Moneta unica, sovranità nazionale e fuoriuscita dal capitalismo
Lettera aperta ai compagni dei Carc
Di quale crisi stiamo parlando
Chiamati in causa ci sentiamo in dovere di rispondere, non per amore della polemica, quanto per chiarire ulteriormente il senso e le implicazioni della nostra posizione e del perché lo sganciamento dall’Unione europea e la riconquista della sovranità monetaria sono misure imprescindibili se si vuole far uscire il nostro paese dalla crisi storico-sistemica che dilania il capitalismo e contestualmente aprire una breccia al socialismo.
Tabella n.1. L'enorme aumento della produzione mondiale dopo la II Guerra (clicca per ingrandire) |
«L’interpretazione da dare della natura della crisi in corso è per noi una questione decisiva. (…) L’incomprensione della realtà che abbiamo sotto gli occhi, i molti errori di linea politica e le molte parole d’ordine inconcludenti oggi in campo hanno origine nella interpretazione sbagliata della crisi: origini, effetti e esiti. La lotta per affermare la giusta interpretazione della crisi è indispensabile per liberare il campo della lotta politica da posizioni che deviano o ostacolano l’elaborazione e la conduzione della nostra soluzione politica, la soluzione favorevole alle masse popolari e al progresso dell’umanità».
Siamo perfettamente d’accordo con questa premessa. Come nessuno affiderebbe la propria salute ad un medico la cui terapia non sia fondata su una conoscenza adeguata dell’anatomia e un diagnosi esatta del male, così non saranno credibili le proposte dei rivoluzionari per uscire dalla crisi senza un’analisi scientifica della crisi medesima. E questa analisi presuppone una conoscenza adeguata della fisiologia del sistema capitalistico. Dell’attuale sistema capitalistico, anzitutto occidentale, non di quello che fu.
L’errore vostro è che non siete in grado di cogliere i profondi mutamenti avvenuti in seno alle formazioni sociali imperialistiche, ci riferiamo anzitutto agli ultimi 40 anni. Quasi mezzo secolo. Il capitalismo, a differenza di altri modi di produzione, come quelli asiatico, schiavistico o feudale, è dinamico, mutante. Esso ha conosciuto varie fasi: dalla manifattura al sistema industriale dispiegato, dal colonialismo all’imperialismo, dalla libera concorrenza al regime monopolistico, dalla democrazia liberale al fascismo e ritorno. Guai a quei rivoluzionari che si rifiutassero di cogliere questi mutamenti. La teoria è un’arma per cambiare la realtà, occorre maneggiarla con cura, altrimenti può esplodere in faccia a chi la usa in modo improprio, senza dimenticare che una teoria sbagliata è come una pisola scarica, che mette a repentaglio anzitutto chi la usa.
Cos’è che spinge il capitale a passare da un modello sociale ad un altro? Da un paradigma ad un altro? La ragione è nel suo stesso ambivalente Dna. Animato dalla ricerca della massima estrazione di plusvalore, esso non solo deve sviluppare le forze produttive, è di necessità costretto a far sì che a questo sviluppo si adatti non solo la sovrastruttura, ma gli stessi rapporti di produzione —che non si comportano come un freno a mano che automaticamente si inneschi quando il motore è a tutto gas. Per dire che si è rivelata fallace l’idea meccanicistica per cui ci sarebbe una necessitata correlazione inversa tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione. (Vedi, sul lungo ciclo di espansione capitalistica nella seconda metà del '900, le Tabelle N.1 e 2)
Ma veniamo al punto. Voi affermate:
L’errore vostro è che non siete in grado di cogliere i profondi mutamenti avvenuti in seno alle formazioni sociali imperialistiche, ci riferiamo anzitutto agli ultimi 40 anni. Quasi mezzo secolo. Il capitalismo, a differenza di altri modi di produzione, come quelli asiatico, schiavistico o feudale, è dinamico, mutante. Esso ha conosciuto varie fasi: dalla manifattura al sistema industriale dispiegato, dal colonialismo all’imperialismo, dalla libera concorrenza al regime monopolistico, dalla democrazia liberale al fascismo e ritorno. Guai a quei rivoluzionari che si rifiutassero di cogliere questi mutamenti. La teoria è un’arma per cambiare la realtà, occorre maneggiarla con cura, altrimenti può esplodere in faccia a chi la usa in modo improprio, senza dimenticare che una teoria sbagliata è come una pisola scarica, che mette a repentaglio anzitutto chi la usa.
