L'avanzata del Fronte nazionale
Prima di tutto capire, secondo proporre, terzo combattere
L'affermazione elettorale del neo-lepenismo occupa le riflessioni dei media europei, italiani compresi. Il segnale viene colto da tutti: la cocente sconfitta di Sarkozy è uno schiaffo all'eurocrazia e ai governi che tutto subordinano agli interessi della finanza predatoria globale. Di qui la chiave del successo, anzitutto tra il popolo lavoratore, del Front national. Segnaliamo l'articolo apparso su LA STAMPA di ieri dal titolo Il cuore è rosso, ma la collera è nera, di Marco Castelnuovo. Più illuminante ancora quello che pubblichiamo qui sotto, apparso su Il Sole 24 Ore.
«È il freddo ad avermi svegliata. A meno che non sia stato il silenzio. Un silenzio di morte, abbastanza assordante da strappare al sonno una bambina di otto anni». Inizia così l'autobiografia che Marine Le Pen ha scritto nel 2006 (A contre-flots, Controcorrente il titolo dell'edizione italiana). Con il racconto della notte tra il 1° e il 2 novembre del 1976, quando una carica di tritolo sventrò la casa in cui abitava con i genitori e le due sorelle, a Parigi. La notte in cui, scrive poco più avanti, «sono entrata a capofitto nella politica, nella sua forma più violenta e brutale».
Quella notte, e nei giorni successivi, Marine capisce improvvisamente quanto è difficile chiamarsi Le Pen. Ne avrà la conferma a scuola. Seguendo in campagna elettorale, da quando ha 15 anni, il padre Jean-Marie, che nel 1972 aveva fondato il partito di estrema destra Front national. Alla facoltà di giurisprudenza. Nelle aule di tribunale, durante i sei anni in cui eserciterà la professione. Un clima così difficile da non lasciare molte alternative: o si getta la spugna o si diventa dei duri. Marine ha scelto la seconda, è diventata una dura.
Entra nel Front national a 18 anni e nel 1993, a 24, si candida per la prima volta. A Parigi, alle legislative. Ma è abbastanza sveglia e lungimirante da capire che il futuro del partito non è nella capitale. E non è con i nostalgici di Vichy, dell'Indocina, dell'Algeria francese, con i cattolici integralisti. Bisogna cambiare passo, rivolgersi ai giovani, ai disoccupati, all'ex classe media che è diventata povera. Bisogna cambiare messaggio, passando dagli slogan sulla sicurezza e l'immigrazione (pur senza accantonarli del tutto) alle proposte sul terreno economico e sociale.
Sceglie quindi il Nord-Pas-de-Calais, regione disastrata del Nord-Est. E si installa politicamente a Hénin-Beaumont. Ci siamo stati e abbiamo incontrato il suo braccio destro locale, Steeve Briois, che ci ha spiegato in poche, chiare parole la strategia del nuovo Front national:
«La vede la povertà di questo posto? Prima la chiusura delle miniere, poi lo smantellamento della siderurgia, infine la delocalizzazione delle attività tessili. Questa era una regione industriale, ora resta solo l'auto. E gli altri?. Chi non ha un posto nell'auto cosa fa? Noi siamo famosi per le posizioni sull'immigrazione. Ed è giusto. Perché la preferenza nazionale, prima i francesi poi gli altri, resta un pilastro. Ma la gente finalmente capisce che siamo anche il partito del sociale, della guerra alle delocalizzazioni, della politica che governa l'economia e non il contrario. Lo capiscono soprattutto i giovani, che non trovano lavoro o se lo trovano è precario e malpagato. E hanno paura».
Nel 2002, all'indomani del clamoroso passaggio di Jean-Marie Le Pen al secondo turno, Marine viene catapultata davanti alle televisioni. E funziona. È una donna, è giovane, è affascinante e intrigante (bionda, con un bel sorriso, tre figli e due divorzi), è preparata e ha la battuta pronta. L'altra faccia del partito, insomma.
