Franco Piperno, uno tra i pochi capi rivoluzionari degli anni '70 che non si è venduto al sistema |
Gli eroi maledetti e la terribile bellezza risorta
Quella mattina di settembre a New York, un mattino qualunque sotto un sole smarrito che già ha il sapore d’autunno, il formicolio sub umano della megalopoli - la grande Babilonia - l’oggi che si annuncia non diverso da ieri; poi, inatteso, in poco più di un’ora, lo svelamento, l’apocalissi: le Twin Towers, le Torri Gemelle che, avvolte dentro un fumo nero, implodono su se stesse quasi fosse argilla: l’odio arabo che chiama dal cielo l’americano ”middle class” e gli dice di buttarsi giù dal grattacielo perché è giunta per lui la morte - la fine dell’immunità dalla strage che cala sibilando dagli spazi aerei, privilegio di cui gode da tempo, da troppo tempo, New York; e con essa il paese dove sventola la bandiera a stelle e strisce.
Il codice retorico nordamericano ha rapidamente metabolizzato l’evento: un vile attentato dei terroristi islamici agli States per l’azione di libertà e pace che gli USA svolgono, generosamente e da più di mezzo secolo, globalmente, in tutto il mondo. “Enduring Freedom” ha proclamato il loro presidente. L’elaborazione mediatica del lutto s’è svolta sulla ricognizione dell’identità perduta dei corpi straziati, il pianto sconsolato di migliaia di parenti ed amici, il fatale eroismo del solito pompiere raccontato dall’immancabile collega sopravvissuto, gli attestati televisivi di lealtà alla bandiera rilasciati dall’arabo americanizzato - il tutto avvolto nella micidiale polvere di titanio contenuto nei meta materiali adoperati per costruire le due Torri. La falsa coscienza dell’America, l’ideologia, qui ha operato al massimo della sua potenza occultante.
Ma l’America non è solo quella che compare in televisione. Norman Chomsky, uno dei quattro intellettuali per il quali l’onore degli States può ancora salvarsi, visitando le rovine di Ground Zero, colto da una pietà inane, ha avvertito che da quel groviglio dantesco di carne che mescolava alla rinfusa i cadaveri degli assassini e delle loro inconsapevoli vittime, s’alzava un lamento, un coro abissale di milioni d’anime che ancora vagano come spettri non avendo trovato una degna sepoltura: i tedeschi di Dresda, gli italiani di Firenze, i giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, gli arabi di Bagdad, tutti civili e tutti innocenti allo stesso titolo dei newyorkesi.
Nell’emozione onirica di Chomsky v’è più verità che nell’analisi di migliaia di esperti, giornalisti o accademici che siano. Infatti, se adoperiamo Il criterio di McNamara – il segretario di stato americano all’epoca della guerra nel Vietnam – che misura la produttività del complesso-militare industriale attraverso il rapporto tra il numero di morti inflitte al nemico rispetto a quelle subite, si vede che, per quanto riguarda la guerra di Bush, siamo ad un rapporto cento ad uno; nettamente meglio di quanto fossero riusciti a fare i nazisti che, nella rappresaglia, si limitavano a dieci per uno; e tuttavia, occorre riconoscerlo, ancora lontani dal record che detengono i cittadini dello stato ebraico: per ogni israeliano ucciso vengono condannati a morte almeno mille palestinesi, anziani, donne, bambini, senza favoritismi per nessuno.
Insomma, per il criterio di Mac Namara, gli arabi sono ancora in credito di alcune centinaia di migliaia di morti civili.
A dieci anni di distanza la stampa americana continua a rappresentare quell’evento come un vile attentato su persone inermi senza alcun giustificato motivo. Rimuovono, appunto, ciò che è stato fatto dagli americani nel Medio Oriente: una rete fitta di basi per proteggere i corrotti regimi di quei paesi, e assicurarsi così il controllo militare delle grandi riserve petrolifere. Chi non sta a casa propria?
Quanto alla viltà dell’agguato, come si fa ad onorare i mercenari americani che per mestiere uccidono, utilizzando i droni per non correre alcun rischio; uccidono, per la mercede, esseri umani che non hanno alcun motivo di odiare; mentre andrebbero considerati vili quel pugno audace di intellettuali – alcuni di loro avevano perfino superato l’esame di fluidodinamica—che, utilizzando dei temperini, si impadroniscono di quattro enormi aerei di linea, facendo fronte agli equipaggi e a centinaia di passeggeri, per uccidersi ed uccidere, schiantandosi sui quei mostri di vetro e cemento simboli dell’impero americano?
