2 settembre. CESARATTO, LORDON, BRANCACCIO, BAGNAI E LA QUESTIONE DEL SUPERAMENTO DELLA MONETA UNICA.
Le euro-oligarchie lotteranno fino all'ultimo per tenere in vita la moneta unica, il morto che cammina. La costruzione dell'eurozona e dell'Unione europea hanno implicato la nascita e lo sviluppo di una tecno-burocrazia dalla dimensioni ciclopiche. Questo pachiderma si è sviluppato per cerchi concetrici, dai due centri di Bruxelles e Francoforte, fino ad afferrare i singoli paesi, le loro macchine statuali e amministrative.
Un enorme organismo politico e burocratico continentale, con un suo complesso sistema nervoso che ubbidisce ad un sordo istinto di sopravvivenza. Infondo parliamo di un apparato con una catena di comando che coinvolge decine di migliaia di funzionari. A questo apparato di tecnici va aggiunto l'esercito sterminato dei funzionari politici: centinaia di migliaia. Non si faranno da parte tanto facilmente, le tenteranno tutte prima di arrendersi.
Siccome lo scoppio dell'eurozona è nell'ordine delle cose, è evidente che coloro che sono alla guida di questa mostruosa macchina hanno un "Piano B". Dati gli squilibri crescenti essi potrebbero concepire un passo indietro, pilotando quella che è stata chiamata "segmentazione controllata dell'eurozona", tornando ad un sistema che noi abbiamo chiamato "Sme-reloaded", per poi tornare nuovamente, una volta usciti dalla depressione economica, alla moneta unica.
Un simile "Piano B" sarebbe dunque l'extrema ratio per tenere in piedi la baracca oligarchica e bancocratica europea, affinché non soccomba ed anzi rafforzi le sue claudicanti posizioni nella competizione globale. Il grande capitalismo finanziario tedesco, verso il quale gli apparati euristi sovranazionali hanno una relazione simbiotica e di subalterneità, alla fine potrebbe fare un passo tattico indietro e accettare un simile "piano B" per quindi fare un nuovo passo "avanti" strategico. Lo accetterà a condizione che il mercato unico non sia messo in discussione, poiché quest'ultimo è la conditio sine qua non del successo della sua politica mercantilistica ed egemonica.
Questo "Piano B", è vero, potrebbe implicare un riaggiustamento delle bilance commerciali e dei pagamenti tra i diversi paesi, ed anche una ristrutturazione dei debiti sovrani. Ma in cambio di questa concessione tattica la Germania, per nome e per conto delle grandi istituzioni predatorie finanziare e bancarie globali, chiederebbe una resa strategica di sovranità da parte dei diversi paesi, trasformandoli in vassalli, in appendici del sistema industriale tedesco, produttori di semilavorati a basso costo per la sua potente macchina industriale, quindi serbatoi di mano d'opera a basso prezzo.
Occorre quindi mettersi di traverso a questo "Piano B". Per questo diffidiamo di coloro che, pur da sinistra, vaticinano, al posto dell'euro, una cosiddetta "moneta comune". Non è accettabile che, in nome di un malinteso ed equivoco "ideale europeista" (questa narrazione che tanti danni ha fatto a sinistra) si scambi il diavolo con l'acqua santa. I fautori della cosiddetta "moneta comune" debbono dirci con chiarezza se sono favorevoli o contrari al MERCATO UNICO, concetto che costituise la quint'essenza delle concezioni e delle politiche liberiste e libero-scambiste —ovvero che il mercato dev'essere lasciato a se stesso poiché tutto aggiusta, quindi senza interferenze politiche e statuali.
I monetacomunisti ( si fa per dire) debbono dirci se i paesi "periferici", cioè quelli, come l'Italia che stanno schiattando anche a causa dei meccanismi predatori del capitalismo-casinò, hanno o no il diritto di proteggersi, ovvero di sganciarsi e fuoriuscire dalla gabbia. Debbono dirci come pensano sia possibile, senza uno sganciamento, difendere gli interessi del mondo del lavoro, delle larghe masse; come pensano siano applicabili misure per la piena occupazione e di difesa dello stato sociale, senza riacquisire piena sovranità nazionale.
Di risposte convincenti da parte dei monetacomunisti non ne vediamo. Significativo da questo punto di vista, che anche un compagno come Sergio Cesaratto (che fu il vero animatore, assieme tra gli altri ad Emiliano Brancaccio, dell'Appello dei Cento economisti del luglio 2010), pur continuando a ritenere l'Unione europea un bene prezioso, sia giunto anche lui alla conclusione che occorre sbarazzarsi dell'euro tornando alle valute nazionali ma dentro, appunto, ad un percorso di separazione consensuale e pilotata poiché «La premessa è che l’Unione Europea va salvaguardata e che, dunque, la rottura dovrebbe essere negoziata e pacifica». [1]
La premessa è ovviamente discutibile. Ma che fare se questa separazione consensuale non fosse praticabile? Se, magari innescata dallo scoppio della prossima bolla finanziaria made and from USA, ci trovassimo di fronte una deflagrazione disordinata?
Allora avremmo che i singoli paesi sarebbero obbligati a correre ai ripari e il ritorno alle diverse sovranità monetarie sarebbe necessariamente guidato dalle forze politiche al potere.
Fare gli esorcismi a questa eventualità a poco serve. Serve invece capire quanto dirimente diventi, in questo caso, la questione della cosiddetta "uscita da destra o da sinistra". Alcuni hanno fatto e continuno a fare spallucce. Da destra o da sinistra, basta che se ne esca.
Non scherziamo!
In questo quadro è di grandissima rilevanza la polemica tra Emiliano Brancaccio e Alberto Bagnai. Continuiamo a ritenere che Brancaccio avesse sostanzialmente ragione, ovvero che una gestione da parte di forze liberiste di destra dell'uscita dall'euro si risolverebbe in un disastro per i salariati e le masse popolari, in un vantaggio per quelle dominanti (prima di tutto per le sue frazioni globaliste e già globalizzate), col rischio supplementare, senza porre rigidi vincoli ai movimenti dei capitali sia in campo bancario che industriale e una politica di decise nazionalizzazioni, che l'italia sia costretta a capitolare agli assalti dei capitali stranieri svendendo banche e aziende a causa del deprezzamenmto dei loro asset. [2]
Il problema è quindi squisitamente politico. E come rispose Bagnai? In questo modo:
Alcuni ci chiedono dove sia la "pistola fumante", la prova incontrovertibile di quanto andiamo dicendo. L'avrete presto, prima di quanto pensiate. Tre indizi fanno tuttavia una prova, e di indizi ce ne sono oramai a iosa, tra cui, come abbiamo più volte segnalato, la firma da lui apposta al Manifesto di solidarietà europea (gennaio 2013), assieme a liberisti ed esponenti dell'establishment eurista. L'ultimo indizio è la neonata associazione A/simmetrie, fondata in combutta con Borghi Aquilini, Giorgio La Malfa e il pezzo da novanta del sistema Paolo Savona.
Noi non ci rassegnamo affatto all'idea che siano le destre liberiste a gestire il ritorno alla sovranità monetaria. Se così sarà lo shock dell'uscita sarebbe un colossale disastro per il popolo lavoratore.
Gli uscisti di destra svaluteranno sì per dare fiato alla macchina produttiva, ma non vorranno una scala mobile per proteggere i salari dei lavoratori dipendenti ed anzi continueranno politiche di deprezzamento dei salari.
Essi non adotteranno nessuna politica keynesiana di piena occupazione ma, al contrario, vorranno una disoccupazione alta per tenere a freno i salari.
Riavremo sì la lira ma gli uscisti di destra non torceranno un capello alle grandi banche d'affari, mentre andrebbero nazionalizzate.
Essi accentueranno i processi di privatizzazione, mentre le aziende industriali strategiche dovrebbero anch'esse essere poste sotto controllo pubblico.
Né essi vorranno toccare il gioco d'azzardo finanziario e la libertà di spostamento dei capitali, mentre occorrerà porre vincoli stringenti ai loro movimenti.
E continueranno le politiche d'austerità e di tagli alla spesa pubblica pur di rimborsare i creditori-strozzini, ovvero la finanza speculativa globale, di cui le banche fanno la parte del leone.
E siccome non c'è alcun dubbio che simili politiche liberiste simil-sovraniste causeranno aspri conflitti sociali, potete scommetterci, siccome è nel loro Dna, che gli uscisti di destra si sbarazzeranno definitivamente della Costituzione e della repubblica parlamentare portandoci tutti in uno Stato di diritto penale presidenzialista e di polizia.
