Thriller Ingroia e gli zombie arancioni
di Marino Badiale e Fabrizio Tringali*
E' l'ennesima riproposizione del solito copione, già mille volte recitato: a ridosso delle elezioni c'è sempre qualcuno che propone la formazione di una lista capace di riunificare quel che resta dell'arcipelago della sinistra alternativa (stavolta mettendoci in mezzo anche l'IdV pur di raccattare i voti necessari a superare lo sbarramento), e di riconnetterlo alle tante realtà di cittadinanza attiva nella società. Basterebbe chiedersi come mai ne è disconnesso per capire quanto sia inutile un tale lavoro. E invece ogni volta la stessa storia di tentativi finiti male: abortiti ancora prima di nascere o trasformati in carrozzoni ad uso dei capibastone dei vari partitini, destinati a disintegrarsi (fortunatamente) immediatamente dopo le elezioni.
Lo scopo dichiarato di questi tentativi di aggregazione è sempre lo stesso: costruire una sinistra vera, buona, giusta, capace di rinverdire i suoi antichi ideali, che mandi in soffitta quella falsa, cattiva, ingiusta, traditrice, cioè quella che effettivamente esiste oggi.
Quasi sempre tutto ha inizio dall'iniziativa di brave persone che si rendono disponibili a coprire col proprio volto pulito queste basse operazioni elettorali.
Sarebbe molto meglio se, invece di continuare in questi tentativi, chi voglia costruire un movimento di riscatto popolare, di lotta anticapitalistica, di riconquista dei diritti, prendesse atto della realtà politica presente in Italia e nella maggioranza degli altri paesi avanzati: la definitiva trasformazione dell'intero ceto politico (di destra e di sinistra) in un gruppo di funzionari delle oligarchie nazionali e internazionali, la cui unica funzione (ben pagata) è quella di gestire la politica in modo da ottenere ciò che tali oligarchie vogliono: la distruzione dei diritti sociali, del livello di vita popolare, della civiltà sociale dei nostri paesi. Il ceto politico ha assunto il compito di controllare e gestire il disagio e il dissenso che tutto ciò genera. Destra e sinistra sono totalmente unificate, da questo punto di vista, e si dividono solo su questioni secondarie e su problemi di immagine, producendo scontri e polemiche che funzionano come “armi di distrazione di massa”.
Una politica di difesa dei ceti subalterni e della civiltà del nostro paese non può che passare, quindi, attraverso la rottura drastica con l'intero ceto politico, di destra e di sinistra (sia essa moderata, radicale, alternativa o vattelapesca).
L'appello “Cambiare si può" si avvicinava a queste considerazioni, ma la sua proposta è fallita proprio perché “orientata a sinistra”.
I promotori speravano di poter dar vita ad una lista elettorale incentrata su candidati della società civile, ma capace di coinvolgere anche i partiti, che però avrebbero dovuto fare un “passo indietro” rinunciando almeno a candidare i proprio segretari.
Ma se è vero, come è vero, che solo spazzando via l'intero ceto politico attuale, di destra e di sinistra, ci può essere speranza per il nostro Paese, come è possibile creare un movimento politico che abbia chiari questi concetti e allo stesso tempo si definisca “di sinistra”, o faccia comunque riferimento, anche solo implicitamente, al mondo della sinistra?
Procedere in questo modo non porterà che alla morte del movimento ed al ribaltamento di quanto proposto dagli stessi promotori. Il che è esattamente quel che è successo a “Cambiare si può”, dove gli aderenti hanno votato a favore della lista Ingroia, nonostante i promotori fossero contrari, dato che il magistrato ha fatto spallucce di fronte alla richiesta di non candidare i segretari di partito.
Il punto è che, essendo “Cambiare si può” un movimento di sinistra, gli aderenti ai partiti di sinistra vi si sono immediatamente tuffati, ed hanno sostenuto gli interessi dei loro caporioni.
