15 settembre. E' significativo e grave quanto ha affermato ieri il Primo ministro Letta, che se cade il suo governicchio sarà Bruxelles a scrivere la la Finanziaria. E l'ammissione, apertis verbis, che il paese, già a sovranità limitata, è vicino al commissariamento formale. Anche per questo lo scardinamento della Costituzione è giunto alla sua fase finale.
Super-porcellum e presidenzialismo muovono i primi passi grazie ai nominati di Letta
Eh, quando si dice la saggezza! Da anni si discute sul taglio dei parlamentari ma, benché siano tutti d'accordo nel dire che sono in eccesso, evidentemente sono ancora troppo pochi. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione di affidare le riforme costituzionali ad una commissione extra-parlamentare, nominata dal presidente del consiglio e benedetta da quello della repubblica.
Lorsignori, insediatisi a giugno, starebbero per chiudere in anticipo il loro lavoro. Si vede che la loro saggezza li rende molto attenti alla tempistica della crisi politica in corso. Sta di fatto che, da domani, si incontreranno per tre giorni in Abruzzo, esattamente a Francavilla, da dove si prevede che invieranno il loro lavoretto a governo e parlamento.
Un lavoro decisamente sporco. Talmente sporco che costringono Letta a gridare che le «le riforme non sfasciano la Carta». Quando si dice la coda di paglia... Le controriforme in gestazione sfasciano eccome la Costituzione, anche se Benigni continuerà certamente ad assicurarci sul fatto che avremo anche in futuro la «costituzione più bella del mondo».
Cosa stanno dunque preparandoci i 35 controriformatori riuniti in provincia di Chieti? Le anticipazioni affidate alla stampa non lasciano dubbi: una legge elettorale ultra-maggioritaria e un sistema di governo presidenzialista. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire.
Prima di entrare nel merito, giova senz'altro ricordare da chi è composta la commissione, un impasto di «studiosi» ben targati politicamente, calibrati con la logica del manuale Cencelli, e tenuti assieme dalla comune visione liberista della società. Tra i personaggi politici di lungo corso ricordiamo la presenza di Luciano Violante (Pd, e presidente del comitato dei relatori che presenterà la proposta), Franco Frattini (Pdl) e Francesco D'Onofrio (Udc). Per il resto è da notare la nutritissima presenza di editorialisti del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, giusto per ricordarci i luoghi dove si annida la «saggezza».
Ma veniamo al dunque. La Carta di Francavilla parlerà anche di procedimento legislativo, bicameralismo, rapporti Stato-Regioni, ma i passaggi veramente decisivi sono i due che abbiamo già anticipato: legge elettorale e poteri del premier.
Perché siano questi i due aspetti principali è presto detto. Non solo perché si tratta di questioni davvero sostanziali, ma anche perché si tratta dei due elementi che vanno da subito ad incardinarsi nello svolgimento della crisi politica. Più esattamente, sarà la legge elettorale super-maggioritaria il vero grimaldello per superare la crisi politica, mentre i nuovi poteri al capo del governo saranno la logica conseguenza di un sistema elettorale implicitamente presidenzialista.
Sul dettaglio della legge elettorale in preparazione rimando ancora una volta all'articolo Presidenzialismo via Violantum?, che mi pare abbastanza esauriente. In sintesi, i controriformatori stanno lavorando ad una legge fortemente maggioritaria, il cui snodo decisivo è rappresentato dal ballottaggio tra i due partiti (o coalizioni) con il maggior numero di voti, sempre che nessuno di questi partiti (o coalizioni) abbia raggiunto il 40% dei suffragi, nel qual caso il premio di maggioranza scatterebbe già al primo turno.
Vi sono poi altri aspetti tesi a rafforzare l'impronta maggioritaria, e dunque a colpire il principio democratico della rappresentanza: uno sbarramento esplicito al 5% e - a quel che si dice - uno sbarramento implicito ancora più elevato, da ottenersi con l'eliminazione del riporto dei resti nel collegio unico nazionale.
Ma concentriamoci sugli effetti del maggioritario a doppio turno, che già basta ed avanza.
Con questa mossa si vogliono ottenere tre risultati. Tutti e tre da tempo nel programma della classe dominante, da decenni ripetuti a pappagallo dai think tank di lorsignori, quei pensatoi nazionali ed internazionali così frequentati tanto dai «saggi» in questione, quanto dagli ultimi due presidenti del consiglio.
Quali sono questi tre obiettivi?
