26 marzo. Mpl e questa redazione ritengono che il nostro paese sia in uno Stato
d'eccezione. Per evitargli una catastrofe epocale occorre siano adottate misure eccezionali, tra cui la cancellazione del debito pubblico —posseduto per più dell'80% dagli squali della finanza speculativa. Fraioli (nella foto) ritiene, che questa sia una misura "massimalista". Noi riteniamo che questo debito, date le condizioni in cui si trova l'economia italiana, sia insostenibile. Solo nel 2012 lo Stato si è indebitato per altri 320miliardi di euro, risorse ingenti che invece di andare ad ingrassare gli squali della finanza globale, andrebbero usate per la rinascita economica del nostro paese e debellare disoccupazione e miseria.
«Massimalismo versus riformismo»
di Fiorenzo Fraioli*
«Questo mio contributo non ha alcun intento polemico e ha il solo scopo di tentare di chiarire alcuni punti della discussione. Apprezzo e stimo l'amico Moreno, al quale mi lega anche una sincera amicizia, tuttavia credo sia doveroso porre in risalto una questione fondamentale. Si tratta della prospettiva dalla quale si immagina un percorso di uscita dalla crisi della zona euro, che credo non sia la stessa per Moreno e per gli altri che egli cita, tra i quali Alberto Bagnai e Stefano D'Andrea, oltre cheCorrettoreDiBozzi e il sottoscritto. Ovviamente non posso parlare a loro nome, per cui le note che seguono devono essere intese come il mio personale punto di vista.
C'è una cosa che accomuna tutti noi, ed è la convinzione che, essendo l'esperimento euro fallito, si sia già aperta una fase politica caratterizzata da grandi e veloci cambiamenti. La natura e la direzione dei cambiamenti che ognuno dei soggetti indicati ha in mente è probabilmente diversa, e certamente vi è una differenza tra la mia prospettiva e quella di Pasquinelli. Forse sbaglio, in tal caso Moreno mi smentirà, ma la mia sensazione è che egli veda, nella dissoluzione dell'euro, un'opportunità storica per porre la questione della fuoruscita dal capitalismo, coniugandola con una accelerazione molto forte in direzione del socialismo. Al contrario, io penso che, sebbene l'attuale assetto del capitalismo debba essere radicalmente riformato, la questione del socialismo dovrà essere posta solo dopo aver ripristinato condizioni minime di razionalità nel funzionamento dei mercati e della democrazia. Se date importanza alle denominazioni, possiamo chiamare "rivoluzionaria" la prospettiva di Pasquinelli e "riformista" la mia. Non me ne adombro.
Ora, la ricerca di un percorso riformista implica la necessità di curare la malattia senza uccidere il malato, essendo il "malato" l'economia italiana, alla quale intendo limitare il discorso perché non amo le analisi troppo vaste, e anche perché è soprattutto il destino del mio paese che mi sta a cuore e occupa i miei pensieri. Al contrario, chi si pone in una prospettiva rivoluzionaria può essere tentato di individuare nel raggiungimento dell'obiettivo finale, nel nostro caso il socialismo, un bene di così grande importanza da sacrificare ad esso anche gli interessi immediati e concreti dei ceti dei quali dichiara di fare gli interessi. Questo modo di vedere le cose, seppure non dichiarato esplicitamente, mi sembra possa essere intravisto nella reazione di Pasquinelli all'ipotesi, suggerita da CorrettoreDiBozzi, di un percorso di fuoruscita dall'euro, e di risanamento, improntato alla razionalità economica e alla ricerca della soluzione meno conflittuale possibile con i mercati. I quali mercati, checché ne pensi Pasquinelli, continueranno ad essere i partners commerciali e finanziari dell'Italia, poiché non è neppure lontanamente immaginabile un'evoluzione che veda emergere contemporaneamente istanze rivoluzionarie in tutto il mondo.
