Unione europea, euro e sovranità nazionale
di Marino Badiale*
di Marino Badiale*
È molto istruttiva la lettura dell'editoriale di Marco D'Eramo su “Il Manifesto” del 30 marzo. Ci sembra che esso rappresenti un compendio di tutte le incongruenze della sinistra sui temi dei quali ci occupiamo in questo blog (sovranità nazionale, euro, UE). Per mostrare queste incongruenze, proviamo a sintetizzare alcuni punti del ragionamento di D'Eramo:
1. Le lotte contro le misure antipopolari, che in questo periodo stanno prendendo i vari governi europei, hanno sempre una dimensione nazionale, mai una dimensione europea.
2. Al contrario, l'azione dei rappresentanti politici dell'attuale capitalismo regressivo (volta a “riportare la lancetta della storia a prima del 1929, a cancellare lo stato sociale e abrogare il compromesso fra capitale e lavoro”) ha una dimensione sovranazionale.
3. D'altronde, è un fatto che “l'unica leva di potere cui la sinistra può (…) puntare è il controllo dell'apparato dello stato nazionale”.
4. Inoltre, “l'euro è una moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato le differenze e le irriducibilità fra i vari paesi rendendo più difficile concordare le iniziative fra le diverse sinistre”.
2. Al contrario, l'azione dei rappresentanti politici dell'attuale capitalismo regressivo (volta a “riportare la lancetta della storia a prima del 1929, a cancellare lo stato sociale e abrogare il compromesso fra capitale e lavoro”) ha una dimensione sovranazionale.
3. D'altronde, è un fatto che “l'unica leva di potere cui la sinistra può (…) puntare è il controllo dell'apparato dello stato nazionale”.
4. Inoltre, “l'euro è una moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato le differenze e le irriducibilità fra i vari paesi rendendo più difficile concordare le iniziative fra le diverse sinistre”.
Fin qui D'Eramo. Queste analisi sono ampiamente condivisibili. Quali conclusioni trarne? Chi legge questo blog conosce le nostre posizioni: occorre riconquistare la sovranità nazionale, e quindi anche economica, e usare il potere dello Stato per ricostruire la giustizia e la coesione sociale che trent'anni di neoliberismo hanno cancellato.
Come si può intuire (dopotutto, stiamo parlando di un editoriale del “Manifesto”), non è questa la conclusione che trae D'Eramo. La sua conclusione è che “quella nazionalistica è una tentazione illusoria e vana”.
Come si può intuire (dopotutto, stiamo parlando di un editoriale del “Manifesto”), non è questa la conclusione che trae D'Eramo. La sua conclusione è che “quella nazionalistica è una tentazione illusoria e vana”.
Occorre invece, sembra dire D'Eramo, che le sinistre portino la battaglia sul terreno dell'intera Unione Europea, per esempio organizzando uno sciopero generale europeo e invadendo le piazze dell'intera Unione.
Ora, noi riteniamo che la proposta di D'Eramo sia, essa sì, una “tentazione illusoria e vana”. Ma poiché essa rappresenta una idea di fondo condivisa, in una forma o nell'altra, da tutta o quasi la sinistra, ci sembra valga la pena di discuterla seriamente. E l'unico modo di discutere seriamente una tesi è prenderla sul serio. Prendiamo allora sul serio la tesi di D'Eramo. Egli chiede una lotta sociale e popolare a livello europeo contro le politiche economiche neoliberiste e antipopolari. Se questa proposta è una proposta seria, essa deve far riferimento ad un soggetto sociale che sia l'attore di questa lotta europea. Come già avevamo indicato in un saggio scritto assieme a Fabrizio Tringali, questa proposta richiede in sostanza che esista qualcosa come un “popolo europeo” che sia l'attore di una lotta popolare europea. A seconda delle preferenze ideologiche, al posto di “popolo europeo” si può naturalmente parlare di “proletariato europeo”, di “classe operaia europea”, di “ceti subalterni europei”: dal punto di vista del nostro ragionamento, non cambia molto.
