18 settembre. Con questa intervista all'economista Sergio Cesaratto (nella foto) vogliamo aprire finalmente il dibattito su "sinistra e questione dell'euro". Cesaratto ammette che la moneta unica è stata l'architrave di un progetto oligarchico e antipopolare. In questo senso l'euro ha raggiunto i suoi scopi. Tuttavia traballa. Cesaratto non esclude che un evento catastrofico possa portare ad una disordinata rottura dell'eurozona. Propone quindi una "transizione dolce" alle monete nazionali.
D. Prima dell’Euro, ci sono stati altri casi di unioni monetarie senza unione politica?
R. Non ci sono casi di unioni monetarie che abbiano preceduto unioni politiche. È sempre accaduto il contrario. Certo, nel caso di annessioni come quella del Mezzogiorno nel 1860 l’unione monetaria è stata imposta; ma alla lunga la sostenibilità dell’unione ha comportato che le regioni ricche si facessero carico di quelle più arretrate.
D. Quali sono state le carenze nella costruzione dell’Unione monetaria europea?
R. L’Euro nasce senza un meccanismo interno di riciclaggio dei surplus commerciali fra i paesi che hanno aderito alla moneta in surplus – i paesi “core” del Nord Europa – e quelli in disavanzo – la periferia. Un’unione monetaria è cioè sostenibile se ha dei meccanismi interni redistributivi di reddito fra regioni, da quelle in surplus commerciale verso quelle in disavanzo. Solo così si può rinunciare alla propria moneta, e quindi alla possibilità di correggere la propria competitività attraverso aggiustamenti del cambio.
D. Può fare un esempio di meccanismo redistributivo?
R. Dai tempi del gold standard, i paesi periferici hanno aderito ad accordi di cambio fisso quando hanno avuto la possibilità di finanziare la propria crescita attraverso l’importazione di capitali dai paesi centrali. Questi, d’altra parte, si rendevano disponibili a investire all’estero perché si sentivano rassicurati dalla stabilità del cambio, e dal fatto che un sistema di cambi fissi imponeva un impegno alla disciplina di bilancio.
Fino al 2008, c’è stato il riciclaggio da parte delle banche della “core-Europe” dei surplus commerciali di quest’area a favore della periferia. Ma con la crisi questo meccanismo si è inaridito e ora non c’è nulla che lo sostituisca e l’aggiustamento è tutto sulle spalle dei paesi indebitati.
D. Ma quali sono le ragioni che hanno spinto i paesi europei a un’avventura tanto folle?
R. Da una parte, come abbiamo già detto, si è cercato di favorire l’afflusso di capitali nei paesi periferici. E dall’altra l’Unione monetaria europea ha cercato di importare nei paesi più deboli la disciplina dei più forti.
Un tentativo che era già stato compiuto ai tempi del Sistema monetario europeo. Allora, la politica monetaria – ovvero la fissazione del tasso dell’interesse – era sostanzialmente condotta dalla Bundesbank guardando alle esigenze tedesche e non dell’insieme dei paesi membri .
D. La scelta politica dell’austerità per combattere la crisi è stato un errore o c’era chi ha sfruttato l’occasione per perseguire propri fini? E se sì quali erano questi fini?
R. Nel giugno del 2012, l’economista conservatore canadese, il premio Nobel Robert Mundell, ha dichiarato, secondo The Guardian, che la morsa dell’austerità rappresenta la realizzazione dello scopo disciplinante originario dell’Unione monetaria europea.
Un’affermazione che trova una sponda in un articolo pubblicato il 26 agosto 2003 sul Corriere della Sera da Tommaso Padoa-Schioppa, uno dei padri dell’Unione monetaria europea. Secondo il ministro del Tesoro dell’ultimo governo di centro-sinistra:
D. Quali sono le soluzioni che prospetta per cercare di uscire dall’impasse in cui siamo finiti?
R. Essenzialmente ci sono due alternative.
La prima strada è quella tracciata da Keynes e si tradurrebbe in un coordinamento delle politiche fiscali e monetarie in senso espansivo.
