The keynesian false flag
di Aldo Giannuli*
All’epoca ero un giovane militante di gruppi di estrema sinistra, ma, ciò nonostante, la cosa non mi convinceva affatto e la trovavo una idea completamente sballata. Perchè se per qualche anno poteva essere necessario fare disavanzo, prima o poi bisognava rientrare e ripianare i debiti.
Molti amici e compagni mi dicevano che i miei dubbi erano completamente fuori luogo e tradivano una “mentalità ottocentesca” e un po’ reazionaria, perchè la modernità impone il disavanzo come condizione di progresso e, dunque, esso deve essere costante, strutturale, permanente. E giù citazioni di Keynes che dimostravano quanto fosse auspicabile chiudere i conti in rosso. Rispondevo “Sarà, ma non mi convince”.
Quanto al povero Keynes, (letto in età più matura) non aveva mai detto le scemenze che gli venivano così disinvoltamente attribuite: più semplicemente invitava a fare disavanzo, nei momenti di crisi, per far ripartire l’occupazione, ma nel presupposto che, nelle congiunture favorevoli, lo Stato avrebbe riassorbito il debito fatto per riassorbire il disavanzo. Infatti parlava di “intervento anticiclico dello Stato”, il che presuppone un andamento non fisso ma flessibile e speculare rispetto alle tendenze di mercato.
Ora vedo che, invece, si sta affermando un credo semplicemente opposto e si vuole addirittura introdurre il pareggio di bilancio nella Costituzione. Morale: o si tratterà della norma più disattesa di tutte le Costituzioni del Mondo o finirà per produrre economie ingessate. Il bilancio, per quanto possibile deve tendere al pareggio, ma, come appunto insegna Keynes, deve necessariamente essere elastico ed alternare momenti di disavanzo a momenti di recupero. Non si può essere sempre solo cicale o sempre e solo formiche.
Ma di questo riparleremo. Qui ci limitiamo ad osservare che la diretta conseguenza, di quella euforica convinzione sul pareggio di bilancio, fu un’altra idea ancora più perniciosa: quella del debito che non si paga mai e si rinnova sempre (come diceva Totò: “Ho detto che domani ti pago! E domani ti pago!”), e che, quindi, può crescere indefinitamente.
Insomma, l’idea che gira, anche se spesso non apertamente dichiarata, è che la solvibilità di un debitore c’è sino a quando può pagare gli interessi in scadenza. Che poi il debito complessivo ammonti a cifre stellari, questo non ha importanza, sino a quando i debitori rinnovano il debito. E’ questa l’idea alla base del rating che, con i suoi criteri cabalistici assegna le tre A agli Usa con il loro 160% di debito sul Pil e declassa altri che hanno un debito alla metà, in nome di altri parametri misteriosi ed ancor più misteriosamente calcolati.
Insomma l’idea è che il debito un giorno sarà pagato. Quando? Un giorno. Per ora andiamo avanti così e non poniamoci il problema del debito accumulato. Tanto poi i creditori reinvestono. “Sarà, ma non mi convince…”
Prendiamo il ragionamento dall’inizio e portiamolo alle estreme conseguenze.
Partiamo dall’idea che non è necessario saldare il debito in tutto o in parte e che ci si può affidare al tranquillo rinnovarsi delle scadenze, perchè il debito può essere rifinanziato oppure perchè esso può esser cartolarizzato e rivenduto o, infine, perchè, nel caso di debiti sovrani, è sempre possibile venderlo alla rispettiva banca centrale emettendo una pari massa di moneta (anche se questa ultima manovra è molto più agevole per il dollaro, moneta di riferimento internazionale, che per le altre monete che devono necessariamente confrontarsi con il dollaro, soprattutto per l’acquisto di commodities). Dunque, il grado di affidabilità dei debiti sovrani non sarebbe dato dalla massa del debito accumulato, ma dalla solvibilità degli interessi.
In effetti, l’esperienza storica insegna che nessuno stato (o quasi) ha mai esaurito il suo stock di debito e, tutto sommato, i default sono molto più frequenti di quanto non si creda, anche se nella maggior parte dei casi si è trattato di default domestici e non internazionali.
Questo, però, non vuol dire che il debito possa crescere all’infinito, non fosse altro perchè, ad un certo punto, il peso degli interessi si fa insostenibile e, se ciò accadesse, questo metterebbe seriamente a rischio anche il rifinanziamento delle quote in scadenza: chi investirebbe su un debitore che non paga neppure gli interessi? Dunque, si determinerebbe una frana a catena per la quale il debito accumulato sarebbe messo in gran parte all’incasso e non ci sarebbe altra strada che il default.
Anche l’assorbimento di titoli da parte della propria banca centrale non potrebbe risolvere il problema al di là di un certo punto: la continua emissione di carta moneta provocherebbe una rapida svalutazione della moneta e i titoli denominati in moneta propria perderebbero ogni capacità di attrazione per gli investitori, che capirebbero di stare acquistando a 100 quello che domani varrà 80 e dopodomani 50. Peggio ancora i debiti denominati in valuta straniera o ad essa agganciati: il costo dei loro interessi diventerebbe proibitivo, per effetto del diverso cambio determinato dalla svalutazione, e ciò affetterebbe il crollo.
Dunque, c’è una soglia critica oltre la quale il debito “implode” perchè non può più crescere e questo fa crollate tutta l’impalcatura che reggeva il debito accumulato.
Questa soglia può anche essere gradualmente spostata “in avanti” dalla crescita economica del paese indebitato che, in questo modo, guadagnerebbe nuovi margini di “indebitabilità”. Ma anche questa ipotesi è limitata ed aleatoria. Limitata perchè sulla stessa crescita peserebbe l’onere del debito che ingoia con gli interessi, risorse per gli investimenti (soprattutto se si tratta di debito estero). Aleatoria perchè non è affatto detto che la crescita debba necessariamente esserci, come dimostrano i rischi di stagnazione o, peggio, di recessione, per cui potrebbe anche verificarsi il caso contrario: che una caduta nello sviluppo crei una imprevista situazione di illiquidità che diventerebbe rapidamente insolvenza.
Pertanto, comunque la si rivolti, l’idea di un debito eterno che non si salda mai, per cui non ci si deve preoccupare della solvibilità delle passività accumulate è una idea profondamente sbagliata. Anzi, è l’errore decisivo su cui si basa l’iper capitalismo finanziario dei nostri giorni ed è la principale ragione della crisi in corso.
I “trucchi” della fiat money e della cartolarizzazione, cioè della commerciabilità infinita del debito, hanno solo creato l’illusione di un debito espandibile a piacere a sostegno di uno sviluppo illimitato e rapidissimo.
Dunque una certa soglia di indebitamento, oltre la quale non è possibile andare esiste, ma questo significa anche un’altra cosa: che raggiunta quella soglia occorre cercare di tornare indietro, saldando almeno una parte del debito accumulato. Diversamente, la capacità di intervento economico dello Stato sarebbe azzerata, proprio per l’impossibilità di fare ulteriore disavanzo quando questo fosse necessario.
Di fatto, la condizione di accettabilità del debito è che, raggiunta quella soglia, si cerchi di farlo calare (anche se non necessariamente annullare) per riconquistare una certa elasticità. Il resto è solo ideologia e questo vale anche per gli Usa, qualsiasi cosa ne dicano le agenzie di rating.
* Fonte: Ateneo
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