sabato 9 giugno 2012

MPL (27): DOPO LA SCOSSA DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE



AFFONDARE LA LORO ZATTERA!

di Leonardo Mazzei


Se fino a ieri si trattava di indebolire il sistema politico, oggi è possibile osare di più, puntando alla sua completa destrutturazione


Poteva il sistema politico uscire indenne dalla crisi economica che sta devastando l'Italia? Evidentemente no. Se a novembre era stato necessario il golpe bianco euro-bancario per formare un nuovo governo, le elezioni di maggio (per quanto parziali) hanno fatto emergere in pieno la crisi del sistema politico costruito a partire dall'adozione del sistema maggioritario nel 1993. La Seconda Repubblica è morente, ma ancora non si sa cosa verrà dopo. Il bipolarismo è finito, ma cercheranno di rianimarlo in tutti i modi.

Quel che prevale oggi è non a caso la confusione. Tutte le principali forze politiche sono, chi più chi meno, in affanno. Ancora più dissestate sono le coalizioni, quelle "storiche" (centrodestra e centrosinistra) e quelle su cui si è ragionato (e fantasticato) in questi ultimi tempi. Il sistema politico appare in tilt e, cosa ancora più importante, incapace di ristrutturarsi per tempo in vista delle elezioni del 2013. L'arma segreta di questa ristrutturazione, cioè l'ennesimo imbroglio del "cambiare tutto per non cambiare niente", doveva essere la nuova legge elettorale, ma ad oggi l'accordo su questa legge sembra ancora in alto mare.

Partiamo allora da questa fotografia per cercare di capire quali potranno essere le linee di sviluppo, sempre tenendo a mente che a fianco e sopra il disfacimento del sistema politico opera potentemente la crisi economica, ed in particolare l'incipiente crack dell'Eurozona. Questo per ricordarci che, anche negli sviluppi della crisi politica italiana, alla fine peseranno di più le scelte della Merkel e della Bce, piuttosto che le strategie degli esangui Bersani, Alfano e Casini.

Ma andiamo con ordine, procedendo per punti.

1. Un governo di minoranza

Il governo Monti non ha più la maggioranza nel paese. A qualcuno questo sembrerà un dettaglio, a noi no. Non solo perché il governo dei professori è così delegittimato da ogni punto di vista, ma anche perché un eventuale tentativo montista alle prossime elezioni pare destinato alla sconfitta. Proiettando i voti ottenuti alle amministrative dall'attuale tripartito Pd-Pdl-Udc che sostiene il governo si arriva ad un 50% scarso. Ma l'idea era quella di cavalcare l'antipartitismo diffuso con una lista direttamente riconducibile al professor Quisling, il quale secondo alcuni suoi sostenitori (vedi il prof. Sartori) avrebbe avuto addirittura la forza di vincere da solo.

Questa ipotesi - palesemente infondata - fa a pugni anche con l'ultimo sondaggio Demos, pubblicato da la Repubblica del 3 giugno. Secondo questo rilevamento, peraltro operato per conto di un quotidiano ultra-montista, il gradimento per il governo è passato dal 78,6% del novembre 2011, al 61,7% del marzo scorso, per arrivare al 45,3% attuale. Una bella curva, non c'è che dire, che ha trovato un puntuale riscontro nei risultati delle amministrative del 6-20 maggio.

2. Il bipolarismo è finito?

Sul piano politico il bipolarismo è morto, su quello dei numeri, idem. Secondo il riepilogo del voto nei comuni sopra i 15mila abitanti (vedi Il Sole 24 Ore del 27 maggio) le forze - oggi divise - del centrodestra sono passate dal 50,6% del 2008 all'attuale 29,5%. Un tonfo incredibile, che ci dice fra l'altro quanto fosse in realtà debole l'egemonia berlusconiana che motivava tanto quell'antiberlusconismo a prescindere che ha fatto da sgabello al golpe novembrino. Ma, questo è il punto, al crollo del vecchio fronte berlusconiano non ha fatto riscontro un'avanzata del centrosinistra, che è passato dal 40,8% del 2008 all'attuale 39,1%. E qui parliamo soltanto di percentuali, che se invece guardassimo i numeri reali (tenendo conto cioè dell'astensionismo) il calo dei due schieramenti sui quali si è retto il sistema per quasi vent'anni sarebbe ben più pesante.

