«Non i nostri quartieri occorre mettere a ferro e fuoco, ma quelli del nemico, e i santuari del potere» |
di Campo Antimperialista*
Tottenham, il quartiere dov'è scoppiata giovedì notte la rivolta giovanile, è a un tiro di schioppo da Highgate, il quartiere che ospita la tomba di Marx. Ad Highgate non ci sono state devastazioni, né espropri, né scontri con la polizia. Highgate è un quartiere di “gente per bene”, una zona borghese: qui la rivolta non è scoppiata, né i vandali sono potuti arrivare: le forze di polizia hanno subito sigillato i quartieri più poveri, proteggendo quelli ricchi confinanti.
Il Premier Cameron, un imbecille perfetto, rampollo di una famiglia conservatrice, ha espresso come meglio non si poteva l’ipocrisia farisaica e puritana della classe dominante e l’odio incarnato per i poveracci. «Sono solo atti di elinquenza, li stroncheremo con ogni mezzo». Interpretando, come meglio non si poteva, il livore di tanti bottegai che hanno visto i loro empori devastati e saccheggiati.
Nulla di diverso, apparentemente, dalla «racaille» di Sarkozy. Vero è che anche a Londra la gioventù immigrata di seconda o anche terza generazione, è stata la forza motrice della rivolta, come fu del resto a Parigi e nelle altre grandi città francesi. Tuttavia, nel combinato disposto di rabbia per l’emarginazione razziale e quella causata dalla pauperizzazione dovuta alla crisi sociale ed economica, questo secondo aspetto è quello davvero determinante.
Si faceva un gran parlare del sistema di integrazione posto in essere in Inghilterra, rispetto ad esempio a quello francese; così le lodi del melting pot londinese, “perfetto modello di convivenza civile”. Questo si basava, in definitiva, sull’efficienza relativa dello “Stato sociale”, sulle regalie e gli assegni di disoccupazione che lo Stato metteva a disposizione degli strati sociali più poveri, immigrati nella gran parte. Era nient’altro che un astuto sistema di pompieraggio strategico, un gettito d’acqua permanente su una santabarbara.
La crisi economica sopraggiunta nell’autunno 2008 ha essiccato la sorgente dello Stato pompiere. Il governo (laburista), tagliò brutalmente la spesa sociale e in particolare per l’assistenza ai disoccupati per soccorrere il sistema bancario, tra quelli occidentali quello messo più male e che altrimenti sarebbe collassato.
La rivolta giovanile scoppiata a Tottenham, subito estesasi nelle periferie londinesi di Croydon, Camden, Ealing, Clapham, Hackney, Peckham, ed infine in quelle delle altri grandi città, è anzitutto una risposta dei diseredati alla crisi, e alle misure antipopolari dei governi per farvi fronte. E’ poi un fatto che in Inghilterra (altro che integrazione!) la gran parte della povera gente sia composta non da inglesi, ma da immigrati.
La rivolta è la spia di una crisi più profonda del capitalismo inglese il quale, dopo decenni di deindustrializzazione e di globalizzazione, ha accentuato i tratti imperialistici, ovvero parassitari. Pochi sono orami gli “imprenditori”, gli industriali. La classe dominante, con le sue appendici verso il basso, ruota attorno alla City, campa di rendita, fa fruttare il grasso accumulato in secoli di colonialismo. Togli all’Inghilterra la City, la seconda borsa mondiale dopo Wall Street, e tutto il sistema verrà giù come una mela marcia.
A questo corrisponde una determinata composizione sociale delle classi subalterne. Resta poco della vecchia e combattiva classe operaia inglese. Quelli che non hanno un lavoro nel terziario o nel pubblico impiego, prestano servizio come domestici o come servi. Spulciano i pidocchi ai parassiti e ai signori. La crisi ha tuttavia colpito anche questi ultimi, ne ha ridotto le fila, gettando così sul lastrico milioni di immigrati, che tirano a campare come possono.
Che siano i giovani, ovvero i disoccupati, i primi a ribellarsi, è dunque quasi una “legge di natura”. Essi non solo non hanno un futuro, non hanno un presente. Propriamente non sono nemmeno un “esercito industriale di riserva”. Sono niente, nulla di più se non polvere sociale, escrementi e deiezioni di un capitalismo parassitario e votato al declino.