In primo luogo, il raggiungimento di un sistema istituzionale in grado di garantire la famosa «governabilità». In grado cioè di assicurare il governo del dominio di classe, con il minor disturbo possibile per governanti e dominanti. Anche la più flebile eco della questione sociale dovrà essere bandita, qualora la si ritenga in qualche modo incompatibile con gli imperativi sistemici che costituiscono la rigida gabbia di un sistema così concepito. Probabilmente un simile obiettivo non sarà mai raggiunto del tutto, ma di certo, con la legge truffa in preparazione, il governo potrà blindarsi per cinque anni dietro una maggioranza parlamentare ben difficilmente incrinabile. E quel che ne conseguirà in termini di politica economica e sociale è facilmente immaginabile.
Da notare che un simile governo iper-blindato potrebbe toccare anche ad una coalizione con meno del 30% dei voti espressi, cioè con circa il 20% dei consensi calcolati sull'intero corpo elettorale. E' quel che accade già oggi in Francia, dove chi vince piglia tutto e dove anche forze superiori al 10% possono restare senza rappresentanza parlamentare. E' quel che sarebbe successo in Italia, nel febbraio scorso, qualora fosse stato in vigore un simile sistema.
In secondo luogo, una forma italiana di presidenzialismo di fatto. Come ci è già capitato di scrivere, esistono evidentemente varie forme di presidenzialismo. Quel che conta, per i presidenzialisti, è il principio e la pratica dell'accentramento del potere. Per costoro, il governo deve essere sufficientemente impermeabile al parlamento, reso a sua volta sufficientemente impermeabile alla società. Ma tutto ciò può essere rafforzato da un presidenzialismo che renda il presidente sufficientemente impermeabile anche rispetto agli altri membri del suo stesso governo. Il presidenzialismo, inoltre, rappresenta l'espressione massima della personalizzazione e dell'americanizzazione della politica. E con questo le èlite dominanti farebbero bingo.
Abbiamo però parlato di presidenzialismo all'italiana, vediamo subito il perché. Il fatto è che nel nostro disgraziato Paese le cose non devono mai essere del tutto chiare. Ed il presidenzialismo non fa eccezione. Ecco allora che si preferiscono termini equivoci, come ad esempio «semi-presidenzialismo», una specie di presidenzialismo un po' moscio che non si capisce bene cosa sia.
E' ovvio che di sistemi presidenziali ne esistono di diversi tipi, così come i sistemi detti «parlamentari» presentano anch'essi al proprio interno una discreta varietà di forme e di equilibrio dei poteri. Non è che laddove esiste il presidenzialismo non vi sia il parlamento, e neppure viceversa. Quello che definisce veramente un sistema sono appunto i rapporti, concreti ancor prima che formali, di potere.
Ma allora, il sistema che si va preparando è presidenzialista oppure no? A questo proposito diamo la parola alla costituzionalista Lorenza Carlassare, che della commissione dei «saggi» ha fatto parte fino a luglio, quando si è dimessa per protesta contro i cedimenti del Pd di fronte alle continue pretese di immunità da parte di Silvio Berrlusconi. Ben prima delle sue dimissioni, esattamente il 6 giugno scorso, la Carlassare così si esprimeva a Radio Radicale:
«Cambi alla forma di governo assolutamente no: non si possono scaricare sulla Costituzione le incapacità della classe politica. Io vorrei che la Costituzione venisse attuata. Il presidenzialismo all'americana non lo vogliono perché lì i poteri del presidente sono davvero limitati dal Parlamento e dal potere giurisdizionale, e allora c'è l'idea del semipresidenzialismo che vedono come un filone che può portare la concentrazione dei poteri in una persona sola, questa è l'aspirazione».
Brava Carlassare, che fin dal principio aveva ben chiaro il compito affidato ai «saggi»: realizzare il passaggio al presidenzialismo senza dichiararlo, per giunta un presidenzialismo assai infido ed addirittura privo dei controbilanciamenti esistenti ad esempio nel sistema americano. Altro che «semi», l'idea è quella di una concentrazione dei poteri assolutamente sconosciuta nell'Italia repubblicana.
Le cose dovrebbero essere a questo punto sufficientemente chiare. Chiare nella sostanza, perché nella forma si vorrebbe continuare a nascondere l'evidenza. Sapete qual è la definizione della nuova forma di governo che i «saggi» si appresterebbero a proporre? «Governo parlamentare del premier». Questo almeno stando alla stampa di oggi (vedi ad es. il Sole 24 Ore, 14 settembre). Mai formulazione più bislacca era uscita dalla penna di un costituzionalista. Ma la «saggezza» a volte non ha limiti.
Il terzo obiettivo è quello del rilancio forzato del bipolarismo. Certo, non è questa una novità. Il bipolarismo italiano ha ormai vent'anni. Il blocco dominante che lo volle, lo concepiva come la condizione preliminare per ottenere gli altri due obiettivi di cui sopra. Condizione evidentemente necessaria, e tuttavia non sufficiente come i fatti hanno dimostrato.