Tabella N. 2. Il consumo mondiale di energia è aumentato di sei volte dopo la seconda guerra, un indice infallibile della crescita dell'economia capitalistica mondiale (clicca per ingrandire) |
Cos’è che spinge il capitale a passare da un modello sociale ad un altro? Da un paradigma ad un altro? La ragione è nel suo stesso ambivalente Dna. Animato dalla ricerca della massima estrazione di plusvalore, esso non solo deve sviluppare le forze produttive, è di necessità costretto a far sì che a questo sviluppo si adatti non solo la sovrastruttura, ma gli stessi rapporti di produzione —che non si comportano come un freno a mano che automaticamente si inneschi quando il motore è a tutto gas. Per dire che si è rivelata fallace l’idea meccanicistica per cui ci sarebbe una necessitata correlazione inversa tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione. (Vedi, sul lungo ciclo di espansione capitalistica nella seconda metà del '900, le Tabelle N.1 e 2)
Ma veniamo al punto. Voi affermate:
«Abbiamo più volte in questi anni spiegato come il nostro paese e tutto il mondo è coinvolto e sconvolto dalla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, iniziata a metà degli anni ’70 del secolo scorso e dal 2008 entrata nella sua fase acuta e terminale. E’ una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale: a livello mondiale e considerando tutti i settori produttivi, il capitale accumulato è tanto che, se i capitalisti lo impiegassero tutto nelle loro aziende che producono merci (beni e servizi), estrarrebbero una massa di plusvalore (quindi di profitto) inferiore a quella che estraggono impiegandone solo una parte. Quindi la crisi attuale ha la sua fonte nelle attività produttive (l’economia reale), cioè nella struttura della società (in questo senso è una “crisi strutturale”)».E’ giusta questa diagnosi? Sì e no. Sì perché coglie un aspetto costitutivo della patologia che affetta il sistema. No perché voi, con uso maldestro del metodo dialettico, ossessionati dal “ridurre tutto ad unità”, dal cercare la “causa prima”, la “sorgente” di tutti i mali, finite per utilizzare il concetto di sovrapproduzione come un assioma geometrico, un dogma passepertout, senza sostanziarlo con accurate analisi empiriche e fattuali. [1]
Tabella N.3. L'avanzata del capitalismo cinese dagli anni '50 al 2005. (clicca per ingrandire) |
Basta vedere le performaces di certi capitalismi emergenti (non solo asiatici, ma latino-americani e mediorientali) che conoscono alti livelli di sviluppo economico, di accumulazione di capitale e di profitti, anche dopo il crollo finanziario del 2008 e malgrado il ciclo recessivo della maggior parte dei paesi occidentali.
(vedi Tabella N.3 sulla poderosa crescita cinese)
La crisi di “sovrapproduzione assoluta”, dev’essere intesa non solo come conseguenza e risultato del lungo ciclo espansivo post-bellico conosciuto dai paesi imperialistici, ma come tendenza. Una tendenza davanti alla quale il capitale non se ne sta inerme alla finestra, mettendo invece in atto anche radicali ed efficaci contro-misure.
Il fatto che qui adesso ci interessa è sottolineare come questo passaggio alla iper-finanziarizzazione, al sistema di capitalismo casinò, abbia non solo frenato la crisi di sovrapproduzione —la quale, scusateci la pedanteria, è solo un altro modo per significare la caduta del saggio medio di profitto—, ma abbia consentito al capitale di invertire momentaneamente la tendenza, spingendo per quasi un ventennio all’in su i tassi di profitto, malgrado la discesa di quelli di accumulazione. [2]
(Vedi l'istruttiva Tabella N. 4)
Dal 1980 al 2000 abbiamo così avuto un periodo d’oro per l’imperialismo (ciò che ha consentito di accrescere la pressione, fino al crollo, sull’Urss e i suoi satelliti). Ci sono evidenze empiriche lampanti a conferma, basta volerle osservare e individuare, invece di restare appesi alla propria divinazione oracolare.
In che senso questo modello fondato sulla rendita finanziaria e sulla captazione indiretta di plusvalore sia diverso da quello precedente, come esso funzioni, e come abbia mutato la stessa composizione di classe, lo abbiamo spiegato più volte. [3]
Vale qui ribadire che senza una comprensione adeguata di come oggi funzioni il sistema, senza disvelare quali sono i nuovi meccanismi di accumulazione, non è possibile capire un’acca delle ragioni della sua crisi e della sua fenomenologia. Né si possono comprendere i mutamenti nella composizione delle classi che finiscono per determinare le dinamiche sociali e politiche. E chi non capisce come può dire la verità al popolo lavoratore?
In
terzo luogo. Ipostatizzando la “crisi di
sovrapproduzione assoluta”, facendone una formula astratta, sembrate
dimenticare sia gli studi di Marx (particolarmente nel II. e III. Libro de Il capitale), che la storia delle crisi
economiche capitalistiche, le quali possono essere di varia natura: commerciali
(improvvisi aumenti dei prezzi delle materie prime, squilibri nelle bilance dei
pagamenti, tra certi settori ed altri), finanziarie (monetarie, valutarie, di credito e/o
di tesaurizzazione).
In certi casi la sovrapproduzione da causa può essere
effetto, anche se la sostanza resta il fenomeno della svalorizzazione dei
capitali, la caduta dei saggi di profitto.
Possiamo dirla così: (1) attenti al meccanicismo nell’affrontare la relazione causa-effetto, le connessioni tra i fenomeni sono spesso più complesse da spiegare e non sono sempre uniformi; (2) la sovrapproduzione assoluta è un risultato dello sviluppo capitalistico, si afferma cioè in ultima istanza, date certe condizioni di squilibrio. Senza individuare gli squilibri nella sfera della circolazione, senza cogliere l’importanza che nel sistema di capitalismo casinò hanno i meccanismi monetari, creditizi e bancari, le cartolarizzazioni (derivati), gli scambi borsistici ad alta frequenza, le speculazioni finanziarie su valute, debiti e materie prime, quindi l’importanza del denaro e della moneta, nulla si può dire di davvero decisivo su come fuoriuscire da questo inferno.
Possiamo dirla così: (1) attenti al meccanicismo nell’affrontare la relazione causa-effetto, le connessioni tra i fenomeni sono spesso più complesse da spiegare e non sono sempre uniformi; (2) la sovrapproduzione assoluta è un risultato dello sviluppo capitalistico, si afferma cioè in ultima istanza, date certe condizioni di squilibrio. Senza individuare gli squilibri nella sfera della circolazione, senza cogliere l’importanza che nel sistema di capitalismo casinò hanno i meccanismi monetari, creditizi e bancari, le cartolarizzazioni (derivati), gli scambi borsistici ad alta frequenza, le speculazioni finanziarie su valute, debiti e materie prime, quindi l’importanza del denaro e della moneta, nulla si può dire di davvero decisivo su come fuoriuscire da questo inferno.