Ognuno capisce, se vuole capire, perché è necessario mettersi di traverso a queste forze. E il primo modo per mettersi di traverso e di prepararsi alla resistenza, è quello di denunciare come trappola ideologica quella per cui c'è solo l'uscita, che essa non sarebbe né di destra né di sinistra.
A chi ci dice, rassegnato, che la battaglia è persa in partenza diciamo che si sbaglia.
Lo shock in arrivo sbragherà entrambi i due blocchi sistemici che hanno dominato la seconda repubblica. Tutto è ancora possibile. Il terremoto elettorale che si è registrato a febbraio, ha dimostrato quanto i due blocchi sistemici siano putrescenti. E' emersa una terza forza espressione di una protesta popolare di massa.
Chi l'ha detto che di lì non possa sorgere la leva per pilotare l'uscita e coniugare la riconquista della sovranità nazionale e monetaria con gli interessi delle larghe masse?
NOTE
[1] «Por termine al folle esperimento implica passaggi assai complessi (v. anche Levrero 2012). La premessa è che l’Unione Europea va salvaguardata e che, dunque, la rottura dovrebbe essere negoziata e pacifica. Questo complica quello che è, forse, il problema più complesso da risolvere. Scelte democraticamente prese e negoziazioni internazionali implicano processi politici assai lunghi e pubblici i quali, tuttavia, sono incompatibili con la stabilità finanziaria. Al primo vago accenno che forme di rottura dell’UME sono all’ordine del giorno politico si scatenerebbe infatti una enorme speculazione volta a spostare i capitali finanziari dai paesi con (futura) moneta debole verso quelli con (futura) moneta forte. Il che vorrebbe dire la fine immediata della moneta unica nel peggiore dei modi possibili. L’unica strada percorribile sarebbe di accordi presi un venerdì sera almeno da un consesso di paesi che contano, da ratificarsi nel week end nei parlamenti nazionali.
Banche e mercati sarebbero destinati a rimanere chiusi, tuttavia, anche per alcuni giorni successivi durante i quali verrebbero adottate misure volte ad assicurare una transizione dolce verso le monete nazionali. Gli accordi dovrebbero definire un quadro di risoluzione per i rapporti di debito-credito, ora denominati in euro, una volta effettuato il passaggio a monete nazionali. Ma come si fa ad assicurare la segretezza prima del citato vertice? Dato che questo è impossibile, è più realistico ritenere che a tale vertice si arrivi in seguito a un grave evento scatenante, come una crisi politico-finanziaria di prima grandezza in Italia o Spagna, tale da indurre alla chiusura dei mercati prima del vertice. Una volta sancita la rottura – che potrebbe sostanziarsi in un ritorno generalizzato alle monete nazionali, in un’uscita della Germania e dei suoi satelliti, o in una uscita di uno o più paesi periferici – i paesi che adottano una nuova moneta avrebbero il diritto (lex monetae) di rinominare tutti i titoli del debito pubblico e privato nella nuova moneta – a meno che il contratto sottostante non specifichi la rinuncia a tale prerogativa. Alcune forme di debito con l’estero, come quelle intrattenute attraverso la BCE con le altre banche centrali andrebbero rinegoziati. Tutti i pagamenti interni per via elettronica (che includono le carte di credito) – i soli possibili per alcuni giorni – verrebbero automaticamente rinominati nella nuova moneta, mentre in attesa della stampa delle nuove banconote, le banche rilascerebbero banconote in euro ma con una stampigliatura con scritto, ad esempio 10€ = 10 nuova-lira.
La prima decisione che il governo dovrebbe prendere riguarda la fissazione del nuovo tasso di cambio. Per l’Italia verrebbe da suggerire l’antica politica della stabilità del cambio verso il dollaro (in cui è quotato il petrolio) e di una flessibilità controllata verso il marco tedesco. Naturalmente una svalutazione dell’ordine del 20/30% verso il marco sarebbe fisiologica, ma rigidi controlli sui movimenti dei capitali dovrebbero contribuire a una successiva stabilizzazione del cambio. Il secondo indirizzo che il governo dovrebbe prendere riguarda la stabilizzazione dell’inflazione a livelli moderati lasciando sopratutto alla ripresa dell’occupazione il sostegno dei consumi. Tassi di interesse sufficientemente bassi e la ripresa della crescita dovrebbero consentire la stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil e al contempo una moderata espansione fiscale. Non si passerebbe dunque al regno del bengodi, e il paese si ritroverebbe coi problemi di sempre, ma almeno non alla mercé di altri e con qualche speranza, se decide di coltivarsela».
Sergio Cesaratto. Citato da: Quel pasticciaccio brutto dell'euro. Agosto 2013
[2] Emiliano Brancaccio. Un timido guerrafondaio. 24 luglio 2012
«Infine, rilevo tre passaggi analitici del ragionamento di Bagnai che trovo errati, e sui quali credo sia bene spendere qualche parola.
Innanzitutto, nella sua lettera a me indirizzata egli scrive: “…per lunga esperienza di modellizzazione del commercio internazionale colgo immediatamente il banale fatto che una svalutazione reale competitiva è isomorfa all’imposizione di un dazio protettivo”. Banale fatto? Può darsi che mi sbagli, ma intravedo un grave vizio neoclassico in questa proposizione. Evidentemente i modelli cui Bagnai si riferisce o sono fondati su un ceteris paribus di tipo marshalliano, oppure sono basati su assiomi in grado di determinare esistenza, unicità e stabilità di un equilibrio generale di tipo arrowiano. Al contrario, in uno schema di riproduzione, e nella realtà dei fatti, non è per nulla garantito che una svalutazione sia logicamente equivalente al protezionismo, né dal punto di vista della scala, né della composizione, né della distribuzione del prodotto sociale.
In secondo luogo, sugli effetti di una svalutazione sui salari reali e sulla quota salari, posso sapere, di grazia, cosa dovrei farmene del grafico di figura 7 riportato nella lettera d’amore-odio di Bagnai? Da economista teorico lo chiedo, sommessamente, all’econometrico, il quale sa di certo che da quella serie temporale non si può ricavare nulla che possa vagamente somigliare a una conclusione valida in generale e per il futuro. Cerchiamo allora di ragionare concentrandoci su un insieme di dati più ampio, ma riferito al caso specifico della crisi di un regime di cambi fissi, che è quello che ci interessa da vicino. Bagnai sa bene che sussistono numerose evidenze del fatto che uno sganciamento da un cambio fisso e una successiva svalutazione possono coincidere con una riduzione dei salari reali e della quota salari tutt’altro che trascurabili. Naturalmente, va ricordato che dal crollo dello SME al 1998 in Italia i salari reali rimasero quasi stazionari, e in Spagna e Francia aumentarono persino leggermente (real compensation per employee, dati Ameco). Ma bisogna anche tener presente che le quote salari di quei paesi si ridussero in misura consistente: in Italia, in particolare, la caduta fu pesantissima, dal 62% al 54% (adjusted wage share, dati Ameco). Qualcuno forse ritiene che in fondo conti solo il salario reale, e che la quota salari non sia importante? Spero che nessuno si azzardi a pensarla in questi termini: la dinamica delle quote distributive è forse l’indicatore chiave del cambiamento nella struttura socio-politica di un paese. Il fatto che in Italia quel crollo della quota salari sia avvenuto in concomitanza con una perniciosa mutagenesi del ruolo del sindacato non è certo casuale. Per giunta, tornando ai salari reali, si dovrebbe tener presente che l’arco 1992-1998 coincide in realtà con una transizione da un regime di cambi fissi ad una ancor più stringente unione monetaria, per l’ingresso nella quale si richiedeva una convergenza verso una nuova parità di cambio. E’ evidente allora che l’inflazione fu contenuta anche in virtù di quella convergenza! In una diversa situazione cosa potrebbe accadere? Difficile a dirsi. Le evidenze di cui disponiamo danno i risultati più disparati. Tra quelli meno piacevoli segnalo che nel 1994-1995, dopo i deprezzamenti, Turchia, Messico e Argentina registrarono in un anno cadute dei salari reali rispettivamente del 31%, 19% e del 5%, e che dopo la svalutazione del 1998, in Indonesia, Corea del Sud e Tailandia si verificarono diminuzioni dei salari reali del 44%, 10% e 6% (dati ILO e World Bank). Intendiamoci, così come è sbagliato tralasciare gli effetti sui salari, sarebbe un errore altrettanto ingenuo – o in malafede – ritenere che l’uscita dall’euro implichi necessariamente simili crolli. Tuttavia, se guardiamo non solo alla divergenza accumulata ma anche a quella prospettica dei costi unitari del lavoro interni alla zona euro, sembra logico prevedere che, dopo un eventuale sganciamento dall’euro, la dinamica delle variabili monetarie sarebbe considerevole. Pertanto, a meno di cadere nel vizio di Blanchard di considerare il markup come una variabile dipendente dalla sola elasticità della domanda e insensibile alla dinamica delle variabili monetarie, ho il forte sospetto che faremmo bene a cautelarci, esigendo: 1) una indicizzazione dei salari, 2) un ripristino dei controlli amministrativi su alcuni prezzi “base” ed anche 3) una politica di limitazione degli scambi che ci aiuti a governare meglio le fluttuazioni delle valute. Chi si ostina a eludere questo problema deve capire che così non aiuta la transizione ma la ostacola.
