13 febbraio. Emiliano Brancaccio difende la cosiddetta "uscita da sinistra" dall'euro e denuncia "l'uscita da destra", ovvero liberoscambista e neoliberista, che hanno in mente alcuni settori delle classi dominanti, di cui Paolo Savona (nella foto) è interprete.
D. Professor Brancaccio, quali sono i motivi di questa avversità crescente verso la moneta unica?
R. Negli auspici dei padri fondatori, l'Unione monetaria europea avrebbe dovuto creare più collegialità nelle decisioni di politica economica, in modo da arginare il potere soverchiante della Germania unificata. Oggi sappiamo che quelle speranze erano vane. Allo scoppio della crisi mondiale l'eurozona si è rivelata un vestito disegnato su misura per la sola economia più forte, quella tedesca. Dal 2008 al 2013 la Germania ha visto crescere l'occupazione di un milione e mezzo di unità, mentre Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda hanno perso oltre sei milioni di posti di lavoro. In uno scenario simile l'insofferenza politica verso le istituzioni europee è scontata, ed è pure destinata ad aumentare.
D. Quali sono i principali mali dell'euro?
R. Penso che il problema stia nell'assetto complessivo dell'Unione, nel suo orientamento liberista e liberoscambista e nella sua vocazione all'austerity, non semplicemente nella moneta unica. Tuttavia è vero che uno squilibrio monetario interno esiste. Uno dei motivi è che, in questi anni, la Germania ha attuato una ferrea politica di competizione salariale.
Dal 1999 ad oggi, in Germania, i salari monetari sono aumentati di appena il ventidue per cento, contro un aumento medio del trentanove per cento nell'eurozona. La conseguenza è che la Germania costringe gli altri paesi membri a partecipare a una feroce gara al ribasso relativo dei salari e dei prezzi. Questa gara avvantaggia ulteriormente l'economia tedesca e i suoi satelliti, ma fa sprofondare il resto dell'Unione in una depressione generalizzata dei redditi e dell'occupazione.
D. In questo quadro, lei ritiene percorribile la strada di uscita dall'euro?
R. Guardi, abbiamo provato in tanti a invocare una riforma dell'Unione ma non si è fatto praticamente nulla. La stessa strategia di salvataggio messa in atto da Draghi è contraddittoria: la Bce eroga liquidità ai paesi più deboli ma, in cambio, chiede austerity, riduzioni salariali, e annuncia pure la chiusura di molte banche situate soprattutto in quei paesi. Questo non farà altro che accentuare i divari rispetto alla Germania.
Una svolta reale negli indirizzi di politica economica europea non si intravede, ed è insensato pensare che si possa fronteggiare questo disastro con altre manciate di vuota retorica europeista. Con divergenze così accentuate l'eurozona prima o poi esploderà, volenti o nolenti”.
D. Cosa pensa delle tesi del professor Savona su un piano B di uscita dall'euro, che ItaliaOggi e MF hanno rilanciato sotto forma di «Manifesto» che però, in prima istanza, punta su un massiccio piano di privatizzazioni realizzate e non più solo declamate?
R. Che una possibilità di uscita debba ormai essere contemplata è questione che attiene al più elementare alfabeto delle relazioni internazionali. Coloro i quali si ostinano ad affermare che ai tavoli delle trattative europee ci si debba sedere legandosi le mani ed escludendo a priori un piano di uscita, vorrebbero presentarsi al grande pubblico come persone di buon senso. In realtà, la loro posizione è ormai scarsamente realistica, e a questo punto mi sembra anche poco responsabile. proprio la sensazione che ci si trovi in un vicolo cieco alimenta il nazionalismo più retrivo e xenofobo. Detto questo, credo di pensarla diversamente dal prof. Savona_».
D. Cosa non condivide?
R. Per esempio, non credo che la soluzione alla crisi risieda nei tagli alla spesa pubblica totale. Nell'apparato statale ci sono ancora diverse sacche di spreco ma sono ancora di più i settori chiave in cui si registra una tremenda carenza di risorse, che pregiudica gli stessi obiettivi di modernizzazione della macchina statale. Del resto, nel suo complesso, la spesa pubblica italiana rispetto al pil è appena di un punto al di sopra della media europea, e al netto degli interessi si situa persino al di sotto della media.
D. Il professor Savona, a dire il vero, punta sulla privatizzazione degli asset pubblici non utilizzati, o non adeguatamente utilizzati, per poter abbattere lo stock del debito che ha raggiunto livelli tali da non consentire nessuna credibile manovra di risanamento economico. Ma andiamo avanti. Nel «monito degli economisti» che lei ha promosso si parla di modi alternativi di uscita dall'euro. Lei stesso ha più volte sostenuto la necessità di una uscita «da sinistra», opposta a una cosiddetta uscita «da destra». Ci spieghi questa distinzione.
