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a Gennaro Zezza*
Rispetto agli economisti che ritengono che la moneta unica non avrebbe mai potuto funzionare, Zezza sostiene che l'euro potrebbe funzionare a patto che tutti i Paesi che lo hanno adottato decideranno di cambiare completamente le regole (monetariste e liberiste) del gioco, adottando cioè comportamenti cooperativi per riprendere la strada dello "Stato europeo". Non sembra tuttavia questa una possibilità realistica. Occorre invece prepararsi allo sganciamento, adottando concrete misure di salvaguardia delle masse popolari.
«D. Lei è tra gli economisti che ritiene la moneta unica corresponsabile della grave crisi economica che soffre il nostro paese. Può spiegare perché ai nostri lettori?
L'euro è una moneta molto particolare, perché di solito la prerogativa di stampare moneta è di uno Stato. Invece, l'euro è stato creato come una moneta cui non corrisponde uno Stato, e gli Stati che hanno aderito alla zona euro sono di fatto Stati senza controllo diretto sulla moneta che utilizzano. Quando l'euro fu istituito, era chiaro che questo doveva essere un primo passo verso la creazione di una sorta di "Stato europeo" con politiche comuni, ed era già chiaro che se non si procedeva in questa direzione la moneta unica non avrebbe funzionato.
D. Può sopravvivere l'euro a questa crisi? E a quali condizioni? Ritiene probabile che la Germania accetti di abbandonare i dogmi monetaristi e la sua supremazia per rifondare l'euro su basi keynesiane?
L'euro potrebbe funzionare se tutti i Paesi che lo hanno adottato decidessero di cambiare completamente le regole del gioco, adottando comportamenti cooperativi per riprendere la strada dello "Stato europeo". Ma questa direzione richiede una forte volontà popolare di muoversi in questa direzione, e dalle consultazioni fatte in proposito negli anni scorsi non sembra che i cittadini italiani, francesi, tedeschi ecc. siano così ansiosi di cedere ulteriore sovranità a istituzioni europee che sentono lontane. In aggiunta, lo "Stato europeo" tra le sue varie funzioni dovrebbe prevedere un bilancio adeguato da utilizzare in modo semi-automatico per il supporto alle regioni in crisi. Ad esempio, un sistema di imposte sul reddito di tipo progressivo farebbe in modo che le regioni più ricche contribuirebbero di più al bilancio europeo, mentre le regioni più povere avrebbero benefici relativamente maggiori. Anche qui, non sembra ci sia una volontà politica, da parte delle regioni più ricche, di adottare meccanismi compensativi di questo tipo. E quindi, se non c'è una inversione di rotta, l'euro non sopravviverà, perlomeno nella sua forma attuale. Una proposta interessante è quella di mantenerlo come unità di conto per gli scambi nell'area, mentre i diversi Paesi tornerebbero a valute nazionali.
D. Il "Partito dell'euro" è decisamente egemone in seno alle classi dominanti italiane. I media che controlla terrorizzano i cittadini che un'uscita dall'euro avrebbe effetti catastrofici. Ci dicono che la lira svaluterebbe dal 30 al 50%, col che l'inflazione andrebbe alle stelle, che i capitali fuggirebbero a gambe levate....
Se l'Italia uscisse dall'euro, adottando una "neo-lira", non è necessariamente vero che dovrebbe svalutare. Il principale motivo per cui l'Italia avrebbe benefici da una uscita dall'euro non è dato dalla possibilità di svalutare, ma dalla capacità di riacquistare la propria sovranità monetaria e di bilancio. Questo consentirebbe un taglio drastico delle spese per interessi, e la possibilità di adottare politiche per la piena occupazione, e non per il risanamento dei conti pubblici. Ormai anche il Fondo Monetario riconosce che è impossibile risanare le finanze pubbliche con l'austerità fiscale, mentre se il governo aumentasse il deficit creando posti di lavoro l'economia potrebbe ripartire. La competitività dell'Italia sui mercati internazionali è relativamente buona, e da questo lato dunque non verrebbero pressioni verso la svalutazione. E per quanto riguarda i capitali, si possono mettere in atto misure adeguate a contrastare la speculazione.
D. La disgregazione dell'eurozona appare cone un processo oggettivo. Avremo il ritorno disordinato dei singoli paesi alle loro singole monete o ritiene possibile un processo pilotato che sfoci in due aree monetarie dentro la medesima Unione?
Non credo sia auspicabile una rottura dell'euro non coordinata, credo che una soluzione concordata sarebbe molto meno traumatica. Ma un punto cruciale del ritorno alle valute nazionali sta nella possibilità di ridenominare i contratti di credito/debito nella nuova valuta: i mutui contratti in euro verrebbero convertiti in "neo-lire" e quindi non verrebbero toccati da eventuali fluttuazioni dei tassi di cambio. Se si adottasse un "euro del Sud" e un "euro del Nord" avremmo di nuovo due monete senza Stato, e avremmo risolto ben poco.