Cosa avrebbe dunque pensato Marx di questa sommossa? Scommettiamo che c’è chi sosterrà che gli avrebbe sputato addosso come “marmaglia sociale”; che avrebbe ribadito il suo odio per illumpenproletariat, sempre pronto a vendersi a qualche avventuriero reazionario. Marx è morto, com’è morto il capitalismo che egli aveva di fronte. Non resta più nulla della “missione civilizzatrice del Capitale”, che si affermava malgrado il più odioso sfruttamento della moderna schiavitù salariata. Oggi la gran parte dei poveracci sono solo schiavi, senza salario e senza lavoro. Quando Marx parlava dilumpenproletariat, egli si riferiva a quegli strati sociali composti di straccioni, ladri, prostitute, strati sociali marginali, frutto dello sfascio della vecchia società e del trapasso al capitalismo.
Oggigiorno questi strati sono si marginali, perché strutturalmente tagliati fuori dal processo sociale di produzione e dal benessere, ma non si tratta di minoranze infime di ladruncoli e malavitosi. Qui si tratta di ampie fette delle nuove generazioni proletarie. Un serbatoio sociale enorme senza cui nessuna rivoluzione sociale è possibile. E non parliamo solo dell’Occidente, poiché i fatti inglesi mostrano che le metropoli imperialistiche si sono ampiamente terzomondizzate — e quindi iniziano a valere qui le leggi di guerra sociale da decenni operanti nel Sud del mondo.
Non si scambi quanto diciamo per apologia. Mentre non partecipiamo al coro ipocrita della condanna e dell’esecrazione, non ci sfuggono per niente i rischi tremendi insiti in queste esplosioni, che se fanno tremare per un momento l’ordine costituito, mai potranno buttarlo giù. C’è, nei tumulti inglesi, e prima ancora in quelli francesi, una doppia lezione per tutti i rivoluzionari. Se da una parte ci vien mostrata quanta formidabile energia si cela nel sottosuolo sociale, essa, se non è politicamente indirizzata, rischia di essere, oltreché positivamente distruttiva, auto-distruttiva. Non i nostri quartieri occorre mettere a ferro e fuoco, ma quelli del nemico, e i santuari del potere. D’assedio occorre cingere, con una sollevazione di massa, i palazzi dei governi, delle banche, delle borse, delle televisioni. Non solo per paralizzare il potere, ma per rovesciarlo.
Il Premier Cameron, un imbecille perfetto, rampollo di una famiglia conservatrice, ha espresso come meglio non si poteva l’ipocrisia farisaica e puritana della classe dominante e l’odio incarnato per i poveracci. «Sono solo atti di elinquenza, li stroncheremo con ogni mezzo». Interpretando, come meglio non si poteva, il livore di tanti bottegai che hanno visto i loro empori devastati e saccheggiati.
Nulla di diverso, apparentemente, dalla «racaille» di Sarkozy. Vero è che anche a Londra la gioventù immigrata di seconda o anche terza generazione, è stata la forza motrice della rivolta, come fu del resto a Parigi e nelle altre grandi città francesi. Tuttavia, nel combinato disposto di rabbia per l’emarginazione razziale e quella causata dalla pauperizzazione dovuta alla crisi sociale ed economica, questo secondo aspetto è quello davvero determinante.
Si faceva un gran parlare del sistema di integrazione posto in essere in Inghilterra, rispetto ad esempio a quello francese; così le lodi del melting pot londinese, “perfetto modello di convivenza civile”. Questo si basava, in definitiva, sull’efficienza relativa dello “Stato sociale”, sulle regalie e gli assegni di disoccupazione che lo Stato metteva a disposizione degli strati sociali più poveri, immigrati nella gran parte. Era nient’altro che un astuto sistema di pompieraggio strategico, un gettito d’acqua permanente su una santabarbara.
La crisi economica sopraggiunta nell’autunno 2008 ha essiccato la sorgente dello Stato pompiere. Il governo (laburista), tagliò brutalmente la spesa sociale e in particolare per l’assistenza ai disoccupati per soccorrere il sistema bancario, tra quelli occidentali quello messo più male e che altrimenti sarebbe collassato.