Più in generale, quel che accade in queste realtà politiche, è che chi vi aderisce ritiene, ovviamente, che la sinistra realmente esistente sia meglio della destra realmente esistente. Dal che discende l'idea che un governo di centrosinistra, alla fin delle fini, sia meglio, o meno peggio, di uno di centrodestra.
Così un movimento nato su queste basi, indipendentemente dalle ragioni e dagli obiettivi dei promotori, inizia ad avere difficoltà a dire la verità, cioè che la vittoria di Bersani oppure quella di Monti o Berlusconi sono tutte, allo stesso modo, disgrazie per l'Italia. Magari differenti negli aspetti esteriori, ma identiche nella logica economico-sociale e negli esiti.
Stiamo dicendo, in sostanza, che la posizione di “Cambiare si può”, e di tutte le iniziative analoghe, era minata da un'evidente contraddizione. Da una parte proponeva, giustamente, di porsi all'esterno dal centrosinistra. Dall'altra non voleva o poteva rompere definitivamente con esso.
Di qui la posizione ambigua nei confronti degli “arancioni”, che invece sono pieni zeppi di ceto politico e non vedono l'ora di aprire il dialogo col PD (e non stanno nella coalizione di centrosinistra solo perché Bersani li tiene fuori). L'esito non poteva essere più scontato.
Quanto agli “arancioni”, non vale la pena di spenderci molte parole: un'accozzaglia di micropartiti che cercano di mettere assieme i voti necessari per portare in Parlamento i loro capetti. Senza ovviamente proporre nulla di alternativo all'austerity, alla trappola dell'euro, alla dittatura della UE.
Spiace che persone per bene come Ingroia accettino di far da copertura a queste basse operazioni politiche. Ingroia sembra il Michael Jackson di “Thriller”, che trovandosi di fronte ad un gruppo di zombie, si accorge di essere uno di loro, si pone alla loro testa e ne dirige il ballo.
Aggiungiamo una considerazione finale. E' da decenni che sentiamo parlare della costruzione di una sinistra che sia finalmente quella giusta, buona, vera, capace sul serio di difendere i ceti subalterni, l'ambiente, i diritti.
Di tentativi analoghi a “Cambiare si può” ne abbiamo visti in numero infinito, grandi e piccoli. Forse al primo o al secondo tentativo si poteva concedere il beneficio del dubbio. Oggi ci sentiamo di dire a chiunque pensi di ritentare: “lasciate perdere”».
di Marino Badiale e Fabrizio Tringali*
Badiale e Tringali sono spietati contro l'operazione elettorale che ha portato alla lista elettorale capeggiata da Ingroia. Non hanno tutti i torti. Essi notano poi che in questa alleanza (elettoralistica) coloro che ci hanno lasciato le penne sono proprio i promotori dell'appello "Cambiare si può" (ALBA), che aveva almeno il merito di rompere con tutti i ceti politici partitici di sinistra. Il problema che sfugge ai nostri è che se i "partitini" hanno ancora una volta avuto la meglio la ragione è alquanto semplice: la lotta politica ha le sue regole ed essa implica organizzazione, militanti, identità e senso di appartenenza, mentre la "società civile" non è solo un concetto abusato, ma del tutto aleatorio. In altri termini quantità negativa.
«Abbiamo assistito in questi giorni a movimenti convulsi nel mondo “a sinistra del PD”, sfociati nel probabile scioglimento del neonato movimento “Cambiare si può” e nella formazione di un cartello elettorale di partitini (PRC, PdCI, IdV, Verdi) sotto la candidatura di Ingroia.
«Abbiamo assistito in questi giorni a movimenti convulsi nel mondo “a sinistra del PD”, sfociati nel probabile scioglimento del neonato movimento “Cambiare si può” e nella formazione di un cartello elettorale di partitini (PRC, PdCI, IdV, Verdi) sotto la candidatura di Ingroia.