Infine, è evidente che dentro la zona euro il valore relativo dei capitali nazionali dei paesi periferici declina, ma per quale motivo questa ovvietà dovrebbe esimerci dall’esaminare l’effetto ulteriore e accelerato che una svalutazione avrebbe su quel valore? Solo una sindrome à la Eugene Fama potrebbe indurci a ritenere che i prezzi correnti abbiano già pienamente scontato la svalutazione futura! In realtà, l’ampia letteratura sui “fire sales” segnala che il deprezzamento del cambio in genere implica una ulteriore caduta ex-post dei prezzi degli assets. Per questo, occorre mettere in chiaro che un eventuale sganciamento dall’euro deve essere immediatamente affiancato da vincoli alle acquisizioni estere, in campo sia bancario che industriale. La sequenza del 1992, in cui svalutazione, privatizzazioni e dismissioni all’estero furono legate da una precisa catena logica, dovrebbe averci insegnato qualcosa, spero. Ancora una volta, chi gioca a sostenere che “possiamo far saltare la moneta unica” e poi il resto si vede, non ha capito niente. Io però confido che Goofy capisca».
[3] A. Bagnai. Inflazione, svalutazione e quota salari. 6 settembre 2012
Le euro-oligarchie lotteranno fino all'ultimo per tenere in vita la moneta unica, il morto che cammina. La costruzione dell'eurozona e dell'Unione europea hanno implicato la nascita e lo sviluppo di una tecno-burocrazia dalla dimensioni ciclopiche. Questo pachiderma si è sviluppato per cerchi concetrici, dai due centri di Bruxelles e Francoforte, fino ad afferrare i singoli paesi, le loro macchine statuali e amministrative.
Un enorme organismo politico e burocratico continentale, con un suo complesso sistema nervoso che ubbidisce ad un sordo istinto di sopravvivenza. Infondo parliamo di un apparato con una catena di comando che coinvolge decine di migliaia di funzionari. A questo apparato di tecnici va aggiunto l'esercito sterminato dei funzionari politici: centinaia di migliaia. Non si faranno da parte tanto facilmente, le tenteranno tutte prima di arrendersi.
Siccome lo scoppio dell'eurozona è nell'ordine delle cose, è evidente che coloro che sono alla guida di questa mostruosa macchina hanno un "Piano B". Dati gli squilibri crescenti essi potrebbero concepire un passo indietro, pilotando quella che è stata chiamata "segmentazione controllata dell'eurozona", tornando ad un sistema che noi abbiamo chiamato "Sme-reloaded", per poi tornare nuovamente, una volta usciti dalla depressione economica, alla moneta unica.
Un simile "Piano B" sarebbe dunque l'extrema ratio per tenere in piedi la baracca oligarchica e bancocratica europea, affinché non soccomba ed anzi rafforzi le sue claudicanti posizioni nella competizione globale. Il grande capitalismo finanziario tedesco, verso il quale gli apparati euristi sovranazionali hanno una relazione simbiotica e di subalterneità, alla fine potrebbe fare un passo tattico indietro e accettare un simile "piano B" per quindi fare un nuovo passo "avanti" strategico. Lo accetterà a condizione che il mercato unico non sia messo in discussione, poiché quest'ultimo è la conditio sine qua non del successo della sua politica mercantilistica ed egemonica.
Questo "Piano B", è vero, potrebbe implicare un riaggiustamento delle bilance commerciali e dei pagamenti tra i diversi paesi, ed anche una ristrutturazione dei debiti sovrani. Ma in cambio di questa concessione tattica la Germania, per nome e per conto delle grandi istituzioni predatorie finanziare e bancarie globali, chiederebbe una resa strategica di sovranità da parte dei diversi paesi, trasformandoli in vassalli, in appendici del sistema industriale tedesco, produttori di semilavorati a basso costo per la sua potente macchina industriale, quindi serbatoi di mano d'opera a basso prezzo.
Occorre quindi mettersi di traverso a questo "Piano B". Per questo diffidiamo di coloro che, pur da sinistra, vaticinano, al posto dell'euro, una cosiddetta "moneta comune". Non è accettabile che, in nome di un malinteso ed equivoco "ideale europeista" (questa narrazione che tanti danni ha fatto a sinistra) si scambi il diavolo con l'acqua santa. I fautori della cosiddetta "moneta comune" debbono dirci con chiarezza se sono favorevoli o contrari al MERCATO UNICO, concetto che costituise la quint'essenza delle concezioni e delle politiche liberiste e libero-scambiste —ovvero che il mercato dev'essere lasciato a se stesso poiché tutto aggiusta, quindi senza interferenze politiche e statuali.
I monetacomunisti ( si fa per dire) debbono dirci se i paesi "periferici", cioè quelli, come l'Italia che stanno schiattando anche a causa dei meccanismi predatori del capitalismo-casinò, hanno o no il diritto di proteggersi, ovvero di sganciarsi e fuoriuscire dalla gabbia. Debbono dirci come pensano sia possibile, senza uno sganciamento, difendere gli interessi del mondo del lavoro, delle larghe masse; come pensano siano applicabili misure per la piena occupazione e di difesa dello stato sociale, senza riacquisire piena sovranità nazionale.
Di risposte convincenti da parte dei monetacomunisti non ne vediamo. Significativo da questo punto di vista, che anche un compagno come Sergio Cesaratto (che fu il vero animatore, assieme tra gli altri ad Emiliano Brancaccio, dell'Appello dei Cento economisti del luglio 2010), pur continuando a ritenere l'Unione europea un bene prezioso, sia giunto anche lui alla conclusione che occorre sbarazzarsi dell'euro tornando alle valute nazionali ma dentro, appunto, ad un percorso di separazione consensuale e pilotata poiché «La premessa è che l’Unione Europea va salvaguardata e che, dunque, la rottura dovrebbe essere negoziata e pacifica». [1]
La premessa è ovviamente discutibile. Ma che fare se questa separazione consensuale non fosse praticabile? Se, magari innescata dallo scoppio della prossima bolla finanziaria made and from USA, ci trovassimo di fronte una deflagrazione disordinata?
Allora avremmo che i singoli paesi sarebbero obbligati a correre ai ripari e il ritorno alle diverse sovranità monetarie sarebbe necessariamente guidato dalle forze politiche al potere.
Fare gli esorcismi a questa eventualità a poco serve. Serve invece capire quanto dirimente diventi, in questo caso, la questione della cosiddetta "uscita da destra o da sinistra". Alcuni hanno fatto e continuno a fare spallucce. Da destra o da sinistra, basta che se ne esca.
Non scherziamo!
In questo quadro è di grandissima rilevanza la polemica tra Emiliano Brancaccio e Alberto Bagnai. Continuiamo a ritenere che Brancaccio avesse sostanzialmente ragione, ovvero che una gestione da parte di forze liberiste di destra dell'uscita dall'euro si risolverebbe in un disastro per i salariati e le masse popolari, in un vantaggio per quelle dominanti (prima di tutto per le sue frazioni globaliste e già globalizzate), col rischio supplementare, senza porre rigidi vincoli ai movimenti dei capitali sia in campo bancario che industriale e una politica di decise nazionalizzazioni, che l'italia sia costretta a capitolare agli assalti dei capitali stranieri svendendo banche e aziende a causa del deprezzamenmto dei loro asset. [2]
Il problema è quindi squisitamente politico. E come rispose Bagnai? In questo modo:
«Non ha molto senso chiedersi come gestire la transizione perché è matematicamente certo, come ci siamo detti, che essa verrà gestita dalle persone sbagliate, quando il mercato le costringerà a farlo. (...) non si uscirà dall’euro con un governo di sinistra. Bisogna quindi rassegnarsi al fatto che, salvo ritrattazioni della sinistra (comunque disastrose in termini elettorali), se si uscirà si uscirà con un governo di destra, o con un governo di sinistra che fino al giorno prima avrà difeso l'euro (cioè avrà fatto politiche di destra)». [3]Era l'estate 2012, e già Bagnai ci consigliava di rassegnarci al fatto che le destre berlusconiane e leghiste avrebbero gestito lo shock dell'uscita dall'euro. Di acqua ne è passata sotto i ponti. Fedele al suo vaticinio, il Nostro non è restato con le mani in mano. Con quelle destre ha avuto i primi abbocchi per poi mettersi al loro servizio.
