Roma, 15 ottobre |
di Leonardo Mazzei
C'è, o no, un problema di sovranità nazionale da riconquistare?
Dopo la letterina d'agosto della Bce, sono arrivati gli ordini d'ottobre dell'asse Berlino-Parigi: ecco in cosa consiste la «democratica» Unione che piace tanto al centrosinistra.
Il Buffone dell'Eliseo, che fino a poco tempo fa intrallazzava allegramente con quello che ancora siede a Palazzo Chigi, ha concordato la sceneggiata con la più austera Merkel. Lo scopo è duplice: dettare al governo italiano la solita ricetta antipopolare, piazzare una mina nella maggioranza governativa per arrivare al più presto ad un autentico «governo delle banche», che risponda direttamente alla Bce.Questa sera il Consiglio dei ministri si è concluso senza assumere decisione alcuna sulle pensioni, ma pare che tornerà a riunirsi non più tardi di domani. E già questo la dice lunga. L'Europa, la «democratica» Europa, ha concesso ben tre giorni all'Italia per costringere i lavoratori italiani a lavorare ancora qualche anno in più. Ed in ballo non sono solo le pensioni. La «democratica» Europa - meglio sarebbe dire l'asse Carolingio che palesemente la governa in questo momento - esige anche un bel piano di privatizzazioni. E lo esige entro mercoledì!
sogghignando |
A chi ancora ha dei dubbi, chiediamo: c'è, o no, un problema di sovranità nazionale?
Abbiamo già scritto (vedi I tagliatori) di quanto sia ideologico l'attacco alle pensioni. Sulle cifre del gigantesco imbroglio propagandistico sulla materia rimandiamo all'articolo citato. Ma almeno un aspetto lo dobbiamo sottolineare anche qui, quello del raffronto tra l'età media effettiva del pensionamento in Italia, in Francia e in Germania. Avevamo scritto che il dato italiano si collocava a metà strada tra quello francese (più basso) e quello tedesco (leggermente più alto). Questo dicevano i dati disponibili.
Ebbene, oggi, il Corriere della Sera ha presentato dati più recenti che ci dicono che l'età media italiana (evidentemente per effetto delle controriforme a catena degli ultimi anni) ha ormai eguagliato quella tedesca. Se in Italia gli uomini vanno mediamente in pensione a 61,5 anni ed in Germania a 61,6; le donne vanno in quiescenza a 60,0 anni in Italia, contro i 59,9 della Germania. Dunque pareggio assoluto, mentre il dato della Francia è di 58,8 anni sia per le donne che per gli uomini.
Queste cifre bastano e avanzano per mostrare il carattere pretestuoso del diktat Sarkozy-Merkel. E del resto i dati dell'Inps, tra i quali spicca il notevole avanzo dei conti del Fondo lavoratori dipendenti, sono lì a gridare vendetta. L'eroico Berlusconi, questa volta deriso più del solito, ha subito pensato di accontentare al meglio i suoi sbeffeggiatori: alzare l'età pensionabile a 67 anni! Forse Berlusconi non lo sa, ma il suo governo ha già innalzato da tempo questa età ben oltre i 67 anni con il meccanismo dell'adeguamento in base all'aspettativa di vita.
E allora? Allora è chiaro che l'asse Berlino-Parigi - ovviamente coadiuvato da qualche suggeritore nostrano (la quinta colonna Napolitano?) - ha voluto piazzare una bella mina tra la milanese Via Bellerio (sede nazionale della Lega) e la romana via del Plebiscito (dove si trova la modesta residenza del padre-padrone del Pdl).
Riuscirà l'azione dei bombaroli europei? Non lo sappiamo, ma gli artificieri di Palazzo Chigi sembrano in grande affanno. In questi ultimi mesi Bossi ha fatto più dietrofront che rutti in pubblico, e non è che si sia risparmiato su quest'ultimo fronte. Tuttavia gli interessi della ditta si divaricano sempre più da quelli del partito berlusconiano. Vedremo come andrà a finire.
Intanto le cosiddette «opposizioni» non è chiaro a cosa si oppongano. Casini è un ultras dell'aumento dell'età pensionabile, Bocchino ha già detto sì purché se ne vada l'ex principale, in quanto al Pd la confusione regna come al solito sovrana. Una cosa è certa: costoro si esibiranno in qualche «distinguo» di facciata, ma di sicuro non avranno niente da dire sulla dittatura Carolingia che detta le scelte della «democratica» Unione Europea.
