Anche i tedeschi truccano i bilanci |
Le bugie sul debito pubblico tedesco
di Sollevazione
Pubblichiamo qui sotto un articolo del giornalista economico Massimo Mucchetti. Perché ne consigliamo la lettura? Perché dimostra come la Germania stia truccando i conti sul suo debito pubblico, che in realtà è molto più alto delle cifre ufficiali di circa 428 miliardi di euro.
La cosa ha stupito un nostro lettore, che ci ha chiesto come mai, una notizia-bomba simile, sia passata tanto inosservata.
In verità noi ne demmo conto il 10 maggio scorso, quando scrivevamo, numeri alla mano, che al netto delle mistificazioni, il debito pubblico tedesco ha superato per consistenza quello italiano, diventando il terzo del mondo:
«E’ notizia di due settimane fa che la “virtuosa” Germania ha tolto all’Italia il terzo posto come paese più indebitato nella classifica mondiale. «Il debito pubblico tedesco è infatti aumentato di colpo nel 2010 di ben 319 miliardi di euro. Si è innalzato così a 2.080 miliardi, primo debito europeo ad andare oltre la soglia dei 2mila miliardi, sorpassando a tutto gas quello italiano. Quello tedesco è dunque diventato il terzo debito pubblico lordo più alto del mondo in valore assoluto, scavalcando di 236 miliardi quello dell'Italia, sceso così al quarto posto». [Mission impossible, SOLLEVAZIONE, 10 maggio 2011]
Beninteso, ciò non significa che il capitalismo tedesco sia messo male come quello italiano, ma significa che, ove la crescita spinta dalle esportazioni si inceppasse (come è nelle previsioni), anche la Germania si troverà alle prese con il bubbone del debito pubblico, mettendo il governo davanti alla scelta di dovere adottare radicali misure di rientro, e aggravando lo stato comatoso dell'Unione europea.
La questione è di tutta evidenza della massima importanza, essa mostra anzitutto che anche la "locomotiva europea" è malata, e che tutti hanno interesse a nasconderlo. Le autorità tedesche hanno un bel dire che "I greci hanno truccato i conti". In maniera furbetta lo stanno facendo anche loro. Berlino poi, recalcitra (vedi anche le dimissioni di Juergen Stark dall'Esecutivo della bce) a che la Bce continui a soccorrere i "periferici" indebitati, ma non si lagnò affatto quando, dopo il crollo finanziario dell'autunno 2008, la stessa Bce, visto che gli ingenti aiuti governativi non furono sufficienti, intervenne massicciamente sul mercato dei covered bond (obbligazioni garantite) per salvare dal crack le banche francesi e soprattutto quello tedesche.
Morale della favola: chi è senza peccato —chi non è ricorso aldebito pubblico per sorreggere il capitalismo finanziario e bancario malato— scagli la prima pietra.
Il peccato sul debito tedesco
Angela Merkel paragona l'Italia alla Grecia. Per quanto si possa dir male del nostro governo, il cancelliere sbaglia
di Massimo Mucchetti*
«Roma non ha mai mentito sui suoi conti pubblici come ha fatto Atene. E poi la Germania dovrebbe comunque rispettare un partner commerciale dove esporta più che in Cina. E infine, quanto a debito pubblico, il governo di Berlino si avvale di antiche furbizie. Che, alla vigilia della sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe sui salvataggi già fatti e in vista della seduta del Bundestag di fine mese sul piano salva Stati, vale la pena di ricordare.
Da 16 anni la Germania non include nel suo debito pubblico le passività del Kreditanstalt für Wiederaufbau, meglio noto come KfW, posseduto all'80% dallo Stato e al 20% dai Länder, altri soggetti pubblici. Si tratta di 428 miliardi di euro interamente garantiti dalla Repubblica federale. La KfW fa mutui a enti locali e piccole e medie imprese. Detiene partecipazioni cruciali in colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. È vigilata dai ministeri delle Finanze e dell'Industria, non dalla Bundesbank. Grazie al legame di ferro con lo Stato, la KfW conquista la medaglia d'oro nella classifica mondiale dell'affidabilità, stilata da Global Finance, e il massimo rating da parte di Moody's, Standard & Poor's e Fitch, lo stesso della Repubblica federale. Le sue obbligazioni sono dunque uguali ai bund. Ma a differenza dei bund, magicamente non entrano nel conto del debito pubblico. Se vi entrassero come la logica del Trattato di Maastricht vorrebbe, il debito pubblico tedesco salirebbe da 2.076 miliardi a 2.504 e la sua incidenza sul prodotto interno lordo 2011 balzerebbe dall'80,7% al 97,4%. Ancora un piccolo passo, magari per salvare qualche banca tedesca ingolosita dai titoli di Stato mediterranei, e potremmo dire: benvenuta Germania tra noi del club degli over 100%!
