Anche le mummie hanno un'anima
di Leonardo Mazzei
di Leonardo Mazzei
«Alla luce di questi sviluppi, ci sembra confermata la giustezza dell'indicazione di voto al M5S. Colpire il sistema politico con l'unico corpo contundente a disposizione: di più questa volta non possiamo fare»
La notizia non stupisce, ma merita un commento: Mario e Pierluigi si sono finalmente fidanzati. Ancora un paio di settimane di punzecchiature a beneficio dei gonzi chiamati a votarli, poi le naturali e giuste nozze in nome dell'euro e dell'Europa.
Gli italiani, più che al banchetto saranno chiamati a nuovi sacrifici. Ma questo, passata la brezza elettorale, sarà solo un dettaglio. Questo almeno nelle intenzioni, perché la brezza potrebbe trasformarsi in vento forte e magari (così ci auguriamo) in tempesta. Il matrimonio s'avrebbe comunque da fare, ma il bello verrebbe subito dopo.
Per oltre un mese hanno fatto finta di litigare. Monti ha cercato di sgomitare per scrollarsi di dosso l'immagine del grigio tecnocrate. Lo hanno così consigliato Larry Grisolano e David Axelrod, i suggeritori arruolati negli States, per dargli una parvenza di vitalità. Bersani più che altro ha dovuto reagire agli attacchi. Ha dovuto quindi punzecchiare a sua volta, ma sempre stando ben attento a ribadire la necessità dell'alleanza post-elettorale.
Che si trattasse di un gioco delle parti lo avevano capito anche i bambini. Comunque, a scanso di equivoci, lo abbiamo sempre sottolineato nei nostri articoli. Ora, però, il punto è un altro: come mai a venti giorni dal voto hanno deciso di passare dal (finto) litigio alla promessa di matrimonio? D'accordo, nella sostanza le cose non mutano, ma perché questo cambiamento della strategia comunicativa?
Fino a ieri lo schema era chiaro: ognuno dei due cercava di ottenere il miglior risultato il 24-25 febbraio, attraendo al meglio l'elettorato dei rispettivi bacini potenziali, per poi arrivare all'accordo solo dopo il voto. E' ben noto, infatti, che ai fini del risultato elettorale è decisiva una forte caratterizzazione, in un certo senso identitaria anche se non necessariamente ideologica. Questa caratterizzazione si può ottenere in positivo, proponendo una qualsivoglia «idea forte» - una merce però ormai introvabile nell'attuale mercato della politica - o più facilmente in negativo, sparando a raffica ai propri fianchi con polemiche quotidiane, generalmente vuote nei contenuti ma pirotecniche nella forma.
Non era necessario assoldare gli «esperti» americani per capire che così funziona in generale il teatrino della politica. Quel che costoro non potevano invece capire - la spesa è stata dunque doppiamente inutile - è che applicare questa teoria generale e astratta al concreto soggetto fisico Mario Monti avrebbe solo prodotto degli effetti esilaranti. In fondo, devono essersi detti, anche le mummie hanno un'anima, o perlomeno si può tentare di farlo credere.
Il fatto è che non ha funzionato. I guru della comunicazione elettorale a un dollaro al voto si nutrono di sondaggi elettorali, e questi ultimi sono sempre più avari con la mummia della Bocconi.
La strategia era chiara: attaccare il centrosinistra con argomenti berlusconiani (tipo: «siete nati nel 1921»), proprio per pescare nell'ampio bacino elettorale del centrodestra. Ma Berlusconi non è caduto nella trappola della gara a chi è più anticomunista. Ha invece rilanciato - certo, in maniera estremamente ridicola ma a suo modo efficace - il tema del fisco. Ma se le cialtronate del Buffone di Arcore fanno solo ridere, il Monti anti-tasse della campagna elettorale ha fatto solo pena. E i sondaggi non hanno potuto far altro che registrare questo diffuso sentire.
Sull'altro lato del Po, il fidanzatino di Piacenza non ha saputo cavar fuori neppure una mezza idea, non diciamo sull'Italia del futuro (ci mancherebbe altro!), ma neppure su come provare ad affrontare la crisi. Bersani non è un uomo da mezze misure, che per lui sarebbero sempre troppo grandi. E' un piccolo chimico, che maneggiando le gigantesche pozioni sacrificali prescritte a Bruxelles ama concentrarsi sui milligrammi di questa o quella sostanza da aggiungere. Dobbiamo berci tutto, ma proprio tutto, ma aggiungendo un «pizzico di sviluppo» (parole sue), una «briciola di lavoro», eccetera.
Che questa sia la proposta di governo, nel cuore della più grave crisi del dopoguerra, la dice lunga non solo e non tanto sul Pd quanto sul degrado complessivo dell'intero sistema politico. Inutile lamentarsi delle uscite di Berlusconi, se non si sa far altro che inseguirlo nella propaganda sulle tasse (Monti), o contrastarlo solo chiamando in aiuto mamma Europa (Bersani).