Bisognerebbe:
- riformare le istituzioni europee creando una autorità che coordini la politica fiscale;
– rafforzare i poteri dell’Eurogruppo (riunisce i ministri dell’Economia e delle finanze degli stati che adottano l’Euro);
– assegnare alla BCE l’obiettivo della piena occupazione accanto a quello della stabilità dei prezzi.
A completare il quadro ci vorrebbe anche una seria unione bancaria, che preveda meccanismi di prevenzione e di risoluzione delle crisi finanziarie a livello europeo.
Ci vorrebbero misure come la garanzia della BCE sui debiti sovrani – o ancora l’europeizzazione di parte dei debiti pubblici (ovvero i famosi eurobond) – che dovrebbero portare ad una significativa riduzione della spesa per interessi per i paesi periferici consentendo loro di stabilizzare il rapporto debito pubblico/Pil.
Tutto molto bello, ma c’è un problema. La questione è che la Germania non è assolutamente interessata a fare da traino al resto dell’Europa abbandonando i presupposti del proprio modello mercantilista – centrato sull’esportazione, la contrazione della domanda interna e la stabilità di prezzi.
La seconda alternativa è la fine dell’Euro. Por termine al folle esperimento implica passaggi assai complessi. L’Unione Europea dovrebbe essere salvaguardata e per questo dovrebbe essere negoziata.
Scelte democraticamente prese e negoziazioni internazionali implicano processi politici assai lunghi e pubblici i quali, tuttavia, sono incompatibili con la stabilità finanziaria. Al primo vago accenno che forme di rottura dell’Unione monetaria sono all’ordine del giorno politico si scatenerebbe infatti una enorme speculazione volta a spostare i capitali finanziari dai paesi con (futura) moneta debole verso quelli con (futura) moneta forte. Il che vorrebbe dire la fine immediata della moneta unica nel peggiore dei modi possibili.
L’unica strada percorribile sarebbe di accordi presi un venerdì sera almeno da un consesso di paesi che contano, da ratificarsi nel week end nei parlamenti nazionali.
Banche e mercati sarebbero destinati a rimanere chiusi, tuttavia, anche per alcuni giorni successivi durante i quali verrebbero adottate misure volte ad assicurare una transizione dolce verso le monete nazionali. Gli accordi dovrebbero definire un quadro di risoluzione per i rapporti di debito-credito, ora denominati in euro, una volta effettuato il passaggio a monete nazionali.
Ma come si fa ad assicurare la segretezza prima del citato vertice? Dato che questo è impossibile, è più realistico ritenere che a tale vertice si arrivi in seguito a un grave evento scatenante, come una crisi politico-finanziaria di prima grandezza in Italia o Spagna, tale da indurre alla chiusura dei mercati prima del vertice. La rottura potrebbe tradursi in un ritorno generalizzato alle monete nazionali, oppure in un’uscita della Germania e dei suoi satelliti, o infine in una uscita di uno o più paesi periferici.
D. Ritiene che una delle alternative sia più praticabile dell’altra?
R. La via Keynesiana è certamente desiderabile, mentre la rottura dell’euro – pur essendo ancora più desiderabile – è quella più densa di incognite. Tuttavia, entrambe non sembrano attuali. Un incidente di percorso – come una grave crisi politica in Italia che conducesse a una crisi di fiducia sul debito sovrano italiano – ci porterebbe dritti alla seconda alternativa (ma nelle peggiori condizioni). Alla prima prospettiva si contrappongono gli interessi del capitalismo tedesco interessato, peraltro, alla costituzione di un esercito industriale di riserva (un pool di disoccupati) nella periferia europea a cui ricorrere dato l’invecchiamento della popolazione tedesca.
