Gli euro-ricattatori incassano dagli irlandesi un sì dal valore assai scarso
Come previsto hanno vinto.
di Emmezeta
Come previsto hanno vinto.
Ma è una vittoria che non gli servirà a niente.
Nel pieno della crisi dell'Eurozona, con i mercati finanziari che scommettono apertamente sulla fine della moneta unica, gli euro-terroristi di Bruxelles e Francoforte hanno avuto il loro piccolo successo, estorcendo agli irlandesi un sì sul Fiscal Compact ben poco convincente.
Alla fine i sì sono stati 955.091 (60,3%), i no 629.088 (39,7%). Balza agli occhi la scarsa partecipazione, pari al 50,6% degli aventi diritto. In sostanza un irlandese su due non è andato a votare, ed i sì rappresentano in realtà solo il 30,5% del corpo elettorale. Troppo poco per cantare vittoria anche per degli imbroglioni matricolati come gli "euro-cantori" che, ben stipendiati, vivono nelle redazioni della stampa mainstream.
Oltretutto, agli euro-ricattatori è andata comunque peggio che nell'ottobre 2009. Anche tre anni fa il sì fu ottenuto con le minacce (vedi Colpirne uno per educarne cento), dopo che nel giugno 2008 il no aveva vinto il primo referendum sul Trattato di Lisbona. Estorsione per estorsione, è evidente che questa volta il consenso all'UE è calato ancora. Tre anni fa, infatti, aveva votato pur sempre il 58% degli elettori, ed il sì aveva raggiunto il 67,1%.
Diversi commentatori spiegano il calo della partecipazione con il fatto che in questo caso (a differenza del referendum sul Trattato di Lisbona) il no non avrebbe comunque avuto potere di veto sull'entrata in vigore del Fiscal Compact, dato che gli eurocrati questa volta si sono premuniti, stabilendo che per rendere valido il nuovo trattato basta la ratifica di 12 paesi.
In realtà ci sono anche altre ragioni. Al di là del massiccio schieramento delle forze politiche - si erano pronunciati per il sì i partiti di governo ed il Fianna Fail, per il no solo il Sinn Fein più altre formazioni minori - questa volta tantissimi elettori hanno vissuto il referendum con rassegnazione.
Rassegnazione non solo per le pesanti minacce europee - "ho votate sì o il piano di aiuti verrà immediatamente sospeso" - ma anche per la precedente esperienza del 2008-2009. Se un pronunciamento referendario può essere tranquillamente ribaltato, obbligando gli elettori a ripetere il voto fino a quando non uscirà il risultato desiderato, che valore poteva avere una nuova consultazione sottostando a quelle stesse forze che nel 2009 avevano imposto la ripetizione del referendum?
In ogni caso il 30,5% di sì è davvero poco. Ed è anche interessante cogliere la distribuzione territoriale e di classe del voto. In 38 circoscrizioni ha vinto il sì, in 5 il no. A Dublino, l'unica grande città del paese, il no si è invece imposto in ben tre circoscrizioni, che corrispondono ai quartieri popolari della capitale. Anche nel resto del paese il segno di classe è stato evidente, con la prevalenza del sì nelle zone borghesi, od abitate prevalentemente dal ceto medio, ed un risultato migliore per il no in quelle popolari.
Concludendo, il consenso reale verso l'UE rimane molto basso in Irlanda. Non solo, cresce nelle classi popolari l'aperta opposizione alla politica ed alla natura dell'Unione. Certo, un bel no degli irlandesi avrebbe dato una grande forza alla battaglia contro il Fiscal Compact in tutta Europa, e così purtroppo non è stato. Tuttavia anche i nostri nemici hanno ben poco da festeggiare. Avranno forse il loro Trattato fiscale (sul quale solo agli irlandesi è stato chiesto di esprimersi con un voto), ma questo potrà al massimo solo ritardare la fine di quel Dio Euro, su cui hanno edificato la loro folle costruzione.
Mano a mano che tutto ciò si farà più chiaro, ed ormai ci siamo, forse i popoli decideranno davvero di riappropriarsi del proprio destino. Se questo avverrà, le vicende attuali, compresi i ricatti al popolo irlandese, non potranno che apparirci per quello che sono: un maldestro tentativo del blocco dominante per restare in sella, nella speranza (ci auguriamo vana) di ritardare ancora il momento del redde rationem.