Ma tant'è. Ed ora tutti avranno capito perché i due hanno voluto una campagna elettorale breve: sapevano di non avere argomenti che non fossero la pura prosecuzione della politica del governo uscente. Argomenti che non portano voti. Perché —non ci stancheremo mai di ripeterlo— hanno la forza (economica, mediatica) che gli viene dal blocco dominante e dal sostegno delle oligarchie europee e nord-americane, ma non hanno il consenso. E non lo avranno neppure in queste elezioni.
Bersani e Monti ne stanno prendendo atto. Il primo sa di vincere, ma soltanto alla Camera e con un risultato modestissimo. Il secondo ha ormai capito che si profila un mezzo disastro. Meglio allora giocare la carta della «serietà» contro i «populismi». Vedete come siamo seri noi, e come siamo amati dall'Europa. Noi sì che pensiamo ai problemi della gente. E pensiamo a governare il Paese, mica a fare proposte irrealizzabili!
Tuttavia, il fatto veramente decisivo è stato un altro: il richiamo all'ordine di Bruxelles. Va beh discolacci, hanno detto gli eurocrati, lo sappiamo che la campagna elettorale è un po' come la ricreazione a scuola, ma guardate di non esagerare. E da bravi servitori qual sono, hanno obbedito all'istante.
Naturalmente, la campagna elettorale è sempre in corso e dunque qualche schermaglia dovrà pur esserci. Monti dice che si alleerà con Bersani, ma solo per fare le grandi riforme. Per qualcuno si tratterebbe di un no a Vendola, peccato che (come abbiamo dimostrato in questo articolo) i voti di Vendola saranno quasi certamente necessari per dar vita al governo. Bersani invece giura di voler fare l'accordo, ma non a qualsiasi prezzo. Quali siano i prezzi inaccettabili non viene ovviamente detto, ed andrà avanti così fino al voto.
Gli annunci di ieri —il caro Mario e il caro Pierluigi— sono solo il tocco finale con il quale si vorrebbe anestetizzare del tutto una campagna elettorale sonnolenta, comunque sempre ben lontana anche dal solo sfiorare le questioni decisive. Non si parla dell'euro, dell'Europa, del debito, del Fiscal compact, di una recessione senza fine, di una disoccupazione che si va facendo di massa. Si preferiscono le punture di spillo, le insinuazioni, le personalizzazioni. Il massimo che è concesso è qualche pittoresca incursione sul terreno fiscale, come se quest'ultimo non fosse già del tutto vincolato alle politiche ed ai trattati europei.
Un comportamento ignobile che si commenta da solo. E che ha un'altra spiegazione: hanno paura. Non sono preoccupati di portare il Paese alla rovina, questo per loro non è un problema, visto che «ce lo chiede l'Europa», «ce lo chiedono i mercati»; sono preoccupati invece di ritrovarsi alla fine piuttosto indeboliti. Al governo ma tremendamente deboli.
L'abbiamo spiegato più volte: la scommessa —la nostra scommessa— è quella di portare l'asse Bersani-Monti, l'ormai ufficializzato asse degli eurosacrifici, sotto il 50% dei voti validi. A quel punto nascerà sì un governo completamente fedele ai dogmi euristi, ma nascerà debole e pieno di contraddizioni, visto che anche i vendoliani ne dovranno far parte. Ma, soprattutto, si tratterà di un governo di minoranza, al comando solo in virtù della legge elettorale, e perciò privo di una vera legittimazione popolare.
Siccome il barometro della crisi economica segna burrasca, siccome siamo convinti che ben presto i primi fuochi della rivolta sociale —che certo ancora non è la necessaria sollevazione— si accenderanno, anche la brezza politica diventerà vento forte e forse tempesta. A quel punto la vittoria elettorale si mostrerà come la famosa Vittoria di Pirro, ricordandoci che la vittoria in una battaglia può a volte precedere la sconfitta nella guerra.
Stiamo soltanto sognando? Lo vedremo. Di certo, se di sogno si tratta, è comunque assai più realistico di quelli spacciati da Vendola per giustificare il proprio accodamento all'asse degli euro-sacrifici. Ora il sognatore grida all'inciucio tra i due fidanzatini, ma finora dov'era? Che si dia una calmata, il suo compito è quello di raccogliere abbastanza seggi a dispetto dei pochi voti per portarli in dote all'accoppiata Bersani-Monti.
Intanto, anche alla luce di questi sviluppi, ci sembra ancor più confermata la giustezza dell'indicazione di voto al M5S. Colpire il sistema politico con l'unico corpo contundente a disposizione: di più questa volta non possiamo fare. Ma questo è possibile. Farlo serve a preparare il terreno della battaglia successiva, indebolendo il blocco avversario e rendendo più traballante fin dal principio il governo dei Custodi dell'euro.
