dei cittadini in un panorama desolato come quello italiano, ma nonostante questo ci preme sottolineare che sulle questioni di politica internazionale non si possa rimanere sprovveduti, valutando caso per caso singolamente quando si presenta, oppure abbandonarci a un infantile sentimentalismo dei diritti umani a senso unico, propagandato da imponenti ONG che, nella loro pretesa di apparire indipendenti, sono al servizio diretto dell’imperialismo americano, di cui ne costituiscono l’impalcatura ideologica per “esportare la democrazia”. Per citarne una, emblematica, la Human Rights Watch, finanziata quasi interamente dallo speculatore George Soros. Comunque sia, oltre alla già più volte menzionata questione dell’eurozona, il Movimento 5 Stelle dovrebbe esplicitare chiaramente come si pone nei confronti della Russia, dell’Iran, della Siria, dei socialismi nazionali sudamericani, della delicata questione del Tibet. Non basta lanciare una battuta condivisibile sul Medioriente, è indispensabile assumere posizioni coerenti e definite ad ampio raggio. Il dibattito interno, anche in prospettiva di un ruolo più determinante all’interno delle istituzioni, che implica ad esempio rapporti diplomatici con ambasciatori, dovrebbe accelerare e strutturarsi unitariamente su questi punti che talora passano in secondo piano di fronte alle urgenze della nostra situazione nazionale, ma che in realtà sono decisivi per la collocazione dell’Italia nel contesto internazionale. Da tali scelte di campo dipende pressoché ogni margine di manovra interna al nostro Paese».
* Fonte: Corretta informazione
«Riteniamo doveroso scrivere queste righe perché – pur non essendo iscritti al MoVimento 5 Stelle né identificandoci con esso – pensiamo che alcune delle critiche mosse quotidianamente a tale forza politica, che costituisce l’unica reale opposizione in Parlamento, siano in gran parte infondate.
In modo particolare, vogliamo indirizzare questo articolo a chi “da sinistra” è solito attaccare il Movimento 5 Stelle, non rendendosi conto dell’incredibile errore politico commesso. Oltre alle ripetute offensive mediatiche, il MoVimento è stato vittima di attacchi anche da parte di forze e soggetti che, in un modo o nell’altro, si collocano in una prospettiva di opposizione e di critica al sistema politico italiano. Citiamo i numerosi interventi del collettivo Wu Ming e del Partito Comunista dei Lavoratori che anche in campagna elettorale “gufavano” contro l’ascesa dei cinquestelle. Esaminiamo in questa sede due delle principali critiche, tra cui quella di un presunto leaderismo e quella di un eccessivo purismo che avrebbe creato, di fatto, una situazione di stallo e di ingovernabilità.
L’accusa di leaderismo al Movimento 5 Stelle è ormai una cantilena ridondante che sembra non accettare repliche. Di fronte a chi avanza questo genere di accuse non v’è possibilità di controbattere, perché chi le fa, generalmente, non tiene conto di tutta una serie di problematiche tipiche del caso italiano. Sotto gli occhi di tutti è il fatto che il Movimento 5 Stelle sia una forza politica nuova anche a livello organizzativo, nata e cresciuta in un modo del tutto inconsueto.
Beppe Grillo è (era?) un comico, il blog – ai primi tempi pluripremiato da riviste internazionali – è di sua proprietà, il marchio pure, e l’intera campagna elettorale si è basata prevalentemente sul carisma di questa persona, che è stata mostrata quasi ossessivamente anche dai mezzi di comunicazione. Questa serie di particolarità ha portato a formulare da più fronti una generica accusa di leaderismo e di partito personale. A nostro avviso essa è fuori luogo, poiché tende a ignorare la disastrosa situazione mediatica e culturale in cui l’Italia ristagna da almeno vent’anni. Il cosiddetto “leaderismo” del signor Grillo e la sua ingombrante e scenografica presenza sono serviti da “cavallo di Troia” per entrare energicamente in un’opinione pubblica in larga parte assuefatta. Proprio grazie ai suoi interventi le acque si sono smosse, o perlomeno increspate, sino a giungere ad un vero e proprio tsunami elettorale – ma non solo – che si è abbattuto sul sistema politico italiano. Come ha avvisato Giulietto Chiesa, un’onda del genere sarà seguita sicuramente da altre. Grazie alle urla di Beppe Grillo, dietro le quali però si trovano parole di ragionevole buonsenso, molte persone prima disinteressate o disilluse dalla politica sono tornate ad informarsi e a interessarsi dei problemi reali di questo paese, prendendo coscienza che molte di quelle che i media ci propinano come emergenze nazionali sono in realtà inezie, utilizzate come armi di distrazione di massa. E, soprattutto, cosa ancora più importante, si è creato un nuovo soggetto aggregante che vuole porsi al di là della destra e della sinistra capitalistiche, il quale si pone in prospettiva critica nei confronti delle scelte politiche ed economiche di orientamento liberista compiute da governi dell’uno e dell’altro colore. Tutto ciò anche senza necessariamente possedere un pedigree di “sinistra” o di marxismo. Questo ultimo aspetto che abbiamo sottolineato non può essere sottovalutato, ma anzi deve essere analizzato e compreso, senza pregiudizi né atteggiamenti snobistici e settari.
