11 giugno. In questa intervista Bruno Amoroso (nella foto) spiega le cause della crisi sistemica e come poterne uscire. Questo ci pare il passaggio cruciale: «La
crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo
della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che
si è dato a partire dagli anni settanta con la Globalizzazione.
Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un
sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio
dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La
crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi
economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di
approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran
parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può
avvenire solo con l’uscita dal capitalismo che oggi è quello della
speculazione finanziaria e della rapina di Stato».
D. L’attuale crisi è qualcosa che si poteva prevedere, oppure si è trattato di un evento i cui fattori molteplici globali lo hanno reso in qualche modo imprevedibile e conseguentemente incontrastabile? Quanto è fondata l’accusa rivolta agli economisti in genere di non aver lanciato l’allarme tempestivamente su quanto si stava preparando?
R. La crisi finanziaria —“la più grande ondata di crimine finanziario organizzato della storia umana”, secondo le parole di James K. Galbraith— è stata preparata nel corso di tre decenni durante i quali la Globalizzazione ha avuto il tempo di organizzarsi dispiegando tutti i suoi effetti con l’imposizione del “pensiero unico” fino al “potere unico” dell’ultimo decennio.
Tra gli economisti, e non solo, è prevalsa la corsa a farsi “consiglieri del principe” sostituendo e riscrivendo i libri di testo sotto dettatura del pensiero neoliberista. Tuttavia, le analisi critiche per comprendere quanto è accaduto non sono mancate: dai contributi premonitori di James K. Galbraith (Lo Stato Predatore) a quelli di Paul Krugman e Joseph E. Stiglitz. In Italia le persone e i movimenti che potevano denunciare e interpretare queste tendenze hanno scelto la via opportunistica dell’”inserimento” e dell’”integrazione”, trasformando il piano di apartheid globale della Globalizzazione in un’opportunità per arricchirsi nel “villaggio globale”, e interpretando i fenomeni reali della “destabilizzazione politica” e “marginalizzazione economica” come “globalizzazione dal basso” e “globalizzazione del welfare”. Si è cioè pensato di poter predicare il pacifismo portando la guerra altrove, di combattere la speculazione e il crimine “tassandoli” per ricavarne parte del dividendo, di poter costruire la “città ideale” dentro le nicchie di un contesto in sfacelo.
D. Si sente spesso sostenere che quella che stiamo vivendo rappresenti non una delle tante crisi cicliche vissute in passato, ma una crisi “sistemica o strutturale”, che può essere superata solo adottando soluzioni estranee al contesto al cui interno è maturata. È d’accordo con questa interpretazione e se sì quali azioni si sentirebbe di proporre?
R. La crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che si è dato a partire dagli anni settanta con la Globalizzazione. Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può avvenire solo con l’uscita dal capitalismo che oggi è quello della speculazione finanziaria e della rapina di Stato.
D. Quale ruolo hanno giocato i mercati finanziari nella costruzione dell’attuale situazione economica? In che misura sono stati causa della crisi e potrebbero contribuire a sanarla?
R. I mercati finanziari sono le “fabbriche” che hanno sostituito quelle del fordismo industriale, la culla della rapina e dell’esproprio. Questo percorso di “finanziarizzazione” delle economie capitalistiche inizia negli anni ottanta con la modifica della legge bancaria negli Stati Uniti (Reagan), poi negli anni novanta con l’introduzione di nuove regole per la finanza che hanno consentito la produzione dei derivati e titoli tossici (Clinton), il tutto con il consolidarsi di un potere unico finanziario-militare illustrato ampiamente da James K. Galbraith.