Alcuni ci chiedono dove sia la "pistola fumante", la prova incontrovertibile di quanto andiamo dicendo. L'avrete presto, prima di quanto pensiate. Tre indizi fanno tuttavia una prova, e di indizi ce ne sono oramai a iosa, tra cui, come abbiamo più volte segnalato, la firma da lui apposta al Manifesto di solidarietà europea (gennaio 2013), assieme a liberisti ed esponenti dell'establishment eurista. L'ultimo indizio è la neonata associazione A/simmetrie, fondata in combutta con Borghi Aquilini, Giorgio La Malfa e il pezzo da novanta del sistema Paolo Savona.
Noi non ci rassegnamo affatto all'idea che siano le destre liberiste a gestire il ritorno alla sovranità monetaria. Se così sarà lo shock dell'uscita sarebbe un colossale disastro per il popolo lavoratore.
Gli uscisti di destra svaluteranno sì per dare fiato alla macchina produttiva, ma non vorranno una scala mobile per proteggere i salari dei lavoratori dipendenti ed anzi continueranno politiche di deprezzamento dei salari.
Essi non adotteranno nessuna politica keynesiana di piena occupazione ma, al contrario, vorranno una disoccupazione alta per tenere a freno i salari.
Riavremo sì la lira ma gli uscisti di destra non torceranno un capello alle grandi banche d'affari, mentre andrebbero nazionalizzate.
Essi accentueranno i processi di privatizzazione, mentre le aziende industriali strategiche dovrebbero anch'esse essere poste sotto controllo pubblico.
Né essi vorranno toccare il gioco d'azzardo finanziario e la libertà di spostamento dei capitali, mentre occorrerà porre vincoli stringenti ai loro movimenti.
E continueranno le politiche d'austerità e di tagli alla spesa pubblica pur di rimborsare i creditori-strozzini, ovvero la finanza speculativa globale, di cui le banche fanno la parte del leone.
E siccome non c'è alcun dubbio che simili politiche liberiste simil-sovraniste causeranno aspri conflitti sociali, potete scommetterci, siccome è nel loro Dna, che gli uscisti di destra si sbarazzeranno definitivamente della Costituzione e della repubblica parlamentare portandoci tutti in uno Stato di diritto penale presidenzialista e di polizia.
Ognuno capisce, se vuole capire, perché è necessario mettersi di traverso a queste forze. E il primo modo per mettersi di traverso e di prepararsi alla resistenza, è quello di denunciare come trappola ideologica quella per cui c'è solo l'uscita, che essa non sarebbe né di destra né di sinistra.
A chi ci dice, rassegnato, che la battaglia è persa in partenza diciamo che si sbaglia.
Lo shock in arrivo sbragherà entrambi i due blocchi sistemici che hanno dominato la seconda repubblica. Tutto è ancora possibile. Il terremoto elettorale che si è registrato a febbraio, ha dimostrato quanto i due blocchi sistemici siano putrescenti. E' emersa una terza forza espressione di una protesta popolare di massa.
Chi l'ha detto che di lì non possa sorgere la leva per pilotare l'uscita e coniugare la riconquista della sovranità nazionale e monetaria con gli interessi delle larghe masse?
NOTE
[1] «Por termine al folle esperimento implica passaggi assai complessi (v. anche Levrero 2012). La premessa è che l’Unione Europea va salvaguardata e che, dunque, la rottura dovrebbe essere negoziata e pacifica. Questo complica quello che è, forse, il problema più complesso da risolvere. Scelte democraticamente prese e negoziazioni internazionali implicano processi politici assai lunghi e pubblici i quali, tuttavia, sono incompatibili con la stabilità finanziaria. Al primo vago accenno che forme di rottura dell’UME sono all’ordine del giorno politico si scatenerebbe infatti una enorme speculazione volta a spostare i capitali finanziari dai paesi con (futura) moneta debole verso quelli con (futura) moneta forte. Il che vorrebbe dire la fine immediata della moneta unica nel peggiore dei modi possibili. L’unica strada percorribile sarebbe di accordi presi un venerdì sera almeno da un consesso di paesi che contano, da ratificarsi nel week end nei parlamenti nazionali.
Banche e mercati sarebbero destinati a rimanere chiusi, tuttavia, anche per alcuni giorni successivi durante i quali verrebbero adottate misure volte ad assicurare una transizione dolce verso le monete nazionali. Gli accordi dovrebbero definire un quadro di risoluzione per i rapporti di debito-credito, ora denominati in euro, una volta effettuato il passaggio a monete nazionali. Ma come si fa ad assicurare la segretezza prima del citato vertice? Dato che questo è impossibile, è più realistico ritenere che a tale vertice si arrivi in seguito a un grave evento scatenante, come una crisi politico-finanziaria di prima grandezza in Italia o Spagna, tale da indurre alla chiusura dei mercati prima del vertice. Una volta sancita la rottura – che potrebbe sostanziarsi in un ritorno generalizzato alle monete nazionali, in un’uscita della Germania e dei suoi satelliti, o in una uscita di uno o più paesi periferici – i paesi che adottano una nuova moneta avrebbero il diritto (lex monetae) di rinominare tutti i titoli del debito pubblico e privato nella nuova moneta – a meno che il contratto sottostante non specifichi la rinuncia a tale prerogativa. Alcune forme di debito con l’estero, come quelle intrattenute attraverso la BCE con le altre banche centrali andrebbero rinegoziati. Tutti i pagamenti interni per via elettronica (che includono le carte di credito) – i soli possibili per alcuni giorni – verrebbero automaticamente rinominati nella nuova moneta, mentre in attesa della stampa delle nuove banconote, le banche rilascerebbero banconote in euro ma con una stampigliatura con scritto, ad esempio 10€ = 10 nuova-lira.
La prima decisione che il governo dovrebbe prendere riguarda la fissazione del nuovo tasso di cambio. Per l’Italia verrebbe da suggerire l’antica politica della stabilità del cambio verso il dollaro (in cui è quotato il petrolio) e di una flessibilità controllata verso il marco tedesco. Naturalmente una svalutazione dell’ordine del 20/30% verso il marco sarebbe fisiologica, ma rigidi controlli sui movimenti dei capitali dovrebbero contribuire a una successiva stabilizzazione del cambio. Il secondo indirizzo che il governo dovrebbe prendere riguarda la stabilizzazione dell’inflazione a livelli moderati lasciando sopratutto alla ripresa dell’occupazione il sostegno dei consumi. Tassi di interesse sufficientemente bassi e la ripresa della crescita dovrebbero consentire la stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil e al contempo una moderata espansione fiscale. Non si passerebbe dunque al regno del bengodi, e il paese si ritroverebbe coi problemi di sempre, ma almeno non alla mercé di altri e con qualche speranza, se decide di coltivarsela».
Sergio Cesaratto. Citato da: Quel pasticciaccio brutto dell'euro. Agosto 2013
[2] Emiliano Brancaccio. Un timido guerrafondaio. 24 luglio 2012
«Infine, rilevo tre passaggi analitici del ragionamento di Bagnai che trovo errati, e sui quali credo sia bene spendere qualche parola.
Innanzitutto, nella sua lettera a me indirizzata egli scrive: “…per lunga esperienza di modellizzazione del commercio internazionale colgo immediatamente il banale fatto che una svalutazione reale competitiva è isomorfa all’imposizione di un dazio protettivo”. Banale fatto? Può darsi che mi sbagli, ma intravedo un grave vizio neoclassico in questa proposizione. Evidentemente i modelli cui Bagnai si riferisce o sono fondati su un ceteris paribus di tipo marshalliano, oppure sono basati su assiomi in grado di determinare esistenza, unicità e stabilità di un equilibrio generale di tipo arrowiano. Al contrario, in uno schema di riproduzione, e nella realtà dei fatti, non è per nulla garantito che una svalutazione sia logicamente equivalente al protezionismo, né dal punto di vista della scala, né della composizione, né della distribuzione del prodotto sociale.