Che lei prende in mano poco più di un anno fa con l'obiettivo di farlo uscire dall'immagine caricaturale dell'identificazione con il padre ottantenne e trasformarlo in un partito vero, normale, credibile. Per creare un nuovo polo di aggregazione a destra, trasformare la protesta in proposta politica e un domani, chissà, governare. Si circonda di una squadra di efficienti quarantenni ed espelle chiunque sia così cretino da farsi fotografare con la bandiera nazista o il braccio teso nel saluto romano.
Che lei prende in mano poco più di un anno fa con l'obiettivo di farlo uscire dall'immagine caricaturale dell'identificazione con il padre ottantenne e trasformarlo in un partito vero, normale, credibile. Per creare un nuovo polo di aggregazione a destra, trasformare la protesta in proposta politica e un domani, chissà, governare. Si circonda di una squadra di efficienti quarantenni ed espelle chiunque sia così cretino da farsi fotografare con la bandiera nazista o il braccio teso nel saluto romano.
Il programma, incentrato sull'uscita dall'euro, è a grandi linee quello che ha spiegato lei stessa in un'intervista al Sole-24 Ore:
«Vogliamo una Francia nuovamente sovrana. Che controlla la sua moneta, il suo bilancio, le sue frontiere. Che faccia un po' di sano protezionismo. Basta con la libera circolazione delle persone, che significa immigrazione a basso costo per alleggerire le buste paga dei francesi. Basta con la libera circolazione delle merci, che vuol dire concorrenza sleale e delocalizzazione produttiva. Basta con la libera circolazione dei capitali, che apre le porte alla speculazione. Veniamo da un secolo caratterizzato da due totalitarismi, il nazismo e il comunismo. E ora ne stiamo vivendo altri due, il mondialismo e l'islamismo. La dittatura del libero mercato, finto, e della religione. Noi non ci stiamo». [L'Europa crollerà e la Francia tornerà sovrana. 2 dicembre 2010]
L'operazione, stando ai risultati, ha funzionato: domenica scorsa il Front National ha superato il 20% in 43 province su 101 (erano 25 cinque anni fa), è arrivato al 23% tra i giovani sotto i 24 anni ed è il primo partito (33%) tra le fasce sociali più deboli. La prossima tappa? Le legislative. Per cercare di colorare la Francia con un po' di "bleu Marine".
* Fonte: Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2012
7 commenti:
Che dire? E' sempre più difficle criticare un fenomeno che "aderisce" ai tempi in base a schemi superati dagli eventi. L'ubriacatura "europa", specchietto per le allodole che nasconde una versione in sè autoritaria (fascista in doppio petto, oggi dovremmo dire "gessato banchiere") del Washington Consensus, ha portato tali e tante sofferenze e miserie da non essere più sostenibile. Economicamente, ma prima ancora (vista la demenziale pervicacia dei suoi postulati economici) ideologicamente.
Le pulsioni oscure del nazionalismo e della xenofobia invertono di segno, ritrovando così una nuova vitalità: se cioè prima erano simulacri che nascondevano l'assetto capitalista oligarchico dietro la facciata "sociale" (il novecento), ora appaiono, al contrario, parole che "smascherano" l'autoritarismo capitalista finanziario a dimensione globalizzata e a complicità politica nazionale (in fondo è già accaduto nella fase fondativa dei fascismi rispetto alla classe dirigente liberale).
I mandatari della bundesbank, paradossalmente rispetto al passato politico che avevamo fronteggiato e interpretato, per dissimulare la revanche elitaria predatrice, agitano loro gli alti ideali di un "internazionalismo" politically correct di facciata...
Ideali, ormai però, sempre più scarnificati, per la verità, ridotti ormai a "lo vuole (lo chiede) l'europa", elittica e agghiacciante formula omnicomprensiva, il sigillo dei nuovi "missi dominici" di una Sacro romano impero germanico che invece di fermare la barbarie la reintroduce in veste di angelo(a) sterminatore.L'abracadabra dei nuovi apprendisti stregoni, il "latinorum" di un neo-feudalesimo, plutocratico al vertice (appena nascosto) e tecnocratico nei vassalli e valvassori.