16 settembre 2013
* Sergio Cesaratto, uno dei promotori dell'Appello dei cento economisti del giugno 2010, ordinario di Economia della crescita e di Politica economica europea all’Università di Siena, collaboratore di riviste di economia italiane ed internazionali come Research Policy, Cambridge Journal of Economics, Review of Political Economy e la rivista online www.economiaepolitica.it, autore di contributi giornalistici pubblicati da Il Manifesto, l’Unità, Il Sole 24 Ore e Micromega. Si è principalmente occupato di teoria della crescita e analisi dei sistemi pensionistici in una prospettiva non ortodossa. Il suo blog è politicaeconomiablog.blogspot.it.
** Fonte: LeoEconomia
D. Prima dell’Euro, ci sono stati altri casi di unioni monetarie senza unione politica?
R. Non ci sono casi di unioni monetarie che abbiano preceduto unioni politiche. È sempre accaduto il contrario. Certo, nel caso di annessioni come quella del Mezzogiorno nel 1860 l’unione monetaria è stata imposta; ma alla lunga la sostenibilità dell’unione ha comportato che le regioni ricche si facessero carico di quelle più arretrate.
D. Quali sono state le carenze nella costruzione dell’Unione monetaria europea?
R. L’Euro nasce senza un meccanismo interno di riciclaggio dei surplus commerciali fra i paesi che hanno aderito alla moneta in surplus – i paesi “core” del Nord Europa – e quelli in disavanzo – la periferia. Un’unione monetaria è cioè sostenibile se ha dei meccanismi interni redistributivi di reddito fra regioni, da quelle in surplus commerciale verso quelle in disavanzo. Solo così si può rinunciare alla propria moneta, e quindi alla possibilità di correggere la propria competitività attraverso aggiustamenti del cambio.
D. Può fare un esempio di meccanismo redistributivo?
R. Dai tempi del gold standard, i paesi periferici hanno aderito ad accordi di cambio fisso quando hanno avuto la possibilità di finanziare la propria crescita attraverso l’importazione di capitali dai paesi centrali. Questi, d’altra parte, si rendevano disponibili a investire all’estero perché si sentivano rassicurati dalla stabilità del cambio, e dal fatto che un sistema di cambi fissi imponeva un impegno alla disciplina di bilancio.
Fino al 2008, c’è stato il riciclaggio da parte delle banche della “core-Europe” dei surplus commerciali di quest’area a favore della periferia. Ma con la crisi questo meccanismo si è inaridito e ora non c’è nulla che lo sostituisca e l’aggiustamento è tutto sulle spalle dei paesi indebitati.
D. Ma quali sono le ragioni che hanno spinto i paesi europei a un’avventura tanto folle?
R. Da una parte, come abbiamo già detto, si è cercato di favorire l’afflusso di capitali nei paesi periferici. E dall’altra l’Unione monetaria europea ha cercato di importare nei paesi più deboli la disciplina dei più forti.
Un tentativo che era già stato compiuto ai tempi del Sistema monetario europeo. Allora, la politica monetaria – ovvero la fissazione del tasso dell’interesse – era sostanzialmente condotta dalla Bundesbank guardando alle esigenze tedesche e non dell’insieme dei paesi membri .
D. La scelta politica dell’austerità per combattere la crisi è stato un errore o c’era chi ha sfruttato l’occasione per perseguire propri fini? E se sì quali erano questi fini?
R. Nel giugno del 2012, l’economista conservatore canadese, il premio Nobel Robert Mundell, ha dichiarato, secondo The Guardian, che la morsa dell’austerità rappresenta la realizzazione dello scopo disciplinante originario dell’Unione monetaria europea.
Un’affermazione che trova una sponda in un articolo pubblicato il 26 agosto 2003 sul Corriere della Sera da Tommaso Padoa-Schioppa, uno dei padri dell’Unione monetaria europea. Secondo il ministro del Tesoro dell’ultimo governo di centro-sinistra:
«Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora.Insomma, l’euro non è fallito. Ora sta dispiegando tutta la sua forza devastatrice – tra gli Osanna (postumi) di Padoa Schioppa ed altri come lui.