Non ci sfiora dunque la vostra critica per cui noi considereremmo questa crisi come solo ciclica o finanziaria. Da anni andiamo invece ripetendo che il capitalismo occidentale è alle prese con una crisi storico-sistemica, ma è storico-sistemica appunto perché essa risulta da un combinato disposto di fattori: crisi monetaria, creditizia, commerciale, di squilibri tra Stati e settori (per non parlare dei fattori politici, morali e intellettuali), tutti conchiusi entro la cornice di una crisi di sovrapproduzione cronica.
Sovranità monetaria, ovvero: liberazione o
dipendenza
Tabella N.5. I profitti finanziari negli USA in % a quelli complessivi. Dopo il crollo del 2009 sono in netta risalita (clicca per ingrandire) |
Tabella N. 6. Il peso enorme della finanza, nell'economia, in particolare quello delle banche nei paesi europei in % su Pil (clicca per ingrandire) |
Essi hanno di converso depotenziato gli Stati, li hanno soggiogati, trasformandoli in loro protesi, espropriandoli della loro sovranità. Ciò vale in particolare per lo Stato italiano —che astrusamente vi ostinate a definire “Repubblica pontificia”, dal che si deduce che secondo voi sarebbe la Curia papale il decisore politico di ultima istanza e non invece i poteri tecno-oligarchici europei—, uscito con le ossa rotte dal rigerarchizzazione tra le potenze, ridotto, per usare un’immagine ruvida ma azzeccata, al rango di potenza sub-imperialista. Una potenza di medio rango dunque, prona non solo al super-imperialismo statunitense (diciamo super perché si pone come tutore e guardiano armato non solo di sé medesimo bensì di tutto il consorzio imperialistico) ma ai conglomerati finanziari globali di cui sopra ed infine ai poteri tecno-oligarchici europei entro i quali la Germania è dominus.
Tabella n.7. Il declino del capitalismo industriale e la crescita di quello finanziario negli USA (clicca per ingrandire) |
Non possiamo permetterci di commettete lo stesso
errore strategico dei comunisti tedeschi, di lasciare alla destra sciovinista e
reazionaria la bandiera della sovranità nazionale. Occorre impugnare invece il
sovranismo e legarlo saldamente alla prospettiva socialista.
Ciò per dire che è un errore clamoroso non vedere questa
nuova gerarchia, non riconoscere che questa alienazione della sovranità nazionale
—che per affermarsi ha avuto bisogno di quella grande frattura rappresentata da
“Mani pulite” servita a portare al potere frazioni borghesi, partiti e capi politici
ubbidienti ai poteri finanziari globali — è un fattore politico e storico di prima
grandezza. E’ proprio da questa angolatura che condividiamo il vostro appello
alla formazione di un fronte (o, come voi stessi dite, di un comitato di
salvezza nazionale —sottolineiamo nazionale, ma su questo torniamo più
avanti) pronto a formare un governo popolare
d’emergenza.
Tabella N.8. Un indice macroscopico degli squilibri indotti dall'euro e della nuova gerarchia tra gli Stati. (clicca per ingrandire) |
Vale ribadire che voi, non riuscendo a mettere a fuoco l’importanza centrale che in un’economia fondata sul valore di scambio e la realizzazione del plusvalore hanno denaro, moneta, credito e finanza (che sembra riteniate meri orpelli o rivestimenti del capitale), non comprendete i meccanismi predatori che sottostanno al “debito pubblico. Giungete ad affermare, di contro all’evidenza dei fatti e facendo il verso ai liberisti, che:
«La crisi dell’economia reale e il gonfiamento del debito pubblico hanno avuto, per quanto riguarda l’Italia, origini del tutto endogene» —il debito italiano è invece più che raddoppiato a partire dagli inizi dei ’90, quando si è deciso di dare in pasto i titoli di Stato alla finanza predatoria internazionale. (Vedi tabella N.9)
Tabella N.9. La curva storica del debito sovrano italiano rispetto a quella del Pil. Il raddoppio dagli anni '90. (clicca per ingrandire) |
Comunque, data la premessa, vi viene facile (come
del resto tutti i dottrinari hanno sempre fatto verso i rivoluzionari)
accusarci, non solo di voler “tornare alla Prima repubblica”, ma di credere «..
in definitiva possibile risolvere la crisi in modo sostanzialmente pacifico, ad
opera delle stesse autorità e classi che ci hanno trascinato nella crisi, restando
comunque nell’ambito del capitalismo (seppure riformato e corretto in alcuni suoi
aspetti più estremi e distruttivi)».
In pratica ci state accusando di essere riformisti.
In pratica ci state accusando di essere riformisti.
Parliamo di cose serie. Ogni persona ragionevole
dovrebbe riuscire a capire tre concetti fondamentali:
(1) che la sovranità monetaria è un aspetto imprescindibile della sovranità nazionale e popolare, senza la quale non solo non c’è democrazia ma nemmeno una indipendente politica economica;
(2) che l’euro, proprio a causa dall’allineamento forzoso dei tassi di cambio nominali tra la valute in sfregio dei fondamentali delle economie, è lo strumento con cui le tecno-oligarchie hanno soggiogato i popoli e le nazioni più deboli;
(3) che questo soggiogamento è stato possibile non a dispetto ma grazie alla deliberata scelta alienatoria della borghesia italiana e dei suoi orpelli politici.
(1) che la sovranità monetaria è un aspetto imprescindibile della sovranità nazionale e popolare, senza la quale non solo non c’è democrazia ma nemmeno una indipendente politica economica;
(2) che l’euro, proprio a causa dall’allineamento forzoso dei tassi di cambio nominali tra la valute in sfregio dei fondamentali delle economie, è lo strumento con cui le tecno-oligarchie hanno soggiogato i popoli e le nazioni più deboli;
(3) che questo soggiogamento è stato possibile non a dispetto ma grazie alla deliberata scelta alienatoria della borghesia italiana e dei suoi orpelli politici.