R. Proviamo per un attimo a mettere da parte queste etichette e stiamo al merito. La crisi è stata innescata, tra le altre cose, da quelle politiche liberiste e liberoscambiste che, negli anni passati, hanno determinato una progressiva deregolamentazione dei mercati finanziari e dei sistemi bancari. Purtroppo, fino ad oggi, non si è posto alcun rimedio.
R. Negli auspici dei padri fondatori, l'Unione monetaria europea avrebbe dovuto creare più collegialità nelle decisioni di politica economica, in modo da arginare il potere soverchiante della Germania unificata. Oggi sappiamo che quelle speranze erano vane. Allo scoppio della crisi mondiale l'eurozona si è rivelata un vestito disegnato su misura per la sola economia più forte, quella tedesca. Dal 2008 al 2013 la Germania ha visto crescere l'occupazione di un milione e mezzo di unità, mentre Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda hanno perso oltre sei milioni di posti di lavoro. In uno scenario simile l'insofferenza politica verso le istituzioni europee è scontata, ed è pure destinata ad aumentare.
D. Quali sono i principali mali dell'euro?
R. Penso che il problema stia nell'assetto complessivo dell'Unione, nel suo orientamento liberista e liberoscambista e nella sua vocazione all'austerity, non semplicemente nella moneta unica. Tuttavia è vero che uno squilibrio monetario interno esiste. Uno dei motivi è che, in questi anni, la Germania ha attuato una ferrea politica di competizione salariale.
Dal 1999 ad oggi, in Germania, i salari monetari sono aumentati di appena il ventidue per cento, contro un aumento medio del trentanove per cento nell'eurozona. La conseguenza è che la Germania costringe gli altri paesi membri a partecipare a una feroce gara al ribasso relativo dei salari e dei prezzi. Questa gara avvantaggia ulteriormente l'economia tedesca e i suoi satelliti, ma fa sprofondare il resto dell'Unione in una depressione generalizzata dei redditi e dell'occupazione.
D. In questo quadro, lei ritiene percorribile la strada di uscita dall'euro?
R. Guardi, abbiamo provato in tanti a invocare una riforma dell'Unione ma non si è fatto praticamente nulla. La stessa strategia di salvataggio messa in atto da Draghi è contraddittoria: la Bce eroga liquidità ai paesi più deboli ma, in cambio, chiede austerity, riduzioni salariali, e annuncia pure la chiusura di molte banche situate soprattutto in quei paesi. Questo non farà altro che accentuare i divari rispetto alla Germania.
Una svolta reale negli indirizzi di politica economica europea non si intravede, ed è insensato pensare che si possa fronteggiare questo disastro con altre manciate di vuota retorica europeista. Con divergenze così accentuate l'eurozona prima o poi esploderà, volenti o nolenti”.
D. Cosa pensa delle tesi del professor Savona su un piano B di uscita dall'euro, che ItaliaOggi e MF hanno rilanciato sotto forma di «Manifesto» che però, in prima istanza, punta su un massiccio piano di privatizzazioni realizzate e non più solo declamate?
R. Che una possibilità di uscita debba ormai essere contemplata è questione che attiene al più elementare alfabeto delle relazioni internazionali. Coloro i quali si ostinano ad affermare che ai tavoli delle trattative europee ci si debba sedere legandosi le mani ed escludendo a priori un piano di uscita, vorrebbero presentarsi al grande pubblico come persone di buon senso. In realtà, la loro posizione è ormai scarsamente realistica, e a questo punto mi sembra anche poco responsabile. proprio la sensazione che ci si trovi in un vicolo cieco alimenta il nazionalismo più retrivo e xenofobo. Detto questo, credo di pensarla diversamente dal prof. Savona_».
D. Cosa non condivide?
R. Per esempio, non credo che la soluzione alla crisi risieda nei tagli alla spesa pubblica totale. Nell'apparato statale ci sono ancora diverse sacche di spreco ma sono ancora di più i settori chiave in cui si registra una tremenda carenza di risorse, che pregiudica gli stessi obiettivi di modernizzazione della macchina statale. Del resto, nel suo complesso, la spesa pubblica italiana rispetto al pil è appena di un punto al di sopra della media europea, e al netto degli interessi si situa persino al di sotto della media.
D. Il professor Savona, a dire il vero, punta sulla privatizzazione degli asset pubblici non utilizzati, o non adeguatamente utilizzati, per poter abbattere lo stock del debito che ha raggiunto livelli tali da non consentire nessuna credibile manovra di risanamento economico. Ma andiamo avanti. Nel «monito degli economisti» che lei ha promosso si parla di modi alternativi di uscita dall'euro. Lei stesso ha più volte sostenuto la necessità di una uscita «da sinistra», opposta a una cosiddetta uscita «da destra». Ci spieghi questa distinzione.