Ma deve essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l’apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell’uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l’individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato».
D. Quali sono le soluzioni che prospetta per cercare di uscire dall’impasse in cui siamo finiti?
R. Essenzialmente ci sono due alternative.
La prima strada è quella tracciata da Keynes e si tradurrebbe in un coordinamento delle politiche fiscali e monetarie in senso espansivo.
Bisognerebbe:
- riformare le istituzioni europee creando una autorità che coordini la politica fiscale;
– rafforzare i poteri dell’Eurogruppo (riunisce i ministri dell’Economia e delle finanze degli stati che adottano l’Euro);
– assegnare alla BCE l’obiettivo della piena occupazione accanto a quello della stabilità dei prezzi.
A completare il quadro ci vorrebbe anche una seria unione bancaria, che preveda meccanismi di prevenzione e di risoluzione delle crisi finanziarie a livello europeo.
Ci vorrebbero misure come la garanzia della BCE sui debiti sovrani – o ancora l’europeizzazione di parte dei debiti pubblici (ovvero i famosi eurobond) – che dovrebbero portare ad una significativa riduzione della spesa per interessi per i paesi periferici consentendo loro di stabilizzare il rapporto debito pubblico/Pil.
Tutto molto bello, ma c’è un problema. La questione è che la Germania non è assolutamente interessata a fare da traino al resto dell’Europa abbandonando i presupposti del proprio modello mercantilista – centrato sull’esportazione, la contrazione della domanda interna e la stabilità di prezzi.
La seconda alternativa è la fine dell’Euro. Por termine al folle esperimento implica passaggi assai complessi. L’Unione Europea dovrebbe essere salvaguardata e per questo dovrebbe essere negoziata.
Scelte democraticamente prese e negoziazioni internazionali implicano processi politici assai lunghi e pubblici i quali, tuttavia, sono incompatibili con la stabilità finanziaria. Al primo vago accenno che forme di rottura dell’Unione monetaria sono all’ordine del giorno politico si scatenerebbe infatti una enorme speculazione volta a spostare i capitali finanziari dai paesi con (futura) moneta debole verso quelli con (futura) moneta forte. Il che vorrebbe dire la fine immediata della moneta unica nel peggiore dei modi possibili.
L’unica strada percorribile sarebbe di accordi presi un venerdì sera almeno da un consesso di paesi che contano, da ratificarsi nel week end nei parlamenti nazionali.
Banche e mercati sarebbero destinati a rimanere chiusi, tuttavia, anche per alcuni giorni successivi durante i quali verrebbero adottate misure volte ad assicurare una transizione dolce verso le monete nazionali. Gli accordi dovrebbero definire un quadro di risoluzione per i rapporti di debito-credito, ora denominati in euro, una volta effettuato il passaggio a monete nazionali.
Ma come si fa ad assicurare la segretezza prima del citato vertice? Dato che questo è impossibile, è più realistico ritenere che a tale vertice si arrivi in seguito a un grave evento scatenante, come una crisi politico-finanziaria di prima grandezza in Italia o Spagna, tale da indurre alla chiusura dei mercati prima del vertice. La rottura potrebbe tradursi in un ritorno generalizzato alle monete nazionali, oppure in un’uscita della Germania e dei suoi satelliti, o infine in una uscita di uno o più paesi periferici.
D. Ritiene che una delle alternative sia più praticabile dell’altra?
R. La via Keynesiana è certamente desiderabile, mentre la rottura dell’euro – pur essendo ancora più desiderabile – è quella più densa di incognite. Tuttavia, entrambe non sembrano attuali. Un incidente di percorso – come una grave crisi politica in Italia che conducesse a una crisi di fiducia sul debito sovrano italiano – ci porterebbe dritti alla seconda alternativa (ma nelle peggiori condizioni). Alla prima prospettiva si contrappongono gli interessi del capitalismo tedesco interessato, peraltro, alla costituzione di un esercito industriale di riserva (un pool di disoccupati) nella periferia europea a cui ricorrere dato l’invecchiamento della popolazione tedesca.