Ahinoi, anche questo voi sembrate non capire. E
non riuscite dunque a comprendere che quella dell’uscita dall’Unione e
dall’eurozona non è solo un arma per combattere le oligarchie finanziarie
globali ed euriste, ma con esse la nostra stessa classe dominante ascara. Un’arma
che si dimostrerà decisiva per mobilitare le masse e rovesciare questo
miserabile stato di cose. Non riuscite a capire che il collasso dell’eurozona,
e quindi un ritorno alle sovranità monetarie, non è solo un nostro desiderata, che è un processo oggettivo ineluttabile.
Potremmo discettare a lungo sugli aspetti di dottrina del problema —potremmo
farlo, se siete d’accordo, in un seminario apposito. Qui vale il discorso che
davanti a questo processo ci sono due e solo due possibilità: o lo si agevola
pensando al dopo, nella prospettiva storica del socialismo (che non è dietro alla
porta), o lo si contrasta, come vogliono i grandi poteri oligarchici e predatori
dominanti.
Verso
il socialismo. Come?
Compagni, voi da che parte state? Non rischiate, a
causa di un malinteso internazionalismo, di essere la quinta ruota del carro di
quella che voi stessi chiamate “sinistra borghese”? Come è possibile che non
vediate che il dogma di questa “sinistra borghese” e dei poteri plutocratici globali
che rappresenta, è proprio la difesa integerrima della moneta unica e dell’Unione
imperialistica europea? Che quindi, obiettivamente, su questo punto, siete con tutti
e due i piedi nel campo del nemico?
Come potete non capire che un “Governo di blocco popolare” che lasciasse il paese nell’Unione (un’Unione imperialista fondata sul paradigma neoliberista, con Trattati antipopolari mostruosi) e che mantenesse l’euro come sua moneta è un grottesco controsenso? Come fate a non capire che un governo popolare che volesse davvero applicare misure d’emergenza per uscire dalla crisi e per soddisfare i bisogni più vitali del popolo lavoratore, dovrebbe battere moneta propria, violare tutti i Trattati (da quello Maastricht, a quello di Lisbona al Fiscal compact)? Come non vedere che se si rifiutasse di onorare il debito sovrano —che in realtà lede la sovranità perché eterodetermima la politica economica nazionale anche solo drenando ingenti risorse verso i forzieri delle banche d’affari e dei fondi d’investimento— dovrebbe tirarsi fuori dai mercati finanziari e quindi sganciarsi dalla morsa dell’eurozona e del blocco euro atlantico? Abbattere quest’Unione imperialista è il solo modo per aprire un varco ad un’Europa confederativa e socialista. Non si passa dall’una all’altra come salendo una scala.
Come potete non capire che un “Governo di blocco popolare” che lasciasse il paese nell’Unione (un’Unione imperialista fondata sul paradigma neoliberista, con Trattati antipopolari mostruosi) e che mantenesse l’euro come sua moneta è un grottesco controsenso? Come fate a non capire che un governo popolare che volesse davvero applicare misure d’emergenza per uscire dalla crisi e per soddisfare i bisogni più vitali del popolo lavoratore, dovrebbe battere moneta propria, violare tutti i Trattati (da quello Maastricht, a quello di Lisbona al Fiscal compact)? Come non vedere che se si rifiutasse di onorare il debito sovrano —che in realtà lede la sovranità perché eterodetermima la politica economica nazionale anche solo drenando ingenti risorse verso i forzieri delle banche d’affari e dei fondi d’investimento— dovrebbe tirarsi fuori dai mercati finanziari e quindi sganciarsi dalla morsa dell’eurozona e del blocco euro atlantico? Abbattere quest’Unione imperialista è il solo modo per aprire un varco ad un’Europa confederativa e socialista. Non si passa dall’una all’altra come salendo una scala.
Solo una sterile logica dottrinaria può sorreggere
l’idea eccentrica per cui un governo popolare (che secondo noi avremmo solo con
la sollevazione democratica e rivoluzionaria generale e non grazie al “coraggio”,
che non hanno, quelle che chiamate “Organizzazioni operaie e popolari”) avrebbe
più chance restando nell’Euro e nell’Unione
ad ogni costo e non invece spezzando la catena imperialistica. Solo una sterile
logica dottrinaria può dimenticare che il socialismo non lo si instaura dall’oggi
al domani, che esso dovrà attraversare varie fasi, la cui prima è quella di una
sollevazione che riconsegni sovranità piena al popolo, affidando al governo
popolare di compiere alcune prime decisive trasformazioni economiche, sociali e
politiche che avranno il socialismo come orizzonte, ma che, ben saldo il discorso
dell’egemonia, eviterà ogni strappo avventuristico,
ogni salto nel buio. Non si passa dall’economia mercantile alla socializzazione
in un breve lasso di tempo. Di sicuro un simile governo avrà dei guai con gli estremisti
di varia natura.
Tabella N. 10. La Nato nerbo storico dell'Unione Europea (clicca per ingrandire) |
Cos’è compagni? Il mito escatologico della rivoluzione mondiale? Quello che si rifiuta di vedere è che lo sviluppo oltre ad essere ineguale è spesso anche scombinato. Nessun blocco sociale rivoluzionario ha mai vinto in un paese che non abbia conquistato la fiducia delle larghe masse, ove la classe d’avanguardia non abbia agito come “classe nazionale”. Fatte le dovute proporzioni la lotta che dobbiamo condurre è oramai, nelle condizioni di perdita si sovranità, anche una lotta di liberazione. Per cui si deve sposare la sovranità nazionale col socialismo, il patriottismo con l’internazionalismo. [5]
Certo che solo a scala mondiale si potrà sconfiggere
definitivamente il capitalismo e costruire il socialismo, ma questo è un punto
di arrivo, il percorso della rivoluzione sarà necessariamente tortuoso. Seguendo
Lenin: la catena imperialistica si deve spezzare e si spezzerà nei suoi anelli deboli,
cioè il punto di partenza può ben essere nazionale.