Ma cosa significa “popolo europeo”? Quali sono le condizioni almeno necessarie (e forse nemmeno sufficienti) perché si possa parlare di “popolo europeo”? Proviamo ad elencarne qualcuna:
Ora, noi riteniamo che la proposta di D'Eramo sia, essa sì, una “tentazione illusoria e vana”. Ma poiché essa rappresenta una idea di fondo condivisa, in una forma o nell'altra, da tutta o quasi la sinistra, ci sembra valga la pena di discuterla seriamente. E l'unico modo di discutere seriamente una tesi è prenderla sul serio. Prendiamo allora sul serio la tesi di D'Eramo. Egli chiede una lotta sociale e popolare a livello europeo contro le politiche economiche neoliberiste e antipopolari. Se questa proposta è una proposta seria, essa deve far riferimento ad un soggetto sociale che sia l'attore di questa lotta europea. Come già avevamo indicato in un saggio scritto assieme a Fabrizio Tringali, questa proposta richiede in sostanza che esista qualcosa come un “popolo europeo” che sia l'attore di una lotta popolare europea. A seconda delle preferenze ideologiche, al posto di “popolo europeo” si può naturalmente parlare di “proletariato europeo”, di “classe operaia europea”, di “ceti subalterni europei”: dal punto di vista del nostro ragionamento, non cambia molto.
Ma cosa significa “popolo europeo”? Quali sono le condizioni almeno necessarie (e forse nemmeno sufficienti) perché si possa parlare di “popolo europeo”? Proviamo ad elencarne qualcuna:
1. Una lingua comune. I vari soggetti di uno stesso popolo devono avere la possibilità di comunicare fra loro, con immediatezza, in una lingua comprensibile a tutti e che tutti padroneggiano.
2. Mescolanza di popolazioni: vi devono essere dei movimenti migratori diffusi che mescolino le varie popolazioni, in maniera che ci sia la possibilità di conoscenza reciproca a livello “molecolare” e si diffondano la solidarietà e la fiducia reciproca, anche attraverso il lavoro comune e la comune lotta contro le avversità. Basti pensare a come centocinquant'anni di storia italiana hanno portato gente del sud a vivere al nord e viceversa, cementando il senso di appartenenza comune.
3. Mezzi di informazione comuni: vi deve essere una base comune di conoscenza, di informazione, di giudizio sui fatti politici, e questa è possibile solo grazie a mezzi di informazione che siano letti o ascoltati da tutti (e per questo c'è ovviamente bisogno della lingua comune di cui al primo punto).
2. Mescolanza di popolazioni: vi devono essere dei movimenti migratori diffusi che mescolino le varie popolazioni, in maniera che ci sia la possibilità di conoscenza reciproca a livello “molecolare” e si diffondano la solidarietà e la fiducia reciproca, anche attraverso il lavoro comune e la comune lotta contro le avversità. Basti pensare a come centocinquant'anni di storia italiana hanno portato gente del sud a vivere al nord e viceversa, cementando il senso di appartenenza comune.
3. Mezzi di informazione comuni: vi deve essere una base comune di conoscenza, di informazione, di giudizio sui fatti politici, e questa è possibile solo grazie a mezzi di informazione che siano letti o ascoltati da tutti (e per questo c'è ovviamente bisogno della lingua comune di cui al primo punto).
