Costituzionalizzando l'emergenza
la legge elettorale che hanno in mente Bersani-Casini
di Emmezeta
Ogni ragionamento sulle prossime elezioni politiche appare davvero campato in aria. Il 2013 sembra lontano anni luce. La scena è dominata dalla crisi economica, e in questo quadro le alleanze bersaniane, le poco credibili riverniciature alfaniane, per non parlare delle manovre casiniane, interessano al popolo uno zero tondo tondo.
I tre compari lo sanno, ma devono pur giustificare il ruolo che ricoprono. Grandi strateghi non sono ma, devono dirsi, ce ne sono forse altri in circolazione? Dunque vanno avanti, con un occhio al governo (Monti non deve cadere), uno all’Europa (che Dio ce la mandi buona!), uno agli interessi elettorali della rispettiva ditta.
Diciamo che campano alla giornata. Del resto, le scelte che contano non sono loro, quanto piuttosto dei loro padroni sistemici. Che ogni tanto li aggiornano, ma non sempre. E così, nelle pause di queste continue frustrazioni, fingono di contare ancora qualche cosa.
Come negargli un po’ d’umana comprensione?
Capita così che, indossato il cappello di Napoleone, tornino a parlare come se davvero fossero loro a condurre un gioco in mano da tempo a ben altri burattinai. Loro, piccole marionette manovrate dai pescecani della finanza, hanno in appalto ormai solo poche cose. Tra queste, però, una è davvero essenziale: il continuo rimodellamento del sistema e della strutturazione politica in modo da stare al passo con i continui input del mondo della finanza. Se poi riescono a farlo con un minimo di consenso tanto di guadagnato. Se l’esangue democrazia liberale riesce ancora a darsi un minimo di credibilità tanto meglio. Ma, in definitiva, ciò che conta davvero per loro è la cosiddetta «governabilità», cioè la completa sterilizzazione della democrazia parlamentare in modo da funzionalizzarla integralmente alle esigenze sistemiche.
Il governo Monti rappresenta il punto massimo di questa tendenza, che delegittima oggettivamente i partiti e il parlamento, ma che si basa comunque sul sostegno delle principali forze parlamentari. C’è però un problema. Se da un lato il governo Monti è il massimo per i signori della finanza, dall’altro troppo evidente è la sua natura emergenzialista, da tipico «stato d’eccezione». Si pone dunque il problema di «costituzionalizzare» l’emergenza, consentendo al montismo di proseguire il suo corso, ma in un involucro politico-istituzionale riportato, per così dire, alla «normalità».
Perché ci occupiamo di questa questione? Ma perché qualche tassello inizia ad andare al suo posto. Pierferdinando Casini, il piccolo democristiano senza voti, alla fine è uscite allo scoperto. In un’intervista al Corriere della Sera del 25 giugno, lancia l’asse tra «progressisti e moderati». Una sortita evidentemente concordata con il segretario del Pd, che da tempo questo asse lo propone con forza.
Naturalmente se le cose andranno a buon fine, il che è tutt’altro che è certo, Casini avrà il suo posto al sole (presumibilmente il Quirinale), ma sarebbe sbagliato ridurre la logica di questo posizionamento ad un mero calcolo di potere personale. Calcolo che ovviamente c’è stato e c’è, ma che non spiega tutto.
Ce lo conferma lo stesso Casini. Dopo essersi sperticato in lunghi salamelecchi nei confronti di Bersani, dopo aver collocato Renzi alla sua destra per la santificazione di Marchionne, ecco il passaggio decisivo: «Come in Grecia e in Germania il tema di un patto d’emergenza tra chi è nel Ppe (Partito popolare europeo) e chi è nel Pse (Partito socialista europeo) esiste. Tra progressisti e moderati si può creare un asse per governare l’Italia. Come capiscono anche tanti moderati del Pdl».
Il discorso è chiaro. Il patto con il Pd è evidentemente di tipo strategico. Casini fa appello ai «moderati», ma sa perfettamente di controllare un pacchetto elettorale numericamente assai debole. Sa quindi di finire in bocca al Pd, che comunque lo ripagherà assai bene. Ma soprattutto sa che questa linea è quella dei poteri forti, nazionali e non.
Il riferimento al modello greco è davvero istruttivo. Sia per le prospettive generali che lascia intravedere, per il tipo di alleanza politica governativa che prefigura, e infine per gli sviluppi della discussione sulla nuova elettorale.