Si può dire che "chiunque" avversi questo processo sia per ciò stesso un "alleato"? Qual'è la nuova misura dell'umanesimo libertario? La nuova frontiera della Resistenza alla liquidazione degli Stati democratici costituzionali? Dovremmo patteggiare coi paradossi pur di sopravvivere?
Le risposte sono difficilissime, il popolo si conterà attorno a qualsiasi fuoco, via via che chiunque si porrà la domanda "per chi suona la campana?"
Un residuo ragionevole criterio distintivo può testarsi su questo: chi brandisce delle parole d'ordine va osservato "da vicino", per quello che ha detto e fatto finora.
UN'opportunista Storace (per dire), portatore di subcultura senza, finora, alcuna connessione a corrette analisi economiche e sociali, difensore dei monopoli berluschini, che credibilità può avere nel richiamarsi al successo anti-euro della Le Pen? Nessuna, e nè lui nè molti altri ancora...
L'impressione è che quando i capitalisti avranno capito da che parte spira il vento del nuovo consenso, troveranno le misure per adattare il profilo dei nuovi vassalli, una storia già vista...In fondo, l'unica valvola di sicurezza rimane sempre la circolazione delle idee, della informazione, della verità, finchè c'è tempo e ciò richiede un grande impegno di molti
Pienamente daccordo con Quarantotto!
Aggiungo solo che nessuna alleanza può essere fatta tra noi e le forze che dovremmo chiamare lepeniste. Impariamo la lezione di Weimar, quando il partito comunista tedesco, strizzò l'occhio ai nazisti pur di rovesciare i governi che oggi definiremmo di centro-sinistra (vedi il referendum rosso"). E' vero che sorgeranno forze reazionarie sovraniste, ma nessun fronte con loro è praticabile da parte dei sovranisti di sinistra. La sovranità, come la democrazia, può avere segni politici e significati diversi, opposti, antagonisti.
Chiedo venia alla redazione: non è forse su questo che il MPL si è diviso da Appello al popolo?
No, per carità del cielo. Le ragioni per cui, non tanto ci siamo divisi, ma abbaimo deciso di seguire due strade diverse sono altre e le ho indicate in questo articolo(http://www.appelloalpopolo.it/?p=5237), dove in particolare si legge:
"A parte altri profili secondari, io volevo, fin da principio, una semplice associazione che tentasse di promuovere un movimento politico, e che, come tutte le associazioni, ammettesse la doppia tessera e tendesse ad diffondere e aggregare il consenso patriottico – ero per la pazienza, in considerazione di diverse circostanze che, a mio avviso, militano per questa scelta. Gli altri, desideravano dar vita immediatamente al movimento.
Io, pur non volendo rinunciare a esternare le idee socialiste dei promotori, promuovevo un progetto inclusivo e aspiravo ad attrarre il consenso di tutti coloro che avvertono il bisogno di una “economia sociale e popolare” e che siano consapevoli che non potremo mai recuperarla se non riconquistiamo la sovranità, abbandonando l’Unione europea. Gli altri perseguivano un progetto meno inclusivo, destinato esclusivamente a coloro che senz’altro si dichiarano socialisti o comunisti.
Io volevo rivolgermi ai cittadini e segnatamente a coloro che vivono, sono vissuti (pensionati) o aspirano a vivere soprattutto in base a redditi da lavoro, indifferentemente autonomo o subordinato. Gli altri pensavano ad un soggetto “a trazione proletaria”.
Io volevo iniziare quella che a mio avviso sarà, nella migliore delle ipotesi, una “lunga lotta di liberazione”. Gli altri operavano in vista della imminente (secondo il loro punto di vista) sollevazione.
Io, dopo la scrittura dell’appello, volevo convocare l’assemblea per la discussione. Gli altri volevano elaborare dapprima un documento programmatico e poi un più semplice documento politico nel quale inserire tutta una serie di precisazioni dalle quali sarebbero emersi il carattere spiccatamente socialista e la desiderata “trazione proletaria”.
Moreno potrà confermare che ciuò che ho scritto corrisponde al vero.
Ci siamo mossi nella direzione indicata. Abbiamo costituito un'associazione, che in meno di un mese (senza ancora avere un sito) conta 62 iscritti (in gran parte hanno già pagato la quota, cioè sono iscritti veri): l'Associazione Riconquistare la Sovranità.