E' rianimabile il bipolarismo dopo questa debacle? Difficile dirlo, quel che è certo è che ci proveranno in tutti i modi. Ma, tra le forze maggiori, ognuno ha la sua ricetta: il Pd vorrebbe ora (dopo aver sostanzialmente concordato con destra e centristi un modello elettorale ispano-tedesco) un sistema alla francese, cioè maggioritario a doppio turno. Questo ha consentito al Pdl di rilanciare: se francese deve essere, che lo sia fino in fondo, adottando anche il sistema presidenzialista d'Oltralpe. In quanto ai centristi, la piccola guardia repubblicana pateticamente schierata a difesa di palazzo Chigi, lo smarrimento è totale. Sembrava che contassero sulla discesa in campo di Montezemolo, ma ora che questa mossa sembra più vicina, pare che non gli vada più bene.

Insomma, le attuali forze parlamentari sembrano incapaci di una vera risposta sistemica. Certo, qualcuno cercherà di richiamarle all'ordine, ma trovare la quadra in questa situazione è tutt'altro che facile. Qui non si tratta soltanto dei diversi interessi dei singoli partiti, che comunque ci sono. Si tratta soprattutto del banalissimo fatto che se il consenso non esiste, non c'è sistema elettorale che tenga.

3. Il puzzle sempre più difficile della legge elettorale
Eh già, la legge elettorale... Erano sul punto di partorire l'ennesimo mostro, ma il voto di maggio ha fermato tutto: vediamo il perché. Il mostriciattolo in questione si chiamava ispano-tedesco, un imbroglio in grado di superare in peggio sia il Mattarellum che l'attuale Porcellum, a conferma che al peggio non c'è limite. A cosa doveva servire la porcheria pronta ad essere sfornata dal trio ABC (Alfano, Bersani, Casini)? Semplice, essa doveva preparare la riedizione dell'attuale tripartito montista nella prossima legislatura.

L'ispano-tedesco era infatti meno bipolarista della legge attuale, ma per niente proporzionale (come pure si tentava di far credere). In breve il mix tra modello tedesco (proporzionale, ma con sbarramento esplicito al 5%) e spagnolo (collegi uninominali molto piccoli in grado di produrre uno sbarramento implicito in qualche caso anche del 10%) favoriva le forze maggiori - in teoria le tre che fanno capo ad ABC - ma non le obbligava ad alleanze preventive, come nel caso della legge attuale.

Un bel vantaggio per la campagna elettorale di Pd e Pdl, un vantaggio ancora più grande per le prospettive di governo (e di sottogoverno) dei doppio-fornisti al seguito di Casini. In altri termini, il Pdl avrebbe potuto fare a meno del becero alleato leghista, il Pd avrebbe potuto distanziarsi dall'orecchino e dalle pretese di Vendola, nonché dalle urla sgrammaticate di Di Pietro. Ma, soprattutto, il piccolo democristiano senza voti, che fu braccio destro di Forlani, sarebbe rimasto al centro del gioco, felice come un bambino la sera della Befana.

E invece è arrivato il carbone, ma prima di entrare nei dettagli diciamo alcune cosette ai sinistri che avevano già sentenziato che qualunque legge sarebbe stata meglio del Porcellum

L'inciucio di ABC non era per niente proporzionale, toglieva il premio di maggioranza alle coalizioni solo per assegnarlo ai partiti maggiori, non reintroduceva affatto il voto di preferenza. Detto in altri termini, blindava ulteriormente un sistema politico marcio, imbonendo certi oppositori di sua maestà con un "diritto di tribuna" che forse avrebbe consentito a due o tre sinistro-federati di rientrare in Parlamento da una porticina secondaria predisposta giusto per loro.

Ma ormai è inutile entrare nei dettagli. Di ispano-tedesco non si parla proprio più. La spiegazione è semplice: in primo luogo i tre partiti ABC non hanno più la maggioranza assoluta; in secondo luogo (come dicono anche i recenti sondaggi) con l'ascesa del Movimento 5 Stelle (M5S) il Pdl è tutt'altro che certo di restare il secondo partito; in terzo luogo il piccolo democristiano senza voti è ben lungi dal divenire "terza forza". Ecco che tutti i vantaggi (per ABC) dell'ipotizzato mostriciattolo sono svaniti in un colpo solo.