16 settembre 2013
* Sergio Cesaratto, uno dei promotori dell'Appello dei cento economisti del giugno 2010, ordinario di Economia della crescita e di Politica economica europea all’Università di Siena, collaboratore di riviste di economia italiane ed internazionali come Research Policy, Cambridge Journal of Economics, Review of Political Economy e la rivista online www.economiaepolitica.it, autore di contributi giornalistici pubblicati da Il Manifesto, l’Unità, Il Sole 24 Ore e Micromega. Si è principalmente occupato di teoria della crescita e analisi dei sistemi pensionistici in una prospettiva non ortodossa. Il suo blog è politicaeconomiablog.blogspot.it.
** Fonte: LeoEconomia
14 commenti:
Se volete farvi qattro risate.
Sul blog di Bagnai arriva l'economista Carlo Bastasin che prende di petto Bagnai dicendogli che la Grecia, dal 2011 al 2008, ha registrato un amento di alcune decine di punti percentuali dei redditi.
L'economista Carlo Bastasin, con una faccia tosta impressionante, riporta i dati sulle sue asserzioni (udite udite) IN DOLLARI.
Ma come mai, se in Grecia c'è l'EURO e non i DOLLARI???
Ma è ovvio, perché nel 2001 il dollaro era sopra l'euro mentre nel 2008 sta sotto quindi, più o meno, il greco nel 2001 gadagnava 20000 dollari pari (approssimo) a 22000 euro e rotti; nel 2008 guadagnava dollari 28000 (evviva! l'aumento!!!) ma, ahimè, euro 20000 e rotti.
A questo aggiungiamo l'inflazione che stimiamo per difetto al 2% annuo e abbiamo circa un 15% di perdita sul salario nominale e 15+16=31% netto di perdita reale; e mi sono tenuto basso.
Ci deve essere una regola per cui gli economisti che finiscono in "in" sono tutti pessimi.
No, scsate, preciso che scrivevo in fretta.
Intanto il periodo è 2001 2008 (non 2011).
Poi i dati sono:
2001 20000$=22000e
2008 28000$=18200e
2013 24000$=18800e
Quindi perdita circa del 14,5% solo di nominale.
Il reale varia con l'inflazione che adesso è bassa. Ma mentre saliva e scendeva le persone di basso reddito che perdevano potere d'acquisto andavano in fallimento.
Adesso l'inflazione è negativa ma il grosso dei danni è stato fatto ossia l'impoverimento di una grande massa di cittadini è avvenuto, c'è stato l'arricchimento di pochi e una situazione di equità sociale sarà molto difficile da recuperare.
Certo fa impressione che Bastasin usi dati in maniera che efemisticamente definirei "strumentale"; ma fa ancora più impressione che i Greci non si siano ribellati.
"vogliamo aprire finalmente il dibattito su "sinistra e questione dell'euro".
Era ora, e per fortuna non siete i soli: http://www.youtube.com/watch?v=E8Xyk_0W7go&feature=share
Caro Logos,
la realtà è molto più semplice, e cioè che quest'euro ha le gambe corte (oltre al naso lungo) e la sua corsa volge al termine, la sua missione è compiuta.
Siamo in fase di "recupero crediti", dopodiché chi rompe non paga e i cocci sono nostri. Quanto alla NATO più che tedesco è un problema USA, sulla nostra pelle ovviamente.
Quindi smettiamola di azzardare previsioni, quando il fallimento è già sul tavolo anatomico, conclamato oltre ogni ragionevole dubbio. Semmai è l'ora di guardare avanti, per proporre il dopo-euro meno traumatico e più promettente per rimediare ai guasti del tradimento delle promesse a suo tempo incautamente accettate.
A.Conti - dalla terraferma
Il problema si presenta effettivamente spinosissimo, infarcito di incognite (x, y, z, k, e chi più ne ha più ne metta, alcune pure criptate). Per esempio, al punto della Storia in cui siamo, in quali termini si può parlare ancora di "sinistra" ?