Pasquinelli fa inoltre un'affermazione scorretta quando scrive che "né Bagnai né D'Andrea vogliono fuoruscire dal capitalismo casinò". Scorretta perché sovrappone due concetti profondamente diversi, il "capitalismo" e il "capitalismo casinò", i quali possono essere invece profondamente diversi. Sarebbe come se io affermassi che "Pasquinelli vuole che in Italia si affermi la dittatura comunista". E' evidente che "comunismo" non significa necessariamente dittatura, e allo stesso modo l'espressione "capitalismo" o, per capirci forse meglio, "economia di mercato", non necessariamente indica un assetto della stessa che coincida con il sistema che si è affermato negli ultimi decenni, il capitalismo casinò appunto.
Poiché Pasquinelli è un uomo molto intelligente, non riesco a non pensare che questa confusione sia voluta e ricercata in quanto funzionale alla speranza di utilizzare il malessere sociale, causato dalla crisi, come leva per un progetto politico che metta in discussione non solo il "capitalismo casinò", ma l'idea stessa di "economia di mercato". Tutto ciò, evidentemente, è assolutamente legittimo, ma è anche importante che i diversi obiettivi siano chiari a tutti, anche quando non sono esplicitamente dichiarati. Osservo però che la speranza, recondita o dichiarata, di utilizzare il malessere sociale come leva rivoluzionaria, pecca di paternalismo, che è una malattia mortalmente antidemocratica. Un paternalismo non dissimile da quello praticato dalla sinistra eurista, che ha imposto l'euro ai suoi elettori, contro i loro stessi interessi, in nome di una pretesa visione politica di ordine superiore.
La ricerca di un percorso di fuoruscita e risanamento dell'economia improntato alla razionalità economica e al criterio della minimizzazione dei danni, e quindi dei conflitti sia interni che internazionali, esige che non si faccia di tutt'erba un fascio. E' necessario, ad esempio, fare una distinzione netta tra debito pubblico e debito privato, nelle loro componenti interne ed estere. Una prima osservazione è che la natura del debito privato e del debito pubblico è profondamente diversa, al punto che forse quest'ultimo non dovrebbe nemmeno essere chiamato debito. Il debito pubblico, infatti, è uno strumento di finanza usato dallo Stato con il duplice scopo di indirizzare gli investimenti nazionali, sottraendoli alle scelte del mercato, e di fornire ai mercati stessi una tipologia di investimento risk-free, la cui funzione dovrebbe essere quella di trasferire al futuro la ricchezza finanziaria in modo sicuro. Sebbene quest'ultima funzione sia stata completamente vanificata dall'introduzione dell'idea di indipendenza delle banche centrali, unitamente alla fine di ogni restrizione sulla mobilità dei capitali, non per questo il cosiddetto debito pubblico può essere messo sullo stesso piano del debito privato. Si tratta, come razionalmente suggerisce CorrettoreDiBozzi, di fare il percorso inverso, riportando il debito pubblico alla sua funzione naturale. Possibilmente limitando al massimo interventi precipitosi e scegliendo, come percorso di rientro, la strada più graduale della svalutazione e del ritorno a interessi reali negativi sullo stock. Anche ricorrendo, quando necessario, alla semplice stampa di nuova moneta (i famosi click del mouse), in presenza di difficoltà nel collocamento dei titoli.
Vi è anche una ragione politica a sostegno di questa strategia. In primo luogo i titoli di Stato fanno parte dei portafogli dei fondi pensione, sia italiani che esteri, posseduti da tanti lavoratori; in secondo luogo, ogni default, qualsiasi default, a dispetto del fatto che siano frequenti e inevitabili, lascia dietro di sé una scia di veleni e di sfiducia. Orbene, mettere sullo stesso piano il debito pubblico e quello privato, trattando i rispettivi creditori allo stesso modo, equivale a lanciare un messaggio tanto chiaro quanto devastante, ossia che non vi è alcuna differenza, in termini di affidabilità, tra i titoli di Stato pubblici e le obbligazioni private.