E' l'ennesima riproposizione del solito copione, già mille volte recitato: a ridosso delle elezioni c'è sempre qualcuno che propone la formazione di una lista capace di riunificare quel che resta dell'arcipelago della sinistra alternativa (stavolta mettendoci in mezzo anche l'IdV pur di raccattare i voti necessari a superare lo sbarramento), e di riconnetterlo alle tante realtà di cittadinanza attiva nella società. Basterebbe chiedersi come mai ne è disconnesso per capire quanto sia inutile un tale lavoro. E invece ogni volta la stessa storia di tentativi finiti male: abortiti ancora prima di nascere o trasformati in carrozzoni ad uso dei capibastone dei vari partitini, destinati a disintegrarsi (fortunatamente) immediatamente dopo le elezioni.
Lo scopo dichiarato di questi tentativi di aggregazione è sempre lo stesso: costruire una sinistra vera, buona, giusta, capace di rinverdire i suoi antichi ideali, che mandi in soffitta quella falsa, cattiva, ingiusta, traditrice, cioè quella che effettivamente esiste oggi.
Quasi sempre tutto ha inizio dall'iniziativa di brave persone che si rendono disponibili a coprire col proprio volto pulito queste basse operazioni elettorali.
Sarebbe molto meglio se, invece di continuare in questi tentativi, chi voglia costruire un movimento di riscatto popolare, di lotta anticapitalistica, di riconquista dei diritti, prendesse atto della realtà politica presente in Italia e nella maggioranza degli altri paesi avanzati: la definitiva trasformazione dell'intero ceto politico (di destra e di sinistra) in un gruppo di funzionari delle oligarchie nazionali e internazionali, la cui unica funzione (ben pagata) è quella di gestire la politica in modo da ottenere ciò che tali oligarchie vogliono: la distruzione dei diritti sociali, del livello di vita popolare, della civiltà sociale dei nostri paesi. Il ceto politico ha assunto il compito di controllare e gestire il disagio e il dissenso che tutto ciò genera. Destra e sinistra sono totalmente unificate, da questo punto di vista, e si dividono solo su questioni secondarie e su problemi di immagine, producendo scontri e polemiche che funzionano come “armi di distrazione di massa”.
Una politica di difesa dei ceti subalterni e della civiltà del nostro paese non può che passare, quindi, attraverso la rottura drastica con l'intero ceto politico, di destra e di sinistra (sia essa moderata, radicale, alternativa o vattelapesca).
L'appello “Cambiare si può" si avvicinava a queste considerazioni, ma la sua proposta è fallita proprio perché “orientata a sinistra”.
I promotori speravano di poter dar vita ad una lista elettorale incentrata su candidati della società civile, ma capace di coinvolgere anche i partiti, che però avrebbero dovuto fare un “passo indietro” rinunciando almeno a candidare i proprio segretari.
Ma se è vero, come è vero, che solo spazzando via l'intero ceto politico attuale, di destra e di sinistra, ci può essere speranza per il nostro Paese, come è possibile creare un movimento politico che abbia chiari questi concetti e allo stesso tempo si definisca “di sinistra”, o faccia comunque riferimento, anche solo implicitamente, al mondo della sinistra?
Procedere in questo modo non porterà che alla morte del movimento ed al ribaltamento di quanto proposto dagli stessi promotori. Il che è esattamente quel che è successo a “Cambiare si può”, dove gli aderenti hanno votato a favore della lista Ingroia, nonostante i promotori fossero contrari, dato che il magistrato ha fatto spallucce di fronte alla richiesta di non candidare i segretari di partito.
Il punto è che, essendo “Cambiare si può” un movimento di sinistra, gli aderenti ai partiti di sinistra vi si sono immediatamente tuffati, ed hanno sostenuto gli interessi dei loro caporioni.
Più in generale, quel che accade in queste realtà politiche, è che chi vi aderisce ritiene, ovviamente, che la sinistra realmente esistente sia meglio della destra realmente esistente. Dal che discende l'idea che un governo di centrosinistra, alla fin delle fini, sia meglio, o meno peggio, di uno di centrodestra.