Qualsiasi possa essere il vincolo di fraternità culturale che lega la sorte dell’ europeo all’ americano, è del tutto evidente che l’ammirazione dell’uomo libero , non scevra da raccapriccio, va agli insorti e non ai mercenari – il coraggio temerario del corpo umano che si fa beffa della potenza tecnologica e la rivolge contro coloro che l’ hanno fabbricata.
Per questi ed altri motivi, noi, l’undici di settembre, nel decennale di quell’evento dalla bellezza sublime, chineremmo, se solo le avessimo, le nostre bandiere per pietà verso gli americani morti per caso e ad onore degli intellettuali arabi - a noi, per altro ostili, ma certo umani, troppo umani - che hanno spappolato gli aerei catturati contro le Torri Gemelle, condensando, in quel gesto collettivo, la volontà generale delle moltitudini arabe.
Manca ancora la parola del poeta che racconti questa impresa da eroi maledetti. In ogni caso, quel che è certo è che l’undici di settembre a New York, come la decapitazione di Luigi Capeto, l’assalto bolscevico al Palazzo d’Inverno, la Sorbona occupata nel ’68, la caduta del muro di Berlino, è una rappresentazione icastica che farà nido nell’immaginario collettivo, perché segna la fine di un’epoca e ne annuncia una nuova.
A dispetto tanto delle anime belle quanto degli ipocriti che hanno sentenziato prematuramente l’impotenza controproducente della violenza collettiva.
* Fonte: Looponline
2 commenti:
Un amico che vuole mantenere l' anonimato ha scritto questa poesia dieci anni fa:
11 SETTEMBRE 2011
Son crollati!
Come castelli di carte
sono miseramente crollati
i palazzi dei signori del mondo.
Primi a goire,
i fratelli del ghetto di Harlem
non credono ai propri occhi:
il superbo potere
che si credeva invincibile
è stato colpito
con inaudita, formidabile durezza!
Ma la notizia galoppa,
fulminea si diffonde
per tutta la terra
(circondata dal mefitico fetore
della piagnucolosa ipocrisia dei gazzettieri, estasiati ad ogni strage di innocenti
perpetrata dalla barbarie imperialista,
come oro purissimo affiorante
dalle acque putride di una cloaca).
Esultano i fratelli iugoslavi
soltanto due anni orsono
sterminati come formiche
dai terroristi tecnologici
che facevano la guerra
(guerra non dichiarata,
guerra piratesca, guerra di aggressione,
guerra di sterminio…),
che facevano la guerra
schiacciando bottoni
comodamente spaparanzati
nei loro confortevoli aerei
dotati di aria condizionata,
di impianto stereofonico
e di ogni agio e comfort
ad altezze irraggiungibili.
Bottoni schiacciati
a distruggere ed uccidere
inermi, innocenti persone di ogni età
dentro le scuole, negli ospedali,
nella sede della televisione,
nell’ ambasciata cinese.
Bottoni schiacciati
a distruggere ed uccidere
i soccorritori di civili feriti
nel bombardamento di ponti e di strade:
gli schiacciatori di pulsati,
i nazisti da videogioco
non sono più invulnerabili!
Così i fratelli iracheni,
i figli, le donne, i nipoti
delle migliaia di soldati disarmati
annientati in ritirata,
con la bandiera bianca alzata
dopo la resa di Bagdad.
Così gli amici, i parenti, i discendenti
dei civili schiacciati come vermi
nel rifugio scientemente bombardato:
anche loro tripudiano sapendo
che i criminali con le bombe,
i criminali con l’embargo,
impegnati a trasformare
una nazione intera
in un’ Auschwitz immensa
si possono abbattere!
Ed i fratelli arabi di Palestina,
da decenni cacciati, torturati,
uccisi, umiliati, negati come uomini
da miserabili vigliacchi
codardi assassini al riparo dell’ impero,
anche loro si entusiasmano al sapere
che i più muniti bunker del potere
e della ricchezza che li opprime
si possono attaccare!
E tutti i poveri del mondo,
tutti i dannati della terra
oggi sanno
che qualche cosa si può fare,
che qualche cosa si può sperare.
Da oggi sanno
che si può ancora lottare!
Da oggi sanno che il loro inferno
non è necessariamente per sempre.
Da oggi sanno
che forse i loro figli,
o i figli dei loro figli,
o magari altri ancora
di generazioni più lontane
potranno forse vivere una vita degna,
che si può ancora sperare,
che si può ancora lottare!
Che si deve ancora sperare
e che si deve ancora lottare!
Che ne dite?
Io parlo per me: mi pace un sacco!
Luigi
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