Sta di fatto che arrivato ai vent'anni anche il bipolarismo è andato in crisi, e per certi aspetti (vedi il voto di febbraio) non esiste proprio più. Che fare allora? - si sono chiesti ai piani alti dei palazzi romani. Prendere atto della realtà della crisi del sistema politico, tornando al proporzionale, o far risorgere forzatamente un bipolarismo ormai privo di consenso? Per tutta una serie di ragioni, che qui diamo per scontate, la scelta è stata quella di provare (provare, perché l'esito è tutt'altro che certo) a rilanciare un bipolarismo assai spompato.
Il ballottaggio è lo strumento fondamentale di questa operazione. I carenti consensi raccolti al primo turno verrebbero così rimpolpati con quelli risucchiati al secondo. E se anche questo recupero dovesse dimostrarsi modesto, il vincitore (anche per un solo voto) avrebbe la maggioranza sufficiente per governare. Dal punto di vista del blocco dominante, questo schema funziona finché si riesce ad eliminare l'eventuale «terzo incomodo», nel concreto caso italiano il M5S. Un obiettivo al quale verrà certamente dedicata una specifica campagna mediatica, il cui raggiungimento non è però affatto certo. Molto dipenderà dalla capacità del movimento di Grillo di adeguarsi a questo livello dello scontro.
Quali effetti sulla crisi politica?
Giunti a questo punto bisogna chiedersi quali saranno gli effetti, e quali gli intrecci, con l'attuale crisi politica. Una crisi che non ha ancora mandato a casa il governo Letta, ma che potrebbe farlo presto.
Che la lunga agonia dell'esecutivo attuale prosegua, o che essa abbia invece fine per aprire la strada ad una sorta di governicchio bis, la questione della legge elettorale rimarrà comunque centrale. Proprio per questo i «saggi» hanno saggiamente accelerato. Così vuole, del resto, il despota del Quirinale, vero regista di queste ultime mosse.
Qualora con il governo saltasse anche la legge elettorale, egli dovrebbe essere il primo ad andare a casa, chiudendo così la sua lunghissima carriera politica con una sconfitta senza appello.
E' per questi motivi che verrà fatto di tutto per mandare in porto il Super-porcellum di Violante e dei «saggi».
Presto vedremo chi darà il proprio sostegno, ed il proprio voto, a tutta questa «saggezza» anti-costituzionale.
Mentre il disastro sociale provocato dalle politiche dettate dall'Europa, ed eseguite dai governi Monti e Letta, va avanti; eccoci arrivati ad un altro snodo decisivo della crisi politico-istituzionale. Il processo di cancellazione della democrazia rappresentativa accelera.
Il Quirinale, Palazzo Chigi, i «saggi», i media: vanno tutti nella stessa direzione. Non per questo hanno ancora vinto. Acquisire la consapevolezza necessaria di quel che è in gioco è il primo passo per cercare di sbarrargli la strada.
Super-porcellum e presidenzialismo muovono i primi passi grazie ai nominati di Letta
Eh, quando si dice la saggezza! Da anni si discute sul taglio dei parlamentari ma, benché siano tutti d'accordo nel dire che sono in eccesso, evidentemente sono ancora troppo pochi. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione di affidare le riforme costituzionali ad una commissione extra-parlamentare, nominata dal presidente del consiglio e benedetta da quello della repubblica.
Lorsignori, insediatisi a giugno, starebbero per chiudere in anticipo il loro lavoro. Si vede che la loro saggezza li rende molto attenti alla tempistica della crisi politica in corso. Sta di fatto che, da domani, si incontreranno per tre giorni in Abruzzo, esattamente a Francavilla, da dove si prevede che invieranno il loro lavoretto a governo e parlamento.
Un lavoro decisamente sporco. Talmente sporco che costringono Letta a gridare che le «le riforme non sfasciano la Carta». Quando si dice la coda di paglia... Le controriforme in gestazione sfasciano eccome la Costituzione, anche se Benigni continuerà certamente ad assicurarci sul fatto che avremo anche in futuro la «costituzione più bella del mondo».
Cosa stanno dunque preparandoci i 35 controriformatori riuniti in provincia di Chieti? Le anticipazioni affidate alla stampa non lasciano dubbi: una legge elettorale ultra-maggioritaria e un sistema di governo presidenzialista. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire.