D. Il ritorno alla sovranità monetaria, per usare un linguaggio troppo presto dato per desueto, può essere di destra o di sinistra. Già si intravvedono a destra nascenti forze sovraniste ma di fede neoliberista. Ci può essere invece un'uscita di sinistra dall'euro, che cioè non sia pagata dal popolo lavoratore. Può descriverci, per sommi capi, in cosa consiste un'uscita da sinistra?
Se è di moda, possiamo evitare l'uso dei termini destra e sinistra, ma ciò non toglie che esista un conflitto distributivo, e che le politiche messe in atto nell'euro zona hanno avvantaggiato i gruppi finanziari e i percettori di profitto, e danneggiato i contribuenti e i lavoratori. L'ideologia economica dietro queste misure ritiene che porterebbero maggiori investimenti e quindi crescita e benessere, ma dopo oltre due decenni di queste politiche credo sia arrivato il momento di ammettere che hanno fallito. Abbandonare l'euro per creare una neo-lira gestita da una Banca centrale che non ha tra i suoi obiettivi anche la piena occupazione sarebbe inutile. Un programma "di sinistra" dovrebbe avere la piena occupazione come primo obiettivo, e la politica monetaria come strumento di questo obiettivo, in armonia con la politica fiscale.
D. La sinistra italiana sembra del tutto incapace di impugnare la prospettiva di un sovranismo non solo monetariomma democratico. A sinistra del Pd, al massimo, si guarda all¹esempio di Syriza. Lei a suo tempo criticoò la ambiguità di Syriza, può spiegarsi?
Ho molto apprezzato il programma di Syriza, ma era ambiguo perché non chiariva la posizione rispetto all'euro, e questo aveva importanti conseguenze sulla possibilità di raggiungere effettivamente gli altri obiettivi.
D: Che giudizio da delle recenti elezioni? Gli intellettuali italiani sono divisi tra chi condanna M5S come espressione di "diciannovismo" o sovversivismo reazionario delle classi dominanti, e chi considera invece M5S una forza antioligarchica sinceramante democratica, e giudica molto positivamente la sua avanzata anche perché contiene la speranza di una sollevazione popolare e del risorgimento di un nuovo socialismo.
Mi sembra che il M5S sia una strana coabitazione di vera democrazia e decisioni calate dall'alto. Dal poco che so dell'organizzazione della base, mi pare un movimento nuovo e democratico. Quando però leggo che posizioni cruciali, come il programma economico, devono essere votate in rete, ho dei brividi, perché la vera democrazia presuppone una ottima informazione tra le conseguenze di diverse alternative. Se si fa votare una assemblea senza che tutti siano consapevoli di cosa stanno votando, le decisioni sono state prese altrove.
D. La crisi italiana sembra giunta ad un tornante. La "seconda repubblica" col suo bipolarismo coatto sta muorendo. La recessione incalza, la povertà affetta aree e strati sociali sempre più ampi. Avremo una sollevazione che eviterà la catatrofe alle porte, o sarà la catastrofe che nel medio periodo causerà una sollevazione destinata a ricostruire il paese sulle macerie?
C'è chi ha suggerito che il M5S in Italia abbia incanalato la protesta, che in Portogallo o in Grecia si è vista più come grandi manifestazioni di piazza. Se questo è vero, e il M5S in Parlamento smetterà di preoccuparsi dei costi della casta per pensare al lavoro e al benessere degli italiani, non avremo catastrofi. E ricordiamoci che l'Italia è uno dei paesi più ricchi del mondo: gran parte del problema è come questa ricchezza viene, o non viene, distribuita».
* Intervista raccolta il 15 marzo 2013
4 commenti:
in tutte le dotte disquisizioni sull'uscita dall'euro non si fa mai menzione alle pensioni. Ma ci rendiamo conto della catastrofe che produrrebbe sulle pensioni, notoriamente mai rivalutate, e fonte di reddito della categoria sociale con minor potere contrattuale esistente, la forte svalutazione voluta proprio con l'uscita dall'euro? Signori, ripigliamoci un'attimo, e chi ha una pensione si svegli.
Cosa c'entrano le pensioni? Quando usciremo dall'euro (speriamo presto!) l'inflazione non cambierà di molto rispetto ad ora, e quindi il potere d'acquisto delle pensioni non cambierà di molto. La cosa che cambierà, e di molti, è che lo Stato potrà avere più soldi per aumentare il potere d'acquisto delle pensioni, dato che potrà pagare molto meno di interessi per il debito pubblico.
Cosa c'entrano le pensioni? Quando usciremo dall'euro (speriamo presto!) l'inflazione non cambierà di molto rispetto ad ora, e quindi il potere d'acquisto delle pensioni non cambierà di molto. La cosa che cambierà, e di molti, è che lo Stato potrà avere più soldi per aumentare il potere d'acquisto delle pensioni, dato che potrà pagare molto meno di interessi per il debito pubblico.
Cosa c'entrano le pensioni? Quando usciremo dall'euro (speriamo presto!) l'inflazione non cambierà di molto rispetto ad ora, e quindi il potere d'acquisto delle pensioni non cambierà di molto. La cosa che cambierà, e di molti, è che lo Stato potrà avere più soldi per aumentare il potere d'acquisto delle pensioni, dato che potrà pagare molto meno di interessi per il debito pubblico.
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