L’Europa ha seguito per imitazione le stesse politiche con le “direttive europee”, passivamente recepite anche in Italia, che hanno introdotto la banca “universale” e la liberalizzazione dei mercati finanziari. In Italia questo percorso è stato segnato dalla biografia di Mario Draghi, che bene illustra i conflitti d’interessi e le collusioni tra mondo politico e poteri finanziari. Negli anni ottanta è direttore per l’Italia della Banca Mondiale, negli anni novanta diventa direttore generale al Tesoro e privatizza il sistema bancario, introduce il Testo Unico del 1993 sulle banche che recepisce tutte le direttive europee, comprese quelle ben note sui derivati speculativi. Poi lascia la mano per andare a dirigere la Goldman Sachs e contribuire così a mettere a punto la “grande truffa” che esplode nel 2008, di cui non era a conoscenza come responsabile della sorveglianza in quanto Governatore della Banca d’Italia. Nel mentre la “sinistra” è distratta dalla difesa dell’”autonomia” della Banca d’Italia, dalla denuncia sul conflitto d’interessi di Berlusconi contro il quale, in ogni caso, non fa nulla.
D. Che ruolo potrebbe rivestire l’Unione europea in questo particolare passaggio storico-economico? L’euro può offrire uno scudo contro la crisi?
R. L’euro doveva essere lo scudo, ma la sua gestione è stata affidata a chi ha messo in moto la crisi (inutile ripetere i nomi delle persone e organizzazioni) ed è quindi divenuto la camicia di forza che impedisce agli Stati e alla stessa UE di reagire e di difendersi. Il ruolo dell’Europa è possibile se negli Stati nazionali si manifestano forze popolari che si facciano carico di riprendere il percorso di “pace” e “cooperazione” che fu alla base dell’idea di Europa nel primo dopoguerra, e poi fatto deragliare prima dalla “guerra fredda” e successivamente, negli anni novanta, dalla scelta di fare del progetto europeo un piano di “competitività” e di “guerra”. Una ricostruzione dell’Europa a partire dai popoli e dagli Stati deve assumere una forma confederale tra le quattro grandi meso-regioni europee (Paesi nordici, Europea centrale, Europa mediterranea, e Europa occidentale). Uscire dal guscio asfissiante del dominio dell’Europa occidentale e dell’alleanza atlantica è la premessa per queste nuove politiche.
D. Una delle affermazioni ricorrenti è che bisogna tagliare la spesa pubblica per creare le condizioni di base utili a contrastare e superare la crisi. Quanto è condivisibile una simile posizione? L’attuale crisi economica costringerà a sacrificare l’attuale modello di stato sociale?
R. La spesa pubblica non c’entra con la crisi e invece di guardare al deficit dello Stato e al debito estero si dovrebbe guardare all’occupazione e al deficit della bilancia dei pagamenti come ho spiegato nel mio libro L’Europa oltre l’euro. La spesa pubblica aumenta in situazioni di crisi in ragione degli stabilizzatori automatici che hanno il compito di evitare forti conseguenze sociali, ed è per questo che Keynes raccomandava al governo: “Occupatevi dell’occupazione e questa si prenderà cura del bilancio dello Stato”.
D. Cosa ha comportato e cosa comporterà per l’Europa lo spostamento del baricentro mondiale fuori dall’Occidente industrializzato?
R. Significa che l’Europa deve ripensarsi e ritrovare il suo spirito di pace e di cooperazione con le nuove aree mondiali emergenti, lasciandosi alle spalle i vecchi mercati ricchi dell’Occidente. Insistere sul modello della guerra e della competitività significa condannarsi al suicidio e alla marginalità sia verso l’Occidente che verso l’Oriente. La cooperazione con le nuove aree in crescita non si ottiene con la competitività ma con rapporti diretti e di cooperazione tra Stati, cioè sullo scambio reale di capacità e di beni e con la messa in comune delle risorse disponibili.
D. Nel dibattito pubblico spesso si attribuisce la colpa dell’attuale stato di cose, almeno in Italia, a una classe dirigente incolta, poco lungimirante e fautrice di ripetute scelte sbagliate. Condivide questa posizione e se sì come ritiene si possano conciliare fra loro due ambiti apparentemente così distanti quali istanza politica e azione tecnico-scientifica?