Se infatti il modello ispano-tedesco non sembra più garantire (vedi I nuovi termini dello scontro politico) gli interessi dei tre contraenti, il sistema greco – naturalmente peggiorato (c’erano dubbi?) all’italiana - è quello che secondo molti (vedi il Sole 24 Ore del 17 giugno) va oggi per la maggiore. Di che si tratta? Di una specie di Superporcellum, con sbarramento al 5% (come in Germania), ed un premio di maggioranza del 15% (più o meno come in Grecia).
Tralasciamo qui i dettagli di questo ennesimo mostro, che forse – vista la complessità della situazione generale – non riuscirà per ora a vedere la luce. E’ importante però capire le ragioni di questo tentativo: dare una maggioranza assoluta in parlamento a chi potrà contare solo su una modesta maggioranza relativa dei voti, esattamente come in Grecia. I partiti che sostengono Monti hanno perfettamente capito la portata del tracollo dei loro consensi. Un tracollo al quale si pensa di poter rimediare solo con un Porcellum rinforzato, di tipo greco appunto.
Riuscirà questa operazione? Non è affatto detto. In Grecia è riuscita per un pelo e durerà quel che potrà durare. In Italia è tutto da vedersi. Quel che invece è già visibile è il formarsi dell’asse dell’euro, l’accozzaglia di tutti gli ultrà della moneta unica. Un fronte che, possiamo esserne certi, includerà anche un Vendola ormai in disarmo ed i cugini-concorrenti di un’ALBA già vicina al tramonto.
Ma l’asse centrale resterà quello tra Pd e centristi, ovvero fra la controfigura di Ferrini ed il genero di Caltagirone, due interpreti più adatti alla prosecuzione della farsa di un paese che ancora non ha capito cosa l’attende, del dramma che bussa alla porta. Anche per questo certi disegni potrebbero miseramente fallire.
Ieri Bersani ha detto che parlare di uscita dall’euro è una cosa da pazzi. Peccato che tra i pazzi vi siano alcuni dei più importanti economisti e dei più autorevoli analisti finanziari a livello mondiale.
Tutti pazzi? Così dicono i nostrani co-fondatori dell’asse dell’euro. E naturalmente la stessa cosa penseranno i sinistrati che correranno a dargli una mano, magari preoccupati dell’alleanza con Casini per via dei matrimoni tra gay, ma ben disposti a condividere con lui l’ultima trincea dell’euro. Una trincea nella quale si caleranno non tanto per combattere – non ne hanno i requisiti – quanto piuttosto per cercare di restare a galla, magari rispolverando il pericolo berlusconiano, sempre comodo ma sempre meno credibile.
Capita così che, indossato il cappello di Napoleone, tornino a parlare come se davvero fossero loro a condurre un gioco in mano da tempo a ben altri burattinai. Loro, piccole marionette manovrate dai pescecani della finanza, hanno in appalto ormai solo poche cose. Tra queste, però, una è davvero essenziale: il continuo rimodellamento del sistema e della strutturazione politica in modo da stare al passo con i continui input del mondo della finanza. Se poi riescono a farlo con un minimo di consenso tanto di guadagnato. Se l’esangue democrazia liberale riesce ancora a darsi un minimo di credibilità tanto meglio. Ma, in definitiva, ciò che conta davvero per loro è la cosiddetta «governabilità», cioè la completa sterilizzazione della democrazia parlamentare in modo da funzionalizzarla integralmente alle esigenze sistemiche.
Il governo Monti rappresenta il punto massimo di questa tendenza, che delegittima oggettivamente i partiti e il parlamento, ma che si basa comunque sul sostegno delle principali forze parlamentari. C’è però un problema. Se da un lato il governo Monti è il massimo per i signori della finanza, dall’altro troppo evidente è la sua natura emergenzialista, da tipico «stato d’eccezione». Si pone dunque il problema di «costituzionalizzare» l’emergenza, consentendo al montismo di proseguire il suo corso, ma in un involucro politico-istituzionale riportato, per così dire, alla «normalità».