Ben diverso è il caso dei debiti privati, soprattutto esteri. A parte l'evidente considerazione che sono questi, e non il debito pubblico, la causa degli squilibri e della crisi, la loro gestione non potrà non essere profondamente diversa, proprio perché diversa è la loro natura. La strada che è stata scelta dall'Europa, che noi dobbiamo denunciare con forza, è stata quella di socializzare le perdite delle istituzioni che hanno erogato crediti privati, scaricandone il peso sui debiti pubblici; senza per altro che nessuno ponga, almeno, la questione della nazionalizzazione delle banche che vengono salvate. La strategia che dovrebbe essere adottata, se si vuole intraprendere un percorso razionale di correzione degli squilibri, consiste nel ritorno alla sovranità monetaria, a politiche di controllo della mobilità dei capitali, di imposizione di vincoli di portafoglio alle banche e di ri-nazionalizzazione di quelle di peso sistemico. Questo percorso non potrà non contemplare anche dei parziali default, la cui misura dovrà essere valutata tenendo presenti anche i costi, in termini di convenienza nazionale, di scelte eccessivamente penalizzanti nei confronti dei creditori.
Faccio un esempio, così Pasquinelli mi capisce. Supponiamo che l'Italia decida che il 100% dei debiti del settore privato italiano, iscritti nei saldi TARGET2 della BCE, venga ripudiato. Possiamo farlo? Certo che possiamo farlo! Qualche carro armato e qualche aereo da combattimento l'Italia ce l'ha, non è certo un'invasione da parte della Germania che dobbiamo temere! Tuttavia la Germania è uno dei nostri maggiori partners commerciali, e potrebbe decidere, come ritorsione a fronte di un ripudio del 100% dei nostri debiti privati, di rivolgersi ad est per le importazioni di semilavorati di cui ha bisogno la sua industria. Noi avremmo fatto le nostre scelte in favore dei ceti popolari, ma poi, e questo Pasquinelli non può ignorarlo, il nostro tessuto industriale si troverebbe in gravissima difficoltà. Cosa gli andiamo a raccontare, a quel punto, agli operai delle migliaia di aziende esportatrici del nord? Che possono vivere con i soldi creati dal nulla con i clicks del mouse? Che, per fare il socialismo, dobbiamo essere autarchici?
Oppure è proprio questo che l'amico Moreno si augura? Ovvero una crisi di così immense proporzioni che dimostri, qui ed ora, che il capitalismo, qualsiasi capitalismo in ogni sua forma, altro non è che un sistema criminale, e che l'unica cosa da fare è sostituirlo, sempre qui ed ora, con il socialismo?
Se è questo che si augura l'amico Pasquinelli, allora affermo, qui ed ora, che la strada è sbagliata. Questa non solo non condurrebbe al socialismo, ma, al contrario, rischierebbe di far prevalere le pulsioni più reazionarie. Se il socialismo è davvero una scelta di civiltà, può affermarsi solo in un quadro di pace sociale, come scelta cosciente e razionale di tutto un popolo. Tutto ciò non significa (spero che l'amico Pasquinelli lo comprenda bene) che coloro che si augurano che la razionalità delle scelte economiche prevalga sulla passione (spesso pretestuosa e ingannatrice) delle visioni politiche, siano, per ciò, dei moderati. Noi, al contrario, dobbiamo batterci con radicale determinazione affinché la razionalità si affermi, perché solo per questa via il cambiamento necessario avrà solide e durature basi».
* Da che prende spunto l'intervento del Fraioli:
Recentemente abbiamo intervistato Moreno Pasquinelli di MPL. Il video, pubblicato anche sul sito di MPL , ha collezionato un certo numero di commenti, due dei quali, a firma dell'utente CorrettoreDiBozzi, hanno suscitato la reazione di Pasquinelli. Intervengo nella discussione con questo post.
d'eccezione. Per evitargli una catastrofe epocale occorre siano adottate misure eccezionali, tra cui la cancellazione del debito pubblico —posseduto per più dell'80% dagli squali della finanza speculativa. Fraioli (nella foto) ritiene, che questa sia una misura "massimalista". Noi riteniamo che questo debito, date le condizioni in cui si trova l'economia italiana, sia insostenibile. Solo nel 2012 lo Stato si è indebitato per altri 320miliardi di euro, risorse ingenti che invece di andare ad ingrassare gli squali della finanza globale, andrebbero usate per la rinascita economica del nostro paese e debellare disoccupazione e miseria.