R. La classe dirigente (politica e imprenditoriale) che abbiamo è quella che è sopravvissuta alla guerra condotta contro il sistema italiano dagli anni cinquanta in poi dagli Stati Uniti, Francia e Germania, e che continua oggi. Questa guerra è stata vinta finora prima con l’eliminazione fisica dei personaggi scomodi (Mattei, Olivetti ecc.), poi con la distruzione del sistema politico italiano negli anni novanta e ancora oggi. La corruzione esistente è la causa di questi sviluppi e di come, attraverso i fiumi di denaro riversati sui politici e sulle istituzioni, se ne è ottenuto il silenzio e la collusione alla realizzazione dei piani di costruzione del consenso su un progetto italiano ed europeo squilibrato. La reazione popolare degli ultimi anni, e espressa dalle ultime elezioni, dimostra che il limite della sopportazione è stato raggiunto, ma anche il fallimento di questi piani di destabilizzazione politica e di marginalizzazione economica del paese.
D. Fra gli effetti della lunga crisi che stiamo vivendo vi è anche l’aumento considerevole di giovani senza lavoro, costretti a vivere in condizioni di precarietà e a fare i conti con un futuro dai contorni molto incerti. In che modo tutto ciò potrà influire sulla nostra futura società?
R. A chi avanzava riserve critiche sulle forme dell’integrazione europea si rispondeva che queste volevano far “sprofondare” l’Italia nel Mediterraneo. Ebbene, è proprio l’adesione acritica alle strategie della Globalizzazione e dell’UE che sta facendo sprofondare l’Italia nel “sottosviluppo”. Ma l’Italia è un paese forte e le reazioni sociali e politiche che si annunciano lo dimostrano. Il successo di queste tendenza è anche la sola speranza offerta ai nostri giovani.
D. Dal suo punto di vista quando ritiene si possa immaginare un’inversione di tendenza dell’attuale dinamica recessiva? E quando ciò dovesse accadere, passato il peggio, che insegnamenti potremmo e dovremmo trarne da quanto accaduto?
R. Questa crisi si fermerà quando i 4/5 della popolazione saranno ridotti in condizioni di povertà e marginalizzazione. Un percorso avviato ma che richiede tempo. La “ripresa” sarà una stabilizzazione e istituzionalizzazione della povertà e della dipendenza politica del paese dai centri finanziari. Che questo possa avvenire in forma “pacifica” è da dimostrare. La vera ripresa ci può essere solo se il 99% degli esclusi riprende il controllo sulla macchina del potere politico ed economico. Le forme in cui questo avverrà, se avverrà, non saranno indolori per le vecchie classi dirigenti e per questo si oppongono con tutti gli strumenti a disposizione. La forza obiettiva di questo cambiamento dipende dal fatto che l’alternativa a una vera ripresa è lo scenario dell’implosione dell’Europa sul modello iugoslavo, a noi ben noto. La preferenza per una soluzione, anche europea, negoziata e con un cambio di indirizzo dovrebbe apparire ovvia e di buon senso, oltre che più giusta. Ma raramente l’equità e la giustizia prevalgono sugli interessi costituiti.
* Fonte: Altre Storie
D. L’attuale crisi è qualcosa che si poteva prevedere, oppure si è trattato di un evento i cui fattori molteplici globali lo hanno reso in qualche modo imprevedibile e conseguentemente incontrastabile? Quanto è fondata l’accusa rivolta agli economisti in genere di non aver lanciato l’allarme tempestivamente su quanto si stava preparando?
R. La crisi finanziaria —“la più grande ondata di crimine finanziario organizzato della storia umana”, secondo le parole di James K. Galbraith— è stata preparata nel corso di tre decenni durante i quali la Globalizzazione ha avuto il tempo di organizzarsi dispiegando tutti i suoi effetti con l’imposizione del “pensiero unico” fino al “potere unico” dell’ultimo decennio.