R. Proviamo per un attimo a mettere da parte queste etichette e stiamo al merito. La crisi è stata innescata, tra le altre cose, da quelle politiche liberiste e liberoscambiste che, negli anni passati, hanno determinato una progressiva deregolamentazione dei mercati finanziari e dei sistemi bancari. Purtroppo, fino ad oggi, non si è posto alcun rimedio.
Il mio timore, dunque, è che si stia facendo largo una strategia di gestione della crisi europea che personalmente ho definito gattopardesca, e che consiste nell'obiettivo di cambiare tutto, magari anche la moneta unica, pur di non cambiare praticamente nulla, cioè pur di non mettere in discussione le politiche degli anni passati. In questa strategia gattopardesca rientra pure l'idea secondo cui per uscire dalla crisi basterebbe abbandonare l'euro e affidarsi alle libere fluttuazioni delle monete sul mercato dei cambi.
Questo modo di affrontare la crisi è sbagliato, perché avvantaggia ancora una volta la speculazione finanziaria, rischia di favorire una svendita degli istituti bancari nazionali e può deprimere ulteriormente il potere d'acquisto dei salari. Ecco perché molti economisti suggeriscono una modalità alternativa di gestione della crisi dell'eurozona, che tra le altre cose dovrebbe consistere nel ripristino dei controlli alle acquisizioni estere e ai movimenti internazionali di capitale».
* Fonte: Italia Oggi
6 commenti:
Considerati i dettati capestro del "Trattato di Lisbona", uscire dall'Euro, cosa auspicabilissima per l'Italia se non questione di vita o di morte, penso richiederebbe sia un governo diverso che non si vede neppure in lontana prospettiva, sia una classe politica meno rimpinzata dai soldi pubblici (fatto perseguito per una strategia precisa), classe politica che si guarda bene dal mettersi in gioco viste sia la incancrenita ed esasperata tattica attendista della prassi ormai collaudata (occorre rimandare e rimandare finché le jene internazionali non hanno divorato il divorabile) sia l'aspirazione incoercibile delle forze in gioco che vedono nuove elezioni come una minaccia di decurtazione dei "diritti alla poltrona e ai relativi vitalizi" .
Come sempre, impeccabile.
William Wilson
Ciò che mi fa rabbia e ' constatare sempre che la soluzione dei problemi possa avvenire attraverso scelte di pensiero economico.questa secondo me è un grosso limite che ci impedirà di uscire da questa gabbia (di Matti?). Certamente in una società complessa e globalizzata la materia economica e importante quanto altre componenti ,ma non si può pensare di uscirne con il solo pensiero economico e come il gatto che si morde la coda .Per decenni ci hanno fatto credere e condizionati a un certo modello di società e solo promuovendo un altro modello e possibile venirne fuori , ma ora passiamo ai fatti :per comunicare un nuovo modello ai nostri concittadini (questo dovrebbe accadere anche negli altri stati) ci dobbiamo impossessare dei mezzi di comunicazione ( che Noi paghiamo) che ci sono stati dal sistema dominante tolte.tutti riconosciamo che questi mezzi di comunicazione sono al servizio del potere ebbene se non ci impegniamo a riconquistare questi strumenti attraverso la collaborazione di tutti i movimenti (che oggi sono divisi per mille motivazioni) non andiamo da nessuna parte ,ci riduciamo ai commenti sui Blog e ...campa cavallo.
sì sì... infatti i tentativi di venezuela e argentina di controllare cambio, capitali e prezzi stanno avendo un successone...
fabio.
Fabio, a parte le sicumere saresti così gentile da proporci tu un'alternativa? Non funziona quello che fanno Venezuela e Argentina? Ok, tu cosa proponi?
William Wilson
ww,
lasciare il cambio libero di fluttuare.
vedi, il problema della sinistra (sono un compagno, forse ex, sicuramente realista e non utopista) è la fissazione che TUTTO possa essere governato coscientemente dall'uomo.
invece l'uomo, la società, sono governati anche fa forze incontrollabili. il mercato è una di queste e penso che (purtroppo) sia meglio scendere a compromessi con queste forze. così come la chiesa ha fallito nell'intento di azzerare la sessualità umana, il comunismo fallisce nell'intento di governare in tutto l'economia.
se tu schiacci troppo gli agenti economici i soldi scappano all'estero, il cambio crolla e l'inflazione si scatena. allora imponi il calmiere? le imprese vanno in perdita e non si produce più. le costringi a produrre coi fucili? oppure espropri tutto e pensi che burocrati statali conducano la produzione meglio dei privati, in tutti i settori?
nei paesi a socialismo reale c'hanno provato e non ho visto buoni risultati (lasciando stare i massacri)... in venezuela ci stanno riprovando e continuo a non vedere buoni risultati.
io non sono liberista, per me certi settori devono essere statali, ma non tutti i settori. ovvero c'è un limite all'intervento statale, c'è un optimum oltre il quale si esagera e il sistema crolla.
chiamatemi pure riformista o socialdemocratico...
fabio.
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