Il problema è che l'ennesima porcata elettorale non aveva subordinate condivise. Non c'era e non c'è un piano B, e difficilmente il Porcellum verrà sostituito da una nuova legge elettorale. L'ispano-tedesco, concepito da quel galantuomo di Violante - un personaggio a cui non affideresti neppure la gestione di un condominio - sintetizzava bene gli interessi e gli appetiti dei contraenti, con una soluzione che non dispiaceva certo ai centri del potere finanziario, nazionale e non. Gli imbroglioni avevano trovato la "quadra", ma prima di poterne vedere i frutti la porcata gli è andata di traverso.

4. Dalla Seconda Repubblica a...
Una cosa è certa: la Seconda Repubblica è morta, ma nessuno sa come sarà la Terza. E intanto si voterà con il Porcellum (al massimo, ma non è detto, con qualche piccola modifica). Gli interessi sistemici potrebbero spingere il tripartito ad andare avanti, ma ABC sarebbero certi della vittoria solo alleandosi preventivamente, e questo sembra troppo anche per simili scarafaggi. Non a caso avevano studiato il modo di allearsi, ma solo a posteriori.. ovviamente per il bene del paese, ci mancherebbe...

Naturalmente niente vieta che essi si coalizzino dopo il voto anche con il Porcellum, ma, c'è un ma. Per avere il premio di maggioranza bisogna che ognuno si coalizzi già prima con i propri tradizionali alleati. Ecco perché la "Foto di Vasto" (Pd, Sel, Idv) ha ripreso forza. La cosa più probabile è che l'inciucio avvenga ugualmente, dopo il voto. Questo lascia però la lotta aperta per la conquista del primo posto, anche se oggi il centrosinistra potrebbe imporsi anche senza raggiungere il 40% dei consensi. 
Oggi... ma tra un anno?

Lasciando ora da parte gli scenari elettorali, quel che è certo è che i protagonisti della via italiana al tramonto della democrazia parlamentare non hanno alcun progetto serio da proporre. Prevale solo e sempre l'interesse contingente, il calcolo elettorale a breve. Mai una proposta compiuta, meno che mai una riflessione autocritica sui disastri del bipolarismo e della Seconda Repubblica. Anzi, se Porcellum sarà, possiamo sicuramente aspettarci il revival di un bipolarismo ormai fiacco e spompato, non solo perché i protagonisti (sempre gli stessi) sono sempre meno credibili, ma perché si è visto come il "bipolarismo" e l'"alternanza" possano facilmente evolvere in un'ammucchiata al servizio del potere finanziario.

5. La vera ragione della crisi del bipolarismo

Il bipolarismo, però, non è in crisi per ragioni di ingegneria elettorale. La sua crisi è invece strutturale e direttamente connessa ai sommovimenti tellurici indotti dalla crisi economica. Il motore del bipolarismo non è tanto il mito dell'alternanza - in realtà tra forze intercambiabili - quanto la cosiddetta "convergenza al centro". Quante volte avete sentito evocare questa teoria centripeta? In realtà, in condizioni ordinarie di funzionamento del sistema, questa teoria era piuttosto fondata, laddove il fondamento consiste nel prevalere di tendenze conservatrici.

Il conservatorismo al quale ci si riferisce non è tanto quello legato alla conservazione di un ordine di valori, quanto quello che discende dalla conservazione di uno stato di benessere che non si intende in alcun modo mettere a rischio. Nel capitalismo - quantomeno nei paesi del "centro" - quando il sistema "funziona", i cosiddetti "moderati" (un modo quanto mai insulso di definire i conservatori) sono veramente la maggioranza. Il fatto è che a volte il sistema si inceppa, e con il passare del tempo ci si accorge di quanto poco ci sia in realtà da conservare.

Ovvio che questa fine del "moderatismo" (cioè del conservatorismo) può avere, ed in effetti ha, segni di classe ed orientamenti politici e culturali assai difformi, ma appunto per questo il mitico "centro" verso il quale i due poli dovrebbero convergere tende a nebulizzarsi, per la disperazione di tutti gli strateghi da quattro soldi che si sono fatti belli giocando con la legge centripeta del bipolarismo e della sua alternanza per gonzi.