Stefano D'Andrea
Tutto vero ciò che dice Stefano D'Andrea.
Ma il diavolo si nasconde nei ... "dettagli".
Avevamo e abbiamo un'idea diversa di sovranità nazionale, e dunque sia del tipo di movimento a cui dare vita che del genere di fronte popolare per acquisirla. C'è infatti sovranità e sovranità. A noi non interessa fare da apripista a forze sovraniste reazionarie o addirittura neofasciste —possibilità che sta nei fatti. Per noi la sovranità nazionale è un ponte per il superamento del capitalismo, quindi per avanzare in direzione socialista (quali che saranno i tempi necessari).
Quindi la differenza sulla concezione del Fronte. Noi facciamo appello al popolo lavoratore, per Stefano era abbastanza fare appello al ... popolo. Per noi il Fronte, per quanto ampio, non può spingersi, tanto per dire, ad imbarcare forze di tipo lepenista o neoreazionarie.
Per noi anche la lotta di liberazione sarà una lotta di lungo periodo, ma per essere reale dev'essere rivoluzionaria, ovvero capace di liberare il popolo lavoratore dalle pastoie del capitalismo e di cui la finanziarizzazione è solo una conseguenza.
Per Stefano l'oltrepassamento del capitalismo (il socialismo) è solo una specie di miraggio. Per lui va bene un capitalismo di stato coi diritti sociali —il "keynesismo" può essere socialdemocratico e fascista.
Vero infine che noi riteniamo di essere alle porte di una profonda svolta sociale, politica e storica, mentre Stefano ritiene che il sistema possa galleggiare per qualche decennio. Da questa urgenza noi avanziamo l'idea della sollevazione popolare, che non è solo un desiderata, ma che è uno sbocco possibile, nell'ordine delle cose.
Per questo ritenevamo inadeguata una forma meramente associativa e abbiamo deciso di accelerare fondando il MPL. Noi vorremo essere e saremo nella mischia che viene. Sperabilmente come protagonisti.
Chi ha più filo da tessere tesserà.
Ciao a Stefano e auguri di buon lavoro.
Un grazie ai lettori che hanno la pazienza di seguirci.
Moreno Pasquinelli
Concordo Totalmente con Moreno,C'è infatti sovranità e sovranità!
Cara Redazione,
"entro" nel dibattito a storia già iniziata e quindi lo faccio con insufficiente conoscenza del "pregresso" di un'interazione umana. L'atteggiamento di diffidenza verso la" precomprensione", cioè la verifica continua della correttezza del processo cognitivo-ermeneutico (mi richiamo per chi fosse interessato a Viehweg) segnala il rischio è di accumulare elementi "topici" e trarne conseguenze che allontanino gli uomini invece di avvicinarli.
NOn è un problema filosofico: "sovranità" è un elemento descrittivo utile, ma a condizione di renderlo un concetto operativo non un dogma.
Dubito che una volta compiuta l'analisi del contesto evolutivo del capitalismo finanziario dominante attuale, sia omogeneamente e coerentemente proponibile una dicotomia "sovranismo" socialista e "sovranismo" "reazionario se non addirittura fascista".
La Le Pen, per esempio, non potrà riprodurre la traiettoria del fascismo, dal "sociale" alla quinta colonna" di ciò che vuole combattere, per il semplice fatto che la trasformazione del capitalismo finanziario impedisce che possa accogliere un ritorno, una riedizione per sè conveniente della sovranità nazionale.
Il capitalismo attuale non ha più questa opzione, per il semplice fatto che si è irreversibilmente strutturato sulla globalizzazione finanziaria: 707.000 miliardi di US$ di OTC non gli consentono di mantenere l'idea-valore di Stato nazionale sovrano, ostacolo incompatibile con il suo cammino devastante. La "conservazione", quindi la "reazione" è possibile ormai solo attraverso l'internazionalismo manipolatorio (cioè la versione "idealistico-valoriale" della dimensione strutturale).