Prima di entrare nel merito, giova senz'altro ricordare da chi è composta la commissione, un impasto di «studiosi» ben targati politicamente, calibrati con la logica del manuale Cencelli, e tenuti assieme dalla comune visione liberista della società. Tra i personaggi politici di lungo corso ricordiamo la presenza di Luciano Violante (Pd, e presidente del comitato dei relatori che presenterà la proposta), Franco Frattini (Pdl) e Francesco D'Onofrio (Udc). Per il resto è da notare la nutritissima presenza di editorialisti del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, giusto per ricordarci i luoghi dove si annida la «saggezza».
Ma veniamo al dunque. La Carta di Francavilla parlerà anche di procedimento legislativo, bicameralismo, rapporti Stato-Regioni, ma i passaggi veramente decisivi sono i due che abbiamo già anticipato: legge elettorale e poteri del premier.
Perché siano questi i due aspetti principali è presto detto. Non solo perché si tratta di questioni davvero sostanziali, ma anche perché si tratta dei due elementi che vanno da subito ad incardinarsi nello svolgimento della crisi politica. Più esattamente, sarà la legge elettorale super-maggioritaria il vero grimaldello per superare la crisi politica, mentre i nuovi poteri al capo del governo saranno la logica conseguenza di un sistema elettorale implicitamente presidenzialista.
Sul dettaglio della legge elettorale in preparazione rimando ancora una volta all'articolo Presidenzialismo via Violantum?, che mi pare abbastanza esauriente. In sintesi, i controriformatori stanno lavorando ad una legge fortemente maggioritaria, il cui snodo decisivo è rappresentato dal ballottaggio tra i due partiti (o coalizioni) con il maggior numero di voti, sempre che nessuno di questi partiti (o coalizioni) abbia raggiunto il 40% dei suffragi, nel qual caso il premio di maggioranza scatterebbe già al primo turno.
Vi sono poi altri aspetti tesi a rafforzare l'impronta maggioritaria, e dunque a colpire il principio democratico della rappresentanza: uno sbarramento esplicito al 5% e - a quel che si dice - uno sbarramento implicito ancora più elevato, da ottenersi con l'eliminazione del riporto dei resti nel collegio unico nazionale.
Ma concentriamoci sugli effetti del maggioritario a doppio turno, che già basta ed avanza.
Con questa mossa si vogliono ottenere tre risultati. Tutti e tre da tempo nel programma della classe dominante, da decenni ripetuti a pappagallo dai think tank di lorsignori, quei pensatoi nazionali ed internazionali così frequentati tanto dai «saggi» in questione, quanto dagli ultimi due presidenti del consiglio.
Quali sono questi tre obiettivi?
In primo luogo, il raggiungimento di un sistema istituzionale in grado di garantire la famosa «governabilità». In grado cioè di assicurare il governo del dominio di classe, con il minor disturbo possibile per governanti e dominanti. Anche la più flebile eco della questione sociale dovrà essere bandita, qualora la si ritenga in qualche modo incompatibile con gli imperativi sistemici che costituiscono la rigida gabbia di un sistema così concepito. Probabilmente un simile obiettivo non sarà mai raggiunto del tutto, ma di certo, con la legge truffa in preparazione, il governo potrà blindarsi per cinque anni dietro una maggioranza parlamentare ben difficilmente incrinabile. E quel che ne conseguirà in termini di politica economica e sociale è facilmente immaginabile.
Da notare che un simile governo iper-blindato potrebbe toccare anche ad una coalizione con meno del 30% dei voti espressi, cioè con circa il 20% dei consensi calcolati sull'intero corpo elettorale. E' quel che accade già oggi in Francia, dove chi vince piglia tutto e dove anche forze superiori al 10% possono restare senza rappresentanza parlamentare. E' quel che sarebbe successo in Italia, nel febbraio scorso, qualora fosse stato in vigore un simile sistema.
In secondo luogo, una forma italiana di presidenzialismo di fatto. Come ci è già capitato di scrivere, esistono evidentemente varie forme di presidenzialismo. Quel che conta, per i presidenzialisti, è il principio e la pratica dell'accentramento del potere. Per costoro, il governo deve essere sufficientemente impermeabile al parlamento, reso a sua volta sufficientemente impermeabile alla società. Ma tutto ciò può essere rafforzato da un presidenzialismo che renda il presidente sufficientemente impermeabile anche rispetto agli altri membri del suo stesso governo. Il presidenzialismo, inoltre, rappresenta l'espressione massima della personalizzazione e dell'americanizzazione della politica. E con questo le èlite dominanti farebbero bingo.
Abbiamo però parlato di presidenzialismo all'italiana, vediamo subito il perché. Il fatto è che nel nostro disgraziato Paese le cose non devono mai essere del tutto chiare. Ed il presidenzialismo non fa eccezione. Ecco allora che si preferiscono termini equivoci, come ad esempio «semi-presidenzialismo», una specie di presidenzialismo un po' moscio che non si capisce bene cosa sia.