Questa è la ragione per cui il Berlusconi populista ed anticomunista otteneva brillanti risultati elettorali, mentre la sua ombra attuale, realista e montista, produce un disastro nelle urne. Ma è anche la ragione per la quale Grillo non fa neppure in tempo a mettere la freccia che già non vede più alle sue spalle né il demagogo pugliese, né l'urlatore molisano, entrambi uniti dall'alleanza di ferro con il Pd.

Attenzione, la fine del "moderatismo" non significa che sia in atto una consapevole radicalizzazione politica e tanto meno di classe. C'è anche questo, ma le cose sono notevolmente più complicate, come avviene quasi sempre in politica, specie nei momenti di passaggio. Quel che è certo è che il "moderatismo" non ha in questa fase alcun appeal elettorale, un elemento questo assai decisivo per cercare di comprendere le future dinamiche politiche.

6. Un sistema politico colpito duramente
Dalle macerie degli ultimi anni, con la politica ridotta alle urla da stadio tra berlusconiani ed antiberlusconiani intenti a litigare su tutto, fuorché sulle questioni fondamentali - sia che si trattasse dei sì ai diktat europei, sia di quelli agli ordini della Casa Bianca per imbarcarsi in questa o quell'impresa dell'impero a stelle e strisce - il sistema politico esce colpito duramente, forse mortalmente.

A 6 mesi dal golpe novembrino la crisi politica si è solo aggravata. D'altra parte è una politica muta, cieca e sorda. Muta ed obbediente, incapace di qualsiasi replica, di fronte agli ordini delle oligarchie. Cieca e sorda di fronte ai disastri sociali che ha provocato con la sua piena adesione al dominio del capitalismo-casinò dell'iper-finanziarizzazione. Certo, le bestie ferite cercheranno in qualche modo di riprendersi. Altrettanto sicuramente non mancheranno i sinistrati pronti a fare l'ennesima guardia al bidone vuoto della "lotta alla destra".

Su questi ultimi bisogna però spendere qualche parola. Inutile appendice di un sistema allo sbando, non sanno pensare ad altro che al rientro in parlamento. Per ottenerlo sono disposti a tutto, neanche fossero al centro del mondo. Quel che è più grave è la loro distanza dai veri nodi dell'oggi. Nodi che opportunisticamente rifuggono come la peste, basti pensare alle questioni decisive dell'Unione Europea e dell'euro. I loro stanchi slogan, di un riformismo alquanto sbiadito, non attraggono più nessuno, anche perché in politica non è facile diventare credibili, mentre è molto più facile perdere la credibilità eventualmente acquisita. Con lo svantaggio che una volta che la si è persa, riconquistarla è quasi impossibile.

Ma torniamo alle cose serie. I centri del potere economico-finanziario, ma anche quelli sovranazionali (USA ed UE), cercheranno di rimettere in piedi, riorganizzandolo in qualche modo, un sistema politico altrimenti allo sbando. Ci riusciranno? Dipenderà da molte cose, ma soprattutto e in ultima istanza dalla capacità di far emergere una proposta complessivamente alternativa: proposta di governo, ma anche di potere, proposta di un programma e dei modi di realizzarlo, svolta radicale negli indirizzi economici, sociali e nella collocazione internazionale del paese. Svolta che potrà determinarsi solo con una vera sollevazione popolare. Svolta forse più vicina di fronte al collasso del sistema politico attuale.

7. L'astensionismo non è più l'unica arma
Per anni, in molti casi da soli, abbiamo sostenuto la via astensionista, la strada cioè dell'esodo popolare da una politica asservita alle oligarchie. Quella strada ha dato grandi frutti, delegittimando il sistema ed i suoi protagonisti. Questa scelta è stata la più efficace in un quadro sì di crisi ma anche di tenuta del sistema e del bipolarismo.

Ma oggi che la crisi sistemica del capitalismo sta trascinando con se la strutturazione politica che ha fatto da guardaspalle alle malefatte della finanza predatoria, l'astensionismo non è più l'unica arma che abbiamo a disposizione. Su questo abbiamo il dovere di aprire una riflessione.

Una delle ragioni forti dell'astensionismo - che per noi è sempre stato politico e non ideologico - è stata la consapevolezza della pericolosa inutilità delle listarelle di sinistra: troppo deboli per aggregare ed impensierire l'avversario, ma sempre utili a legittimare (sia pure involontariamente, è ovvio) il gioco antidemocratico di un voto truccato dai media e dallo stesso sistema elettorale.

