...e l'orecchino da mercante
di Emmezeta*
Commovente, fragoroso, esilarante. Il lamento del vecchio direttore di Repubblica è davvero sincero. Mai tradimento fu tanto inatteso. Si erano parlati poche ore prima dell'annuncio. E lui, fiducioso, ne aveva scritto a più non posso.
Ma ecco, imprevisto, il voltafaccia:
Ma le agende non sono tutto, ci sono anche le rubriche. Quelle telefoniche, poi, te le raccomando. Fatto sta che qualcuno lo deve aver chiamato. In questi giorni pure a Messa l'hanno visto incollato al cellulare. Chissà perché gliel'hanno fatto fare, forse per misurare il tasso di rincoglionimento degli italiani: ogni voto in più a Monti, un sacrificio in più da richiedere all'Italia sull'altare dell'euro.
Ora, neanche fosse il Berluska, si è messo a dire che ridurrà le tasse: modificare l'IMU, abbassare l'Irpef, congelare l'IVA. E' dura (e curiosa), anche per un bocconiano, la campagna elettorale. Ma più duro è per il direttore prendere atto del tradimento.
Forse le caselle andranno a posto lo stesso, ma perché complicarsi la vita? Perche mai, visto che (testuale) «i due programmi, il suo e quello di Bersani, nelle parti principali coincidono»?
Non ci è mai stato simpatico, ma almeno su questo l'Eugenio tradito non ha torto. E non sa farsene una ragione, al punto da illustrarci le conseguenze (per lui) catastrofiche della scelta del professore. Eh già, perché se il Salvatore tradisce, quel che ne vien fuori è una specie di Anticristo. Leggiamola, allora, la profezia scalfariana:
Il terrore del fondatore di Repubblica è sempre quello, l'ingovernabilità. E la sua disperazione è palpabile, perché questa volta l'ingovernabilità non sarebbe imputabile all'opposizione, ai lavoratori, a qualche sciopero od a qualche intrigo parlamentare. Peggio: non sarebbe neppure imputabile al tanto detestato «populismo», né a Grillo, né al Cavaliere, bensì al vecchio amico incontrato cinquant'anni fa in qualche ambiente bancario frequentato, già allora, da entrambi.
Il tradimento è stato dunque davvero tremendo. Al punto da arrivare a questa conclusione: «Anche tu, caro Mario, sei cambiato. Mi piaci molto per quello che hai fatto e che eri, mi preoccupi per quello che sei ora e riesci perfino a spaventarmi per quello che potresti fare se, non vincendo il piatto, lo vorrai comunque tutto per te». Dall'amore, alla preoccupazione, al terrore. Della serie: anche i ricchi soffrono.
Ma Scalfari non ha mai sentito parlare delle lotte di potere - personali o di fazione - all'interno delle stesse classi dominanti? Certamente sì. E se questo contrasta con lo stupore, può invece ben spiegare la sua preoccupazione. Che noi ci auguriamo sia fondata.
... e l'orecchino da mercante
Se la storiella scalfariana è assai interessante, non meno istruttiva è quella che ne deriva seguendo le tracce dell'ex direttore.
Abbiamo visto qual è il suo refrain: che l'Agenda montiana e quella bersaniana coincidono perfettamente nell'essenziale. Ha torto, ha ragione? La seconda che hai detto.
C'è però un signore che da quell'orecchino finge di non sentirci. Lui non ha agende, ma solo «sogni». Ma se l'aria fritta è la sua specialità, qualcosina ogni tanto firma. Ed è quel qualcosina che il direttore ha letto con giusta attenzione. Non si tratta di un documento segreto, perché Bersani stavolta ha voluto fare le cose in grande, ed agli alleati ha chiesto preventivamente di tutto e di più.
Parliamo della «Carta dei progressisti», la base politica dell'alleanza elettorale del centrosinistra. Un documento che definire manicheo sarebbe da considerarsi un gentile eufemismo. Il testo è imperniato sulla continua giustapposizione di due termini: l'Europa nelle vesti del Bene, il «populismo» in quelle del Male. I riferimenti all'Europa sono talmente ricorrenti ed ossessivi da risultare anche letterariamente fastidiosi. Ma tant'è: questo è il progressismo oggi.
Questi «progressisti» si pronunciano ovviamente per gli Stati Uniti d'Europa. E comunque, tanto per andarci leggero, se ne escono con affermazioni di questo tipo: «La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l'Europa».