Perché è necessario un “popolo europeo” per concretizzare la proposta di D'Eramo? Perché, in sua mancanza, succede esattamente quello che egli descrive. Succede cioè che ciascun popolo europeo si muove e lotta per proprio conto, ed è inevitabile che sia così. Vi è infatti un ostacolo fortissimo contro la prospettiva, indicata da D'Eramo, di una lotta popolare europea, ed è il fatto che le misure regressive del governo portoghese, per fare un esempio, toccano ovviamente solo i portoghesi, non i francesi o i tedeschi o gli italiani. Questi ultimi non hanno quindi uno stimolo “materiale” diretto a lottare contro le misure regressive del governo portoghese. Il discorso può ovviamente esser ripetuto per tutti i diversi paesi. In ognuno di essi la crisi ha tempi specifici, e questo facilita la diffusione dell'idea che la crisi di ciascun paese sia solo sua. Oltre a questo, vi è la contrapposizione fra i paesi “virtuosi” del nord e quelli “viziosi” del sud, che sembra essere penetrata nel senso comune e rende ancora più difficile la formazione di una coscienza popolare europea.
Tutte queste difficoltà possono essere superate solo in presenza di una profonda solidarietà fra i popoli europei, e questo può avvenire solo grazie ad una autentica conoscenza reciproca, che non deriva da slogan o da iniziative superficiali e spettacolari come feste o manifestazioni, ma può essere solo il prodotto di una storia che abbia portato appunto a una lingua comune e a una certa mescolanza di popolazioni.
Se dunque la proposta di D'Eramo deve essere presa sul serio, essa può essere interpretata come la proposta della creazione di un popolo europeo, e quindi della realizzazione delle condizioni sopra descritte (ripetiamolo: condizioni necessarie ma forse nemmeno sufficienti). Ma si capisce bene che una simile proposta non è una proposta politica attuale: la creazione di un popolo europeo sufficientemente unito può essere forse un nobile ideale culturale sul quale iniziare oggi a lavorare, ma ovviamente rappresenta un prospettiva lontana nel futuro di almeno qualche decennio se non di qualche secolo.
Nel frattempo, di fronte all'attacco spaventoso scatenato dai ceti dirigenti europei contro i popoli europei, in attesa che si formi il popolo europeo in grado di battersi per i propri diritti a livello europeo, cosa si fa? Si fanno, ovviamente, le uniche cose che si possono fare: le lotte a livello nazionale, che è l'unico livello al quale vi siano oggi soggetti popolari in grado di lottare. Ma poiché il livello nazionale è perdente all'interno dell'euro e dell'UE, per i motivi che anche D'Eramo spiega, ecco che l'unica proposta concreta ed effettiva per lottare contro l'attacco capitalista è oggi l'uscita da euro e UE e il recupero della sovranità nazionale.
La sostanza della questione è piuttosto facile da capire, e per renderla ancora più chiara basta un semplice esperimento mentale: immaginiamo che una forza politica ispirata alle tesi che qui sosteniamo si presenti alle elezioni e le vinca col 98% dei voti, e possa quindi governare per una intera legislatura. Essa cercherà naturalmente di mettere in atto l'uscita da euro e UE. Nel fare questo si scontrerà contro grosse difficoltà, dovrà lottare e potrà essere sconfitta. Questo è quello che ovviamente può succedere ad ogni proposta politica seria.
Immaginiamo invece che a vincere le elezioni col 98% dei voti sia una forza politica ispirata alle idee di D'Eramo. Cosa farà? Nulla. Anche vincendo le elezioni col 98% dei voti, se si prendono sul serio le idee di D'Eramo, e dei tanti che la pensano come lui, non si può fare nulla, perché se non si vuole uscire da euro e UE il governo nazionale non ha praticamente strumenti per una politica anticapitalistica. L'unica cosa che il partito ispirato da D'Eramo, una volta al potere col 98% dei voti, può fare, è sollecitare l'azione del popolo europeo contro i ceti dirigenti europei. E poiché tale popolo non c'è e bisogna crearlo, un governo “deramista” dovrà impostare una serie di azioni politico-culturali che favoriscano la creazione del “popolo europeo” e aspettare, diciamo, una cinquantina d'anni perché tali azioni portino frutti.