«Massimalismo versus riformismo»
di Fiorenzo Fraioli*
«Questo mio contributo non ha alcun intento polemico e ha il solo scopo di tentare di chiarire alcuni punti della discussione. Apprezzo e stimo l'amico Moreno, al quale mi lega anche una sincera amicizia, tuttavia credo sia doveroso porre in risalto una questione fondamentale. Si tratta della prospettiva dalla quale si immagina un percorso di uscita dalla crisi della zona euro, che credo non sia la stessa per Moreno e per gli altri che egli cita, tra i quali Alberto Bagnai e Stefano D'Andrea, oltre cheCorrettoreDiBozzi e il sottoscritto. Ovviamente non posso parlare a loro nome, per cui le note che seguono devono essere intese come il mio personale punto di vista.
C'è una cosa che accomuna tutti noi, ed è la convinzione che, essendo l'esperimento euro fallito, si sia già aperta una fase politica caratterizzata da grandi e veloci cambiamenti. La natura e la direzione dei cambiamenti che ognuno dei soggetti indicati ha in mente è probabilmente diversa, e certamente vi è una differenza tra la mia prospettiva e quella di Pasquinelli. Forse sbaglio, in tal caso Moreno mi smentirà, ma la mia sensazione è che egli veda, nella dissoluzione dell'euro, un'opportunità storica per porre la questione della fuoruscita dal capitalismo, coniugandola con una accelerazione molto forte in direzione del socialismo. Al contrario, io penso che, sebbene l'attuale assetto del capitalismo debba essere radicalmente riformato, la questione del socialismo dovrà essere posta solo dopo aver ripristinato condizioni minime di razionalità nel funzionamento dei mercati e della democrazia. Se date importanza alle denominazioni, possiamo chiamare "rivoluzionaria" la prospettiva di Pasquinelli e "riformista" la mia. Non me ne adombro.
Chi possiede il debito italiano (clicca per ingrandire) |
Ora, la ricerca di un percorso riformista implica la necessità di curare la malattia senza uccidere il malato, essendo il "malato" l'economia italiana, alla quale intendo limitare il discorso perché non amo le analisi troppo vaste, e anche perché è soprattutto il destino del mio paese che mi sta a cuore e occupa i miei pensieri. Al contrario, chi si pone in una prospettiva rivoluzionaria può essere tentato di individuare nel raggiungimento dell'obiettivo finale, nel nostro caso il socialismo, un bene di così grande importanza da sacrificare ad esso anche gli interessi immediati e concreti dei ceti dei quali dichiara di fare gli interessi. Questo modo di vedere le cose, seppure non dichiarato esplicitamente, mi sembra possa essere intravisto nella reazione di Pasquinelli all'ipotesi, suggerita da CorrettoreDiBozzi, di un percorso di fuoruscita dall'euro, e di risanamento, improntato alla razionalità economica e alla ricerca della soluzione meno conflittuale possibile con i mercati. I quali mercati, checché ne pensi Pasquinelli, continueranno ad essere i partners commerciali e finanziari dell'Italia, poiché non è neppure lontanamente immaginabile un'evoluzione che veda emergere contemporaneamente istanze rivoluzionarie in tutto il mondo.
Pasquinelli fa inoltre un'affermazione scorretta quando scrive che "né Bagnai né D'Andrea vogliono fuoruscire dal capitalismo casinò". Scorretta perché sovrappone due concetti profondamente diversi, il "capitalismo" e il "capitalismo casinò", i quali possono essere invece profondamente diversi. Sarebbe come se io affermassi che "Pasquinelli vuole che in Italia si affermi la dittatura comunista". E' evidente che "comunismo" non significa necessariamente dittatura, e allo stesso modo l'espressione "capitalismo" o, per capirci forse meglio, "economia di mercato", non necessariamente indica un assetto della stessa che coincida con il sistema che si è affermato negli ultimi decenni, il capitalismo casinò appunto.