Gli ingenui penseranno che si tratti di affermazioni astratte. Al contrario, come la «Carta» si preoccupa di chiarire senza possibilità di equivoco.
Qualcuno ha sottolineato come Vendola abbia accettato di sostenere, a scatola chiusa, ogni scelta del leader e futuro premier. Un'accettazione condita con una regola ben precisa, quella di: «vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta». Considerata la sproporzione di forze tra Pd e Sel verrà mai convocata una simile assemblea? E' ovvio che con la sottoscrizione di questa norma Sel si auto-riconosce come forza non autonoma, adattandosi ad uno status da corrente interna al Pd.
Ma, ovviamente, non è solo questione di regole, bensì di sostanza. Ed il penultimo punto della «Carta» è assai preciso, laddove impegna ad «assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese». Insomma, nessun intralcio alla Nato e alle sue guerre. Una specie di preventiva norma anti-Turigliatto, che ai pacifinti di Sel evidentemente non disturba.
Ma dopo il penultimo, è la volta dell'ultimo punto. Quello che inchioda il tutto alle ferree regole euriste, impegnando i firmatari ad «appoggiare l'esecutivo in tutte le misure di ordine economico ed istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell'eurozona».
Insomma, gli eurosacrifici fatti legge. Scalfari ha dunque ragione nelle sue lagnanze, patetiche ma fondate. Chi ha torto marcio è invece il piccolo boss di Sel. Che vorrebbe presentarsi alternativo a Monti, dopo aver sottoscritto la piena prosecuzione delle politiche montiste.
Se Scalfari è penoso, Vendola è disgustante.
Il primo è assai patetico nel suo dolore per il tradimento di Monti. Il secondo è invece ripugnante: disonesto con i propri elettori, che probabilmente non sanno che votare Sel equivale a votare una corrente del Pd; fedelissimo ai dettami delle oligarchie europee, fino ad impegnarsi ad appoggiare a priori ogni nuovo sacrificio che verrà imposto al popolo lavoratore.
di Emmezeta*
«Il povero Scalfari era davvero convinto di poter sistemare ogni casella senza intoppi: Bersani a Palazzo Chigi, Monti al Quirinale dopo essersi tenuto fuori dalla contesa elettorale, Casini rabbonito con un ministero, le banche rassicurate da Passera all'economia, Montezemolo a giocare con i modellini della Ferrari. Quasi un Paradiso terrestre per lorsignori, con in più Draghi in servizio permanente effettivo alla Bce. In fondo avevano tutti la stessa Agenda...»
Commovente, fragoroso, esilarante. Il lamento del vecchio direttore di Repubblica è davvero sincero. Mai tradimento fu tanto inatteso. Si erano parlati poche ore prima dell'annuncio. E lui, fiducioso, ne aveva scritto a più non posso.
Ma ecco, imprevisto, il voltafaccia:
«Sennonché a pochi giorni anzi a poche ore di distanza le sue scelte cambiarono: da uomo "super partes", come lo stesso Presidente della Repubblica avrebbe gradito, è diventato uomo di parte inalberando un'agenda più che accettabile ma nelle parti qualificanti identica o analoga a quella del partito con il quale compete affermando quel suo programma come il solo capace di condurre l'emergenza al suo termine e prospettare nuovi orizzonti per il futuro» [Perché Monti mi ha deluso, la Repubblica 6 gennaio 2013]Il povero Scalfari era davvero convinto di poter sistemare ogni casella senza intoppi: Bersani a Palazzo Chigi, Monti al Quirinale dopo essersi tenuto fuori dalla contesa elettorale, Casini rabbonito con un ministero, le banche rassicurate da Passera all'economia, Montezemolo a giocare con i modellini della Ferrari. Quasi un Paradiso terrestre per lorsignori, con in più Draghi in servizio permanente effettivo alla Bce. In fondo avevano tutti la stessa Agenda...
Ma le agende non sono tutto, ci sono anche le rubriche. Quelle telefoniche, poi, te le raccomando. Fatto sta che qualcuno lo deve aver chiamato. In questi giorni pure a Messa l'hanno visto incollato al cellulare. Chissà perché gliel'hanno fatto fare, forse per misurare il tasso di rincoglionimento degli italiani: ogni voto in più a Monti, un sacrificio in più da richiedere all'Italia sull'altare dell'euro.