Si vede con chiarezza che le tesi di D'Eramo semplicemente non rappresentano una proposta politica. Esse appartengono piuttosto alla categoria degli esorcismi. La sinistra “critica”, “radicale”, “non conformista” ecc. ecc. che ha nel “Manifesto” uno dei suoi punti di riferimento, rifiuta con drammatica ostinazione la necessità di mettere in primo piano, nel nostro paese, la questione della sovranità nazionale. Non avendo argomenti razionali contro la tesi della necessità del recupero della sovranità nazionale, è condannata a ripetere vuoti esorcismi come quello qui esaminato. E poiché la questione della sovranità nazionale è oggi uno dei due o tre temi politici fondamentali per una politica anticapitalista, chiudendosi nell'esorcismo la sinistra “radicale” si condanna alla più totale impotenza politica.
Tutte queste difficoltà possono essere superate solo in presenza di una profonda solidarietà fra i popoli europei, e questo può avvenire solo grazie ad una autentica conoscenza reciproca, che non deriva da slogan o da iniziative superficiali e spettacolari come feste o manifestazioni, ma può essere solo il prodotto di una storia che abbia portato appunto a una lingua comune e a una certa mescolanza di popolazioni.
Se dunque la proposta di D'Eramo deve essere presa sul serio, essa può essere interpretata come la proposta della creazione di un popolo europeo, e quindi della realizzazione delle condizioni sopra descritte (ripetiamolo: condizioni necessarie ma forse nemmeno sufficienti). Ma si capisce bene che una simile proposta non è una proposta politica attuale: la creazione di un popolo europeo sufficientemente unito può essere forse un nobile ideale culturale sul quale iniziare oggi a lavorare, ma ovviamente rappresenta un prospettiva lontana nel futuro di almeno qualche decennio se non di qualche secolo.
Nel frattempo, di fronte all'attacco spaventoso scatenato dai ceti dirigenti europei contro i popoli europei, in attesa che si formi il popolo europeo in grado di battersi per i propri diritti a livello europeo, cosa si fa? Si fanno, ovviamente, le uniche cose che si possono fare: le lotte a livello nazionale, che è l'unico livello al quale vi siano oggi soggetti popolari in grado di lottare. Ma poiché il livello nazionale è perdente all'interno dell'euro e dell'UE, per i motivi che anche D'Eramo spiega, ecco che l'unica proposta concreta ed effettiva per lottare contro l'attacco capitalista è oggi l'uscita da euro e UE e il recupero della sovranità nazionale.
La sostanza della questione è piuttosto facile da capire, e per renderla ancora più chiara basta un semplice esperimento mentale: immaginiamo che una forza politica ispirata alle tesi che qui sosteniamo si presenti alle elezioni e le vinca col 98% dei voti, e possa quindi governare per una intera legislatura. Essa cercherà naturalmente di mettere in atto l'uscita da euro e UE. Nel fare questo si scontrerà contro grosse difficoltà, dovrà lottare e potrà essere sconfitta. Questo è quello che ovviamente può succedere ad ogni proposta politica seria.
Immaginiamo invece che a vincere le elezioni col 98% dei voti sia una forza politica ispirata alle idee di D'Eramo. Cosa farà? Nulla. Anche vincendo le elezioni col 98% dei voti, se si prendono sul serio le idee di D'Eramo, e dei tanti che la pensano come lui, non si può fare nulla, perché se non si vuole uscire da euro e UE il governo nazionale non ha praticamente strumenti per una politica anticapitalistica. L'unica cosa che il partito ispirato da D'Eramo, una volta al potere col 98% dei voti, può fare, è sollecitare l'azione del popolo europeo contro i ceti dirigenti europei. E poiché tale popolo non c'è e bisogna crearlo, un governo “deramista” dovrà impostare una serie di azioni politico-culturali che favoriscano la creazione del “popolo europeo” e aspettare, diciamo, una cinquantina d'anni perché tali azioni portino frutti.