Anche noi auspichiamo che la rivoluzione sociale sia almeno europea, ma dentro questa Europa i vari paesi conoscono livelli diversi di crisi, di sviluppo delle contraddizioni sociali e di classe, diversa potenza delle classi dominanti, e diversi livelli di organizzazione antagonista. E’ realistico supporre che alcuni anelli sono destinati a spezzarsi prima.
Dove si spezzeranno, ammesso che i rivoluzionari si trovino al posto di comando, dovranno agire, certo per estendere la rivoluzione sociale, ma per farlo debbono anzitutto dare il buon esempio, che si misura anche da come resistono alle pressioni nemiche e guidano con successo la fase di transizione.
E del resto non parlate voi stessi di Comitati di salveza
nazionale? Se foste coerenti con
quanto dite e con la critica che ci rivolgete, dovreste parlare di Comitato di
salvezza internazionale, quantomeno europeo. Ma non lo fate, e
non lo fate perché voi stessi vi rendete conto di quanto sia aleatoria e poco
realistica una simile proposta politica.
Siamo stati già prolissi e la chiudiamo qui, certi che non confonderete,
come noi non abbiamo confuso, lo stile asciutto della polemica, con l’astio. La
chiarezza è necessaria non solo per mantenere la reciproca stima, ma pure per forgiare
un fronte che voglia davvero vincere le sfide enormi che abbiamo davanti.
La Segreteria nazionale pro tempore del Mpl
12 dicembre 2012
Note
[1] Giusto cercare l’unità che innerva la molteplicità dei
fenomeni sociali. Nel caso della crisi sistemica voi affermate che l’unità
primordiale è appunto la “struttura della società”, e che “solo apparentemente
la realtà è caotica”. La realtà capitalistica è invece effettivamente caotica.
Che il pensiero cerchi di mettere ordine nel caos, prima in sede teorica e poi
pratica, non toglie che una cosa è la realtà e un’altra il pensiero. Non si
deve fare confusione tra concreto e astratto, fra molteplicità e totalità. Qui vale
l’ammonimento di Marx rispetto all’errato uso hegeliano delle astrazioni
concettuali: «Hegel cadde nell’illusione di concepire il reale come il
risultato del pensiero automoventesi, del pensiero che abbraccia e
approfondisce sé in se stesso, mentre il metodo di salire dall’astratto al
concreto è il solo modo in cui il pensiero si appropria il concreto, lo
riproduce come un che di spiritualmente concreto. Ma mai e poi mai il processo di
formazione del concreto stesso. (…) L’insieme, il tutto, come esso appare nel
cervello quale un tutto del pensiero, è un prodotto del cervello pensante che
si appropria il mondo nella sola maniera che gli è possibile (…) Il soggetto
reale rimane, sia prima che dopo, saldo nella sua indipendenza fuori della
mente; fino a che, almeno, il cervello si comporta solo speculativamente, solo
teoricamante. Anche nel metodo teorico, perciò, il soggetto, la società,
dev’essere presente come presupposto»
(K. Marx, Introduzione a “per la critica dell’economia
politica” del 1857)
[2] «Del resto
questa iper-finanziarizzazione prese avvio nello stesso quindicennio di crescita
dei tassi di profitto iniziatosi a partire dagli inizi degli anni '80. Esso non
si accompagnò ad una crescita del benessere sociale complessivo. I profitti non
vennero reinvestiti su larga scala nelle sfere produttive, bensì in quelle improduttive
della finanza speculativa. Lo attesta il decrescente tasso di accumulazione (vedi
Tabella. n.3).
Non c’è nessun
arcano in questa metamorfosi. Abbiamo detto che la legge suprema del capitalismo
è che il danaro, capitale solo in potenza, fluisce sempre dove ottiene la migliore
remunerazione. Il capitale monetario dei paesi imperialisti e delle petromonarchie,
che nel frattempo si era accumulato copioso, non trovando lucrosi gli investimenti
nell’industria occidentale, doveva cercare altri approdi. Con l’ausilio indispensabile
delle politiche liberistiche avviate negli anni ’80 dagli Usa e dal Regno Unito
prima, e poi dal resto dell’Occidente, l'enorme massa di capitale monetario imboccò
due strade complementari: (1) quella del capitalismo-casinò, dove
il danaro poteva fruttare profitti senza passare per il ciclo faticoso della
produzione di plusvalore, semplicemente captandolo, attraverso l’uso massiccio del
credito ad usura, da ogni poro dell’economia e della società.; (2) quella di
finanziare l'esportazione di capitali in paesi semicoloniali dove esistevano
le condizioni affinché gli investimenti nel ciclo industriale consegnassero un alto
plusvalore».