Ora, neanche fosse il Berluska, si è messo a dire che ridurrà le tasse: modificare l'IMU, abbassare l'Irpef, congelare l'IVA. E' dura (e curiosa), anche per un bocconiano, la campagna elettorale. Ma più duro è per il direttore prendere atto del tradimento.
Forse le caselle andranno a posto lo stesso, ma perché complicarsi la vita? Perche mai, visto che (testuale) «i due programmi, il suo e quello di Bersani, nelle parti principali coincidono»?
Non ci è mai stato simpatico, ma almeno su questo l'Eugenio tradito non ha torto. E non sa farsene una ragione, al punto da illustrarci le conseguenze (per lui) catastrofiche della scelta del professore. Eh già, perché se il Salvatore tradisce, quel che ne vien fuori è una specie di Anticristo. Leggiamola, allora, la profezia scalfariana:
«Mi ha deluso e mi preoccupa molto perché la sua azione avrà come risultato inevitabile quello di rendere ingovernabile il nuovo Parlamento gettando il Paese (e l'Europa) nel caos».L'Eugenio sente di averla sparata un po' grossa, e corre ai ripari con la sua spiegazione, che vi riassumiamo: Monti non può vincere le elezioni, al massimo arriverà secondo, più probabilmente terzo, se non addirittura quarto dietro a Grillo. Al Senato, però, il centrosinistra potrebbe non avere la maggioranza, ed a quel punto Monti e Casini farebbero l'accordo con il Pd solo se quest'ultimo accettasse il Monti bis. Di fronte a questo ricatto o Bersani si piega al novello Ghino di Tacco col loden o la legislatura diventa ingovernabile.
Il terrore del fondatore di Repubblica è sempre quello, l'ingovernabilità. E la sua disperazione è palpabile, perché questa volta l'ingovernabilità non sarebbe imputabile all'opposizione, ai lavoratori, a qualche sciopero od a qualche intrigo parlamentare. Peggio: non sarebbe neppure imputabile al tanto detestato «populismo», né a Grillo, né al Cavaliere, bensì al vecchio amico incontrato cinquant'anni fa in qualche ambiente bancario frequentato, già allora, da entrambi.
Il tradimento è stato dunque davvero tremendo. Al punto da arrivare a questa conclusione: «Anche tu, caro Mario, sei cambiato. Mi piaci molto per quello che hai fatto e che eri, mi preoccupi per quello che sei ora e riesci perfino a spaventarmi per quello che potresti fare se, non vincendo il piatto, lo vorrai comunque tutto per te». Dall'amore, alla preoccupazione, al terrore. Della serie: anche i ricchi soffrono.
Ma Scalfari non ha mai sentito parlare delle lotte di potere - personali o di fazione - all'interno delle stesse classi dominanti? Certamente sì. E se questo contrasta con lo stupore, può invece ben spiegare la sua preoccupazione. Che noi ci auguriamo sia fondata.
... e l'orecchino da mercante
Se la storiella scalfariana è assai interessante, non meno istruttiva è quella che ne deriva seguendo le tracce dell'ex direttore.
Abbiamo visto qual è il suo refrain: che l'Agenda montiana e quella bersaniana coincidono perfettamente nell'essenziale. Ha torto, ha ragione? La seconda che hai detto.
C'è però un signore che da quell'orecchino finge di non sentirci. Lui non ha agende, ma solo «sogni». Ma se l'aria fritta è la sua specialità, qualcosina ogni tanto firma. Ed è quel qualcosina che il direttore ha letto con giusta attenzione. Non si tratta di un documento segreto, perché Bersani stavolta ha voluto fare le cose in grande, ed agli alleati ha chiesto preventivamente di tutto e di più.
Parliamo della «Carta dei progressisti», la base politica dell'alleanza elettorale del centrosinistra. Un documento che definire manicheo sarebbe da considerarsi un gentile eufemismo. Il testo è imperniato sulla continua giustapposizione di due termini: l'Europa nelle vesti del Bene, il «populismo» in quelle del Male. I riferimenti all'Europa sono talmente ricorrenti ed ossessivi da risultare anche letterariamente fastidiosi. Ma tant'è: questo è il progressismo oggi.
Questi «progressisti» si pronunciano ovviamente per gli Stati Uniti d'Europa. E comunque, tanto per andarci leggero, se ne escono con affermazioni di questo tipo: «La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l'Europa».