La notizia non stupisce, ma merita un commento: Mario e Pierluigi si sono finalmente fidanzati. Ancora un paio di settimane di punzecchiature a beneficio dei gonzi chiamati a votarli, poi le naturali e giuste nozze in nome dell'euro e dell'Europa.
Gli italiani, più che al banchetto saranno chiamati a nuovi sacrifici. Ma questo, passata la brezza elettorale, sarà solo un dettaglio. Questo almeno nelle intenzioni, perché la brezza potrebbe trasformarsi in vento forte e magari (così ci auguriamo) in tempesta. Il matrimonio s'avrebbe comunque da fare, ma il bello verrebbe subito dopo.
Per oltre un mese hanno fatto finta di litigare. Monti ha cercato di sgomitare per scrollarsi di dosso l'immagine del grigio tecnocrate. Lo hanno così consigliato Larry Grisolano e David Axelrod, i suggeritori arruolati negli States, per dargli una parvenza di vitalità. Bersani più che altro ha dovuto reagire agli attacchi. Ha dovuto quindi punzecchiare a sua volta, ma sempre stando ben attento a ribadire la necessità dell'alleanza post-elettorale.
Che si trattasse di un gioco delle parti lo avevano capito anche i bambini. Comunque, a scanso di equivoci, lo abbiamo sempre sottolineato nei nostri articoli. Ora, però, il punto è un altro: come mai a venti giorni dal voto hanno deciso di passare dal (finto) litigio alla promessa di matrimonio? D'accordo, nella sostanza le cose non mutano, ma perché questo cambiamento della strategia comunicativa?
Fino a ieri lo schema era chiaro: ognuno dei due cercava di ottenere il miglior risultato il 24-25 febbraio, attraendo al meglio l'elettorato dei rispettivi bacini potenziali, per poi arrivare all'accordo solo dopo il voto. E' ben noto, infatti, che ai fini del risultato elettorale è decisiva una forte caratterizzazione, in un certo senso identitaria anche se non necessariamente ideologica. Questa caratterizzazione si può ottenere in positivo, proponendo una qualsivoglia «idea forte» - una merce però ormai introvabile nell'attuale mercato della politica - o più facilmente in negativo, sparando a raffica ai propri fianchi con polemiche quotidiane, generalmente vuote nei contenuti ma pirotecniche nella forma.
Non era necessario assoldare gli «esperti» americani per capire che così funziona in generale il teatrino della politica. Quel che costoro non potevano invece capire - la spesa è stata dunque doppiamente inutile - è che applicare questa teoria generale e astratta al concreto soggetto fisico Mario Monti avrebbe solo prodotto degli effetti esilaranti. In fondo, devono essersi detti, anche le mummie hanno un'anima, o perlomeno si può tentare di farlo credere.
Il fatto è che non ha funzionato. I guru della comunicazione elettorale a un dollaro al voto si nutrono di sondaggi elettorali, e questi ultimi sono sempre più avari con la mummia della Bocconi.
La strategia era chiara: attaccare il centrosinistra con argomenti berlusconiani (tipo: «siete nati nel 1921»), proprio per pescare nell'ampio bacino elettorale del centrodestra. Ma Berlusconi non è caduto nella trappola della gara a chi è più anticomunista. Ha invece rilanciato - certo, in maniera estremamente ridicola ma a suo modo efficace - il tema del fisco. Ma se le cialtronate del Buffone di Arcore fanno solo ridere, il Monti anti-tasse della campagna elettorale ha fatto solo pena. E i sondaggi non hanno potuto far altro che registrare questo diffuso sentire.
Sull'altro lato del Po, il fidanzatino di Piacenza non ha saputo cavar fuori neppure una mezza idea, non diciamo sull'Italia del futuro (ci mancherebbe altro!), ma neppure su come provare ad affrontare la crisi. Bersani non è un uomo da mezze misure, che per lui sarebbero sempre troppo grandi. E' un piccolo chimico, che maneggiando le gigantesche pozioni sacrificali prescritte a Bruxelles ama concentrarsi sui milligrammi di questa o quella sostanza da aggiungere. Dobbiamo berci tutto, ma proprio tutto, ma aggiungendo un «pizzico di sviluppo» (parole sue), una «briciola di lavoro», eccetera.
Che questa sia la proposta di governo, nel cuore della più grave crisi del dopoguerra, la dice lunga non solo e non tanto sul Pd quanto sul degrado complessivo dell'intero sistema politico. Inutile lamentarsi delle uscite di Berlusconi, se non si sa far altro che inseguirlo nella propaganda sulle tasse (Monti), o contrastarlo solo chiamando in aiuto mamma Europa (Bersani).