In secondo luogo, sugli effetti di una svalutazione sui salari reali e sulla quota salari, posso sapere, di grazia, cosa dovrei farmene del grafico di figura 7 riportato nella lettera d’amore-odio di Bagnai? Da economista teorico lo chiedo, sommessamente, all’econometrico, il quale sa di certo che da quella serie temporale non si può ricavare nulla che possa vagamente somigliare a una conclusione valida in generale e per il futuro. Cerchiamo allora di ragionare concentrandoci su un insieme di dati più ampio, ma riferito al caso specifico della crisi di un regime di cambi fissi, che è quello che ci interessa da vicino. Bagnai sa bene che sussistono numerose evidenze del fatto che uno sganciamento da un cambio fisso e una successiva svalutazione possono coincidere con una riduzione dei salari reali e della quota salari tutt’altro che trascurabili. Naturalmente, va ricordato che dal crollo dello SME al 1998 in Italia i salari reali rimasero quasi stazionari, e in Spagna e Francia aumentarono persino leggermente (real compensation per employee, dati Ameco). Ma bisogna anche tener presente che le quote salari di quei paesi si ridussero in misura consistente: in Italia, in particolare, la caduta fu pesantissima, dal 62% al 54% (adjusted wage share, dati Ameco). Qualcuno forse ritiene che in fondo conti solo il salario reale, e che la quota salari non sia importante? Spero che nessuno si azzardi a pensarla in questi termini: la dinamica delle quote distributive è forse l’indicatore chiave del cambiamento nella struttura socio-politica di un paese. Il fatto che in Italia quel crollo della quota salari sia avvenuto in concomitanza con una perniciosa mutagenesi del ruolo del sindacato non è certo casuale. Per giunta, tornando ai salari reali, si dovrebbe tener presente che l’arco 1992-1998 coincide in realtà con una transizione da un regime di cambi fissi ad una ancor più stringente unione monetaria, per l’ingresso nella quale si richiedeva una convergenza verso una nuova parità di cambio. E’ evidente allora che l’inflazione fu contenuta anche in virtù di quella convergenza! In una diversa situazione cosa potrebbe accadere? Difficile a dirsi. Le evidenze di cui disponiamo danno i risultati più disparati. Tra quelli meno piacevoli segnalo che nel 1994-1995, dopo i deprezzamenti, Turchia, Messico e Argentina registrarono in un anno cadute dei salari reali rispettivamente del 31%, 19% e del 5%, e che dopo la svalutazione del 1998, in Indonesia, Corea del Sud e Tailandia si verificarono diminuzioni dei salari reali del 44%, 10% e 6% (dati ILO e World Bank). Intendiamoci, così come è sbagliato tralasciare gli effetti sui salari, sarebbe un errore altrettanto ingenuo – o in malafede – ritenere che l’uscita dall’euro implichi necessariamente simili crolli. Tuttavia, se guardiamo non solo alla divergenza accumulata ma anche a quella prospettica dei costi unitari del lavoro interni alla zona euro, sembra logico prevedere che, dopo un eventuale sganciamento dall’euro, la dinamica delle variabili monetarie sarebbe considerevole. Pertanto, a meno di cadere nel vizio di Blanchard di considerare il markup come una variabile dipendente dalla sola elasticità della domanda e insensibile alla dinamica delle variabili monetarie, ho il forte sospetto che faremmo bene a cautelarci, esigendo: 1) una indicizzazione dei salari, 2) un ripristino dei controlli amministrativi su alcuni prezzi “base” ed anche 3) una politica di limitazione degli scambi che ci aiuti a governare meglio le fluttuazioni delle valute. Chi si ostina a eludere questo problema deve capire che così non aiuta la transizione ma la ostacola.
Infine, è evidente che dentro la zona euro il valore relativo dei capitali nazionali dei paesi periferici declina, ma per quale motivo questa ovvietà dovrebbe esimerci dall’esaminare l’effetto ulteriore e accelerato che una svalutazione avrebbe su quel valore? Solo una sindrome à la Eugene Fama potrebbe indurci a ritenere che i prezzi correnti abbiano già pienamente scontato la svalutazione futura! In realtà, l’ampia letteratura sui “fire sales” segnala che il deprezzamento del cambio in genere implica una ulteriore caduta ex-post dei prezzi degli assets. Per questo, occorre mettere in chiaro che un eventuale sganciamento dall’euro deve essere immediatamente affiancato da vincoli alle acquisizioni estere, in campo sia bancario che industriale. La sequenza del 1992, in cui svalutazione, privatizzazioni e dismissioni all’estero furono legate da una precisa catena logica, dovrebbe averci insegnato qualcosa, spero. Ancora una volta, chi gioca a sostenere che “possiamo far saltare la moneta unica” e poi il resto si vede, non ha capito niente. Io però confido che Goofy capisca».
[3] A. Bagnai. Inflazione, svalutazione e quota salari. 6 settembre 2012
31 commenti:
"Chi l'ha detto che di lì non possa sorgere la leva per pilotare l'uscita e coniugare la riconquista della sovranità nazionale e monetaria con gli interessi delle larghe masse?"
lo dice il fatto che "lì" non è nemmeno un partito, ma una proprietà privata. E io di proprietari rivoluzionari non ne ho mai visti.
TROLL!!!
Scherzo :-))))))))
Corretteza richiede che le posizioni di tutti vengano illustrate in modo completo. Bagnai ad esempio propone meccanismi di indicizzazione dei salari, controlli ai movimenti di capitali, ripudio del pareggio di bilancio e nazionalizzazione del sistema bancario, ove si rendesse necessario. Posizione espressa in sintesi qui
Correttezza per correttezza:
Tali misure Bagnasconi le proponeva sì, ma prima del suo "salto della quaglia" — che i suoi adepti si ostinano a non vedere.
Da mesi le gettate nel dimenticatoio.
Per certe frequentazioni e in onore di patti con Ribbentrop si deve pagare pegno.
Felice di essere smentiti ed ascoltare dalla bocca del nostro che egli, contestualmente all'uscita dall'euro, propone l'adozione della scala mobile dei salari, dei controlli severi ai movimenti di capitali, il ripudio del pareggio di bilancio e la nazionalizzazione del sistema bancario
Nel suo recente articolo "Quel pasticciaccio brutto dell’euro" Cesaratto offre una chiara ricostruzione della crisi dell'Euro come crisi da bilancia dei pagamenti.
Le cause sono arcinote: mancata convergenza delle politiche nazionali; assenza di meccanismi comunitari di redistribuzione dei redditi dai paesi in surplus a quelli in deficit (ma anche di controllo stringente sulla quantità e qualità della spesa di questi ultimi); e così via ...
La parte dell'articolo che colpisce di più è l'ammissione da parte dell'Autore che la rottura dell'Euro, sebbene ritenuta (come ovvio) lo scenario più desiderabile, rappresenti anche l'opzione più densa di incognite e, comunque, di meno immediata e probabile realizzazione.
Ritengo che un tale bagno di realismo sia opportuno da parte di tutti coloro, a Sinistra, stanno investendo le proprie energie su una tale prospettiva.
A mio avviso, in questo contesto storico, l'uscita dalla crisi e la realizzazione di una società più giusta (anche se non necessariamente più ricca), devono essere perseguiti attraverso la redistribuzione e ridestinazione delle risorse, finanziarie e umane, già esistenti all'interno della nostra società.
Il punto di partenza è quello riconsocere che la ricetta Keynesiana in Italia è già stata utilizzata, e male.
Per quanto si possa essere Keynesiani, bisogna ammettere che spendere i soldi pubblici per sostenere i consumi al tempo presente secondo logiche clientelari (l'equivalente di scavare una buca o poi riempirla) non può avere i medesimi effetti che finanziare, ad esempio, l'istruzione la ricerca. Adesso siamo costretti a recuperare il tempo perduto.
Così pure, la tensione verso una società più giusta non può esaurirsi nella solita "scorciatoia" della spesa pubblica in disavanzo; essa richiede piuttosto lo sforo di una ricomposizione degli interessi particolari delle diverse categorie intorno ad un progetto di sviluppo inclusivo e sostenibile.
Un cordiale saluto
http://marionetteallariscossa.blogspot.it/
@marionettaallariscossa
L'articolo di Cesaratto dice cose giuste ma continuare col mantra castacriccacorruzione distoglie dal problema reale. Questi fenomeni esistono in tutto il mondo, in America è ancora peggio, ma loro sò gli ammerigani quinni sò bravi per definizione. Inoltre non credo che la redazione o la sinsitra cui rappresentano loro voglia fare keynesismo stile DC-PSI-PSD-PRI-PLI - Forza Italia, ma ricostruire l'industria pubblica così come l'istruzione e la ricerca è fondamentale
Caro Emilio,
ci scuserai ma nel tuo commento ci sono alcune sciocchezze.
Liquidare il keynesismo in questo modo:
«Per quanto si possa essere Keynesiani, bisogna ammettere che spendere i soldi pubblici per sostenere i consumi al tempo presente secondo logiche clientelari (l'equivalente di scavare una buca o poi riempirla) non può avere i medesimi effetti che finanziare, ad esempio, l'istruzione la ricerca. Adesso siamo costretti a recuperare il tempo perduto», è come minimo maldestro.