In: Alle origini
del declino dell’Occidente. Scheda
sulla crisi di sovrapproduzione (SollevAzione 27/9/2012)
[3] «Questo processo,
prima di espandersi ad ogni latitudine, prese il via oltre Manica e oltre
oeceano. Grazie ad un habitat favorevole e all’appoggio dei governi
neoliberisti di Reagan e della Teatcher e delle banche centrali, il capitale,
nella forma di denaro liquido si è avventato su tutto ciò che, capitatogli a
tiro, poteva fruttare guadagno. Gli investimenti in capitale costante e
variabile si sono spostati progressivamente sui titoli (rappresentazioni
fantasmagoriche delle merci), fino al fenomeno diabolico delle
cartolarizzazioni e dei derivati. Le borse sono diventate, ad iniziare da
quelle di Wall Street e della City, i templi in cui la rendita tutto
sacrificava in nome del Dio denaro. Veniva così nascendo (con l'ausilio della
macchina info-telematica) la nuova casta sacerdotale tecnocratica,
quella dei brockers e dei grandi manager bancari, preposta
al culto del nuovo "dogma trinitario" [11]: denaro, credito, interesse.
Nuovi mostri, i fondi finanziari, prendevano forma nel brodo primordiale della inforendita.
Questo passaggio determinava un mutamento profondo del sistema, prendeva forma
quello che ho definito metacapitalismo. [12] Alla tradizionale
figura del capitalista operante che usava sì il denaro, che acquistava e
vendeva merci, ma per ricavarne un plusvalore per mezzo del processo di
produzione, si affiancava il "capitalista monetario parassita",
dedito a prestare denaro per ottenerne un interesse campando così di
rendita, senza quindi entrare mai nel ciclo della produzione, volteggiando
nella sfera della circolazione monetaria per poi inquattarsi come tesoro
depositato nei forzieri —di qui l'attuale trappola della liquidità: la
montagna di denaro consegnata dalla banche centrali se ne sta ferma nei caveau
della banche d'affari.
Soggiogati i governi, l’oligarchia
rentier otteneva che i titoli di debito pubblico degli Stati diventassero
prodotti finanziari e venissero gettati sui mercati. Una vera gallina dalla
uova d’oro. Nasceva un sistema micidiale di rapina con cui spostare la
ricchezza monetaria diffusa (risparmi) dalla tasche dei cittadini ai caveau delle
banche, da certi settori ad altri, da certi Stati ad altri.
Ha tutto l’aspetto
di una stregoneria quello per cui, nei mercati finanziari, il debito, diventato
titolo negoziabile, ingrassa chi se lo passa di mano in mano, strozzando chi lo
ha emesso e fregando chi se lo trova in mano per ultimo. La merce-debito,
come aveva già segnalato Marx [13] non ha un valore di scambio, il suo
prezzo dipende dall’irrazionale gioco della domanda e dell’offerta, dalle aspettative
di rialzo —guadagno assicurato fino a quando le aspettative salgono, fino a quando
tutto crolla a causa delle prime fughe. Un gigantesco sistema Ponzi. Morale:
se da qualche parte qualcuno guadagna senza lavorare dev’esserci dall’altra qualcuno
che lavora senza guadagnare.
Con queste modificazioni
della struttura economica è mutata tutta la sovrastruttura della società. Questo
sistema ha infettato tutto il corpo sociale. Centinaia di milioni di cittadini,
proletari compresi, sono finiti per invischiarvisi. Non parliamo solo di coloro
che si sono messi a giocare in borsa, a comprare e vendere obbligazioni e azioni.
Con le privatizzazioni dei sistemi pensionistici la stragrande maggioranza dei lavoratori
si è trovata nella situazione per cui il valore della pensione attesa dipende ora
dal buon andamento del suo fondo pensione, dalle scommesse di quest'ultimo
nelle bische del capitalismo casinò. Avendo gettato sul mercato i titoli
di debito pubblico nella stessa situazione si trova la massa sterminata di pensionati,
il cui reddito è appeso, come l'impiccato alla corda, alle performance
dei mercati finanziari e degli spread, ovvero, anche in questo caso al rigore,
alla macelleria sociale, alla capacità dello Stato di essere considerato solvibile
da parte dei suoi strozzini creditori. Vi sono infine centinaia di milioni di cittadini
che avendo affidato i loro risparmi (che altro non sono che rendite) alle banche,
esigono che siano remunerativi di interesse, e per questo sono appesi alla abilità
con cui la banca gioca d’azzardo i suoi quattrini sui mercati finanziari.
E’ nato un popolo-rentier,
una nuova forma tentacolare di consociativismo interclassista. È sorta di
conseguenza una specifica coscienza sociale: la psicologia egoistica del
creditore il quale esige che il debitore, chiunque esso sia, quali che siano le
sue condizioni, onori il suo contratto di debito. Mors tua, vita mea. Non
stupiamoci quindi se la maggioranza dei tedeschi sta con la Merkel, e nemmeno se
tanti greci non vogliono abbandonare l’euro. Sono due facce della stessa medaglia».
In: La catastrofe
sociale e la sollevazione. Capitalismo
casinò e struttura sociale. (SollevAzione, 3/12/12)
[4] «E’ una stupidaggine
pensare che questo destino funereo del paese spinga le masse popolari alla sollevazione,
ma lasci compatto lo schieramento dominante. Esso, ripetiamolo, andrà in frantumi
e sarebbe sciocco se, chi pretende di strappare il paese a questo destino, facesse
spallucce e, come un disco rotto, ripetesse a pappagallo lo slogan infantile “nessun
compromesso con la borghesia ovunque essa sia”.
Il paese vive un
crollo sistemico, esso è posto di fronte ad un bivio: o la catastrofe storica o
la rinascita. E’ quindi in un larvato Stato d’eccezione. E da cosa è rappresenta
la minaccia? Dalle frazioni globaliste del capitale finanziario le
quali, poste davanti al collasso del loro sistema di rapina, vogliono uscire
dal marasma esercitando la loro dittatura dispiegata spazzando via gli ultimi
brandelli di sovranità nazionale e di democrazia. E’ entro la cornice di questo
Stato d’eccezione che deciderà le sorti del nostro paese, che va pensata
la questione della funzione di un soggetto rivoluzionario e ripensata quella
delle alleanze.