Tornando a Beppe Grillo, è sotto gli occhi di tutti che con le sue spigliate capacità comunicative è riuscito a intercettare il malessere collettivo che si stava diffondendo nel paese, orfano di un soggetto politico di riferimento, convogliandolo in un unico MoVimento, inizialmente sottovalutato dai media, che però non hanno potuto ignorarlo quando il fenomeno ha assunto dimensioni ragguardevoli. Molto probabilmente senza un “leader” – in realtà si tratta di una figura comunicativa e di garanzia, anche dell’unità interna – tutto ciò non sarebbe stato possibile e gli scenari avrebbero potuto essere persino peggiori di quelli attuali. Abbiamo detto che a un’onda di tale portata probabilmente, e ce lo auguriamo, seguiranno delle altre. Ma è stato importante rompere il “naturale” bipolarismo italiano centro-destra/centro-sinistra, smarcarsi – anche se non del tutto – dall’osceno teatrino berlusconiani/antiberlusconiani, dato da molti per assodato, mostrare come sia possibile racimolare un notevole consenso elettorale e, infine, proporre un nuovo concetto di “militanza”, in cui l’elettore non solo deve sentirsi un membro attivo di un movimento comunitario, ma deve anche esserlo, intervenendo in prima persona nelle discussioni locali e nazionali, senza più delegare. Insomma, ognuno è chiamato a riscoprire nell’essenza della natura umana il zoòn politikòn aristotelico.
Parlare del presunto leaderismo del Movimento 5 Stelle è funzionale a mettere in ombra quella che è stata la più importante e benemerita – seppure anomala – funzione di Grillo nel panorama politico italiano. La sua presenza ha ridestato una carica politica ormai sopita da anni a seguito di promesse non mantenute, scelte impopolari, malcostume della “casta” politica, ma soprattutto della sottomissione del politico alla sfera del tecnico-economico, avallata anche e soprattutto dal centro-sinistra. Le sinistre radicali, talvolta sedicenti comuniste, hanno costituito un’utile stampella alle forze sistemiche, in quanto hanno abbracciato sovente battaglie secondarie finendo con il perdere di vista le fondamentali questioni della sovranità economica, politica e militare del nostro Paese. Per fare un esempio su tutti, il bombardamento della Jugoslavia che, pur essendo stato criticato a parole, non portò a conseguenti dimissioni dei ministri “comunisti italiani” che continuavano assai ambiguamente a sedere negli scranni dei governi euro-atlantisti Prodi, D’Alema e Amato per tentare di “cambiare le cose dall’interno”… E di nuovo tutti insieme appassionatamente, anche con il “Partito della Rifondazione Comunista” nel fallimentare Governo Prodi 2 (2006-2008) e le questioni secondarie cui accennavamo prima sono state portate prepotentemente nell’agone politico, senza peraltro concludere nulla. Questa apoteosi di “bertinottismo radical-chic” che ha recentemente assunto con Ingroia le forme di un esasperato legalitarismo “arancione”, anch’esso miseramente fallito, spesso hanno persino costituito in falsa coscienza le propaggini ideologico-culturali del capitalismo stesso (si vedano a tal proposito le riflessioni di Jean-Claude Michéa e Alain de Benoist, Costanzo Preve e Diego Fusaro).