E' ovvio che di sistemi presidenziali ne esistono di diversi tipi, così come i sistemi detti «parlamentari» presentano anch'essi al proprio interno una discreta varietà di forme e di equilibrio dei poteri. Non è che laddove esiste il presidenzialismo non vi sia il parlamento, e neppure viceversa. Quello che definisce veramente un sistema sono appunto i rapporti, concreti ancor prima che formali, di potere.
Ma allora, il sistema che si va preparando è presidenzialista oppure no? A questo proposito diamo la parola alla costituzionalista Lorenza Carlassare, che della commissione dei «saggi» ha fatto parte fino a luglio, quando si è dimessa per protesta contro i cedimenti del Pd di fronte alle continue pretese di immunità da parte di Silvio Berrlusconi. Ben prima delle sue dimissioni, esattamente il 6 giugno scorso, la Carlassare così si esprimeva a Radio Radicale:
«Cambi alla forma di governo assolutamente no: non si possono scaricare sulla Costituzione le incapacità della classe politica. Io vorrei che la Costituzione venisse attuata. Il presidenzialismo all'americana non lo vogliono perché lì i poteri del presidente sono davvero limitati dal Parlamento e dal potere giurisdizionale, e allora c'è l'idea del semipresidenzialismo che vedono come un filone che può portare la concentrazione dei poteri in una persona sola, questa è l'aspirazione».
Brava Carlassare, che fin dal principio aveva ben chiaro il compito affidato ai «saggi»: realizzare il passaggio al presidenzialismo senza dichiararlo, per giunta un presidenzialismo assai infido ed addirittura privo dei controbilanciamenti esistenti ad esempio nel sistema americano. Altro che «semi», l'idea è quella di una concentrazione dei poteri assolutamente sconosciuta nell'Italia repubblicana.
Le cose dovrebbero essere a questo punto sufficientemente chiare. Chiare nella sostanza, perché nella forma si vorrebbe continuare a nascondere l'evidenza. Sapete qual è la definizione della nuova forma di governo che i «saggi» si appresterebbero a proporre? «Governo parlamentare del premier». Questo almeno stando alla stampa di oggi (vedi ad es. il Sole 24 Ore, 14 settembre). Mai formulazione più bislacca era uscita dalla penna di un costituzionalista. Ma la «saggezza» a volte non ha limiti.
Il terzo obiettivo è quello del rilancio forzato del bipolarismo. Certo, non è questa una novità. Il bipolarismo italiano ha ormai vent'anni. Il blocco dominante che lo volle, lo concepiva come la condizione preliminare per ottenere gli altri due obiettivi di cui sopra. Condizione evidentemente necessaria, e tuttavia non sufficiente come i fatti hanno dimostrato.
Sta di fatto che arrivato ai vent'anni anche il bipolarismo è andato in crisi, e per certi aspetti (vedi il voto di febbraio) non esiste proprio più. Che fare allora? - si sono chiesti ai piani alti dei palazzi romani. Prendere atto della realtà della crisi del sistema politico, tornando al proporzionale, o far risorgere forzatamente un bipolarismo ormai privo di consenso? Per tutta una serie di ragioni, che qui diamo per scontate, la scelta è stata quella di provare (provare, perché l'esito è tutt'altro che certo) a rilanciare un bipolarismo assai spompato.
Il ballottaggio è lo strumento fondamentale di questa operazione. I carenti consensi raccolti al primo turno verrebbero così rimpolpati con quelli risucchiati al secondo. E se anche questo recupero dovesse dimostrarsi modesto, il vincitore (anche per un solo voto) avrebbe la maggioranza sufficiente per governare. Dal punto di vista del blocco dominante, questo schema funziona finché si riesce ad eliminare l'eventuale «terzo incomodo», nel concreto caso italiano il M5S. Un obiettivo al quale verrà certamente dedicata una specifica campagna mediatica, il cui raggiungimento non è però affatto certo. Molto dipenderà dalla capacità del movimento di Grillo di adeguarsi a questo livello dello scontro.
Quali effetti sulla crisi politica?
Giunti a questo punto bisogna chiedersi quali saranno gli effetti, e quali gli intrecci, con l'attuale crisi politica. Una crisi che non ha ancora mandato a casa il governo Letta, ma che potrebbe farlo presto.
Che la lunga agonia dell'esecutivo attuale prosegua, o che essa abbia invece fine per aprire la strada ad una sorta di governicchio bis, la questione della legge elettorale rimarrà comunque centrale. Proprio per questo i «saggi» hanno saggiamente accelerato. Così vuole, del resto, il despota del Quirinale, vero regista di queste ultime mosse.