Così un movimento nato su queste basi, indipendentemente dalle ragioni e dagli obiettivi dei promotori, inizia ad avere difficoltà a dire la verità, cioè che la vittoria di Bersani oppure quella di Monti o Berlusconi sono tutte, allo stesso modo, disgrazie per l'Italia. Magari differenti negli aspetti esteriori, ma identiche nella logica economico-sociale e negli esiti.
Stiamo dicendo, in sostanza, che la posizione di “Cambiare si può”, e di tutte le iniziative analoghe, era minata da un'evidente contraddizione. Da una parte proponeva, giustamente, di porsi all'esterno dal centrosinistra. Dall'altra non voleva o poteva rompere definitivamente con esso.
Di qui la posizione ambigua nei confronti degli “arancioni”, che invece sono pieni zeppi di ceto politico e non vedono l'ora di aprire il dialogo col PD (e non stanno nella coalizione di centrosinistra solo perché Bersani li tiene fuori). L'esito non poteva essere più scontato.
Quanto agli “arancioni”, non vale la pena di spenderci molte parole: un'accozzaglia di micropartiti che cercano di mettere assieme i voti necessari per portare in Parlamento i loro capetti. Senza ovviamente proporre nulla di alternativo all'austerity, alla trappola dell'euro, alla dittatura della UE.
Spiace che persone per bene come Ingroia accettino di far da copertura a queste basse operazioni politiche. Ingroia sembra il Michael Jackson di “Thriller”, che trovandosi di fronte ad un gruppo di zombie, si accorge di essere uno di loro, si pone alla loro testa e ne dirige il ballo.
Aggiungiamo una considerazione finale. E' da decenni che sentiamo parlare della costruzione di una sinistra che sia finalmente quella giusta, buona, vera, capace sul serio di difendere i ceti subalterni, l'ambiente, i diritti.
Di tentativi analoghi a “Cambiare si può” ne abbiamo visti in numero infinito, grandi e piccoli. Forse al primo o al secondo tentativo si poteva concedere il beneficio del dubbio. Oggi ci sentiamo di dire a chiunque pensi di ritentare: “lasciate perdere”».
* Fonte: mainstream
5 commenti:
Aspetta e spera amico. Fanno tutti i fratelli ma se ne fregano a morte degli sconosciuti, sono tali e quali ai grillini.
L'aggettivo "civile", come molti termini linguistici del resto, é polisemantico e il suo referente dovrebbe essere il concetto di "civiltà". Anche questo termine sarebbe ambiguo e, spaccando il capello in quattro secondo gli algoritmi della logica, non si finirebbe più.
Sarebbe preferibile partire dal suo contrario: "incivile" che qualifica ciò che é negativo per la civitas, quell' insieme di persone (cittadini) che si aggregano per vivere secondo "regole", cioé leggi, atte a stabilire quali devono essere i rapporti fra i cives, leggi che vanno osservate , applicate e fatte osservare secondo uno spirito di legalità. E qui affiora la visione del mondo di un magistrato.
Quindi: buone leggi, giuste, leggi per la collettività ed il pubblico bene, adatte alle necessità del convivere pacifico, fruttuoso e propizio per la prosperità e il progresso morale ed etico dei cives. Direi che ci siamo, sebbene un pò genericamente. Per decifrare il logo verbale occorre effettivamente uno sforzo mentale il che non va troppo bene in una cultura infarcita di slogan pubblicitari zuccherosi e gridati e spzsso insulsi.
Guardando invece alla sostanza, cioé allo spirito del nuovo Partito, si deve riconoscere che, posta la serietà e la lealtà alla "civitas" di chi gli ha dato vita, si deve riconoscere che questa agregazione politica si presenta assai più affidabile di molte altre.
A parte tutto, la compagine di Ingroia si presenta come una potenziale forza capace di comporre il disordine di un cultura politica democratica in fase di avanzata decomposizione morale come la nostra. La sua collocazione verso "sinistra", la differenzia e la contrappone decisamente rispetto all'agenda montiana.
Anonimo Commento 13,24
Errata corrige: aggregazione invece di agregazione
spesso anzichè spzsso
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