Tra gli economisti, e non solo, è prevalsa la corsa a farsi “consiglieri del principe” sostituendo e riscrivendo i libri di testo sotto dettatura del pensiero neoliberista. Tuttavia, le analisi critiche per comprendere quanto è accaduto non sono mancate: dai contributi premonitori di James K. Galbraith (Lo Stato Predatore) a quelli di Paul Krugman e Joseph E. Stiglitz. In Italia le persone e i movimenti che potevano denunciare e interpretare queste tendenze hanno scelto la via opportunistica dell’”inserimento” e dell’”integrazione”, trasformando il piano di apartheid globale della Globalizzazione in un’opportunità per arricchirsi nel “villaggio globale”, e interpretando i fenomeni reali della “destabilizzazione politica” e “marginalizzazione economica” come “globalizzazione dal basso” e “globalizzazione del welfare”. Si è cioè pensato di poter predicare il pacifismo portando la guerra altrove, di combattere la speculazione e il crimine “tassandoli” per ricavarne parte del dividendo, di poter costruire la “città ideale” dentro le nicchie di un contesto in sfacelo.
D. Si sente spesso sostenere che quella che stiamo vivendo rappresenti non una delle tante crisi cicliche vissute in passato, ma una crisi “sistemica o strutturale”, che può essere superata solo adottando soluzioni estranee al contesto al cui interno è maturata. È d’accordo con questa interpretazione e se sì quali azioni si sentirebbe di proporre?
R. La crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che si è dato a partire dagli anni settanta con la Globalizzazione. Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può avvenire solo con l’uscita dal capitalismo che oggi è quello della speculazione finanziaria e della rapina di Stato.
D. Quale ruolo hanno giocato i mercati finanziari nella costruzione dell’attuale situazione economica? In che misura sono stati causa della crisi e potrebbero contribuire a sanarla?
R. I mercati finanziari sono le “fabbriche” che hanno sostituito quelle del fordismo industriale, la culla della rapina e dell’esproprio. Questo percorso di “finanziarizzazione” delle economie capitalistiche inizia negli anni ottanta con la modifica della legge bancaria negli Stati Uniti (Reagan), poi negli anni novanta con l’introduzione di nuove regole per la finanza che hanno consentito la produzione dei derivati e titoli tossici (Clinton), il tutto con il consolidarsi di un potere unico finanziario-militare illustrato ampiamente da James K. Galbraith.
L’Europa ha seguito per imitazione le stesse politiche con le “direttive europee”, passivamente recepite anche in Italia, che hanno introdotto la banca “universale” e la liberalizzazione dei mercati finanziari. In Italia questo percorso è stato segnato dalla biografia di Mario Draghi, che bene illustra i conflitti d’interessi e le collusioni tra mondo politico e poteri finanziari. Negli anni ottanta è direttore per l’Italia della Banca Mondiale, negli anni novanta diventa direttore generale al Tesoro e privatizza il sistema bancario, introduce il Testo Unico del 1993 sulle banche che recepisce tutte le direttive europee, comprese quelle ben note sui derivati speculativi. Poi lascia la mano per andare a dirigere la Goldman Sachs e contribuire così a mettere a punto la “grande truffa” che esplode nel 2008, di cui non era a conoscenza come responsabile della sorveglianza in quanto Governatore della Banca d’Italia. Nel mentre la “sinistra” è distratta dalla difesa dell’”autonomia” della Banca d’Italia, dalla denuncia sul conflitto d’interessi di Berlusconi contro il quale, in ogni caso, non fa nulla.
D. Che ruolo potrebbe rivestire l’Unione europea in questo particolare passaggio storico-economico? L’euro può offrire uno scudo contro la crisi?