Si vede con chiarezza che le tesi di D'Eramo semplicemente non rappresentano una proposta politica. Esse appartengono piuttosto alla categoria degli esorcismi. La sinistra “critica”, “radicale”, “non conformista” ecc. ecc. che ha nel “Manifesto” uno dei suoi punti di riferimento, rifiuta con drammatica ostinazione la necessità di mettere in primo piano, nel nostro paese, la questione della sovranità nazionale. Non avendo argomenti razionali contro la tesi della necessità del recupero della sovranità nazionale, è condannata a ripetere vuoti esorcismi come quello qui esaminato. E poiché la questione della sovranità nazionale è oggi uno dei due o tre temi politici fondamentali per una politica anticapitalista, chiudendosi nell'esorcismo la sinistra “radicale” si condanna alla più totale impotenza politica.
* Fonte: Mainstream
4 commenti:
Per denunciare la pochezza di D’Eramo non c'è bisogno dell'argomentazione di Badiale.
L’errore di D’Eramo è a monte, nel pensare (anzi: nel fingere) che esista ancora una sinistra che lotta per correggere il sistema. I partiti, sia di destra che di sinistra, sono ormai tutti aziende mafioso-imprenditoriali asservite a chi paga meglio, cioè all’alta finanza. I governi Prodi in Italia e Schroeder (rosso-verde!) in Germania hanno sopravanzato qualsiasi destra (fino a Monti escluso) nello smantellamento dello stato sociale, del sistema pensionistico e nella svendita delle partecipazioni statali alla speculazione internazionale. E la cosiddetta estrema sinistra ha dato il suo voto e il suo appoggio a questo scempio.
Se esistesse una sinistra minimamente interessata a tutelare i diritti dei lavoratori, dinanzi alla macelleria sociale in corso, avrebbe ampi spazi di intervento anche rimanendo chiusa all’interno di una prospettiva nazionale. Né una sinistra del genere avrebbe difficoltà a coordinarsi a livello europeo. Se non lo fa è perché non ha alcuna intenzione di opporsi ai progetti del turbocapitalismo: mi si nomini un solo partito di sinistra in Europa che abbia presentato un progetto di riforma delle istituzioni UE per riportare la Commissione europea sotto controllo parlamentare.
Fra parentesi è questo è il motivo del predominio della destra: la sinistra ha nauseato e spinto all’astensione il suo elettorato tradizionale, parte del quale è passato alla destra che almeno finge di voler mettere un limite all’invasione extracomunitaria (in Francia il Front National è il primo partito operaio).
E’ vero, come dice Badiale, che “chiudendosi nell'esorcismo la sinistra ‘radicale’ si condanna alla più totale impotenza politica”; ma si tratta di calcolo e non di errore. Non avendo intenzione di fare niente di concreto bisogna pur trovare degli slogans privi di contenuto impegnativo (tali da non intralciare le alleanze elettorali col centrosinistra) da gridare nei congressi e nelle elezioni-farsa.
PS: ringrazio Sollevazione per consentirmi di esprimere le mie opinioni sull’articolo di Badiale, dopo che queste sono state vergognosamente censurate da “Sinistra in rete”.
Marino e Lorenzo non vedono l'aspetto principale della questione. Provo a "farlo mio".
A me interessa la sovranità, monetaria, politica, "culturale" nel senso più nobile e semplice del termine, d'indipendenza da qualunque apparato intellettualmente opprimente, come TV e università del pensiero unico, tanto per fare un esempio tra i tanti.
Perchè la sovranità che interessa a me dev'essere nazionale o niente? A me interessa anche la sovranità comunale, regionale, europea e soprattutto mondiale, perchè mi sento cittadino del mondo, minacciato da un sistema-mondo profondamente pericoloso e antidemocratico, perchè basato ancora sui "rapporti di forza", che sono ancora finanziari prima ancora che militari. E sono forze mie nemiche personali, perchè profondamente antidemocratiche, terreno di conquista di elite a me completamente estranee ma i le cui decisioni mi coinvolgono, quasi sempre negativamente, in prima persona.