Ma tant'è. Ed ora tutti avranno capito perché i due hanno voluto una campagna elettorale breve: sapevano di non avere argomenti che non fossero la pura prosecuzione della politica del governo uscente. Argomenti che non portano voti. Perché —non ci stancheremo mai di ripeterlo— hanno la forza (economica, mediatica) che gli viene dal blocco dominante e dal sostegno delle oligarchie europee e nord-americane, ma non hanno il consenso. E non lo avranno neppure in queste elezioni.
Bersani e Monti ne stanno prendendo atto. Il primo sa di vincere, ma soltanto alla Camera e con un risultato modestissimo. Il secondo ha ormai capito che si profila un mezzo disastro. Meglio allora giocare la carta della «serietà» contro i «populismi». Vedete come siamo seri noi, e come siamo amati dall'Europa. Noi sì che pensiamo ai problemi della gente. E pensiamo a governare il Paese, mica a fare proposte irrealizzabili!
Tuttavia, il fatto veramente decisivo è stato un altro: il richiamo all'ordine di Bruxelles. Va beh discolacci, hanno detto gli eurocrati, lo sappiamo che la campagna elettorale è un po' come la ricreazione a scuola, ma guardate di non esagerare. E da bravi servitori qual sono, hanno obbedito all'istante.
Naturalmente, la campagna elettorale è sempre in corso e dunque qualche schermaglia dovrà pur esserci. Monti dice che si alleerà con Bersani, ma solo per fare le grandi riforme. Per qualcuno si tratterebbe di un no a Vendola, peccato che (come abbiamo dimostrato in questo articolo) i voti di Vendola saranno quasi certamente necessari per dar vita al governo. Bersani invece giura di voler fare l'accordo, ma non a qualsiasi prezzo. Quali siano i prezzi inaccettabili non viene ovviamente detto, ed andrà avanti così fino al voto.
Gli annunci di ieri —il caro Mario e il caro Pierluigi— sono solo il tocco finale con il quale si vorrebbe anestetizzare del tutto una campagna elettorale sonnolenta, comunque sempre ben lontana anche dal solo sfiorare le questioni decisive. Non si parla dell'euro, dell'Europa, del debito, del Fiscal compact, di una recessione senza fine, di una disoccupazione che si va facendo di massa. Si preferiscono le punture di spillo, le insinuazioni, le personalizzazioni. Il massimo che è concesso è qualche pittoresca incursione sul terreno fiscale, come se quest'ultimo non fosse già del tutto vincolato alle politiche ed ai trattati europei.
Un comportamento ignobile che si commenta da solo. E che ha un'altra spiegazione: hanno paura. Non sono preoccupati di portare il Paese alla rovina, questo per loro non è un problema, visto che «ce lo chiede l'Europa», «ce lo chiedono i mercati»; sono preoccupati invece di ritrovarsi alla fine piuttosto indeboliti. Al governo ma tremendamente deboli.
L'abbiamo spiegato più volte: la scommessa —la nostra scommessa— è quella di portare l'asse Bersani-Monti, l'ormai ufficializzato asse degli eurosacrifici, sotto il 50% dei voti validi. A quel punto nascerà sì un governo completamente fedele ai dogmi euristi, ma nascerà debole e pieno di contraddizioni, visto che anche i vendoliani ne dovranno far parte. Ma, soprattutto, si tratterà di un governo di minoranza, al comando solo in virtù della legge elettorale, e perciò privo di una vera legittimazione popolare.
Siccome il barometro della crisi economica segna burrasca, siccome siamo convinti che ben presto i primi fuochi della rivolta sociale —che certo ancora non è la necessaria sollevazione— si accenderanno, anche la brezza politica diventerà vento forte e forse tempesta. A quel punto la vittoria elettorale si mostrerà come la famosa Vittoria di Pirro, ricordandoci che la vittoria in una battaglia può a volte precedere la sconfitta nella guerra.
Stiamo soltanto sognando? Lo vedremo. Di certo, se di sogno si tratta, è comunque assai più realistico di quelli spacciati da Vendola per giustificare il proprio accodamento all'asse degli euro-sacrifici. Ora il sognatore grida all'inciucio tra i due fidanzatini, ma finora dov'era? Che si dia una calmata, il suo compito è quello di raccogliere abbastanza seggi a dispetto dei pochi voti per portarli in dote all'accoppiata Bersani-Monti.
Intanto, anche alla luce di questi sviluppi, ci sembra ancor più confermata la giustezza dell'indicazione di voto al M5S. Colpire il sistema politico con l'unico corpo contundente a disposizione: di più questa volta non possiamo fare. Ma questo è possibile. Farlo serve a preparare il terreno della battaglia successiva, indebolendo il blocco avversario e rendendo più traballante fin dal principio il governo dei Custodi dell'euro.
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