R. L’euro doveva essere lo scudo, ma la sua gestione è stata affidata a chi ha messo in moto la crisi (inutile ripetere i nomi delle persone e organizzazioni) ed è quindi divenuto la camicia di forza che impedisce agli Stati e alla stessa UE di reagire e di difendersi. Il ruolo dell’Europa è possibile se negli Stati nazionali si manifestano forze popolari che si facciano carico di riprendere il percorso di “pace” e “cooperazione” che fu alla base dell’idea di Europa nel primo dopoguerra, e poi fatto deragliare prima dalla “guerra fredda” e successivamente, negli anni novanta, dalla scelta di fare del progetto europeo un piano di “competitività” e di “guerra”. Una ricostruzione dell’Europa a partire dai popoli e dagli Stati deve assumere una forma confederale tra le quattro grandi meso-regioni europee (Paesi nordici, Europea centrale, Europa mediterranea, e Europa occidentale). Uscire dal guscio asfissiante del dominio dell’Europa occidentale e dell’alleanza atlantica è la premessa per queste nuove politiche.
D. Una delle affermazioni ricorrenti è che bisogna tagliare la spesa pubblica per creare le condizioni di base utili a contrastare e superare la crisi. Quanto è condivisibile una simile posizione? L’attuale crisi economica costringerà a sacrificare l’attuale modello di stato sociale?
R. La spesa pubblica non c’entra con la crisi e invece di guardare al deficit dello Stato e al debito estero si dovrebbe guardare all’occupazione e al deficit della bilancia dei pagamenti come ho spiegato nel mio libro L’Europa oltre l’euro. La spesa pubblica aumenta in situazioni di crisi in ragione degli stabilizzatori automatici che hanno il compito di evitare forti conseguenze sociali, ed è per questo che Keynes raccomandava al governo: “Occupatevi dell’occupazione e questa si prenderà cura del bilancio dello Stato”.
D. Cosa ha comportato e cosa comporterà per l’Europa lo spostamento del baricentro mondiale fuori dall’Occidente industrializzato?
R. Significa che l’Europa deve ripensarsi e ritrovare il suo spirito di pace e di cooperazione con le nuove aree mondiali emergenti, lasciandosi alle spalle i vecchi mercati ricchi dell’Occidente. Insistere sul modello della guerra e della competitività significa condannarsi al suicidio e alla marginalità sia verso l’Occidente che verso l’Oriente. La cooperazione con le nuove aree in crescita non si ottiene con la competitività ma con rapporti diretti e di cooperazione tra Stati, cioè sullo scambio reale di capacità e di beni e con la messa in comune delle risorse disponibili.
D. Nel dibattito pubblico spesso si attribuisce la colpa dell’attuale stato di cose, almeno in Italia, a una classe dirigente incolta, poco lungimirante e fautrice di ripetute scelte sbagliate. Condivide questa posizione e se sì come ritiene si possano conciliare fra loro due ambiti apparentemente così distanti quali istanza politica e azione tecnico-scientifica?
R. La classe dirigente (politica e imprenditoriale) che abbiamo è quella che è sopravvissuta alla guerra condotta contro il sistema italiano dagli anni cinquanta in poi dagli Stati Uniti, Francia e Germania, e che continua oggi. Questa guerra è stata vinta finora prima con l’eliminazione fisica dei personaggi scomodi (Mattei, Olivetti ecc.), poi con la distruzione del sistema politico italiano negli anni novanta e ancora oggi. La corruzione esistente è la causa di questi sviluppi e di come, attraverso i fiumi di denaro riversati sui politici e sulle istituzioni, se ne è ottenuto il silenzio e la collusione alla realizzazione dei piani di costruzione del consenso su un progetto italiano ed europeo squilibrato. La reazione popolare degli ultimi anni, e espressa dalle ultime elezioni, dimostra che il limite della sopportazione è stato raggiunto, ma anche il fallimento di questi piani di destabilizzazione politica e di marginalizzazione economica del paese.