Poiché Pasquinelli è un uomo molto intelligente, non riesco a non pensare che questa confusione sia voluta e ricercata in quanto funzionale alla speranza di utilizzare il malessere sociale, causato dalla crisi, come leva per un progetto politico che metta in discussione non solo il "capitalismo casinò", ma l'idea stessa di "economia di mercato". Tutto ciò, evidentemente, è assolutamente legittimo, ma è anche importante che i diversi obiettivi siano chiari a tutti, anche quando non sono esplicitamente dichiarati. Osservo però che la speranza, recondita o dichiarata, di utilizzare il malessere sociale come leva rivoluzionaria, pecca di paternalismo, che è una malattia mortalmente antidemocratica. Un paternalismo non dissimile da quello praticato dalla sinistra eurista, che ha imposto l'euro ai suoi elettori, contro i loro stessi interessi, in nome di una pretesa visione politica di ordine superiore.
La ricerca di un percorso di fuoruscita e risanamento dell'economia improntato alla razionalità economica e al criterio della minimizzazione dei danni, e quindi dei conflitti sia interni che internazionali, esige che non si faccia di tutt'erba un fascio. E' necessario, ad esempio, fare una distinzione netta tra debito pubblico e debito privato, nelle loro componenti interne ed estere. Una prima osservazione è che la natura del debito privato e del debito pubblico è profondamente diversa, al punto che forse quest'ultimo non dovrebbe nemmeno essere chiamato debito. Il debito pubblico, infatti, è uno strumento di finanza usato dallo Stato con il duplice scopo di indirizzare gli investimenti nazionali, sottraendoli alle scelte del mercato, e di fornire ai mercati stessi una tipologia di investimento risk-free, la cui funzione dovrebbe essere quella di trasferire al futuro la ricchezza finanziaria in modo sicuro. Sebbene quest'ultima funzione sia stata completamente vanificata dall'introduzione dell'idea di indipendenza delle banche centrali, unitamente alla fine di ogni restrizione sulla mobilità dei capitali, non per questo il cosiddetto debito pubblico può essere messo sullo stesso piano del debito privato. Si tratta, come razionalmente suggerisce CorrettoreDiBozzi, di fare il percorso inverso, riportando il debito pubblico alla sua funzione naturale. Possibilmente limitando al massimo interventi precipitosi e scegliendo, come percorso di rientro, la strada più graduale della svalutazione e del ritorno a interessi reali negativi sullo stock. Anche ricorrendo, quando necessario, alla semplice stampa di nuova moneta (i famosi click del mouse), in presenza di difficoltà nel collocamento dei titoli.
Vi è anche una ragione politica a sostegno di questa strategia. In primo luogo i titoli di Stato fanno parte dei portafogli dei fondi pensione, sia italiani che esteri, posseduti da tanti lavoratori; in secondo luogo, ogni default, qualsiasi default, a dispetto del fatto che siano frequenti e inevitabili, lascia dietro di sé una scia di veleni e di sfiducia. Orbene, mettere sullo stesso piano il debito pubblico e quello privato, trattando i rispettivi creditori allo stesso modo, equivale a lanciare un messaggio tanto chiaro quanto devastante, ossia che non vi è alcuna differenza, in termini di affidabilità, tra i titoli di Stato pubblici e le obbligazioni private.
Ben diverso è il caso dei debiti privati, soprattutto esteri. A parte l'evidente considerazione che sono questi, e non il debito pubblico, la causa degli squilibri e della crisi, la loro gestione non potrà non essere profondamente diversa, proprio perché diversa è la loro natura. La strada che è stata scelta dall'Europa, che noi dobbiamo denunciare con forza, è stata quella di socializzare le perdite delle istituzioni che hanno erogato crediti privati, scaricandone il peso sui debiti pubblici; senza per altro che nessuno ponga, almeno, la questione della nazionalizzazione delle banche che vengono salvate. La strategia che dovrebbe essere adottata, se si vuole intraprendere un percorso razionale di correzione degli squilibri, consiste nel ritorno alla sovranità monetaria, a politiche di controllo della mobilità dei capitali, di imposizione di vincoli di portafoglio alle banche e di ri-nazionalizzazione di quelle di peso sistemico. Questo percorso non potrà non contemplare anche dei parziali default, la cui misura dovrà essere valutata tenendo presenti anche i costi, in termini di convenienza nazionale, di scelte eccessivamente penalizzanti nei confronti dei creditori.