Anche l’accusa di prepoliticismo rivolta al Movimento 5 Stelle dovrebbe essere ridimensionata. Se è vero che molti dei cavalli di battaglia del MoVimento sono istanze di stampo pre- (o meta-)politico, che talora scivolano in un fastidioso moralismo che rischia di annientare la politica, va anche detto che in questa fase l’azione prepolitica è essenziale, considerate le disastrose condizioni italiane, ove il sistema clientelare e partitico tende da decenni a essere di ostacolo allo sviluppo culturale, politica e morale della nazione. Se non si abbatte un certo malcostume con la trasparenza, l’onestà e il buon senso è impossibile ragionare in termini politici. L’azione prepolitica del Movimento 5 Stelle è, quindi, in questa fase importante per ristabilire le condizioni base per poter fare politica. Tuttavia occorre superare la sfera della morale individuale in quella dell’eticità comunitaria, che hegelianamente distinguiamo, pena l’ennesima delegittimazione della politica e la continua subordinazione della stessa alle imposizioni economico-finanziarie. Sconfitta su sconfitta, sino a giungere a “cifre da prefisso telefonico” – per prendere in prestito una espressione azzeccata del filosofo Costanzo Preve – lo spazio del dibattito politico italiano si era pressoché appiattito, lasciando agire indisturbate le oligarchie finanziarie che detengono il vero potere. In questo modo, inoltre, si è spianato il terreno all’avanzata delle cosiddette “destre populiste”, non doverosamente protezioniste ma intrinsecamente razziste, come di fatto sta accadendo in altri paesi, si pensi ad Alba Dorata in Grecia.
Si badi che non è nostra intenzione fare un’apologia del Movimento 5 Stelle, ma semplicemente smentire le accuse più infondate. Noi ci poniamo in una prospettiva comunista, ma siamo tenuti a comprendere la natura di questa realtà politica che ha raccolto quasi nove milioni di voti, riuscendo quindi a catalizzare gran parte del dissenso crescente nel Paese che restava privo di un soggetto politico di riferimento. Le sinistre italiane – più o meno radicali – si sono mostrate palesemente non all’altezza, sotto ogni profilo, di proporsi come soggetti politici di riferimento e, come l’economista Emiliano Brancaccio ha già osservato, c’è da chiedersi se il treno non lo abbiano perso definitivamente. Probabilmente non ha tutti i torti Diego Fusaro quando scrive che “la sinistra è il problema e, insieme, si pensa come la soluzione”.
Rammentando quindi quanto commesso dai governi di centro-sinistra negli ultimi vent’anni, cade anche l’accusa di purismo nei confronti del Movimento 5 Stelle. Per anni i partiti di sinistra sono stati accusati di connivenza, di promettere in campagna elettorale e di fare l’esatto contrario in parlamento, per anni si è sentito ripetere il tedioso mantra del partito di governo e di lotta, con i conseguenti risultati contraddittori, tragici a dir poco. Così procedendo, una dialettica perversa ha condotto molte energie antisistemiche che non condividevano tale operato a frantumarsi in una miriade di partiti e movimenti fortemente identitari e autoreferenziali, chiusi in codici ideologici tra la buona volontà oppositiva e quella testimoniale, con vene di folklore. Alcuni di essi decidono di non presentarsi alle elezioni, per preservare intatta la propria verginità. Il MoVimento 5 Stelle avrebbe potuto restare extraparlamentare per scelta, ma ha preferito sporcarsi le mani, andando incontro alle conseguenze del caso.
Ora che finalmente questa forza politica è riuscita ad ottenere un consenso elettorale di ampia portata – sebbene non sufficiente a garantirle un ruolo di governo – e a mantenere le promesse assunte con gli elettori, tentando di restare coerente e di rispettare la linea esposta a chiare lettere e senza possibilità di equivoci, sentiamo levarsi da più parti accuse di purismo, se non di vera e propria ottusità, per non aver voluto fare alleanze con il Partito Democratico, quando prima delle elezioni avevano sempre dichiarato che ogni tipo di alleanza sarebbe stata negata e che avrebbero dibattuto caso per caso sulle singole proposte di legge. Esattamente l’opposto di quanto avvenuto in casa PD, dove però in questi giorni si è distinta l’onestà intellettuale della senatrice Ricchiuti che ha affermato: “abbiamo ingannato i nostri elettori”; pur avendo promesso, infatti, che non si sarebbero mai alleati con il PDL, alla fine si sono ritrovati assieme nel Governo Letta, giungendo persino a sostenere apertamente l’operato del vicepremier Angelino Alfano su cui pendeva una mozione di sfiducia individuale.
