Quelli che per far trionfare il bene sul male e veder finalmente riscoperti i valori ambientalisti devono ricorrere al cinema 3D
Le grida forti della disperazione di fronte alla distruzione del proprio mondo sono la parte più vera di Avatar. Il dolore che travalica i confini tra uomini e alieni e rende simili di fronte alla morte: dal sud d’Italia come ad Haiti, dalla Terra a Pandora. Un urlo come una fitta che ti spacca l’anima in pezzi. Neytiri, la donna Na’vi che piange i suoi morti ha gli occhi della sofferenza che la rendono umana e cancellano d’incanto il colore blu della sua pelle, le sembianze d’animale, la coda le orecchie e quel corpo alieno.
La possibilità di avere una nuova chance in un altrove impensato è il fascino di Avatar, più che nella sbalorditiva tecnologia costata quasi quattrocento milioni di dollari. Certo l’impatto è forte con le cadute a precipizio in strapiombi profondissimi, le risalite verso l’alto e il volo bizzarro dei banshee, mostruose creature alate: l’ingresso nel film tridimensionale fa toccare quasi con mano ogni persona e cosa, e la fuoriuscita di oggetti dallo schermo li avvicina a noi, ai nostri sensi per renderli tangibili e fantastici nello stesso tempo nella versione in 3D.
L’opportunità nuova del marine Jake Sully (interpretato dall’australiano Sam Worthington) di lasciare il suo corpo paralizzato e vivere nel corpo del suo avatar è la chiave del messaggio di salvezza di James Cameron. Il sogno che si realizza nella realtà di un corpo costruito in laboratorio. Da adesso la nuova speranza di noi umani è nel pensare di addormentarci e affidare al nostro avatar vigoroso di forza e di risorse il compimento di tutte le missioni in cui potremmo aver fallito.
L’anticonformismo di Avatar è nella riuscita benefica di ogni soggetto anche orrido che riempie la scena. La natura di Pandora affollata di pericoli non è ostile fino al punto di non poter essere domata; quindi è buona per gli abitanti di Pandora che la governano e trovano modi di vivere in simbiosi con lei, in scambi di energie positive e sogni cullati dalle amache dell’enorme albero casa.
La modernità di Avatar è nella concezione non sessista. Finalmente le femmine sono a fianco dei maschi, libere di cacciare e di scegliere il proprio compagno. Potenti nella guerra, nella marcia per i dirupi stretti irti di radici o con lanci tra le liane. Tenere e forti come…donne. Non bambole-oggetto della degenerata raffigurazione mediatica dei nostri giorni. Il linguaggio audiovisivo è spostato in avanti di decine di anni, ma il valore primitivo della dignità delle persone non teme patine di vetustà e si espone con tutta la casistica sentimentale e romantica. E’una donna guerriera, Trudy Chacon (Michelle Rodriguez), la soldatessa che si ribella al massacro dei Na’vi e dichiarando “Non mi sono arruolata per questo schifo!” e da il via alla reazione della parte sana dell’America.
La parabola antimperialista con rimandi a Hitler per l’uso del gas contro i Na’vi, o a Bush per la messa in atto dell’attacco “preventivo” è presente anche nell’antimilitarismo dei potenti apparecchi di volo che si distruggono con mezzi rudimentali e pezzi di manufatti inseriti negli ingranaggi. Certo con molta fatica e scene avveniristiche e lotte di titani meccanici, bulldozer soccombenti finalmente. Un “Arrivano i nostri” al contrario in cui “gli indiani” con le loro frecce avvelenate vincono la potentissima macchina da guerra, e stranamente la platea tifa per loro ed ignora il richiamo delle trombe del generale Custer. Hanno le frecce, le trecce, la spiritualità, e sono gerarchicamente obbedienti a principi guerrieri. Neytiri e Jake Sully si amano per la comune bellezza interiore che li rende uguali pur appartenendo a due mondi lontani. La dottoressa Grace Augustine, interpretata da Sigourney Weaver, sopravvive anche lei nel corpo del suo avatar perché il mondo degli umani non ha più posto per lei, né comprende gli esiti della sua ricerca scientifica e il rispetto per i nativi di Pandora.
Il film è eversivo in una ribellione di soldati Usa sani contro nuovi dittatori assetati di ricchezza e potere. Il motivo per cui distruggono l’enorme albero casa è per un minerale raro che si chiama Unobtainium (gemito), contenuto sotto le radici dello stesso albero sacro. Ci viene in mente il valore del petrolio causa di guerre preventive e massacri di popolazioni.
Avatar è eversivo fino in fondo. Lo è nella natura che si ribella: animali, piante, umani e umanoidi contro la cieca sopraffazione. Ma la rivoluzione di Avatar è nella capacità di ricominciare da capo a costruire un mondo migliore diverso dal nostro ormai deteriorato dalla mentalità autodistruttiva.