Faccio un esempio, così Pasquinelli mi capisce. Supponiamo che l'Italia decida che il 100% dei debiti del settore privato italiano, iscritti nei saldi TARGET2 della BCE, venga ripudiato. Possiamo farlo? Certo che possiamo farlo! Qualche carro armato e qualche aereo da combattimento l'Italia ce l'ha, non è certo un'invasione da parte della Germania che dobbiamo temere! Tuttavia la Germania è uno dei nostri maggiori partners commerciali, e potrebbe decidere, come ritorsione a fronte di un ripudio del 100% dei nostri debiti privati, di rivolgersi ad est per le importazioni di semilavorati di cui ha bisogno la sua industria. Noi avremmo fatto le nostre scelte in favore dei ceti popolari, ma poi, e questo Pasquinelli non può ignorarlo, il nostro tessuto industriale si troverebbe in gravissima difficoltà. Cosa gli andiamo a raccontare, a quel punto, agli operai delle migliaia di aziende esportatrici del nord? Che possono vivere con i soldi creati dal nulla con i clicks del mouse? Che, per fare il socialismo, dobbiamo essere autarchici?
Oppure è proprio questo che l'amico Moreno si augura? Ovvero una crisi di così immense proporzioni che dimostri, qui ed ora, che il capitalismo, qualsiasi capitalismo in ogni sua forma, altro non è che un sistema criminale, e che l'unica cosa da fare è sostituirlo, sempre qui ed ora, con il socialismo?
Se è questo che si augura l'amico Pasquinelli, allora affermo, qui ed ora, che la strada è sbagliata. Questa non solo non condurrebbe al socialismo, ma, al contrario, rischierebbe di far prevalere le pulsioni più reazionarie. Se il socialismo è davvero una scelta di civiltà, può affermarsi solo in un quadro di pace sociale, come scelta cosciente e razionale di tutto un popolo. Tutto ciò non significa (spero che l'amico Pasquinelli lo comprenda bene) che coloro che si augurano che la razionalità delle scelte economiche prevalga sulla passione (spesso pretestuosa e ingannatrice) delle visioni politiche, siano, per ciò, dei moderati. Noi, al contrario, dobbiamo batterci con radicale determinazione affinché la razionalità si affermi, perché solo per questa via il cambiamento necessario avrà solide e durature basi».
* Da che prende spunto l'intervento del Fraioli:
Recentemente abbiamo intervistato Moreno Pasquinelli di MPL. Il video, pubblicato anche sul sito di MPL , ha collezionato un certo numero di commenti, due dei quali, a firma dell'utente CorrettoreDiBozzi, hanno suscitato la reazione di Pasquinelli. Intervengo nella discussione con questo post.
6 commenti:
Il titolo che avete scelto, «NON PAGARE IL DEBITO? UN ERRORE!», non sintetizza correttamente il mio pensiero. Aggiungeteci, almeno, la parola "pubblico".
Pienamente d'accordo. Ma perchè quando Grillo parla di Italia fallita e debito pubblico da non pagare non mi sembra miri ad una rivoluzione socialista?
@Chiara Ped: giusta osservazione. Grillo sostiene il ripudio del debito pubblico MA la sua linea politica non è quella di una rivoluzione socialista. Ribadisco quanto ho sostenuto nell'articolo: è il debito privato che deve essere parzialmente non ripagato, in una misura che sia ottimale rispetto agli interessi nazionali. Trattando, non serve neppure dirlo, "a muso duro". E le banche private eventualmente "salvate" con i soldi dei contribuenti (quindi a spese del debito pubblico) devono essere nazionalizzate.