Oggi, però, il successo del M5S dimostra che le vecchie regole del gioco stanno saltando, che è possibile colpire più duramente il sistema prima che riesca a riorganizzarsi. Non è questa la posta in gioco dei prossimi mesi? Certo, tutto dipenderà dall'evoluzione della crisi economica, in particolare dagli sviluppi del crac dell'Eurozona e dai contraccolpi sociali che provocherà, ma i termini dello scontro politico si stanno modificando rapidamente. E altrettanto rapido nel coglierli dovrà essere chi crede e lavora alla sollevazione.

12 commenti:

astenzionista cronico ha detto...

E te pareva, tanto popo' di analisi per arrivare a dire che "l'astensionismo non è più l'unica arma" e preparare gli emmepiellini alle elezioni
tanto tuunò che piovve

Montrivaux ha detto...

In effetti "forse" l' Astenzionista non ha tutti i torti se ci si limita a quello che è scritto nell' articolo.

Non si capisce proprio di cosa parlate quando dite sollevazione:

quando mai c' è stata una vera sollevazione popolare che non sia stata regolarmente gestita e programmata (o lasciata accadere intenzionalmente) da nuovi gruppi di potere che avevano l' unico scopo di scalzare la vecchia classe dominante (non citatemi Spartaco e Thomas Munzer, grazie)?

In base a cosa ritenete che oggi possa esserci una maggiore consapevolezza politica e coscienza di classe negli strati sociali subalterni? A me sembra addirittura che ce ne sia molto meno che una quarqntina di anni fa, per esempio.

Perché parlate di sollevazione e non di rivoluzione tout court?
Sollevazione è come dire sommossa ossia qualcosa che si fonda semplicemente su un diffuso malessere sociale e che non risponde a un preciso disegno politico.


Forse il vostro è un linguaggio cosi' vago e indeterminato perché vi riferite implicitamente a una realta' di azione politica che voi conoscete e che chi non è dentro al gruppo non puo' afferrare completamente. Ecco, approfittiamo della crisi della seconda repubblica, della crisi economica e della venuta al pettine di tutte le aporie del sistema per cominciare a cambiare paradigma pure noi: non preoccupiamoci troppo di come approfittare dell' imminente vuoto politico ma cominciamo ad usare un linguaggio nuovo senza eventuali allusioni alle misteriose attivita' di chi lavora per la sollevazione e usando parole dal significato univoco (rivoluzione al posto di sollevazione, ad esempio o anche "lotta di classe" detto senza giri di parole)

Se poi questi ipotetici riferimenti a attivita' non conosciute dal semplice lettore del blog non esistono, avrebbe ragione l' Astenzionista e senza "forse".

Géricault ha detto...

Mah, a me sembra che " affondate la loro zattera" lo dicano loro di noi.

Anonimo ha detto...

Le idee, le analisi e gli obiettivi del MPL sono da me condivisi al 100%. Se si vuole puntare alla destrutturazione dell'attuale sistema però, secondo me non c'è altra via alle prossime elezioni politiche di votare il M5S. Io lo farò perché almeno nel breve periodo non vedo forze capaci di andare in parlamento con una massa critica di eletti, o meglio, non vedo forze politiche cpaci di mandare in parlamento neanche un rappresentante (intendo forze sovraniste di sinistra).

Anonimo ha detto...

Trovo estremamente realistica e convincente l' analisi di Leonardo.
Mi lasciano però perplesso le ultime considerazioni circa il superamento dell' astensionismo come mezzo per colpire il decrepito sistema politico al servizio degli oligarchi-usurai "europeisti" della finanza internazionale (per noi non é mai stato un fine in sé).
Mi sembra di capire che suggerisca per lo meno l' ipotesi di votare il M5S alle politiche del 2013, contribuendo a dare un' ulteriore potente spallata all' orrendo sistema politico-istituzionale attuale.
Il mio dubbio é: Grillo e i suoi possono certamente contribuire a distruggere ciò che va distrutto, ma (a parte le gravi remore ideologiche, socialmente conservatrici in quanto filocapitalistiche e perfino americaniste che lo caratterizzano, che a questo riguardo non sono un grosso problema) poichè non mi sembrano sufficientemente attrezzati di proposte per costruire un futuro più avanzato oltre la crisi (malgrado qualche recente timida allusione circa il non pagamento del debito e l' uscita dall' euro), siamo sicuri che qualora vincessero quelle elezioni il loro probabile rapido fallimento non darebbe alle vecchie mummie del politicantismo da seconda repubblica il destro per riciclarsi e rispostare indietro tutto il terreno di scontro sociale (i rapporti di forza nella lotta di classe, per venire incontro alle esigenze semantiche di montrivaux).
E' pur vero che una vera vittoria politica del mov. di Grillo, nel senso dell' ottenimento della possibilità (del diritto) di fare un governo appare molto remota e irrealistica, mentre un ben più probabile suo successo elettorale in mancanza della maggioranza assoluta dei seggi necessaria per governare sarebbe effettivamente un durissimo colpo, forse definitivamente demolitore, per la putrefatta seconda repubblica.