D. Fra gli effetti della lunga crisi che stiamo vivendo vi è anche l’aumento considerevole di giovani senza lavoro, costretti a vivere in condizioni di precarietà e a fare i conti con un futuro dai contorni molto incerti. In che modo tutto ciò potrà influire sulla nostra futura società?
R. A chi avanzava riserve critiche sulle forme dell’integrazione europea si rispondeva che queste volevano far “sprofondare” l’Italia nel Mediterraneo. Ebbene, è proprio l’adesione acritica alle strategie della Globalizzazione e dell’UE che sta facendo sprofondare l’Italia nel “sottosviluppo”. Ma l’Italia è un paese forte e le reazioni sociali e politiche che si annunciano lo dimostrano. Il successo di queste tendenza è anche la sola speranza offerta ai nostri giovani.
D. Dal suo punto di vista quando ritiene si possa immaginare un’inversione di tendenza dell’attuale dinamica recessiva? E quando ciò dovesse accadere, passato il peggio, che insegnamenti potremmo e dovremmo trarne da quanto accaduto?
R. Questa crisi si fermerà quando i 4/5 della popolazione saranno ridotti in condizioni di povertà e marginalizzazione. Un percorso avviato ma che richiede tempo. La “ripresa” sarà una stabilizzazione e istituzionalizzazione della povertà e della dipendenza politica del paese dai centri finanziari. Che questo possa avvenire in forma “pacifica” è da dimostrare. La vera ripresa ci può essere solo se il 99% degli esclusi riprende il controllo sulla macchina del potere politico ed economico. Le forme in cui questo avverrà, se avverrà, non saranno indolori per le vecchie classi dirigenti e per questo si oppongono con tutti gli strumenti a disposizione. La forza obiettiva di questo cambiamento dipende dal fatto che l’alternativa a una vera ripresa è lo scenario dell’implosione dell’Europa sul modello iugoslavo, a noi ben noto. La preferenza per una soluzione, anche europea, negoziata e con un cambio di indirizzo dovrebbe apparire ovvia e di buon senso, oltre che più giusta. Ma raramente l’equità e la giustizia prevalgono sugli interessi costituiti.
* Fonte: Altre Storie
11 commenti:
Ho identificato la persona più adatta per rappresentare un movimento davvero alternativo.
È il blogger di orizzonte 48 che sappiamo benissimo come si chiama ma sorvoliamo.
È elitario per costruzione anche lui ma non è ridicolmente arrivista come l'altro soggetto col quale per altro state già facendo pace; in una parola è molto vantaggiosamente spendibile politicamente.
Ma la dote principale è che è eccezionalmente bravo nel dare alle sue rivendicazioni di principi etici una sostanza di dati concreti e riferimenti a leggi esistenti ( quindi maggiormante cogenti di quanto possano essere le semplici pretese di giustizia astratta o gli inopportuni riferimenti a Marx - che aveva ragione su tante cose ma se si vuole radunare un consenso abbastanza ampio è meglio non citarlo esplicitamente).
Ho la netta impressione che " uscirà" da solo e quindi potrete accodarvi comodamente in seguito sempre rigorosamente da esterni come avete fatto col vostro sostegno a Grillo che ora vi accingete a scaricare facendo finta di niente ( era solo un cauto appoggio esterno, in fondo...).
Ma per una volta potreste finalmente anticipare gli eventi e inserirvi nella partita come co protagonisti in grado di condizionare almeno in parte l'indirizzonpolitico rivendicativo del nuovo movimento.
Facciamo i complimenti a Goya e i migliori auguri a Orizzonte48, visto che quest'ultimo, contando sulle sue sole forze, riuscirebbe a dare vita ad un "movimento davvero alternativo". Staremo a vedere l'attendibilità di questo vaticinio. Che poi ci "accoderemo" consigliamo il Goya a non scommetterci un soldo bucato. Altro è il discorso del fronte ampio di cui c'è bisogno e che peroriamo, ma non mettiamolo sugli "accodamenti" ... o gli "accomodamenti". Ci si mette attorno ad un tavolo, si elabora una piattaforma su contenuti chiari, si stabilisce chi sono i nemici, si elabora una road map delle battaglie da fare, quindi si stipula un patto politico di unità d'azione.