Eco delle Rete ha ragione, abbiamo quindi corretto il titolo, poiché è il debito pubblico in questione. Come detto torneremo in modo più rigoroso sul tema pagamento/non pagamento del debito pubblico, ovvero sulla necessità di fare default per evitare l'abisso del nostro paese.
Solo una nota: il post di "Chiara ped", ha almeno un merito, quello di mettere in luce che chiedere la cancellazione del debito pubblico non è affatto una misura..."bolscevica" — Fraioli si contraddice quindi, poiché non può dire che quella di Chiara ped è una "giusta osservazione" e accusare questa richiesta di essere "estremista".
La verità è che i default sono la norma nella storia del capitalismo e che dei 300 e passa che il capitalismo ha conosciuto [vedi l'oramai noto testo "Questa volta è diverso" di Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff ], solo uno è stato fatto da regimi rivoluzionari, quello bolscevico appunto.
Uno dei primi atti del governo di Lenin fu proprio quello di non ripudiare e quindi non pagare i debiti contratti dal regime zarista.
Ecco, noi parliamo di un governo popolare che per quanto non socialista rivoluzionario non dovrebbe accollarsi i debiti assunti dai regimi precedenti.
Credo che si debba distinguere tra
-questioni di analisi economica (che ruolo ha il debito pubblico nella crisi attuale? qual è la sostenibilità del debito italiano qualora la banca centrale sia rimessa sotto il controllo del tesoro?)
-questioni di principio (è giusto oppure no pagare il debito pubblico? Eventualmente quale parte di esso è giusto non pagare?)
-questioni di strategia politica (è opportuno per gli antagonisti perseguire la strategia di rifiuto del debito pubblico? oppure bisogna puntare prioritariamente sul no-euro oppure no-eu, nazionalizzazione sistema bancario?).
Quanto alla prima concordo con Fraioli. Il debito pubblico non è alla radice della crisi, ma solo la manifestazione più eclatante del suo stadio finale. Ovviamente esso è la clava con cui l’oligarchia eurista spinge a compiere le “riforme strutturali”. Tuttavia la crisi non si risolve rifiutando il debito, perché se non cambia il quadro monetario-finanziario-istituzionale (uscita dall’euro e ritorno della banca centrale sotto il controllo del tesoro, nazionalizzazione almeno parziale del sistema bancario) siamo solo liberi di ricominciare ad indebitarci per via degli squilibri nelle partite correnti (debito privato) e per il salvataggio delle banche. Compiute queste riforme, il debito attuale - legittimo o non legittimo che sia - ritorna ad essere perfettamente sostenibile, con in più un avanzo stratosferico nei bilanci pubblici.
Quanto alla seconda mi pare scarsamente cogente. Io sono e mi sento un anticapitalista e se dovessi agire per puro principio, rifiuterei ogni debito contratto dal regime oligarchico borghese (o post-borghese, o finanziario-globale, come preferite). Ma certo di fronte alla prospettiva del governo terrei conto di questioni di rilevanza (gliela faccio oppure no a sostenere questo debito e a fare riforme strutturali di segno rivoluzionario?) e di convenienza (rifiutando il debito mi creerei più forti inimicizie? Troppo forti rispetto alle mie forze?) .
Quanto alle questioni di strategia politica non so cosa dire, e soprattutto qui vorrei conoscere l’opinione della redazione. Quali sono le prospettive del comitato no-debito? Quanto è possibile spostare le forze al suo interno su posizioni no-euro no-ue, che sono quelle che contano davvero? La questione del debito farà più presa in futuro tra le classi popolari di quanta non ne farà la questione dell’euro?
Personalmente comincio a credere che la questione del rifiuto del debito pubblico non aiuti più di tanto la formazione del fronte interclassista di cui si ha bisogno per conquistare il potere, mentre invece può danneggiarla spaventando inutilmente i ceti piccoloborghesi. Posso sbagliarmi, ma mentre è giusto continuare a stigmatizzare il fatto che il debito pubblico è la clava, forse non lo è più insistere prioritariamente sul suo rifiuto.