Recentemente lo ha fatto Putin quando ha ricordato che D-o ci ha fatto tutti uguali. Questo è un discorso sicuramente di sinistra perché è proprio sul concetto di uguaglianza fra umani che si eleva lo spartiacque fra destra e sinistra, anzi fra razzisti e umanitaristi. Quando si parla di un'uscita dall'euro "di sinistra" prima di tutto bisogna chiedersi quali possibilità esistano per la "sinistra" di avere un futuro. Ricordiamoci sempre dell'anatema del 1988.
Il simpatico Auriti alla domanda se fosse fascista rispose: "no, perché essere fascista è troppo poco". Per decenni la questione monetaria è stata ignorata da tutti, tranne l'estrema destra, fino a diventare una questione di puzza sotto il naso. Così come per qualsiasi sentimento "nazionalista" o "patriottico", fino al masochismo col culo degli altri di un Letta che scrive un libro "Euro sì. Morire per Maastricht".
E infine l'ultima accusa "infamante" di essere antieuropeista al solo ragionare di moneta comune, perfino nel finale della spaccatura della UE per causa di un progetto politico "made in Germany" sotto lo pseudonimo accattivante di "€uro", perfezionato tra dirigenti di Deutsche Bank e Bundesbank.
E ancora oggi, dopo gli esempi eclatanti di Grecia e Cipro, mentre gli avvoltoi si preparano all'orrido pasto delle "dismissioni2", dopo quelle propedeutiche curate da Mario Draghi dieci anni prima, ancora gli spaccacapelli in 4 si azzuffano sui "significati ideologici" mentre il paese cola a picco, dopo la Caporetto del tessuto industriale e della PMI.
E' come se a Mosca sotto attacco di Hitler si fossero messi a litigare sulle interpretazioni del Capitale di Marx.
Qui l'ottimismo o il pessimismo non c'entra niente, la scelta è se combattere con la dignità della ragione o "lasciarsi morire per Maastricht", come vogliono loro.
Che fine ha fatto l'intelligente contributo sull'Euro di Logos Viaggiante?
Lo avete censurato? Perché?
Il buongiorno si avete dal mattino. Se mettete il bavaglio telematico ad un comunista antimperialista, mi chiedo che farete se andrete alla guida del paese!!
Non criticavate Assad e Gheddafi per essere degli autocrati?
Ora però si devono accettare le conseguenze di tali critiche e dovete aprire il dibattito a 360 gradi, rispondendo punto su punto e non censurando.
Alberto B.
Leggo oggi su Comedonchisciotte un articolo che esprime pessimismo sull'andamento attuale e futuro del dollaro e, nel contempo, prevede una risalita (1,8 o 2 sul dollaro) dell'Euro. Uscire dall'Euro sarà in ogni caso come saltare da un treno in corsa che sta attraversando un viadotto su di un precipizio: che lo si faccia da destra o da sinistra sempre di un precipizio si tratta. Certo più male di così con l'Euro è difficile che vada se è vero che siamo sul limite del commissariamento. Forse ci vorrebbe più coraggio (o temerarietà?) . Tutti i nodi aggrovigliati malamente intrecciati da coloro che hanno governato questo paese almeno da quarant'anni a questa parte stanno venendo drammaticamente al pettine trasformandosi sempre più spesso per i cittadini in nodi scorsoi. Alle volte viene proprio la tentazione di pensare "Audaces fortuna juvat". Ma li vedete i nostri attuali navarchi partire al grido di "O la va o la spacca" ?
Dovrei aggiungere un post scriptum al mio commento delle 16,20. Infatti ho dimenticato di esprimere il sospetto che il viadotto su cui corre il treno eurista dell'Italia, manchi dell'ultimo tratto di collegamento con la "terraferma". Il che, a giudicare dalla situazione attuale del Paese, mi sembra piuttosto probabile!
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