G. B.

Anonimo ha detto...

Rispondo sulla questione dell'astensionismo e del suo eventuale superamento. Eventuale, perché è ovvio che un suo superamento potrebbe avvenire solo ad una condizione: che fosse in campo una lista con un programma contenente almeno alcuni dei punti per noi essenziali (uscita dall'euro e dall'UE, cancellazione del debito, nazionalizzazione del sistema bancario ecc.).
Se una tale possibilità non si determinerà, amen. Astensionismo senza se e senza ma.
Ma se invece si determinasse? Non dovremmo neanche discuterne?

Sul M5S credo che, almeno in sede di analisi, si debba distinguere tra il suo programma (in realtà molto debole)e gli effetti (molto forti) prodotti dal suo successo su un sistema politico che DOBBIAMO AFFONDARE.

Qualcuno si chiede perché parliamo di sollevazione piuttosto che di rivoluzione. Qualcun altro fa confusione tra sollevazione e rivolta. La sollevazione è una rivolta di massa. Ma una sollevazione popolare è tale se assume un carattere generale, cioè se si pone la questione del potere. Ed una sollevazione vincente altro non è che una RIVOLUZIONE.
Parlare di sollevazione popolare è tuttavia utile per sottolinearne il carattere di massa, popolare, non avanguardistico, senza niente togliere al ruolo delle avanguardie.

Ma cosa c'entra tutto ciò con la questione elettorale?
Se insistiamo tanto sulla parola chiave SOLLEVAZIONE, è anche per contrastare con forza ogni illusione elettoralista, ma anche movimentista o sindacalista.
Perché se Grillo non guiderà la sollevazione, neppure lo faranno Landini o i Cobas. Ma non per questo possiamo disinteressarci degli scioperi della Fiom o delle iniziative del sindacalismo di base. Se questo è vero, non vedo proprio perché non dovremmo invece interessarci - ovviamente sempre dal nostro punto di vista, cioè in base al progetto strategico su cui nasce MPL - del terremoto elettorale prodotto dai consensi ottenuti dal M5S.

Leonardo Mazzei

Montrivaux ha detto...

Ho posto la questione sollevazione-rivoluzione per segnalare che mi sembrate del tutto senza progetto (la sollevazione in sé stessa non implica la rivoluzione, anzi piuttosto uno stato di eccezione permanente funzionalissimo al potere); non solo, usate un linguaggio molto involuto, confuso e in alcuni casi quasi timido (appunto sollevazione e non rivoluzione, parlate di "stato di eccezione" in un' accezione che dimostra che avete letto male, se lo avete letto, Agamben e per niente Schmitt, parlate di un nuovo sistema senza crescita senza indicare con precisione quale sarebbe il "metodo", soprattutto in un mondo sovrappopolato, in cui la popolazione continua ad aumentare e in cui per ragioni "fisiologiche" le risorse diminuiscono- il che presuppone, al contrario una fortissima crescita economica e tecnologica per sopravvivere in modo decente, ovviamente).
Infine dalle vostre parole mi sembra che vi limitiate a far leva solamente sul senso di malessere delle classi subalterne senza prima preoccuparvi di sensibilizzarle e di darle quella benedetta coscienza di classe che non significa minimamente "essere inkazzati tutti insieme". Il Comunismo ha fallito già una volta proprio per l' indeterminatezza di questo concetto di "coscienza di classe"; quello è il punto e o lo affrontate teoricamente e praticamente o servirete solo da canalizzatori, identificatori e quindi depotenziatori del dissenso.

Montrivaux ha detto...