Il fallimento di Copenaghen nonostante la paura per il riscaldamento globale trova conforto nel sogno visto in tre dimensioni. Al Gore, tutti gli altri convenuti al convegno sul clima si daranno ancora da fare per dare un destino diverso alla nostra terra. Speriamo che fra 150 anni nessuno possa dire: “Non c’è verde sul loro “mondo morente” perché hanno ucciso la loro madre”.
La possibilità di avere una nuova chance in un altrove impensato è il fascino di Avatar, più che nella sbalorditiva tecnologia costata quasi quattrocento milioni di dollari. Certo l’impatto è forte con le cadute a precipizio in strapiombi profondissimi, le risalite verso l’alto e il volo bizzarro dei banshee, mostruose creature alate: l’ingresso nel film tridimensionale fa toccare quasi con mano ogni persona e cosa, e la fuoriuscita di oggetti dallo schermo li avvicina a noi, ai nostri sensi per renderli tangibili e fantastici nello stesso tempo nella versione in 3D.
L’opportunità nuova del marine Jake Sully (interpretato dall’australiano Sam Worthington) di lasciare il suo corpo paralizzato e vivere nel corpo del suo avatar è la chiave del messaggio di salvezza di James Cameron. Il sogno che si realizza nella realtà di un corpo costruito in laboratorio. Da adesso la nuova speranza di noi umani è nel pensare di addormentarci e affidare al nostro avatar vigoroso di forza e di risorse il compimento di tutte le missioni in cui potremmo aver fallito.
L’anticonformismo di Avatar è nella riuscita benefica di ogni soggetto anche orrido che riempie la scena. La natura di Pandora affollata di pericoli non è ostile fino al punto di non poter essere domata; quindi è buona per gli abitanti di Pandora che la governano e trovano modi di vivere in simbiosi con lei, in scambi di energie positive e sogni cullati dalle amache dell’enorme albero casa.
La modernità di Avatar è nella concezione non sessista. Finalmente le femmine sono a fianco dei maschi, libere di cacciare e di scegliere il proprio compagno. Potenti nella guerra, nella marcia per i dirupi stretti irti di radici o con lanci tra le liane. Tenere e forti come…donne. Non bambole-oggetto della degenerata raffigurazione mediatica dei nostri giorni. Il linguaggio audiovisivo è spostato in avanti di decine di anni, ma il valore primitivo della dignità delle persone non teme patine di vetustà e si espone con tutta la casistica sentimentale e romantica. E’una donna guerriera, Trudy Chacon (Michelle Rodriguez), la soldatessa che si ribella al massacro dei Na’vi e dichiarando “Non mi sono arruolata per questo schifo!” e da il via alla reazione della parte sana dell’America.
La parabola antimperialista con rimandi a Hitler per l’uso del gas contro i Na’vi, o a Bush per la messa in atto dell’attacco “preventivo” è presente anche nell’antimilitarismo dei potenti apparecchi di volo che si distruggono con mezzi rudimentali e pezzi di manufatti inseriti negli ingranaggi. Certo con molta fatica e scene avveniristiche e lotte di titani meccanici, bulldozer soccombenti finalmente. Un “Arrivano i nostri” al contrario in cui “gli indiani” con le loro frecce avvelenate vincono la potentissima macchina da guerra, e stranamente la platea tifa per loro ed ignora il richiamo delle trombe del generale Custer. Hanno le frecce, le trecce, la spiritualità, e sono gerarchicamente obbedienti a principi guerrieri. Neytiri e Jake Sully si amano per la comune bellezza interiore che li rende uguali pur appartenendo a due mondi lontani. La dottoressa Grace Augustine, interpretata da Sigourney Weaver, sopravvive anche lei nel corpo del suo avatar perché il mondo degli umani non ha più posto per lei, né comprende gli esiti della sua ricerca scientifica e il rispetto per i nativi di Pandora.
Il film è eversivo in una ribellione di soldati Usa sani contro nuovi dittatori assetati di ricchezza e potere. Il motivo per cui distruggono l’enorme albero casa è per un minerale raro che si chiama Unobtainium (gemito), contenuto sotto le radici dello stesso albero sacro. Ci viene in mente il valore del petrolio causa di guerre preventive e massacri di popolazioni.
Avatar è eversivo fino in fondo. Lo è nella natura che si ribella: animali, piante, umani e umanoidi contro la cieca sopraffazione. Ma la rivoluzione di Avatar è nella capacità di ricominciare da capo a costruire un mondo migliore diverso dal nostro ormai deteriorato dalla mentalità autodistruttiva.
Il fallimento di Copenaghen nonostante la paura per il riscaldamento globale trova conforto nel sogno visto in tre dimensioni. Al Gore, tutti gli altri convenuti al convegno sul clima si daranno ancora da fare per dare un destino diverso alla nostra terra. Speriamo che fra 150 anni nessuno possa dire: “Non c’è verde sul loro “mondo morente” perché hanno ucciso la loro madre”.
27 gennaio 2010
Wanda Montanelli
Wanda Montanelli
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