Perché ci occupiamo di questa questione? Ma perché qualche tassello inizia ad andare al suo posto. Pierferdinando Casini, il piccolo democristiano senza voti, alla fine è uscite allo scoperto. In un’intervista al Corriere della Sera del 25 giugno, lancia l’asse tra «progressisti e moderati». Una sortita evidentemente concordata con il segretario del Pd, che da tempo questo asse lo propone con forza.
Naturalmente se le cose andranno a buon fine, il che è tutt’altro che è certo, Casini avrà il suo posto al sole (presumibilmente il Quirinale), ma sarebbe sbagliato ridurre la logica di questo posizionamento ad un mero calcolo di potere personale. Calcolo che ovviamente c’è stato e c’è, ma che non spiega tutto.
Ce lo conferma lo stesso Casini. Dopo essersi sperticato in lunghi salamelecchi nei confronti di Bersani, dopo aver collocato Renzi alla sua destra per la santificazione di Marchionne, ecco il passaggio decisivo: «Come in Grecia e in Germania il tema di un patto d’emergenza tra chi è nel Ppe (Partito popolare europeo) e chi è nel Pse (Partito socialista europeo) esiste. Tra progressisti e moderati si può creare un asse per governare l’Italia. Come capiscono anche tanti moderati del Pdl».
Il discorso è chiaro. Il patto con il Pd è evidentemente di tipo strategico. Casini fa appello ai «moderati», ma sa perfettamente di controllare un pacchetto elettorale numericamente assai debole. Sa quindi di finire in bocca al Pd, che comunque lo ripagherà assai bene. Ma soprattutto sa che questa linea è quella dei poteri forti, nazionali e non.
Il riferimento al modello greco è davvero istruttivo. Sia per le prospettive generali che lascia intravedere, per il tipo di alleanza politica governativa che prefigura, e infine per gli sviluppi della discussione sulla nuova elettorale.
Se infatti il modello ispano-tedesco non sembra più garantire (vedi I nuovi termini dello scontro politico) gli interessi dei tre contraenti, il sistema greco – naturalmente peggiorato (c’erano dubbi?) all’italiana - è quello che secondo molti (vedi il Sole 24 Ore del 17 giugno) va oggi per la maggiore. Di che si tratta? Di una specie di Superporcellum, con sbarramento al 5% (come in Germania), ed un premio di maggioranza del 15% (più o meno come in Grecia).
Tralasciamo qui i dettagli di questo ennesimo mostro, che forse – vista la complessità della situazione generale – non riuscirà per ora a vedere la luce. E’ importante però capire le ragioni di questo tentativo: dare una maggioranza assoluta in parlamento a chi potrà contare solo su una modesta maggioranza relativa dei voti, esattamente come in Grecia. I partiti che sostengono Monti hanno perfettamente capito la portata del tracollo dei loro consensi. Un tracollo al quale si pensa di poter rimediare solo con un Porcellum rinforzato, di tipo greco appunto.
Riuscirà questa operazione? Non è affatto detto. In Grecia è riuscita per un pelo e durerà quel che potrà durare. In Italia è tutto da vedersi. Quel che invece è già visibile è il formarsi dell’asse dell’euro, l’accozzaglia di tutti gli ultrà della moneta unica. Un fronte che, possiamo esserne certi, includerà anche un Vendola ormai in disarmo ed i cugini-concorrenti di un’ALBA già vicina al tramonto.
Ma l’asse centrale resterà quello tra Pd e centristi, ovvero fra la controfigura di Ferrini ed il genero di Caltagirone, due interpreti più adatti alla prosecuzione della farsa di un paese che ancora non ha capito cosa l’attende, del dramma che bussa alla porta. Anche per questo certi disegni potrebbero miseramente fallire.
Ieri Bersani ha detto che parlare di uscita dall’euro è una cosa da pazzi. Peccato che tra i pazzi vi siano alcuni dei più importanti economisti e dei più autorevoli analisti finanziari a livello mondiale.
Tutti pazzi? Così dicono i nostrani co-fondatori dell’asse dell’euro. E naturalmente la stessa cosa penseranno i sinistrati che correranno a dargli una mano, magari preoccupati dell’alleanza con Casini per via dei matrimoni tra gay, ma ben disposti a condividere con lui l’ultima trincea dell’euro. Una trincea nella quale si caleranno non tanto per combattere – non ne hanno i requisiti – quanto piuttosto per cercare di restare a galla, magari rispolverando il pericolo berlusconiano, sempre comodo ma sempre meno credibile.
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