In concreto: una rivoluzione politica oggi è assolutamente impossibile perché il divario culturale fra il potere e le masse è diventato abissale (dato che tutti gli intellettuali sono stati cooptati dal potere in varie forme che prevedono anche la canalizzazione del dissenso) e perché il livello di coscienza di classe delle masse subalternea è arrivato piuttosto a una tragica "vergogna di classe".
Bisogna pensare invece a una rivoluzione culturale secondo un progetto di lungo periodo che a mio avviso richiederà non meno di vent' anni.

Il primo punto è ovviamente l' istruzione e vorrei farvi notare che a scuola si studiano materie bellissime come latino, greco e filosofia (anche matematica che è assolutamente indispensabile ma che, è importante notarlo, non viene apprezzata perché "astratta") che però sono difficilmente capite e "fruite" dai ragazzini e che sono di "limitata" utilità pratica, cosa che mette terribilmente a disagio i figli delle famiglie meno abbienti e di livello sociale più basso, specialmente se si considera come vengono insegnate.
Non si studia invece economia.

Sono convinto che questa scelta sia frutto di un preciso progetto politico teso a impedire che le conoscenze su cui si fonda il potere oggi (ossia una sorta di arcanum imperii sotto gli occhi di tutti) diventino accessibili anche alle masse privando le classi dominanti di quel segreto di famiglia che rende sostanzialmente inattaccabile la loro posizione di supremazia.

E' importante creare un movimento di opinione che proponga (e ottenga) l' introduzione a scuola dell studio dell' economia: un ragazzo deve arrivare alla maturità avendo capito che cos' è la moneta, cos'è la finanza e avendo analizzato a fondo almeno qualche passaggio storico importante sotto il profilo economico (e faccio notare che lo studio di questa materia renderà finalmente "concreta" e interessante anche la matematica, punto debole di troppi studenti italiani).

Questa è una lotta sicuramente vincente perché è una di quelle istanze alla quale il potere non può opporsi se non in modo indiretto; negare l' insegnamento diffuso di quella che ormai considerata la materia più importante della nostra epoca costringerebbe il potere a levarsi pubblicamente quella maschera che ancora funziona per mantenere questa pace sociale basata sulla sottomissione inconscia degli strati sociali subalterni.
D' altra parte una diffusa conoscenza del cuore stesso del sistema di potere non solo lo renderebbe criticabile sui dati di fatto e non solo sui mal di pancia del momento, ma ridarebbe autentico orgoglio e coraggio di "fare progetti" a quelle classi che oggi sono del tutto perdute strette come sono fra il crescente disagio economico e l' impossibilità di confrontarsi dialetticamente con chi gestisce il sistema.

Guardate che di lotte come questa che mettono in scacco il potere nel modo che ho illustrato, ossia mettendolo di fronte al dilemma "difendersi e smascherarsi" o "accettare e diventare vulnerabile", ne esistono moltissime ma non saranno possibili se prima non ci sarà questa diffusione delle conoscenze economiche.
Se penseremo sul lungo periodo abbiamo davvero qualche possibilità, oggi più che mai.

Lorenzo ha detto...

Per quanto mi riguarda il comunismo non ha fallito affatto, anzi ha realizzato i due scopi per cui è nato e per cui io lo ammiro:

1) perseguitare, deportare, mutilare, sterminare le vecchie classi dirigenti, che avevano osato sorridere alla vita e godersi i loro privilegi;
2) creare società il più possibile perequate, nell’unico modo in cui ciò è possibile, cioè tramite la sanguinosa persecuzione degl’istinti egoistici connaturati all’essere umano.

Per quanto poi attiene alla formazione di una coscienza di classe, l’unico modo per inculcare pregiudizi aggregativi nel gregge è la ripetizione ossessiva e colpevolizzante dei medesimi, e questo in epoca contemporanea è possibile solo tramite il controllo dei media. In regime demoplutocratico i media sono governati dal denaro, cioè dal capitale. Ne segue che la formazione della popolazione in senso comunitario ed antiliberale è pensabile solo come lontana conseguenza del collasso endogeno del sistema.

Fortunatamente il capitalismo ha connaturata la tendenza a segare l'albero su cui siede, e stavolta non ci sono traditori socialdemocratici a smussarne le contraddizioni. La guerra e la disperazione travolgeranno i calcoli avveduti dei signori dell’oro e apriranno nuove possibilità storiche a chi sappia approfittarne, come è già accaduto negli anni Venti e Trenta.