Secondo il nostro punto di vista, la lettura, comparsa mesi fa sul Fatto Quotidiano, tendente a dipingere la realtà interna del Movimento 5 Stelle come spaccata in ortodossi (puristi e utopisti) e riformisti, è fuorviante. Che ci siano tendenze eterogenee all’interno del MoVimento e fuor di dubbio, tuttavia il problema non è colto nel suo fulcro. Il Movimento 5 Stelle si è presentato come un soggetto politico esplicitamente votato al superamento del sistema partitocratico esistente. Progetto condivisibile o non condivisibile, attuabile o non attuabile? Lo si vedrà “sul far del crepuscolo”; forse in molti lo hanno votato senza conoscerlo o crederci appieno, ma il punto principale sta altrove. Per la prima volta nella storia della nostra nazione, un’organizzazione politica entrata in Parlamento non ha preso per i fondelli gli elettori, ma ha mantenuto una linea, nei limiti della ragionevolezza e delle possibilità concrete, coerente con quanto affermato prima delle elezioni. E anche questo per noi non è poco. Infatti, oltre a essere un precedente di cui tutti quanti ormai dovranno tenere conto, rappresenta una svolta emancipativa del fare politica e del comportamento morale, indispensabile da assumere nei confronti degli elettori. Anche questa è prepolitica? Sì e no. Rispondiamo affermativamente, perché si tratta di un gesto che serve a creare le condizioni minime di base e di decenza per poter svolgere l’azione politica; rispondiamo negativamente, perché rifiutare alleanze con chi ha contribuito alla svendita del Paese rappresenta un atto politico chiaro e preciso. Prendiamo atto che non tutti gli elettori abbiano condiviso o compreso appieno questo gesto – complice la disinformazione dei media – e di conseguenza si è potuta verificare una lieve emmorragia in uscita verso l’astensione; qualcuno è stato richiamato nostalgicamente dal canto delle sirene dei partiti tradizionali (pochi da PD, una manciata in più dal PDL), ma è anche vero che senza questa prassi politica una vera e propria rottura con il passato non sarebbe stata possibile.
La partecipazione è un’altra delle potenzialità del Movimento 5 Stelle. Spesso lo si critica perché in fin dei conti a votare in rete sono solo poche migliaia di persone, ma così non ci si rende conto che gli strumenti di democrazia diretta proposti dal M5S sono tra i più avanzati e originali tra quelli comparsi fino ad ora nello scenario politico. Forse si potrà dire che è un po’ troppo ottimista, per il fatto che fa affidamento su uno strumento come la rete che in Italia, quando è utilizzata, in molti casi lo si fa in modo sterile. Oppure si ha una visione erronea delle potenizalità di Internet, con un dibattito sempre polarizzato tra tecnofobia e tecnomania. Certo, si tratta di un mezzo, e non di un fine o, ancor peggio, di un nuovo impalpabile soggetto che agirebbe spontaneamente. Dietro ci deve essere pur sempre il cittadino, il vecchio animale politico, altrimenti è come avere una città fantasma. Senza dubbio potrebbe essere giovevole un’educazione alla partecipazione diretta digitale, comunque sta al cittadino decidere come utilizzare questo strumento, scegliendo se partecipare attivamente oppure se voltarsi individualisticamente dall’altra parte. L’agorà si trova lì, se poi all’assemblea pubblica partecipano solo in tre, saranno quei tre – nel bene e nel mate – ad assumere la decisione, anche se sarebbe sempre auspicabile la maggiore partecipazione possibile.
Il motto pentastellato “uno vale uno”, a nostro avviso limitante e specchio di un egualitarismo un po’ ingenuo, ma che riteniamo esagerato definire “nichilista”, potrebbe essere tranquillamente sostituito da una espressione molto più efficace quale “tutti sono utili e nessuno è indispensabile”. Gli evidenti limiti di questo slogan non hanno impedito, tuttavia, di lasciar emergere figure quali Alessandro Di Battista, Carlo Sibilia, Federica Daga e Luigi Di Maio, cittadini che hanno mostrato, nonostante l’inevitabile inesperienza e alcune prese di posizione che personalmente non condividiamo, di saper ricoprire “con disciplina e onore” il loro ruolo, nonché di essere degli abili comunicatori. A questo proposito ci chiediamo come sia possibile continuare ad avanzare accuse di incapacità, di inesperienza, di improvvisazione ai parlamentari del Movimento 5 Stelle quando il nostro parlamento è stato – ed è tuttora – occupato da personaggi di incompetenza inaudita, che di certo non portano lustro al nostro Paese. Senza fare nomi – è inutile sparare sulla Croce Rossa – i lauti stipendi di queste donne e uomini catapultati in Parlamento suonano come un’offesa per milioni di lavoratori, di studenti e di famiglie che ogni giorno devono fare enormi sacrifici per vivere dignitosamente. Al contrario, i parlamentari del M5S hanno portato freschezza, passione ed onestà in un ambiente in putrefazione. Costringendo gli avversari, in alcuni casi, a giocare sul loro terreno. Scusate, questo non ci sembra poco.