Un reazionario "nazionalista" è oggi soltanto un nostalgico emarginato, un retaggio che vive di una debole rendita finchè gli eventi, molto presto, non lo rendano un simulacro altro da sè (o lo elimineranno dalla scena).
Mi rendo conto che è difficle cogliere questo aspetto del fenomeno, perchè le tracce del vetero-fascismo vivono ancora.
Ma si tratta solo di un ruolo a "esaurimento" nelle maglie deboli della società.
Questo è ciò che la Le Pen ha compreso e ciò che in Italia si fatica a capire, prigionieri come siamo del vincolo psicologico di un irrisolto problema del monopolio marxista dell'antifascismo, che fa perdurare, per contrapposizione altrettanto irrisolta, il dubbio sulla accettabilità di un'ideologia borghese democratica.
Ma se siamo alle soglie di un nuovo feudalesimo (cioè di un assetto predatorio pre-borghese), sono in dissoluzione entrambi, sia la garanzia solo socialista della lotta di classe sia la inaffidabilità dell'ideologia borghese.
Da questa riflessione si può comprendere ad esempio un movimento di popolo come Occupy WS e rivolgersi ai giovani senza dover pretendere che siano "istruiti" hinc et nunc su tutto l'armamentario storico-culturale accumulato nei secc.XIX e XX.
Insomma, il Nazismo, si presenta in ciascuna epoca in una sola forma, non in due, cioè non una vecchia inalterata (e come potrebbe essere se non come dinosauro disfunzionale e relegato al campo della psichiatria?) e una nuova che ne ripete l'essenza, in forma insidiosa, proprio perchè non immediatamente riconoscibile.
"Per chi suona la campana?" è un richiamo di di nobile civiltà dell'uomo che non tollera limitazioni in forme a priori immutabili nella Storia, essendo la appassionata capacità razionale, libera dagli interessi egoistici del profitto personale, una salvaguardia sufficiente (e già abbastanza difficile da realizzare) per rinforzare la fratellanza tra uomini e donne che perseguono la pienezza della libertà...
Moreno,
mi costringi a correggerti, per evitare che i lettori mi prendano per matto.
Non penso che il sistema possa galleggiare per qualche decennio. Tutt'altro. Però non pensavo che in primavera ci sarebbe stato il crollo, come invece ipotizzavi tu. Io constatavo che in Grecia dopo 18 scioperi, dei quali quattro di 48 ore, con una disoccupazione ufficiale al 20% (da noi ancora non è al 10), dopo molte manifestazioni e incidenti, dopo il cambio del vertice delle forze armate, ancora non è accadito niente e siono commissariati. Pertanto credeve e credo che abbiamo un po' di tempo e volevo prendermelo nella convinzione che la pazienza è la virtù dei forti. Tu ripetevi continuamente "non c'è tempo".
In secondo luogo voi volevate costruire un movimento a vostra immagine e somiglianza. Io non volevo costruire un movimento a mia immagine e somiglianza, altrimenti avrei dovuto proporre le cose alle quali tengo di più: 1) una scuola severa e spartana che sottragga i figli alle ansie dei genitori; 2) l'abolizione della pubblicità e delle televisioni nazionali private (ho sempre creduto che il Berlusca abbia fatto più male come imprenditore che come politico); 3) il divieto o la grave limitazione del credito (debito) al consumo (come vedi tutte cose molto comuniste, più che socialiste). Invece ho scritto un Documento di analisi e proposte politiche in uno spirito unitario, perché potesse essere apprezzato dal maggior numero possibile di patrioti. Il revanscismo non centra nulla. Men che mai ho pensato di imbarcare forze lepeniste. Il Documento è radicale e moderato al tempo stesso, pieno di riferimenti alla nostra costituzione economica e senza il minimo cedimento verso forme di razzismo. Insomma, la mia è una proposta volta a un CLN e che si limita all'analisi di fase - tra resistenza, rivolta e vittoria trascorreranno alcuni anni. La vostra è una proposta che travalica la fase ed è specifica.
Queste sono le vere differenze.
Anche noi saremo nella mischia e saremo tanti.
Auguri anche a MPL e un caro saluto a Moreno.
Stefano D'Andrea
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