Da 16 anni la Germania non include nel suo debito pubblico le passività del Kreditanstalt für Wiederaufbau, meglio noto come KfW, posseduto all'80% dallo Stato e al 20% dai Länder, altri soggetti pubblici. Si tratta di 428 miliardi di euro interamente garantiti dalla Repubblica federale. La KfW fa mutui a enti locali e piccole e medie imprese. Detiene partecipazioni cruciali in colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. È vigilata dai ministeri delle Finanze e dell'Industria, non dalla Bundesbank. Grazie al legame di ferro con lo Stato, la KfW conquista la medaglia d'oro nella classifica mondiale dell'affidabilità, stilata da Global Finance, e il massimo rating da parte di Moody's, Standard & Poor's e Fitch, lo stesso della Repubblica federale. Le sue obbligazioni sono dunque uguali ai bund. Ma a differenza dei bund, magicamente non entrano nel conto del debito pubblico. Se vi entrassero come la logica del Trattato di Maastricht vorrebbe, il debito pubblico tedesco salirebbe da 2.076 miliardi a 2.504 e la sua incidenza sul prodotto interno lordo 2011 balzerebbe dall'80,7% al 97,4%. Ancora un piccolo passo, magari per salvare qualche banca tedesca ingolosita dai titoli di Stato mediterranei, e potremmo dire: benvenuta Germania tra noi del club degli over 100%!
La KfW è la versione tedesca dell'italiana cassa depositi e prestiti, controllata dal Tesoro |
La magia, che nasconde il 17% del debito pubblico reale tedesco, si chiama Esa95. È il manuale contabile che esclude dal debito pubblico, a integrazione dei criteri di Maastricht, le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono il 50,1% dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. La serietà di un tale principio è paragonabile alla considerazione del rischio di controparte negli Ias-Ifrs, i principi contabili che hanno favorito il crac Lehman. Se per ipotesi KfW avesse problemi, chi pagherebbe? Lo Stato. E senza nemmeno l'ipocrisia degli Usa che qualificavano le loro Fanny Mae, Freddie Mac e Ginnie Mae come imprese sponsorizzate dal governo per far capire che, alla bisogna, il Tesoro avrebbe coperto, ma senza dirle statali per non sembrare statalisti.
Ora l'Italia ha la Cassa depositi e prestiti, 70% Tesoro, 30% fondazioni bancarie, soggetti privati. La Cdp emette anno dopo anno obbligazioni che godono della garanzia statale e sono collocate dalle Poste sotto forma di buoni e di libretti. Mal contati sono 300 miliardi, due terzi reinvestiti in titoli di Stato e un terzo in mutui agli enti locali. La Cdp emette anche obbligazioni non garantite per una ventina di miliardi destinate alle iniziative per le imprese e detiene partecipazioni rilevanti. Ma il suo debito è per tutta la parte coperta da garanzia pubblica conteggiato nel debito pubblico. In un mondo serio delle due l'una: o la Germania ricalcola il suo debito come si deve perché l'Eurozona sotto attacco non accetta più furbizie da parte di nessuno, ancorché legalizzate a forza, oppure l'Italia deconsolida dal suo debito pubblico quei cento miliardi o giù di lì che la Cdp usa per gli enti locali, dato che questi la scelgono su un mercato bancario liberalizzato.
Risulta che il ministro Giulio Tremonti abbia talvolta accennato al tema. Ma quando un governo vuole incidere, compie passi formali, il premier si mobilita, si muove anche il ministero degli Esteri. Si fa sentire sui giornali e in tv. E se i media non capiscono, insiste: nessuno negherà un'intervista a un ministro che voglia alzare la voce. Ma nell'Italia di oggi quest'ipotetica voce avrebbe un suono fesso. Nessuno, lontano da Roma, le presterebbe attenzione. Il punto è la credibilità. La Germania ne ha anche quando fa il gioco delle tre carte. All'Italia manca anche di fronte alla verità».
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