Non sta a noi fare gli avvocati di Keynes, che comunque ti consigliamo si studiare seriamente e una sufficiente base di partenza può essere ascoltare la prolusione di Passarella al seminario FILO ROSSO. Vedi nella Home "Il pensiero di Keynes". Se vuoi approfondire, sempre nella Home, vedi la sezione "MARX KEYNES UN CONFRONTO.
Ecco l'esempio più eclatante del nostro Keynesismo cialtrone.
Nel periodo 1989-2010, la copertura dei disavanzi previdenzali di natura non dichiaratamente assistenziale ha assorbito entrate fiscali nell'ordine dei 660 miliardi.
Un gigantesco "inganno collettivo" che ha alimentato i consumi al tempo presente drenando le risorse che sarebbero dovute essere investite nella modernizzazione del Paese e nella competitività del suo sistema produttivo, in modo da "attrezzarlo" a reggere l'urto della globalizzazione ... e che oggi opprime lavoratori e imprese con un carico di tasse e contributi sociali che ha pochi eguali al mondo ...
Risorse che non sono nemmeno andate ai più bisognosi!
Sulla base delle dichiarazioni dei redditi, il reddito mediano da lavoro dipendente nel 2011 è risultato inferiore ai 20.000 euro (al lordo di imposte e contributi). Nello stesso anno, i pensionati che hanno dichiarato redditi superiori sono stati oltre 4,8 milioni (il 32% del totale).
Nel 2010 il reddito mediano delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente è risultato pari a 30.089 euro (al netto di imposte e contributi). Le famiglie di pensionati con un reddito superiore a 32.000 euro sono risultate il 27,4%. Percentuale che risulterebbe ben superiore se si normalizzasse il reddito familiare rispetto al numero di componenti tra i quali quel reddito deve essere suddiviso (2,96 per le famiglie di dipendenti e 1,88 per quelle di pensionati).
Quanto al patrimonio, la stessa indagine della Banca d’Italia evidenzia che il valore mediano della ricchezza netta delle famiglie di lavoratori dipendenti era pari a 138.630 euro (immobili più attività finanziarie, al netto dei debiti contratti). Le famiglie di pensionati con una ricchezza superiore a 164.000 Euro risultavano il 52,8% del totale. In particolare il 77,1% delle famiglie di pensionati vive in una casa di proprietà, contro il 62,5% dei lavoratori dipendenti.
Questa è la verità, per chi abbia voglia di vederla: milioni di pensionati hanno goduto e godono di redditi e patrimoni superiori a quelli dei lavoratori che, faticosamente, stanno pagando la loro pensione. In aggiunta, la vita dei lavoratori è molto più complicata di quella dei pensionati: ci sono la precarietà del lavoro e la disoccupazione, i figli da far crescere, per molti l’affitto o le rate del mutuo da pagare per continuare ad avere un tetto sulla testa ...
Svegliaaaaaa!
http://marionetteallariscossa.blogspot.it/2013/04/lavoratori-schiacciati-dalle-pensioni.html)
Cioè, fatemi capire: voi credete che 1) gli elettori dei 5 stelle siano un blocco omogeneo di purissimi proletari; 2) questo blocco ci guiderà al sol dell'avvenire? No, dico, ci credete sul serio?
Scusate non ho capito e siccome è da n po' che non capisco vi chiedo cortesemente se mi potete dare qualche spiegazione.
Uscire da destra ossia l'uscita governata dalleforze neoliberiste non va bene.
Il PD e il PDL immagino siano forze neoliberiste o comjnqe forze che considerate di destra.
Allora mi dite chi è che esce dall'euro?
State per caso dicendo che Grillo potrebbe andare al governo?
E che lui farebbe l'uscita da sinistra?
Se ho capito bene la mia opinione è che questa vostra analisi sia completamente campata in aria.
Scusate la franchezza ma spero che sia chiaro che sto esprimendo la mia personale visione della situazione che diverge dalla vostra.
@Emilio L.
Scusa Emilio ma la tua tesi che i pensionati sono più ricchi perché si sono appropriati dei soldi dei loro figli non posso fartela passare.
Mettiamola invece così: i pensionati sono riusciti a strappare trattamenti salariali migliori di quanto riescano a fare, oggi, i loro figli e nipoti. Conseguentemente stanno meglio.
Che colpa ne ha un pensionato, che ha saputo difendere il suo reddito dalle mani rapaci del capitale, se questi coglioncelli di oggi lavorano per 400 euro al mese ma, se hanno un cellulare, cinguettano felici? I giovani vogliono più reddito? Che si ribellino! Io non ho fatto altro da quando respiro.
@anonimo delle 02e53:si,i due partiti al governo sono di destra,ma in una reale scala di valori,il Pd lo è di più.Quindi la tua affermazione contiene già la risposta che volevi sentire.Chi deve uscire dall'euro?In merito mi pare siano state già fornite una quantità tale di dati a sostegno della sua auspicata fattibilità,da riempire un'enciclopedia.Ma sino a quando la base elettorale del Pd,costituita in gran parte da percettori di pensioni e redditi da lavoro autonomo,continueranno a credere nel "sogno europeo",la sua realizzazione resterà solo un'ipotesi,concreta si,ma lontana nel tempo.In quanto al m5s,meno male che esiste,altro che Armata Brancaleone!Lì è riposta l'unica speranza di contrasto al regime criminale dei poteri forti riuniti nella Troika, accampati oramai stabilmente nel nostro paese,fiancheggiati e sostenuti dalle forze attualmente al governo.
Demetrio
Non solo la discussione sulla tematica è interessante, ma vitale per la maggior parte dei cittadini italiani i quali tuttavia e purtroppo non solo sono poco informati (ed è difficilissimo esserlo) ma se ne interessano assai moderatamente.
In effetti l'argomento è spinoso e insidioso e non è detto che sia tutto chiaro e lapalissiano.
E' sicuro, per esempio, che l'Euro ad un certo punto minacciava di fare da contraltare al dollaro e certi paesi produttori di petrolio pensarono temerariamente di sostituirlo ai petrodollari. Saddam e l'Irak fecero una fine tragica e miseranda per questo minacciato "pericolo".
Tuttavia il rischio di emuli di Saddam non fu affatto eliminato con la catastrofe irachena.
Non è da escludere che i "potenti del Dollaro" abbiano deciso a prendere in più impegnata considerazione la necessità di portarlo allo sfacelo ma ora, che molti paesi europei prospettano l'intenzione di uscire dalla moneta "canaglia" si sono accorti che la moneta unica europea si è rivelata, trafficando abilmente, un cavallo di Troia micidiale per annientare l'economia e la sovranità degli stati dell'Unione ingabbiando le nazioni come hanno fatto con trattati che sono catene inossidabili.
@Ecodellarete
E bravo Ecodellarete che cade subito subito nella trappola. Al primo liberista che ripropone idee fallimentari e sorpassate (e sì, perché sul suo sito Emilio pare che parli di liberalizzazioni mancate e compagnia bella, come no) lui risponde aizzando ancora di più il conflitto generazionale. Gli si dice "colpa delle generazioni passate" e lui risponde pronto e tosto "no, colpa delle generazioni presenti che non sanno protestare".
Certo la tesi secondo cui le precedenti generazioni sono più ricche (cosa non sempre vera) perché hanno consumato le ricchezze delle generazioni è soltanto mistificazione.
Ma non si può tacere che molto del degrado in cui siamo è ascrivibile anche all'inerzia di quelle generazioni oltre che delle presenti. Non si può certo gettare un colpo di spugna sul fatto che l'estremismo individualista, assieme agli altri dogmi del capitalismo, si è sviluppato proprio con le generazioni del '68. Il fenomeno dei BOT people, che ha spinto le gente comune a ragionare di tassi di interesse come fossero dei capitalisti, risale alle precedenti generazioni. Non hanno capito, perché non potevano capire e anche perché faceva loro comodo, che stavano vendendo la primogenitura per un piatto di lenticchie. Al referendum sulla scala mobile ha votato la passata generazione, questa si è ritrovata senza. Inoltre se la protesta che tu auspichi non si vede è proprio perché molti di loro stanno ancora dalla parte conveniente della diagonale del debito di Pasquinelli, più o meno vicini al bordo. Molti di di quelli che possono aiutano, giustamente, i figli che guadagnano 400 euro. Poi c'è chi li chiama bamboccioni, chi li definisce choosy e anche chi li chiama coglioni. Lo so che non sei Maramaldo ma la terapia d'urto è bene lasciarla fare agli psicologi e non agli ingegneri.
E la redazione che ti da pure il suo tacito consenso non rispondendoti neppure.
Ma il punto più importante non è quanto fin'ora ho detto, ma il fatto che la tua reazione si piazza pienamente nel solco di quell'operazione di contrapposizione generazionale dalla quale invece vorresti prendere le distanze. Quell'operazione a cui Grillo troppo spesso ammicca e che tu definisti, correttamente, infame ma alla quale ora presti, forse per un eccesso di ingenuità ed umoralità (e magari anche di vino), il tuo fiato.