Di fronte a quanto sta avvenendo davanti ai nostri occhi c'è bisogno di dire quanto sia grave la situazione? L'attacco alle condizioni di vita delle masse va avanti senza pause. Ad un manovra ne segue un'altra. La famelica Europa non può farne a meno. In ballo c'è il destino delle banche francesi e tedesche, che se ne vadano dunque in miseria i popoli del Mediterraneo! In un'Italia in piena «sindrome greca», manca ancora un'adeguata risposta popolare al massacro senza fine targato UE.
«Fuori dal debito, fuori dall'euro», abbiamo detto nella bella assemblea di Chianciano. Non si tratta di uno slogan, ma di precisi ed ineludibili obiettivi, senza i quali ogni resistenza all'attacco sferrato alle classi popolari sarebbe vana. Il diktat Merkel-Sarkozy è la conferma plateale di come sia questa la partita decisiva.
2 commenti:
UN PRIMO PASSO, LAVORARE MENO.
Il modo di produzione capitalistico ha manifestato chiaro e da sempre la natura del conflitto, la sua necessità di impoverire il lavoro per sopravvivere, per garantirsi una base decente di profitto. Svalutare il lavoro per tutelare il profitto è il leitmotiv che può essere colto nella sostanza di ogni discorso dei portavoce padronali.
Basterebbe questo, sul piano politico, per dire che la democrazia su queste basi economiche è un bluff. Comanda il capitale, le propaggini politiche obbediscono e le chiacchiere stanno a zero. Questa è la condizione che qualsiasi salariato sperimenta ogni giorno perché costretto dalla necessità a rinchiudersi nella prigione senza sbarre per almeno otto ore. Ed è lì che egli fa i conti con il tempo della propria vita che fugge e che nessuna lusinga pensionistica, peraltro sempre più incerta, potrà restituirgli da vecchio.
Da un secolo la giornata lavorativa è inchiodata a questa misura giornaliera media di sfruttamento nonostante gli enormi e strepitosi progressi della produzione sotto ogni riguardo e nonostante la massiccia disoccupazione e sottoccupazione specie nelle fasce più giovani del proletariato. Il vecchio slogan, lavorare tutti, lavorare meno, aveva indubbiamente una sua ragione. Irriderlo è servito a nulla, la realtà si prende la sua rivincita, sempre. Naturalmente non sarà sufficiente lavorare meno, ma cambiare il lavoro stesso e perciò con esso la natura dei rapporti sociali. Abbiamo oggi tutti i mezzi congrui per farlo. Perciò ogni idea in questo senso viene percepitata come pericolosissima, ridicolizzata, combattuta.
Il modo di produzione capitalistico ha dimostrato a dismisura che per garantire la sua riproduzione allargata è costretto alla finanziarizzazione spinta a livelli un tempo inimmaginabili. Una contraddizione quest’ultima indispensabile, ma ne minaccia la sopravvivenza e quella stabilità sociale tanto cara alle palinodie liberali. Queste cose e altre ancora, segnano il limite storico di questo sistema economico. Il migliore, dicono, a fronte di tutti gli altri.
Sarebbe un po’ come dire che la storia deve fermarsi qua, non deve andare oltre a causa del fallimentare tentativo di cambiamento sperimentato in alcune realtà e peraltro in determinate condizioni storiche nel secolo scorso. Le nuove generazioni, invece di interrogarsi su che cosa non ha funzionato e perché, semplicemente rinunciano a ogni tentativo di immaginare le traiettorie di uscita da questa trappola in cui ci troviamo coinvolti nostro malgrado.
Questo sistema lo vogliono riformare, non cambiare. Poi, dopo un po’ si scoraggiano e molti, preso atto con cinismo della situazione, diventano semplicemente dei reazionari. Evidentemente che l’idea di cambiamento possa trasformarsi nel socialismo reale di memoria novecentesca li scoraggia in partenza. Non è casuale questo fatto, e non si può dire che la regia non sappia fare il proprio mestiere.
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2011/10/un-primo-passo-lavorare-meno.html
Vento...Rosso
ma cambiare il lavoro stesso e perciò con esso la natura dei rapporti sociali. Abbiamo oggi tutti i mezzi congrui per farlo. Perciò ogni idea in questo senso viene percepitata come pericolosissima, ridicolizzata, combattuta.
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