Nel pieno della crisi dell'Eurozona, con i mercati finanziari che scommettono apertamente sulla fine della moneta unica, gli euro-terroristi di Bruxelles e Francoforte hanno avuto il loro piccolo successo, estorcendo agli irlandesi un sì sul Fiscal Compact ben poco convincente.
Alla fine i sì sono stati 955.091 (60,3%), i no 629.088 (39,7%). Balza agli occhi la scarsa partecipazione, pari al 50,6% degli aventi diritto. In sostanza un irlandese su due non è andato a votare, ed i sì rappresentano in realtà solo il 30,5% del corpo elettorale. Troppo poco per cantare vittoria anche per degli imbroglioni matricolati come gli "euro-cantori" che, ben stipendiati, vivono nelle redazioni della stampa mainstream.
Oltretutto, agli euro-ricattatori è andata comunque peggio che nell'ottobre 2009. Anche tre anni fa il sì fu ottenuto con le minacce (vedi Colpirne uno per educarne cento), dopo che nel giugno 2008 il no aveva vinto il primo referendum sul Trattato di Lisbona. Estorsione per estorsione, è evidente che questa volta il consenso all'UE è calato ancora. Tre anni fa, infatti, aveva votato pur sempre il 58% degli elettori, ed il sì aveva raggiunto il 67,1%.
Diversi commentatori spiegano il calo della partecipazione con il fatto che in questo caso (a differenza del referendum sul Trattato di Lisbona) il no non avrebbe comunque avuto potere di veto sull'entrata in vigore del Fiscal Compact, dato che gli eurocrati questa volta si sono premuniti, stabilendo che per rendere valido il nuovo trattato basta la ratifica di 12 paesi.
In realtà ci sono anche altre ragioni. Al di là del massiccio schieramento delle forze politiche - si erano pronunciati per il sì i partiti di governo ed il Fianna Fail, per il no solo il Sinn Fein più altre formazioni minori - questa volta tantissimi elettori hanno vissuto il referendum con rassegnazione.
Rassegnazione non solo per le pesanti minacce europee - "ho votate sì o il piano di aiuti verrà immediatamente sospeso" - ma anche per la precedente esperienza del 2008-2009. Se un pronunciamento referendario può essere tranquillamente ribaltato, obbligando gli elettori a ripetere il voto fino a quando non uscirà il risultato desiderato, che valore poteva avere una nuova consultazione sottostando a quelle stesse forze che nel 2009 avevano imposto la ripetizione del referendum?
In ogni caso il 30,5% di sì è davvero poco. Ed è anche interessante cogliere la distribuzione territoriale e di classe del voto. In 38 circoscrizioni ha vinto il sì, in 5 il no. A Dublino, l'unica grande città del paese, il no si è invece imposto in ben tre circoscrizioni, che corrispondono ai quartieri popolari della capitale. Anche nel resto del paese il segno di classe è stato evidente, con la prevalenza del sì nelle zone borghesi, od abitate prevalentemente dal ceto medio, ed un risultato migliore per il no in quelle popolari.
Concludendo, il consenso reale verso l'UE rimane molto basso in Irlanda. Non solo, cresce nelle classi popolari l'aperta opposizione alla politica ed alla natura dell'Unione. Certo, un bel no degli irlandesi avrebbe dato una grande forza alla battaglia contro il Fiscal Compact in tutta Europa, e così purtroppo non è stato. Tuttavia anche i nostri nemici hanno ben poco da festeggiare. Avranno forse il loro Trattato fiscale (sul quale solo agli irlandesi è stato chiesto di esprimersi con un voto), ma questo potrà al massimo solo ritardare la fine di quel Dio Euro, su cui hanno edificato la loro folle costruzione.
Mano a mano che tutto ciò si farà più chiaro, ed ormai ci siamo, forse i popoli decideranno davvero di riappropriarsi del proprio destino. Se questo avverrà, le vicende attuali, compresi i ricatti al popolo irlandese, non potranno che apparirci per quello che sono: un maldestro tentativo del blocco dominante per restare in sella, nella speranza (ci auguriamo vana) di ritardare ancora il momento del redde rationem.
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