Il difetto
dell’argomentare dei nostri, come detto, pecca di astrattezza. E’ fuorviante
incardinare la possibilità di un fronte ampio al feticcio della “borghesia
progressista”. La questione delle alleanze è anzitutto politica e
programmatica. Qui casca l’asino dei nostri, che sulla questione dell’euro e
dell’Unione europea sono reticenti ed anzi sembrano condannare da un punto di
vista di ultra-sinistra l’idea che la sovranità nazionale vada difesa.
Di sicuro non ci si può alleare con le frazioni sovraniste ma reazionarie,
xenofobe e imperialiste. Ci si può invece alleare con quelle sovraniste
democratiche non in una prospettiva meramente difensiva ma offensiva, che punti
dichiaratamente alla guida del paese. Alla guida per fare cosa? Questo è il
problema per nulla astratto».
In: Con chi
la facciamo la rivoluzione?Sulla questione
del fronte e delle alleanze per salvare questo paese
(SollevAzione, 14/11/12)
[5] «Un comunista, che è internazionalista, può essere
nello stesso tempo un patriota? Noi pensiamo che non soltanto può, ma deve esserlo.
Soltanto le condizioni storiche determinano il contenuto concreto del patriottismo.
Esiste il nostro patriottismo ed esiste il "patriottismo" degli aggressori
giapponesi e quello di Hitler, al quale i comunisti devono opporsi risolutamente.
I comunisti giapponesi e tedeschi sono favorevoli alla sconfitta bellica del proprio
paese. Contribuire con tutti i mezzi alla sconfitta degli aggressori giapponesi
e di Hitler è nell'interesse dei loro popoli, e quanto più questa sconfitta sarà
completa, tanto meglio sarà. ... Poiché queste guerre scatenate dagli aggressori
giapponesi e da Hitler sono funeste per il popolo dei loro paesi quanto per gli
altri popoli del mondo. Altrimenti stanno le cose per la Cina, che è vittima dell'aggressione.
Ecco perché i comunisti cinesi devono unire il patriottismo all'internazionalismo.
Noi siamo contemporaneamente internazionalisti e patrioti e la nostra parola d'ordine
è di lottare per la difesa della patria contro l'invasore. Per noi, il disfattismo
è un delitto, e la lotta per la vittoria nella guerra di resistenza è un dovere
a cui non possiamo sottrarci. Poiché soltanto la lotta per la difesa della patria
consente di vincere gli aggressori e di liberare la nazione. Soltanto questa liberazione
rende possibile l'emancipazione del proletariato e di tutto il popolo lavoratore.
La vittoria della Cina sui suoi aggressori imperialisti sarà un aiuto per i popoli
degli altri paesi. Nella guerra di liberazione nazionale, il patriottismo è quindi
un'applicazione dell'internazionalismo».
Mao tse-tung, "Il ruolo del Partilo comunista cinese nella guerra nazionale"
(ottobre 1938), Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. II.
13 commenti:
Un grandissimo articolo complimenti.
Bellissimo questo passaggio" Esso ha conosciuto varie fasi: dalla manifattura al sistema industriale dispiegato, dal colonialismo all’imperialismo, dalla libera concorrenza al regime monopolistico, dalla democrazia liberale al fascismo e ritorno."
Mi ricorda: "“Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”. Nel senso che il sistema "migliore" deve sempre tenere conto dei cambiamenti intorno a se e quindi adottare anche delle trasformazioni interne continue per essere sempre una tra le migliori scelte possibili.
La polemica che, sebbene rigorosa viene condotta in modo civiissimo, sarebbe più comprensibile nei suoi sviluppi teoretici e prassici, se si fosse data al testo stampato una impostazione tipografica tale da distinguere meglio le citazioni delle argomentazioni da confutare con le argomentazioni che a queste vengono contrapposte. Anche la struttura tipografica contribuisce, e non poco, ad essere più chiari.
Detto questo, mi sembra che la risoluzione di un problema che si presenta impellente per l'esistenza stessa di tutto un popolo di lavoratori (caso italiano) ridotti praticamente in stato di schiavitù, proprio per la sua improrogabilità, non vada rimandata alle Calende Greche in vista di una improbabilissima rivoluzione proletaria mondiale o solo europea, la quale, anche se avvenisse domani mattina, troverebbe forze avverse talmente soverchianti e spietate da andare incontro a sicuro tragico fallimento.
Perciò, il punto di vista di MPL é assai più realistico e realizzabile avendo fra l'altro il grande vantaggio di poter essere attuato rimanendo nei limiti democratici e, tutto sommato, pacifici. Certamente necessita di chiarezza d'intenti (e questa mi pare ci sia), capacità di superare pregiudizi storicamente obsoleti (tenendo quindi ben presente la proteiforme prassi trasformista del capitalismo), coalizzazione operativa delle forze antisistema, vittoria elettorale.
Purtroppo una certa sinistra pro euro e che tifa per il "montismo" non é da tener in conto come partner. Si é mai sentito il PD parlare di sovranità monetaria?
Intanto il Debito Pubblico Italiano ha superato i 2014 miliardi: risultato abbastanza "brillante" (!) per la politica dell'austerity e dei suoi aficionados; non c'é he dire.
Ad majora!
Condivido in larga parte questa critica ai CARC. La loro posizione sulla questione dell'euro e dell'europa, sostanzialmente la stessa della sinistra borghese, non si regge in piedi. Molto interessanti le cose che dite sulla crisi di sovrapproduzione, concetto che non va preso come un dogma. Utilissimi i grafici a supporto per capire. Accennate in nota alla dialettica, qui sarei curioso che sviluppaste il discorso.