La rivolta giovanile scoppiata a Tottenham, subito estesasi nelle periferie londinesi di Croydon, Camden, Ealing, Clapham, Hackney, Peckham, ed infine in quelle delle altri grandi città, è anzitutto una risposta dei diseredati alla crisi, e alle misure antipopolari dei governi per farvi fronte. E’ poi un fatto che in Inghilterra (altro che integrazione!) la gran parte della povera gente sia composta non da inglesi, ma da immigrati.
La rivolta è la spia di una crisi più profonda del capitalismo inglese il quale, dopo decenni di deindustrializzazione e di globalizzazione, ha accentuato i tratti imperialistici, ovvero parassitari. Pochi sono orami gli “imprenditori”, gli industriali. La classe dominante, con le sue appendici verso il basso, ruota attorno alla City, campa di rendita, fa fruttare il grasso accumulato in secoli di colonialismo. Togli all’Inghilterra la City, la seconda borsa mondiale dopo Wall Street, e tutto il sistema verrà giù come una mela marcia.
A questo corrisponde una determinata composizione sociale delle classi subalterne. Resta poco della vecchia e combattiva classe operaia inglese. Quelli che non hanno un lavoro nel terziario o nel pubblico impiego, prestano servizio come domestici o come servi. Spulciano i pidocchi ai parassiti e ai signori. La crisi ha tuttavia colpito anche questi ultimi, ne ha ridotto le fila, gettando così sul lastrico milioni di immigrati, che tirano a campare come possono.
Che siano i giovani, ovvero i disoccupati, i primi a ribellarsi, è dunque quasi una “legge di natura”. Essi non solo non hanno un futuro, non hanno un presente. Propriamente non sono nemmeno un “esercito industriale di riserva”. Sono niente, nulla di più se non polvere sociale, escrementi e deiezioni di un capitalismo parassitario e votato al declino.
Cosa avrebbe dunque pensato Marx di questa sommossa? Scommettiamo che c’è chi sosterrà che gli avrebbe sputato addosso come “marmaglia sociale”; che avrebbe ribadito il suo odio per illumpenproletariat, sempre pronto a vendersi a qualche avventuriero reazionario. Marx è morto, com’è morto il capitalismo che egli aveva di fronte. Non resta più nulla della “missione civilizzatrice del Capitale”, che si affermava malgrado il più odioso sfruttamento della moderna schiavitù salariata. Oggi la gran parte dei poveracci sono solo schiavi, senza salario e senza lavoro. Quando Marx parlava dilumpenproletariat, egli si riferiva a quegli strati sociali composti di straccioni, ladri, prostitute, strati sociali marginali, frutto dello sfascio della vecchia società e del trapasso al capitalismo.
Oggigiorno questi strati sono si marginali, perché strutturalmente tagliati fuori dal processo sociale di produzione e dal benessere, ma non si tratta di minoranze infime di ladruncoli e malavitosi. Qui si tratta di ampie fette delle nuove generazioni proletarie. Un serbatoio sociale enorme senza cui nessuna rivoluzione sociale è possibile. E non parliamo solo dell’Occidente, poiché i fatti inglesi mostrano che le metropoli imperialistiche si sono ampiamente terzomondizzate — e quindi iniziano a valere qui le leggi di guerra sociale da decenni operanti nel Sud del mondo.
Non si scambi quanto diciamo per apologia. Mentre non partecipiamo al coro ipocrita della condanna e dell’esecrazione, non ci sfuggono per niente i rischi tremendi insiti in queste esplosioni, che se fanno tremare per un momento l’ordine costituito, mai potranno buttarlo giù. C’è, nei tumulti inglesi, e prima ancora in quelli francesi, una doppia lezione per tutti i rivoluzionari. Se da una parte ci vien mostrata quanta formidabile energia si cela nel sottosuolo sociale, essa, se non è politicamente indirizzata, rischia di essere, oltreché positivamente distruttiva, auto-distruttiva. Non i nostri quartieri occorre mettere a ferro e fuoco, ma quelli del nemico, e i santuari del potere. D’assedio occorre cingere, con una sollevazione di massa, i palazzi dei governi, delle banche, delle borse, delle televisioni. Non solo per paralizzare il potere, ma per rovesciarlo.
* Fonte: Campo Antimperialista
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