Qualora con il governo saltasse anche la legge elettorale, egli dovrebbe essere il primo ad andare a casa, chiudendo così la sua lunghissima carriera politica con una sconfitta senza appello.
E' per questi motivi che verrà fatto di tutto per mandare in porto il Super-porcellum di Violante e dei «saggi».
Presto vedremo chi darà il proprio sostegno, ed il proprio voto, a tutta questa «saggezza» anti-costituzionale.
Mentre il disastro sociale provocato dalle politiche dettate dall'Europa, ed eseguite dai governi Monti e Letta, va avanti; eccoci arrivati ad un altro snodo decisivo della crisi politico-istituzionale. Il processo di cancellazione della democrazia rappresentativa accelera.
Il Quirinale, Palazzo Chigi, i «saggi», i media: vanno tutti nella stessa direzione. Non per questo hanno ancora vinto. Acquisire la consapevolezza necessaria di quel che è in gioco è il primo passo per cercare di sbarrargli la strada.
11 commenti:
Ed anche la nomina di Giuliano Amato alla corte costituzionale è un piazzamento strategico di un fedelissimo del sistema in vista dello scontro. Non sia mai suddetta corte si facesse venire in mente di contrastare, seppur minimamente, i loro piani.
Più lo scontro entra nel vivo e più i fedelissimi scendono in campo.
Che palle con questi articoli sulla Costituzione!!!
Dove è finita la prospettiva della sollevazione popola?
Anonimo 1: a redaziò, eccheppalle 'sti articoli de teoria, dovemo fa 'a sollevazione!
Anonimo 2: a redaziò, eccheppalle 'sta sollevazione che nun ce sarà perché er popolo nun capisce un cazzo!
Anonimo 3: a redaziò, nun c'avete capito 'na mazza! Er probblema è er senso de comunità!
Anonimo 4: a redaziò, eccheppalle 'sta storia della crisi dell'euro! Ma nun capite che è la caduta tendenziale d'er saggio de profitto?
Anonimo 5: a redaziò, eccheppalle 'sta storia d'a caduta tendenziale d'er saggio de profitto, nun avete ancora capito ch'er probblema è la bilancia dei pagamenti?
Anonimo 6: a redaziò, eccheppalle 'sta storia d'a sovranità, è l'internazionalismo la vera bandiera d'a sinistra!
Anonimo 7: A redaziò, eccheppalle 'sta storia dell'internazionalismo, 'o volete capì che che dovemo lottà pe' la patria socialista?
.......
Anonimi, ma li leggete gli articoli di sollevazione? L'avete capita la linea? Bene. La condividete? E allora siate costruttivi. Non la condividete? E allora andate altrove...
E quanno ce vo' ce vo'.
Ve sto su 'r cazzo? E 'sti cazzi?
1) COSTITUZIONE: SEMPRE CARO MI FU' QUESTO SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE!
Che scandalo!
Udite, udite! Correte, correte!
«Il governo vuole imporre la riscrittura illegale della Costituzione non rispettando le procedure di revisione previste dalla Costituzione stessa!».
Sembra di poter dedurre (detto per inciso) che, nel caso quelle procedure le si rispettasse, il tutto potrebbe diventare più “digeribile”. E considerato l’attuale ampio “schieramento delle larghissime intese”, di sicuro il boccone andrebbe mandato giù senza fiatare. Insomma: è solo una questione di principio, di forma: «le cose bisogna farle nel modo giusto, corretto, legale».
E infatti, a furia di guardare sempre e solo alla “forma”, e molto poco e molto di rado invece alla sostanza, si prende l’ennesimo abbaglio.
Dal fondo del nostro “disfattismo rivoluzionario”, diciamo che la cosa non ci "preoccupa" più di tanto, non essendo che una "ratifica" di ciò che è già avvenuto nei fatti. E - detto tra parentesi - è proprio quel dato di fatto, piuttosto, che avrebbe già da tempo dovuto preoccupare, nella sua sostanza (ossia nelle sue cause) e non nella sua forma i tanti odierni paladini della falsa democrazia borghese, dei falsi controlli, delle false garanzie, delle false libertà, dei falsi diritti e via dicendo.
Tutti rigorosamente falsi, ma – vuoi mettere?! – “formalmente” ineccepibili!
E qui apriamo una breve parentesi. Prendendo atto della realtà capitalistica e delle “sue” ennesime, incessanti e improrogabili necessità, questo cambio affrettato di passo appare infatti assolutamente comprensibile in quanto “necessario” (peraltro da gran lungo tempo!) e non più procrastinabile: per la sopravvivenza del sistema, s’intende!