Per anticipare gli eventi occorre che ci sia l'evento, quale sia quello a cui Goya si riferisce ci sfugge.
Ps
(1) Non si capisce con chi avremmo litigato e già staremmo facendo pace. Si parli chiaro.
(2) Per quanto riguarda Grillo non stiamo scaricando proprio niente. La semina è appena cominciata e proprio quando sembra che tutto precipiti occorre pazienza, lungimiranza, disponibilità al dialogo costruttivo. Tutte cose che si fanno se si hanno idee forti.
(3) Per ciò che concerne Marx, sappiamo bene quanto ha depositato in fatto di pensiero, per quanto immenso, è aporetico. Chi vuole gettarlo al macero peggio per lui. Noi siamo bel forti dall'essere suoi eredi. Chi ha più filo da tessere tesserà
Ragazzi, non prendiamola sul personale per cortesia.
Se il mio tono un po' confidenziale vi ha offeso me ne scuso sinceramente ma era semplicemente un modo di scrivere amichevolmente provocatorio; se lo considerate fuori luogo lo eviterò in futuro.
Io me ne sono prese tante sul web e in alcune sporadiche occasioni anche dal vivo in tre o quattro riunioni a cui ho partecipato e non mi hanno fatto un baffo, per la verità.
Su 48 non ho detto che "farà" un movimento ma che sarebbe, a mio avviso, la persona adatta a rappresentarlo; questo per tanti motivi che per converso sono gli stessi per cui un'altra certa persona non sarebbe mai stata adatta (e mi pare che non tutti se ne siano resi conto subito).
Su Marx vi sto solo suggerendo di non citarlo troppo, non di gettarlo al macero.
E' una ragione di opportunità, un piccolo sacrificio secondo me necessario ma ognuno fa come gli pare, magari riflettendo sui risultati che ottiene.
Sugli accodamenti (che ripeto è un termine un po' forte ma scherzoso) non mi pare che siate riusciti in vari anni a coagulare un consenso utile in termini politici e che siate lì un po' in attesa dell' "evento" che invece, e sono parole vostre in un recente post, andrebbe forzato o, se si vuole, preso d'anticipo. E' un'osservazione che vi hanno rivolto altri lettori, tra l'altro.
L'"evento" è il fatto che credo stiano per nascere delle nuove forze politiche in virtù di una situazione che rischia di degenerare all'improvviso da un momento all'altro. Il senso è che è inutile aspettare l'effettiva degenerazione ma si potrebbe giocare sul semplice pericolo che si realizzi (e probabilmente si realizzerà ma non sappiamo quando né in che termini).
Dite: "Tutte cose che si fanno se si hanno idee forti".
Ecco, io considererei l'ipotesi che a volte non sono le idee forti le migliori per cominciare, che non è sempre utile sbandierarle a ogni pié sospinto e che in questo momento è decisamente più importante pensare a come preparare il terreno che renda possibile la ricezione di queste idee.
Il fronte ampio? Mi dispaice ma penso che sia una vera utopia. Un paese che è sempre stato al suo interno diviso, dove la gente si sente italiana nei festivi (o più ristrettamente quando la Bellucci sforna il calendario sexy), e nei feriali non sa manco lei cosa sia (interista, milanista, juventina, grillina, berlusconiana, antiberlusconiana, antiberlusconiana, ecc...).
Dialogare è impossibile, e mi sa che andrebbe ripresa la lezione di Lenin, che suggeriva che il potere dovesse venir conquistato da una minoranza di rivoluzionari di professione, perchè gli italiani non sono moralmente e culturalmente proprio cosa....