Effettivamente, chi rimnda tutto a soluzioni totali irrealizabili, fa sua l'esortazione "Campa caval che l'erba cresce ", cioé "Magnana, magnana, magnana ...." in tal modo favorisce lo "statu quo" dando così tempo e modo al nefasto tumore della speculazione internazionale a servizio dell'imperialismo di rapina, di incancrenire definitivamente il tessuto vitale della Nazione che sta agonizzando.
Opinano: "quando la gente sarà esasperata scenderà compatta nella piazze e farà il finimondo".
Già, come con la sventurata Intifada.
O sono fuori della realtà o lo fanno apposta come depistaggio.
Anch'io troverei notevomente interessante ed utile un articolo apposito di commento dei grafici.
Leggo: "Ciò vale in particolare per lo Stato italiano —che astrusamente vi ostinate a definire “Repubblica pontificia”, dal che si deduce che secondo voi sarebbe la Curia papale il decisore politico di ultima istanza e non invece i poteri tecno-oligarchici europei—"
In effetti questa definizione dei Carc di "REPUBBLICA PONTIFICIA" non è solo astrusa, è una stupidaggine. Certo che la Chiesa ha un ruolo decisivo, ma da qui a dire che ha il bastone del comando ce ne corre!
Critica ottima, che vale non solo per i maoisti dei carc, ma anche per i trotzkisti del pcl. le loro posizioni su euro e sovranità sono uguali. Confondono globalismo imperialista e internazionalismo.
abbiamo ritoccato graficamente la Lettera aperta ai Carc, venendo incontro alla richiesta di cui sopra, di pubblicare in stile tipografico per una più facile lettura.
Il capitalismo di rapina ha battuto in breccia i suoi avversari quanto a internazionalismo e i marxisti si dividono fra prenderlo per buono o combatterlo in quanto parte integrante del progetto avversario.
L'internazionalismo è sempre stata una dottrina suicida per i Paesi sviluppati; il progetto di condividere il nostro benessere colla miseria della rimanente umanità non poteva che approdare ai risultati che abbiamo dinanzi agli occhi.
A proposito di "implicazioni tattiche sulle alleanze" all'interno dello spazio sociale della rete, e per implementare la visibilità e il coordinamento tra blog aventi per "discorso" strategico l'uscita dall'euro e il recupero della sovranità monetaria e politica (che è poi "il primo passo", come scrivete), proporrei di aggiungere nel settore destro dell'homepage, due blog impegnati sullo stesso fronte:
http://tempesta-perfetta.blogspot.it/
http://orizzonte48.blogspot.it/ (questo già segnalato, se non sbaglio, da una commentatrice in un post precedente)
Una lettura impegnativa ma chiara ed istruttiva.Grazie
"Fatte le dovute proporzioni la lotta che dobbiamo condurre è oramai, nelle condizioni di perdita di sovranità, anche una lotta di liberazione. Per cui si deve sposare la sovranità nazionale col socialismo, il patriottismo con l’internazionalismo." : condivido: é insieme una amara constatazione ed anche un programma per umani affezionati alla "Libertà".
La coppia di concetti appare comunque antinomica e coniugare i termini assieme sarà molto problematico se si vuole farlo contemporaneamente. Io direi, se mai, ogni cosa a suo tempo.
Vorrei soffermarmi ancora un istante su di una affermazione molto obiettiva del lettore Lorenzo: "Il capitalismo di rapina ha battuto in breccia i suoi avversari quanto a internazionalismo e i marxisti si dividono fra prenderlo per buono o combatterlo in quanto parte integrante del progetto avversario".
Mi sembra una frase terribile per la sua "verità". In questo caso, forse, invece di usare il termine "capitalismo" (che é concetto un po' generico nella fase attuale della Storia dato che anche la Cina, per esempìo, in un certo senso ha adottato una qualche forma di capitalismo) io parlrei di "imperialismo mirante all'instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale" il quale ovviamente esige, come conditio sine qua non, l'internazionalismo. Gli imperi sono di regola avversari naturali di una organizzazione antropologico-politico - culturale strutturata in stati nazionali indipendenti ed autonomi e sono rigorosamente intolleranti a tal proposito. Per l'Imperialismo N.W.O., il capitalismo è stato ed è ancora (ma forse non per sempre) un "mezzo di potere" (un Golem) per raggiungere l'internazionalismo. "Sotto uno stesso cielo" era il titolo di un film cinese a proposito di imperialismo integralista. "Stesso Cielo" può significare omologazione totale degli spiriti, delle convinzioni, delle visioni del mondo, delle coscienze, delle menti e del pensiero: Orwell, certo. Ma implica nel contempo anche la rinuncia a qualsiasi forma di libertà personale. Roba da automi (infatti l'innesto di cheeps telecomandabili sembra già qualcosa di relizzabile).
Mi viene in mente che il sig. Monti, ha detto che le crisi sarebbero necessarie per convincere le Nazioni a rinunciare a parte della loro sovranità. L'affermazione ha fatto venire i brividi a più di qualcuno.
La riduzione delle Nazioni a semplici espressioni geografiche é in verità l'ideale dei cosiddetti europeisti e si deve ammettere che la " gabbia" é purtroppo in avanzato stato di allestimento. E con spiccate caratteristiche di inevadibilità, pure.
Pertanto, parlare di "lotta di liberazione", non sembra per niente fuori luogo.
Risponderanno i Carc a questa critica, fraterna ma ficcante?
Non so se risponderanno, ma è certo che questo documento è un'ottimo documento e a me è servito per districarmi in tutta questa contesa tra marxisti sulla natura della crisi e le sue origini. Illuminante.
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