Un sistema che nella sua attuale e criticissima fase necessita più che mai di processi decisionali snelli, veloci, che non “sopportano” più impicci burocratici, verifiche e controlli (che peraltro mai hanno garantito la “legalità”, come ben sappiamo!) e quella fitta rete di lacci e lacciuoli che prolungano nel tempo decisioni che vanno invece prese “molto rapidamente”.
I tempi – quelli della crisi - stringono, e credo sia facile comprendere il perché…
A suo tempo, piuttosto recente, lo stesso Silvio (come, prima e dopo di lui, altri) si era cimentato in questa titanica ma indispensabile “impresa”, ben cosciente dell’enorme “ritardo italiano” di un processo di adeguamento istituzionale che altri Paesi avevano già portato a compimento da lungo tempo e che ora, per il Paese, diveniva non più a lungo rinviabile.
Ovviamente egli si trovò schierati davanti tutti i difensori dello status quo e dei rispettivi e più diversi e radicati interessi che vi gravitano attorno. Uno status quo che allora, tutto sommato, fu possibile mantenere ancora in vita e continuare a gestire negli ormai “storici” e tradizionali termini di un’eccessiva burocratizzazione e di una elefantiaca dimensione dell’apparato statale. Oggi non più. Oggi la crisi incombe.
Ci stiamo per caso schierando a sostegno di simile necessità? Niente affatto!
Stiamo solo, sinteticamente e realisticamente, prendendone atto e spiegandone i motivi. Perché è solo andando alle cause dei problemi che è possibile approntare le adeguate soluzioni. (continua sotto)
2) Il carattere di “ratifica” torna ad ulteriore dimostrazione - per chi non l'avesse ancora compreso - che le Carte Costituzionali sono il prodotto di quanto avviene nell'evolversi delle fasi e nel mutare delle necessità dell’economia e dei rapporti sociali che questa genera: entrambi da declinare non in astratto, ma in virtù della loro specifica organizzazione, quella “capitalistica”. Di questa evoluzione, dunque, le Costituzioni – come le leggi, i provvedimenti amministrativi, gli accordi sindacali – non sono altro che lo specchio, il riflesso, e dunque niente più che la ratifica scritta di quanto già avvenuto perché “necessario” (alla sopravvivenza del sistema) che avvenisse.
E non invece - come ingenuamente ci si ostina a credere - la garanzia o la base di "progetto" per nuove e splendide future società, che infatti, mai si sono realizzate attraverso le Costituzioni, bensì attraverso le Rivoluzioni sociali.
Ancora una volta lo specchietto per le allodole della democrazia "violata e calpestata" da difendere e ripristinare viene tirato fuori dalla ideologia dominante per distrarre dal reale problema, che è: quale è la vera causa della crisi e, con essa, della nostra miseria crescente?! Quale è il nostro vero nemico? La crisi o ciò che la genera, ossia il capitalismo?!
La stessa abile tattica di distrazione fu utilizzata in occasione del fascismo – giusto per ricordare un po’ di storia recente – anche per scongiurare un possibile esito rivoluzionario del crescente disagio sociale di quegli anni, indirizzando il partigianesimo non “contro il capitalismo”, ma contro la dittatura fascista per la riconquista della Santissima democrazia.
Come se la falsa democrazia borghese, che ben conosciamo, non tutelasse gli stessi ferocissimi e cinici interessi di classe! Quegli stessi spregiudicati interessi che avevano già condotto al primo macello mondiale sotto le dolci bandiere della Bella democrazia!
Ci limitiamo dunque a prendere stoicamente atto di un processo e a giudicarlo inevitabile?
Niente affatto. Ma più che contro la ratifica di esso, preferiamo rivolgere le nostre asce di guerra contro il sistema che lo genera, abbattuto il quale forma e sostanza smetteranno di essere un inutile cruccio.
Ci ripetiamo, e non per diventar noiosi: occorre andare alla radice, alla causa dei processi e non scegliere l’effetto (qualsiasi esso sia!) come nostro bersaglio.
Il capitalismo è il nostro reale bersaglio, abbatterlo è e resta l’unica soluzione.
Organizzarci e concentrare contro di esso la nostra più decisa combattività, sotto la guida indispensabile della nostra avanguardia politica (il partito rivoluzionario di classe), è l’unica, concreta possibilità.
Franco
ESTREMISMO, MALATTIA (SENILE) DEL COMUNISMO
Lenin scrisse che la differenza tra i riformisti e i rivoluzionari non consiste nel fatto che questi ultimi rifiutano le riforme, ma nella maniera con cui le si vuole ottenere. Voleva dire, Lenin, che i riformisti non vedono che la via parlamentaristica e politicista degli accordi con le classi dominanti, mentre i rivoluzionari chiamano alla lotta diretta, poiché nella battaglia il popolo lavoratore si auto-organizza, prende coscienza della sua forza, si fa le ossa, apre la strada alla sollevazione.