(1) Che la crisi del capitalismo occidentale non dipenda dal debito pubblico, ça va sans dire. Se è per questo non dipende nemmeno dal "debito privato" poiché noi pensiamo che la sua causa sia da rintracciare nel declino del saggio di profitto del capitale —di qui l’ipertrofia finanziaria, ovvero la fuga dl ciclo di produzione delle merci e la tendenza a fare danaro giocando sui tassi d'interesse e la rendita. Processo questo, che spiega l'abnorme peso del sistema fondato sulla coppia debito-credito.
(2) Detto questo, non è che se il malato è affetto da Aids il medico non gli cura la polmonite. Per dire che il problema del debito pubblico c'è e come! e non lo si deve negare solo per far dispetto ai neoliberisti. Anche Keynes si incazzerebbe a sentir dire che ... è un finto problema. Non parliamo poi di ciò che direbbe Karl Marx —vedi i suoi studi nei Grundrisse sul denaro e il capitale a interesse.
(3) La spesa pubblica, anche se risultato di conquiste sociali, è pur sempre una sottrazione di quote di plusvalore complessivo. Si capisce dunque che in tempi di caduta del saggio di profitto e di concorrenza spietata, il capitale voglia riappropriarsene per rilanciare il ciclo di accumulazione.
(4) Il concetto di «sostenibilità» non è neutrale. Sostenibile per chi? per cosa? Un governo popolare, che dovrebbe aumentare la spesa pubblica a fini produttivi potrebbe accettare di farsi addirittura garante del drenaggio di risorse dal lavoro al capitale, per di più quello finanziario estero? Per quale ragione un governo popolare dovrebbe onorare i debiti contratti dal regime precedente? Per non essere presi a schiaffi dai mercati finanziari ci si risponde. Qui i nostri critici diventano più realisti del re. Negli ultimi venti anni abbiamo avuto almeno una ventina di default (bancari e di debito sovrano), tra cui paesi come la Russia, il Messico, la Corea, la Thailandia, il Brasile, l'Argentina, la Turchia, la Polonia, l'Islanda, la stessa Svezia. Di recente solo nell'Unione sono andati in default de facto Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e adesso Cipro —default e null'altro, dato che non possono finanziarsi sul mercato e sono assistiti da Ue e Fmi. Perché invece di farsi prendere dal panico non studiano questi casi? Se li studiassero scoprirebbero che i loro timori sono infondati e che i default (soprattutto se da debiti sovrani) sono misure fisiologiche proprio per riparare agli squilibri delle partite correnti tra diversi paesi. Ci sarebbe un modo per i debitori per non fare default: che i paesi creditori rinunciassero, in parte o in tutto, ai loro vantaggi. Il default unilaterale viene quando questa via è preclusa e il paese debitore rifiuta di precipitare nell'abisso.
(5) Un governo popolare con atto unilaterale, cesserebbe di rimborsare le rate del debito verso le istituzioni finanziarie estere. Chiamiamola pure moratoria se non vi aggrada cancellazione, quind si tratta a muso duro sull'ammontare, sul montante, quindi sulle scadenze e il tasso d'interesse, ma mettendo davanti ad ogni altra considerazione l'interesse della comunità nazionale. Che poi questo precluda allo sganciamento dai mercati finanziari internazionali ciò è giusto, e lo è perché essi si fondano sul principio della predazione.
(6) Va cancellato il debito che lo Stato ha verso le banche d'affari nazionali, ciò che risulta dal fatto che esse vanno nazionalizzate. Va invece rimborsato il debito verso il risparmio privato dei cittadini che avessero acquistato dei titoli pubblici (due fenomeni di ordine ben diverso che spesso i nostri critici confondo. Tuttavia, anche in questo caso, si può procedere con un patto di salvaguardia che preveda un allungamento dei tempi dei rimborsi senza escludere un temporaneo congelamento di essi —a tutela dei cittadini con un tasso d'interesse vantaggioso ma che non strozzi le finanze pubbliche.
Moreno Pasquinelli
Posta un commento