In quanto a Grillo, lui è un altro che fa leva su questo sentimento di blocco che inclina l'odio e sublima l'holliganesimo (sempre vivo e propsepro nella mente italiota, 89% della popolazione) esattamente come fece a suo tempo Berlusconi.
Quindi, giusto il fronte ampio, giusto dialogare NON CON GRILLO, ma chi è nel M5S (penso ad esempio Mattia Corsini, ex fondatore del gruppo economico del 5S, sovranista convinto e keynesiano doc). Ma non illudetevi di poter governare la massa italiota, almeno non con le maniere dolci.
BY
IL VILE BRIGANTE
Per esempio, il 22 a Viareggio 48 annuncia che ha organizzato un incontro per decidere che strada intraprendere.
Se avete qualcuno in zona potrebbe essere una buona idea mandare qualcuno a vedere di che si tratta.
@Il vile brigante
Dici: "perchè gli italiani non sono moralmente e culturalmente proprio cosa...."
Questo però dipende dal fatto che nessuno pensa per prima cosa a risvegliarli. Un giorno lo si capirà, basta che sia per tempo e non ci pensi qualche furbacchione prima.
Su Grillo concordo; il referente non deve essere lui ma quei 5 Stelle che almeno hanno capito che bisogna cominciare a partecipare direttamente.
Grillo ha appena detto che l'Italia dovrebbe chiedere gli aiuti del MES e questo non depone benissimo, direi.
Quoto: "Ma non illudetevi di poter governare la massa italiota, almeno non con le maniere dolci."
Ecco, questo è puro auto compiacimento narcisistico. Mi ricorda le storie di Asterix con il bardo Assurancetourix che si lamenta in continuazione "Barbari, non capite la mia arte".
E se provasse a cambiare musica, piuttosto?
Francisco Goya, la tua fiducia per gli italiani ti fa onore. Tuttavia io non penso di aver scritto nulla di narcisistico. Un paese dove l'analfabetismo di ritorno è tra i più alti d'Europa, dove convivono le tre mafie più pericolose del mondo, dove la maggior parte della gente fa tutto per proprio interesse, dove vanno appresso al nuovo mangiapeccati che si manifesta ogni 20 anni (lo fecero con Cavour, lo fecero con Giolitti, lo fecero Mussolini, lo fecero con Andreotti, lo fecero con Berlusconi, lo fanno adesso con Grillo), dove chi dissente viene isolato denigrato e insultato, dimmi tu, pensi che il mio sia narcisismo?
Il vero narcisismo è degli altri mica il mio, vai a farti un salto su facebook nella pagina di Don Beppone e poi vienivi a dire se sono narcisista io o ho ragione.
BY
IL VILE BRIGANTE
Caro Goya,
ma non siamo affatto offesi. In tanti anni di legnate abbia imparato a ricevere critiche, anche quando erano ingenerose. Non abbiamo nulla contro 48. Siamo ad un suo post in cui diceva che avrebbe lanciato un manifesto assieme a Bagnai. Se quello è il principale partner stiamo freschi!
Il 22 a Viareggio.. il 22 giugno? di che si tratta? Dove? a che ora. Certo che ci saremo.
@Redazione
Sono molto contento che andrete a vedere.
Scusate ancora i miei toni scherzosi, penso che abbiate molto da dire anche se a mio modestissimo avviso potreste rivedere un pochino la vostra strategia.
Ma davvero, vi seguo con grande interesse.
Caro Goya,
sai quindi darci indicazioni su 48 a Viareggio? data, luogo, chi promuove, ecc
A Viareggio il 22 con 48; per informazioni scrivete a
sil-viar@virgilio.it
Preciso che non sono "interno" al blog di 48 ma solo un lettore per di più da meno di un mese.
Penso però che la persona abbia delle competenze di altissimo livello dato che si tratta del presidente di una sezione del consiglio di stato.
Vale la pena di andare a vedere.
Il post in cui annuncia questa riunione è qui
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/06/chi-non-risica-non-rosica-ma-la.html
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