Questo purtroppo è indice del fatto che, se e quando quell'operazione dovesse dispiegarsi, troverebbe terreno fertile anche nei posti e nei modi più impensabili.
Come forse direbbe don Abbondio: l'empatia chi non ce l'ha non può darsela (e passi), la coerenza neppure (ma questa non può assolutamente passare in silenzio).
@Giovanni:
Hai ragione, forse sono poco "psicologo", però è un fatto che, ad eccezione che nel M5S, i giovani latitano piuttosto spesso. Io uso il "metodo della strigliata" (che tu dici non va bene), allora prova tu.
E' possibile che la mia sia deformazione professionale: "striglio" un centinaio di adolescenti al giorno. I quali, per altro, nonostante gli scontri iniziali (nelle prime settimane dell'anno scolastico) dopo un po' cambiano idea, e vanno dal preside se, per caso, mi assegnano ad un'altra sezione. E' successo, più di una volta.
Insegno da 30 anni (scuola pubblica e formazione), a grandi e piccini, e posso permettermi di dichiarare pubblicamente, senza tema di essere smentito da alcuno, che i risultati scolastici dei miei studenti sono regolarmente superiori alla media, con alcune clamorose punte di eccellenza, sia di classe che individuali. Come faccio? Strigliate e... sorrisi e pacche sulle spalle, quando (e solo quando) ognuno fa il suo dovere. Io per primo. Forse è un po' un metodo da centurione romano, ma funziona.
Tu come fai con i giovani? Ammesso che non sia giovane anche tu...
@Ecodellarete.
Non sono solo i giovani del 5S a latitare. Conosco un sacco di giovani nella gioventù comunista, alcuni di loro addirittura 14 enni che detengono una cultura e una preparazione non dico avanzata ma molto buona, visto che leggono Lenin, Mao, etc... gia a 14 anni, non so se te ne rendi conto.
Ma oltre a questi ce ne sono tanti altri, anche in altri movimenti, l'ho detto perchè non volevo polemizzare. Anch'io sono giovane e mi secca dover sempre sentire le solite storie dei giovani fissati soltanto ai telefonini.
Io pure ho fatto le superiori, e capisco cosa si prova a fare il professore visto che ho una madre che fa l'insegnante, e le stesse cose che subisci tu le ho subite anch'io ma da alunno, ma in forma diversa.
C'è un refuso nella frase: i giovani del 5 stelle a NON latitare.
@Ecodellarete
Ma si vede subito che sei uno di quegli insegnanti che i ragazzi adorano.
Il problema è che politicamente bisogna rivolgersi a degli adulti, non a dei ragazzi/ini e questo evidentemente ti è meno chiaro.
La situazione è più complessa di un rapporto insegnante/allievo e a mio avviso è significativo che tu ti assegni la parte dell'insegnante che deve strigliare i cittadini.
Forse se cominciaste a riflettere sul fatto che risvegliare le coscienze non significa porsi come docenti-centurioni ma piuttosto riflettere sulla propria incapacità di mettersi sullo stesso piano delle persone con le quali si vuole instaurare un rapporto; forse riuscireste a mettere su dei seminari meno strettamente "didattici", più di successo e più proficui.
La vostra modalità è solamente "dobbiamo rendere più spettacolare il messaggio o magari semplificare i contenuti".
No, dovete far parlare la gente e ascoltare. Cambiando questo punto di vista scoprireste molte cose interessanti, ma capisco che è difficilissimo.
eco della rete ha ragione quando parla dei pensionati di "vecchi" che hanno saputo guadagnarsela quella pensione.
per le nuove generazioni non gli si può dare la responsabilità del non impegno perchè veniamo da oltre un ventennio di LOBOTIZZAZIONE delle coscienze una manipolazione mentale degli esseri umani diventati da cittadini a sudditi merce. come dice un vecchio proverbio dalle mie parti il Cane morde lo stracciato.
l'anonomimo (non mi piace comunare con loro perchè sono come chi getta un saso e nasconde la mano.)è completamente dentro la logica liberista perchè purtroppo è solo quella che ha conosciuto e di cui è pervaso.
Caro Giovanni,
mi ritengo di sinistra, ma cerco di non nutrirmi di chiacchiere ed astrazioni ...
... se l'attuale sistema di welfare destina le risorse limitate che oggi ha a disposizione per i garantire "diritti acquisiti", piuttosto che soccorrere gli ultimi, non ci vedo nulla di sinistra ...
... se le risorse dello stato, tante o poche che siano e siano state, sono state indirizzata per sostenere il consumo al tempo presente di merci (sempre più importate), anziché essere investite nella competitività del sistema produttivo e nel sistema dei beni comuni fruibili da tutti, anche qui non ci vedo nulla di sinistra ...
Un cordiale saluto
marionetteallariscossa.blogspot.it
@Anonimo che scrive "Il problema è che politicamente bisogna rivolgersi a degli adulti, non a dei ragazzi/ini"
E c'hai ragione! Per questo serve che il numero di militanti cresca, così che le voci e i messaggi siano molteplici! Per quanti sforzi io possa fare mi porto dietro i miei 57 anni. Sono la mia storia, sono "quello che sono", questo so fare. Tra l'altro, tempo pochi anni, sarò molto più vecchio e debole, per cui è INDISPENSABILE che altri raccolgano la bandiera. Io questo so fare, mi sforzo sempre di migliorare, ma (repetita iuvant) questo sono. E allora striglio i giovani... perché qualcuno dovrà pur prendere il testimone!
@Emilio
Capisco che tu ti senta di sinistra ma il linguaggio che usi è proprio quello dei liberisti. Sprechi, corruzione sono i loro cavalli di battaglia, che ovviamente aumentano con la deregolamentazione e le liberalizzazioni. Meno male che non sono andate in porto perché l'obiettivo era un altro, appropriarsi delle nostre attività strategiche per ridurci alla più miserabile subalternità. Su questo è molto esplicito questo blog, ma anche e soprattutto il blog di La Grassa. Poi ognuno è libero di credere in ciò che vuole.
@Ecodellarete
Io non sono più proprio giovane, vado per i 42 anche se ne sento addosso di più. Mi hai postato un riassunto della tua esperienza per dimostrare la validità del tuo metodo, il riassunto della mia puoi trovarlo qui. Lo so che è un po' una deformazione professionale. Pensa che nei quartieri più degradati della mia città i ragazzi, a volte, si presentano anche coi coltellini nascosti. Per fortuna non ci sono mai dovuto andare. Mi dici "prova tu" e mi chiedi "tu come fai coi giovani", io faccio, anzi facevo, loro le mie lezioni cercando di interessare quei pochi che volevano seguire, esattamente come nella risposta di D'Andrea. Pur nelle difficoltà di trovarsi davanti persone che avevano sempre di più perso anche il sapere di "come si studia". Pur nella difficoltà di dover imparare io stesso molte cose on-the-road e scoprendo io stesso che, contrariamente a quanto dicono molti colleghi, in fondo era piacevole stare in aula. Questo lo diceva anche Bagnai ed anche per questo mi piaceva (che delusione). Io non sono attivista, anzi sono un po' eremita, non siamo tutti uguali e come tu giustamente osservi ognuno ha la sua storia e se la porta appresso. Tu il tuo lavoro di attivista lo fai bene, hai ripreso Mastrangeli con la telecamera, stai col fiato sul collo a Bagnai insieme agli MPL e tante altre cose. Ma adesso andiamo al punto, scrivi anche: Io uso il "metodo della strigliata" (che tu dici non va bene) e vedo che c'è un piccolo equivoco, perché non ho detto che non va bene quindi ripeto diversamente. Nella tua risposta tu commetti, secondo me, due leggerezze:
1) per amor di brevità, e forse eccesso di impulsività, riassumi la cosa restando nei termini del conflitto fra generazioni. Come dire: c'è da dare una colpa, qualcuno la da alla generazione passata tu invece sembri darla a quella presente. Ma questo credo sia un equivoco che non corrisponde al tuo pensiero, generato da un messaggio troppo breve. Figurarsi se Ecodellarete il sanguinario (la definizione è tua) risparmia la generazione passata dalla strigliata, lui striglia democraticamente tutti. Deve essersi distratto.