Una nota di critica è però indispensabile. Qui ci ricolleghiamo anche a quanto detto, tra gli altri, da Stefano D’Andrea in un suo intervento solo in parte condivisibile: la vaghezza della politica estera. Su questo punto è necessario assumere una linea esplicitamente definita; non si tratta di una questione accesoria. In modo particolare, riguardo il futuro dell’eurozona e la strategia geopolitica che la nostra nazione dovrebbe adottare (eurocentrica, euratlantica, eurasiatica, neutralista o isolazionista) Grillo e il Movimento 5 Stelle hanno sempre avuto posizioni poco chiare, lasciando trasparire, ai più ben disposti, idee confuse sul tema, mentre, ai più smaliziati, opportunismo. Noi crediamo e speriamo si tratti del primo caso. Va però detto che – senza illuderci troppo – parrebbe che le acque si stiano smuovendo: un recente post di Grillo lascia intravedere una maggiore chiarezza sulla questione che potrebbe aprire la porta a nuovi scenari ancora tutti da scrivere. Non essendo Grillo né un dittatore, né tantomeno una figura che detta incondizionatamente la linea, è evidente che questo recente articolo rispecchia un dibattito che lentamente sta emergendo all’interno del Movimento 5 Stelle sul ruolo dell’Italia nell’eurozona e sulle scelte di politica economico-monetaria da adottare. Infatti, non ci dobbiamo dimenticare che la metodologia di discussione politica interna al M5S è ancora “sperimentale”, perchè mai fino ad oggi si era cercato di creare un meccanismo partecipativo di tale portata che si avvantaggia dei mezzi informatici per fare rete. Di conseguenza, è ovvio che alcuni sviluppi siano ancora lenti e talvolta contraddittori; evidentemente la piattaforma di dibattito interno deve ancora prefezionarsi e sarà necessario del tempo per permettere di sviluppare in modo ottimale gli strumenti di democrazia partecipativa che permettano realmente alla base di dettare la linea politica. Ma su questo vogliamo essere fiduciosi e speriamo sinceramente che il Movimento 5 Stelle riesca a proporre un modo di far politica che sia non solo nuovo e digitale, ma soprattutto efficace e compiutamente democratico, partecipativo, che possa sopravvivere ai continui colpi di cui è vittima.
Siamo consci che il percorso da fare non sia semplice, soprattutto quando si sta cercando di risvegliare la coscienza politica dei cittadini in un panorama desolato come quello italiano, ma nonostante questo ci preme sottolineare che sulle questioni di politica internazionale non si possa rimanere sprovveduti, valutando caso per caso singolamente quando si presenta, oppure abbandonarci a un infantile sentimentalismo dei diritti umani a senso unico, propagandato da imponenti ONG che, nella loro pretesa di apparire indipendenti, sono al servizio diretto dell’imperialismo americano, di cui ne costituiscono l’impalcatura ideologica per “esportare la democrazia”. Per citarne una, emblematica, la Human Rights Watch, finanziata quasi interamente dallo speculatore George Soros. Comunque sia, oltre alla già più volte menzionata questione dell’eurozona, il Movimento 5 Stelle dovrebbe esplicitare chiaramente come si pone nei confronti della Russia, dell’Iran, della Siria, dei socialismi nazionali sudamericani, della delicata questione del Tibet. Non basta lanciare una battuta condivisibile sul Medioriente, è indispensabile assumere posizioni coerenti e definite ad ampio raggio. Il dibattito interno, anche in prospettiva di un ruolo più determinante all’interno delle istituzioni, che implica ad esempio rapporti diplomatici con ambasciatori, dovrebbe accelerare e strutturarsi unitariamente su questi punti che talora passano in secondo piano di fronte alle urgenze della nostra situazione nazionale, ma che in realtà sono decisivi per la collocazione dell’Italia nel contesto internazionale. Da tali scelte di campo dipende pressoché ogni margine di manovra interna al nostro Paese».
* Fonte: Corretta informazione
3 commenti:
Che Guevara diceva:
"non basta mandare a casa un dittatore per rovesciare un regime"
"We don’t want to talk about the euro. ....The euro is no longer a problem. We’re already outside the euro. Our problem isn’t the euro..
You’d vote to leave the euro?
Well I, I tell you … with a referendum, I’d also accept the euro if it was chosen by the Italians.
But your personal vote would be?
It’s not a personal vote. You shouldn’t put it like that. You can’t put a personal vote on something that regards Europe...
Sure. I understand. You don’t want to answer."
http://www.businessweek.com/articles/2013-08-08/comedian-beppe-grillo-on-italys-political-and-economic-future
qualcuno apra gli occhietti a Pasquinelli
This is gorgeous!
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