Che me frega a questo punto di parlare una stessa lingua, di avere parenti stretti in ogni angolo del mondo, di votare destra-sinistra. Ecco, questa è una contraddizione in termini, si parla di destra-sinistra in tutta Europa nello stesso momento in cui si nega una qualsiasi comunità d'intenti e di risultati. Come dissi più volte esiste il livello sistemico nazionale, e i nostri 150 anni d'ipocrisie politiche non possono cancellarne gli esiti. Ma esiste anche il livello sistemico europeo, che non è affatto più giovane, non si limita all'infanzia della moneta unica, ma ha radici tra le più profonde dei 5 continenti. Io sono europeo, i miei figli sono europei, e sono anche cittadini di questo porco mondo che dobbiamo risvoltare come un calzino, prima che ci uccida nel peggiore dei modi.
Badiale giustamente ne fa una questione di tempo. Certo che il tempo stringe, certo che questo sistema ci sta uccidendo economicamente uno ad uno, nazione per nazione. Probabilmente quella di D'Eramo non è la ricetta giusta, probabilmente nessuno ce l'ha ancora chiara in mente quale sia. Ma che ci sia lo sappiamo tutti, tutti quelli che non vedono la catastrofe definitiva dietro l'angolo, nonostante le apparenze sembrano giustificare questi atteggiamenti nichilisti. Che questa ricetta "giusta" non la si possa più chiamare "sinistra" mi pare poi la cosa più evidente di tutte.
Alberto Conti
Caro Alberto... la politica è l’arte del possibile. E possibile oggi, in Italia, è la lotta contro la concrezione nostrana della dittatura dell’alta finanza, cioè l’unione europea, che ammetterai essersi blindata contro ogni prospettiva di riforma in senso sociale.
Non si tratta di negare l’esistenza di una comunità di storia o di intenti a livello europeo (che è anche e in primo luogo storia di guerre e massacri, ricordiamo), ma di combattere il mostro là dove esiste e sta fortunatamente cominciando a vacillare.
Vedi anche tu che, rifiutandoti di combattere l’UE, non sai che pesci prendere. La verità sulla sinistra parlamentare è che è interamente asservita al regime. La verità su di te è che, spaventato dalla possibilità di un tracollo e di una guerra, più che una battaglia politica cerchi una panacea.
Spero che non prenderai a male queste mie sincere parole. Un caro saluto.
" ... ma di combattere il mostro là dove esiste e sta fortunatamente cominciando a vacillare."
E' esattamente quel che stavo dicendo. Questo mostro sta al livello sistemico europeo, ed è esattamente lì che va combattuto. Ripiegare sul livello nazionale sa di dimissioni, di segno di debolezza che non favorisce certo alcuna possibilità di vittoria. Ed è una forma di debolezza regalata gratuitamente alla controparte, perchè non corrisponde al vero. Il nostro sistema paese potenzialmente è oggi in grado di mettere in ginocchio questa UE col tutto il suo sistema monetario-finanziario. E allora perchè uscirne, concedendogli la rimanente acqua per continuare a vivere la sua vita mostruosa? L'obiettivo primario resta sempre e comunque la riconquista del potere democratico nel nostro paese, perchè contro gli interessi del mostro siamo la stragrande maggioranza. Passa tutto da lì, come in Grecia, Portogallo, Spagna, ecc. La battaglia politica ognuno la può e deve fare nel proprio territorio, ma ben sapendo che è contestualizzato in un territorio più vasto. Sono 70 anni che stiamo pagando gli sbagli del fascismo, non credi che la pena sia estinta? Non dobbiamo più niente agli USA, ma fino a che non riusciamo a convincerne gli italiani avremo sempre le mani legate. Questo è terreno di battaglia politica, durissima, condizione necessaria per pesare nello scontro sistemico a più alto livello. Sarebbe stolto vincere questa battaglia per poi rinchiudersi nei propri confini nazionali, interrompendo la guerra sul più bello.
Alberto
Posta un commento