La principale differenza tra estremisti di ogni risma e i rivoluzionari è che mentre i primi si rifiutano di difende i diritti democratici i secondi vogliono essere i campioni della lotta per difenderli.
Quando le classi dominanti tentano di sbarazzarsi delle norme democratiche per blindare il loro predominio, gli estremisti fanno spallucce mentre i rivoluzionari parteciperanno alla battaglia per impedirlo.
Chi non sa difendere le conquiste sociali e politiche, anche le più piccole, come potrà conquistare quelle più grandi?
Ma quando si parla di sollevazione, che cosa si intende? Una sollevazione che trovi sfogo nella politica o una sollevazione che usi anche la forza pur di migliorare la società attuale?
E la lotta come la si porta avanti?
Giuseppe
SOLLEVAZIONE POPOLARE
«L’alternativa secca è tra il subire questa catastrofe sociale —che non è un singolo evento fatidico, ma un processo già in atto— o sollevarsi per un vero e proprio cambio di sistema. Se questo rivolgimento non ci sarà presto, il paese sarà ridotto in macerie, col rischio che la miseria generale possa causare un devastante conflitto tra poveri ed infine lasciare spazio ad avventure populiste e reazionarie, animate da una borghesia che tiene sempre in serbo primigenie pulsioni reazionarie, senza nemmeno escludere l’eventualità di uno sgretolamento dello Stato-nazione. Conflitti aspri saranno inevitabili, così come una polarizzazione di forze contrapposte.
Di sicuro la crisi sprigionerà grandi energie sociali, energie che questo sistema politico marcio sarà incapace di ammansire e rappresentare. Queste forze sono la sola leva su cui si possa fare affidamento per cambiare radicalmente questo paese. Vanno quindi alimentate, aiutate ad emergere. Bisogna dare loro una consistenza politica, uno sbocco, una prospettiva. Per farlo non è sufficiente affermare dei no, occorre anche indicare quale possa essere l’alternativa, il nuovo modello sociale.
Questo è esattamente il compito che ci proponiamo come Movimento Popolare di Liberazione (MPL). Esso non consiste anzitutto nell’accendere fuochi di conflitto sociale, poiché essi già esistono come risultato di una resistenza diffusa che scaturisce da condizioni oggettive. Il compito nostro è quello di risvegliare le coscienze sopite, di chiamare a raccolta le migliori intelligenze, di raggruppare e dunque di far scendere in campo centinaia e migliaia di cittadini che di fronte alla miseria sociale e politica generale, sono decisi a prendersi ognuno la propria responsabilità, fino a quella di battersi per rovesciare lo stato di cose esistenti».
Dal Manifesto di Mpl
Stravolgere una Costituzione e Trasformare radicalmente una forma di governo, è una rivoluzione. E il processo è tanto più rivoluzionario quanto lo si manda avanti con percorsi oscuri e poco trasparenti. Ogni rivoluzione fa le sue vittime e, come ben detto nell'articolo, questo stravolgimento andrà sicuramente a detrimento delle classi meno forti.
Già il leader referendario aveva cominciato , gratificato dall'acquiescenza di molte forze politiche con la malauguratissima storia del maggioritario che purtroppo andò in porto nonostante la messa in guardia di Caponnetto e di Craxi che di politica se ne intendevano.E la legge truffa ebbe il suo trionfo. Pur essendo un progetto di assassinio della Costituzione molti non ne ravvisarono la vera natura piduista. Ora siamo al disastro democratico. Mi chiedo, quante volte fu snaturata ab imis come si intende fare con la nostra, la Costituzione degli Stati Uniti, incisa a Washington su tavole di bronzo?
SEMANTICA
le parole e i concetti sono importanti. Quella che la "casta" sta mettendo in atto è una CONTRORIVOLUZIONE, che avanza a dosi omeopatiche da decenni, ma è una controrivoluzione.
RIVOLUZIONE:
Rovesciamento radicale di un ordine politico-istituzionale costituito. Moto politico o sociale, per lo più violento, tendente a modificare radicalmente l'ordine economico e sociale e le istituzioni di uno Stato. Trasformazione radicale, progettata o realizzata, di una situazione, di un sistema.
Questi per me sono i significati "polivalenti" del termine "Rivoluzione" e pertanto valgono anche nel caso di stravolgimento di una costituzione attuato con metodi subdoli e poco "chiassosi" o cruenti.
Una situazione politica , la nostra, era frutto di una guerra mondiale e di un CLN che a loro volta avevano "rivoluzionato" uno status quo. In questo caso "può" venir usato il termine "controrivoluzione" intendendo però questa specificatamente.
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