Gli ingenui penseranno che si tratti di affermazioni astratte. Al contrario, come la «Carta» si preoccupa di chiarire senza possibilità di equivoco.
Qualcuno ha sottolineato come Vendola abbia accettato di sostenere, a scatola chiusa, ogni scelta del leader e futuro premier. Un'accettazione condita con una regola ben precisa, quella di: «vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta». Considerata la sproporzione di forze tra Pd e Sel verrà mai convocata una simile assemblea? E' ovvio che con la sottoscrizione di questa norma Sel si auto-riconosce come forza non autonoma, adattandosi ad uno status da corrente interna al Pd.
Ma, ovviamente, non è solo questione di regole, bensì di sostanza. Ed il penultimo punto della «Carta» è assai preciso, laddove impegna ad «assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese». Insomma, nessun intralcio alla Nato e alle sue guerre. Una specie di preventiva norma anti-Turigliatto, che ai pacifinti di Sel evidentemente non disturba.
Ma dopo il penultimo, è la volta dell'ultimo punto. Quello che inchioda il tutto alle ferree regole euriste, impegnando i firmatari ad «appoggiare l'esecutivo in tutte le misure di ordine economico ed istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell'eurozona».
Insomma, gli eurosacrifici fatti legge. Scalfari ha dunque ragione nelle sue lagnanze, patetiche ma fondate. Chi ha torto marcio è invece il piccolo boss di Sel. Che vorrebbe presentarsi alternativo a Monti, dopo aver sottoscritto la piena prosecuzione delle politiche montiste.
Se Scalfari è penoso, Vendola è disgustante.
Il primo è assai patetico nel suo dolore per il tradimento di Monti. Il secondo è invece ripugnante: disonesto con i propri elettori, che probabilmente non sanno che votare Sel equivale a votare una corrente del Pd; fedelissimo ai dettami delle oligarchie europee, fino ad impegnarsi ad appoggiare a priori ogni nuovo sacrificio che verrà imposto al popolo lavoratore.
* Fonte: Campo Antimperialista
5 commenti:
Come no! La vera ragione per cui Scalafri s'incazza, ciò che lo preoccupa, è il sicuro tonfo elettorale della lista di Monti, sia perché rilancia il Berluska, sia perché complica il disegno di un governo Pd-centristi. Se Scalfari piange non possiamo star contenti.
Mi pare di aver letto una volta, che deputati e senatori non devono essere eletti con "vincolo di mandato", ciò per garantire libertà nell' approvazione o nella riprovazione delle leggi in base a criteri di merito e non in base a complotti pre elettorali o dictat di partito.
Non vorrei sbagliarmi, ma la proibizione del vincolo di mandato credo di averla letta nella Costituzione Italiana.
Qualche esperto potrebbe spiegarmi meglio?
Sì, è vero. L'art. 67 della costituzione dice che gli eletti si devono sentire liberi rispetto alle idee, alle promesse con le quali si sono presentati agli elettori ed hanno chiesto ed ottenuto il voto. Per questo possono votare contro i punti del loro stesso programma elettorale ed anche cambiare il partito che li ha inseriti nelle liste. Non sono perciò rappresentanti del popolo sovrano, né di nessuno. Grazie all'assenza del mandato imperativo, la nostra costituzione sugella l'oligarchia parlamentare e del professionismo politico.
Credo che il disegno politico di Monti sia quello di fare nel prossimo Parlamento l'ago della bilancia in prima persona. Tirarsi fuori dalla scena politica attiva in attesa di essere chiamato successivamente, come già fece Re Giorgio, non lo convince, perché diffida dei politici suoi "colleghi". E se poi il Bersy in un delirio di grandezza (i cui prodromi: inasprire il Fiscal Compact, ecc. sono già nella famigerata intervista del Financial Times) non lo chiama, cosa dirà all'oligarchia impersonata dalle maschere di Merkel e di Draghi? Monti conosce la responsabilità del suo mandato ("segreto"), è lui il teleguidato, quello che deve rispondere ai comandi dell'oligarchia europea e oltre atlantica, e in questo senso il Bersy è solo quello che in letteratura viene chiamato "l'utile idiota". Sull'orecchino stendiamo un pietoso velo, fa solo da tappetino, o specchietto attiragonzi.
http://www.asca.it/news-Elezioni__Ingroia__nessun_contatto_con_Bersani__Ma_sosterremo_Zingaretti-1236978-POL.html
Posta un commento