Forse Lenin aveva dietro di sé il popolo russo quando ha fatto la rivoluzione? Aveva quanto bastava: le guardie rosse e i quadri bolscevichi. La formazione di una coscienza collettiva è quasi sempre la conseguenza, non la causa di un cambio di regime.

Quanto poi all'uso dei termini, potrebbe darsi che gli amministratori usino la parola ‘sollevazione’ perché altre, come ‘rivoluzione’ o meglio ancora ‘insurrezione’, non sono troppo salutari in regime di pensiero unico neoliberale, e tanto meno lo saranno nel contesto autoritario verso cui ci stiamo rapidamente avviando, e che farà verosimilmente da tramite fra il disfacimento del nostro antico benessere e l’inizio delle grandi guerre generate dal tramonto dell’Occidente.

Anonimo ha detto...

@ Montrivaux:

a parte la tua spocchia, a partew spaccare il capello in quattro, in sostanza che cosa proponi? La "rivoluzione culturale"?
Mi sembri come i preti, che fanno la filippica che prima occorre cambiare l'uomo e solo dopo le strutture sociali.
E questo sarebbe il tuo marxismo?
Non diceva Marx che l'esistenza determina la coscienza?
che l'ideologia dominante è sempre quella della classe dominante?
e quindi solo rivoluzionando i rapporti sociali possiamo gettare le premesse per la "rivoluzione culturale".
Invece no, tu vuoi mettere il carro davanti ai buoi... Buon per te.

Montrivaux ha detto...

Anonimo dell 22:08

Ecco bravo, mettiamo da parte la spocchia e le codine di paglia e cerchiamo di parlare del merito.
Quello che voglio dire è proprio ciò che da marxista vecchio stampo fai fatica ad accettare; le fondamenta della storia e della cultura, ossia la struttura, non sono nel fatto economico ma nel senso di appartenenza dei gruppi che fanno o subiscono la storia. Il comunismo ha fallito proprio perché ha messo alla base dell' azione del proletariato la sua presa di "coscienza di classe" che, sempre a mio spocchioso avviso, è un concetto troppo vago, affrontato da Marx in maniera appena abbozzata; la storia ha dimostrato che la coesione del proletariato ha funzionato solo in parte e oggi ci troviamo nella condizione abbastanza paradossale in cui addirittura gli stessi concetti di lotta di classe e proletariato (o classe subalterna) vengono identificati con il vecchiume ideologico di un' era irrimediabilmente passata e nessuno li menziona più se non dopo prudenti precisazioni. Quindi secondo me la momentanea vittoria del capitalismo (che poi magari imploderà su sé stesso come diceva Marx che come filosofo ed economista era straordinario) è stata possibile perché è stato Marx a mettere il carro davanti ai buoi (mi riferisco al discorso che ho fatto sulle fondamenta).
Questo ti sembra un discorso da prete? Pensa quello che credi ma la differenza è che il prete pretende che ci si converta, io no, vengo qui a esprimere il mio parere e basta.
Saluti e ricordati che a proposito di esistenza e coscienza qualche tempo dopo Marx è venuto Heidegger.

Montrivaux ha detto...

Lorenzo

Mi dispiace ma non sono d' accordo meno che sul punto che almeno in qualche caso si è riusciti nell' intento di distruggere fisicamente le vecchie classi dominanti; è una cosa buona ma alla fine i risultati sono stati disastrosi. Sono stato nell' Ungheria e nella Russia comuniste e ho visto di peggio e di più.

Ma la cosa più importante è quello che dici sul collasso endogeno del sistema come unica via per raggiungere un senso comunitario nelle classi subalterne; è un discorso che immagino si colleghi a quello che viene portato avanti da questo blog sull' abbandono dell' euro.
Io credo che l' effetto sarà semplicemente quello di ritornare indietro nella storia relativamente ai rapporti sociali, che è il più grande desiderio delle classi dominanti.

Ripeto: sono convinto che le fondamenta dei fatti storici non siano nell' economico ma nel senso di appartenenza dei gruppi e secondo me o si parte da lì, dalla costruzione in senso culturale della coscienza di classe, o non si otterrà niente se non tutt' al più un cambio di gruppi al potere senza che si realizzi nemmeno l' ombra di una società più non più basata sulla prevaricazione e lo sfruttamento.

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