2) Il metodo della strigliata va anche bene ma occorre fare attenzione al fatto che ci si muove su un confine pericoloso e molto sfumato. Dall'altro lato del confine ci sta questo, la colpevolizzazione della vittima. La pagina italiana per ora è scombinata, non era così pochi giorni fa, prima poi la riaggiusteranno. Ad ogni modo, se oltrepassi quel confine ti ritrovi a camminare con accanto a Padoa-Schioppa e la Fornero, che tu lo voglia no. Occorre di volta in volta stabilire se si è oltrepassato il confine. Il tuo attacco al quattrocentoeurista, che non si può sentire specialmente su un blog socialista, per me ha oltrepassato quel confine. Libero tu di ritenere il contrario. Ma se volete creare una comunità questo metodo, da solo, non va bene. Fra la strigliata ed il confessionale esistono delle vie intermedie e fra questi due estremi bisogna muoversi con attenzione. L'insegnante, che un po' deve essere anche padre, questo lo sa. Resto convinto che lo sai anche tu, devi solo arrabbiarti un po' di meno coi bersagli sbagliati e magari un po' di più con quelli giusti così compensi.
Ma non ci sarà un po' di isteria in questo blog? E anche un po' troppo di saccenza? Ad esempio, tu che critichi il MPL per il modo di comunicare, entra nel MPL e cambialo dall'interno se sei d'accordo coi dieci principi! L'unico modo di cambiare le cose è militare, guidati dalla giusta analisk, giorno per giorno. Io non sono affatto perfetto, ma sono un militante. E so che stare ad azzuffarsi su internet non serve a molto.
Alcuni amici ci suggeriscono di moderare i commenti. Preferiamo che sia così, senza filtri. Tante cose si capiscono dalle critiche e anche dagli attacchi velenosi. L' aria tira. E che li leggano anche quelli che dicono di condividere il nostro pensiero, così, magari, anche loro, come non sempre accade (migliaia di quelli che ci leggono preferiscono non commentare e non amano le zuffe) sono stimolati a ragionare e rispondere.
fermo restando che per Mpl la rete è solo una parte di quel che facciamo. fermo restando che è anzitutto fuori dalla rete che occorre impegnarsi.
@ Redazione SollevAzione
Ora potete esser felici di essere stati smentiti:
http://goofynomics.blogspot.it/2013/09/confidenze-fra-uomini-di-sinistra.html
Nonostante Ribbentrop, frequentazione di ultraliberisti e quaglie varie il prof. Bagnai parla ancora di indicizzare salari e controllo movimenti capitale.
Gioite.
Direi che Bagnai, con quest'ultimo post sul suo blog, vi ha letteralmente inceneriti...
Meglio ribadire il link:
http://goofynomics.blogspot.it/2013/09/confidenze-fra-uomini-di-sinistra.html
Ecco che rispuntano gli adoratori del guru. Che pena.
Si si, asfaltare (termine ovviamente fascista). Ma mica rispondo mai a critiche circostanziate
(da CDC)
E vabbè torniamo su questo Bagnai. Perché anche D'Andrea confonde il giudizio politico con quello personale. Quindi chiariamo: se Bagnai è bello, brutto, simpatico, antipatico, stronzo, geniale, ai commentatori non dovrebbe fottergliene nulla (linguaggio aulico, così teniamo lontani gli anziani ricconi anonimi). E se qualcuno regola la propria possibilità di un'azione politica in base a questi parametri... beh, allora meglio così, non si capisce cosa farcene.
Il problema che Bagnai non capirà mai - proprio perché predica bene e razzola male ad esempio sulle competenze - è invece politico e intellettuale. Partiamo dal problema intellettuale. Lui crede assurdamente che esista una forma di razionalità che governa le vicende umane. Tutti i suoi "stupori" di fronte al fatto che la "sinistra" (lasciamo per ora da parte il fatto che lui non abbia idea di cosa definire di sinistra) di volta in volta - questo sì a seconda dell'umore - "tradisce", "sbaglia", è "contraddittoria" rivelano una sola cosa: essendo ideologicamente orientato - dalla parte sbagliata - non può comprendere che la razionalità in sé non esiste. Non solo, ma essendo, dice, economista dovrebbe almeno conoscere le "funzioni d'utilità" degli attori. Che regolano le loro "razionalità" molto spesso - ovviamente non sempre - in base a questo. (continua)
(segue)
Ora, tutti questi discorsi sono troppo complicati per uno che ha i suoi studi. Non li capisce e come tutte le cose che non si capiscono dice che "non gli interessano". In questo è limpidamente di destra. Da sempre. Lui crede che essere di sinistra significhi fare l'interesse delle classi meno agiate. E fino a qui ok. Quando arriva a declinare quale sia l'interesse di queste classi, o addirittura come siano composte, non sa cosa dire - di nuovo: non può, le sue competenze sono inesistenti - e se dice qualcosa c'è da mettersi le mani nei capelli. Perché lui pensa ad uno stupido paternalismo: lasciate decidere me (noi economisti) che sappiamo cos'è il vostro bene. Anzi fate una cosa: noi ve lo spieghiamo, voi limitatevi a comprenderlo. Cosa ci sia di "sinistra" in questo francamente mi sfugge. Di destra c'è molto come detto. Il paternalismo, un po' di classismo, anche un piccolo borghese compiacimento per quella che Borges avrebbe chiamato "misera erudizione" (i riferimenti culturali di Bagnai sono quelli di un buon studente di liceo classico, magari qualche romanzo oltre ai classici non gli avrebbe fatto male); l'idea che il "professore universitario" - vaglielo a spiegare che di questi tempi lo siamo tutti... - detenga chissà quale ruolo sociale o conoscenza perché cooptato non tanto da un meccanismo assurdo (a proposito: 4 anni fa è iniziato un movimento di una certa rilevanza, dov'era l'uomo di "sinistra" Bagnai?) quanto da un ceto universitario indecente. (continua)
(segue, scusate la lunghezza)
Insomma, usciamo dall'equivoco una buona volta: Bagnai è un simpatico (a me almeno fa simpatia) uomo di destra. Che non lo capisca, che faccia fatica a comprenderlo non stupisce: cresce in un ambiente in cui basta dare il voto ad un partito che si dice di "sinistra" e per lui va bene così. Mai un attivismo politico, mai un articolo su un giornaletto degno di nota, mai la partecipazione ad un movimento. Forse pensa che bastino i "buoni sentimenti", ma senza scomodare i fascisti qualsiasi liberale pensa di fare gli interessi delle classi meno agiate. Avesse rudimenti di storia del pensiero lo capirebbe senza difficoltà. Ma questo è insito nel suo predicare bene e razzolare male. E' un economista? Bene, si occupi di economia e lasci perdere le previsioni politiche (il PD è morto, l'euro finirà a settembre e cazzate così) perché non ne capisce nulla, non è neanche al livello di un patetico dilettante. Anche questo pezzo in cui se la prende con Gianni (wow) è patetico. Uno gli parla di politica e quello risponde parlando di indicizzazione. Proprio non ci arriva. Quando dice "non convinceremo la Germania"di cosa parla? di economia? Ovviamente no, parla di politica e allora dovrebbe spiegare da dove parte e come arriva ad una conclusione simile. Ma non può non è in grado, se la cava come fanno i "patetici dilettanti": o con una battuta o con l'autoevidenza (ma su, non lo capite anche voi che la Merkel non si convincerà?). Ma questo lo dice lui, è sin troppo facile sostenere che in questo momento storico è più semplice un allentamento da parte della Merkel dei vincoli di austerità piuttosto che la deflagrazione della moneta. Ho torto? ho ragione? E' un discorso politico e andrebbe affrontato politicamente. Ma con lui non si può, non lo sa fare. Quindi, D'andrea che alleanze vuoi fare con uno così?
Inutile pure perdere troppo tempo con l'associazione fatta con un marxista che lavora per le banche, un repubblicano che voleva fondare il partito degli onesti, un liberale che pensa che si è ricchi per merito (bravo Borghi, almeno fai il tuo mestiere di destra), e Paolo Savona, su cui francamente non ci sono parole.
Ah, ovviamente se mai verrà letto una pappardella del genere questa non potrà che essere rubricata tra i vari sinistri "autoreferenziali", "traditori", "invidiosi" (uno che si chiede "perché voi non riuscite a parlare a tutti e io si?" è un cretino a voler essere generosi) e chi più ne ha più ne metta. Ma figurarsi se entrerà mai nel merito. Anche perché la mia è una richiesta assurda: non comprende neanche cosa sia, il "merito". (fine)
eco,
i pensionati si sono "conquistati" buoni trattamenti? versare 30 per 20 anni per poi guadagnare 100 per 40 anni è RUBARE! il buco dell'inps è 105mld annui, 1/4 delle entrate fiscali!
chi si ritiene di sinistra dovrebbe iniziare a capire che i soldi non crescono sugli alberi, se tu nella vita hai prodotto 10 e consumato 50, 40 del consumato l'hanno prodotto altri, quindi sei un LADRO.
antonio.
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