Pornografia di sinistra
di Piemme
Populismo è oramai un concetto-prezzemolo, dai molteplici significati. Qui da noi esso è l'epiteto con cui tecnici e politici euristi bollano chiunque si opponga alle misure penitenziali e antipopolari di austerità. Loro invece, quelli che lanciano l'anatema anti-populista, sarebbero i coraggiosi che invece di adulare e lusingare i cittadini, gli dicono le cose come stanno.
Misure d'austerità definite come le sole plausibili ed anzi spacciate come le sole razionali e che farebbero il "bene comune".
In verità, se proprio si deve ricorrere alla categoria di populismo, e se per populismo intendiamo l'atteggiamento cinico di chi con l'inganno cerca di ottenere il consenso delle masse per poi fregarle; se per populismo intendiamo il modus operandi per cui si chiede alla stesse masse un consenso puramente passivo, una delega in bianco al capo del momento; se per populismo intendiamo formazioni politiche fondate sulla leadership personale e carismatica; ebbene, gli "anti-populisti" sono i veri populisti.
Il meccanismo delle elezioni primarie —non a caso importato dagli Stati Uniti, paese che ha dato i natali al sistema presidenzialista e che altro non è se non una monarchia elettiva— a ben vedere, è la quint'essenza del populismo. L'infatuazione di Pd e alleati per questa americanata riporta alle mente quanto Mao disse e metà anni '50 dei suoi avversari filo-sovietici in seno al Partito comunista cinese: "Per costoro anche le scoregge dei russi profumano".
I candidati sono scelti dalla nomenklatura e ai cittadini non si chiede null'altro che mettere una crocetta su questo o quello. Sono finiti i tempi dei partiti di massa i quali, pur coi loro limiti, mobilitavano in modo attivo i loro iscritti i quali, a partire dalle sezioni di base, erano chiamati ad esprimersi sulla linea politica, spesso tra mozioni alternative. E chi avrebbe guidato il partito era una conseguenza non certo l'atto primario.
Che le primarie sono poco più di una farsa è dimostrato in maniera lampante dalla Carta d'Intenti [1] che ogni candidato ha dovuto sottoscrivere come condizione per essere eleggibile. Essa non solo sancisce regole stringenti per gli alleati, ma li obbliga a sostenere gli atti di governo, tutti ispirati dal rigoroso rispetto dei Trattati europei, orientati non solo alla difesa intransigente della moneta unica ma alla passaggio al super-Stato europeo. E qui chi ci fa la figura del più notevole venditore di fumo è anzitutto Vendola: i patti che ha sottoscritto riducono tutte le sue romantiche evocazioni a cinico chiacchiericcio. La realtà è che le primarie sono l'habitat ideale per le sue ambizioni personali e quelle del suo partito populistico e di plastica.
Il governo che verrà fuori dalle prossime elezioni, come Napolitano ha ribadito, ha la strada segnata. Dovrà muoversi pedissequamente sul solco tracciato da Monti, ovvero seguire le politiche dettate dai mercati finanziari.
Nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. Riuscirà il centro sinistra, malgrado i premi-truffa, ad ottenere la maggioranza assoluta? Ne dubitiamo. I mercati finanziari sono all'erta, pronti a sfoderare di nuovo l'arma di distruzione di massa dello spread:
L'euforia con cui Bersani, Vendola e compagnia cantano vittoria ha dunque il fiato corto. Ammesso che non siano obbligati a sostenere un Monti-Bis, essi si troveranno in una situazione ancor più scomoda: proseguire la politica antipopolare chiesta dalla speculazione finanziaria globale, pena la "fine del mondo".
Note
[1] «L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo che democratici e progressisti hanno di fronte è quello dell’affidabilità e della responsabilità. Per questa ragione, nel momento stesso in cui chiamiamo a stringere un patto di governo movimenti, associazioni, liste civiche, singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto, vogliamo assumere insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti.
Le forze della coalizione, in un quadro di lealtà e civiltà dei rapporti, si dovranno impegnare a:
- sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier scelto con le primarie;
- affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionale;
- vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta;
- assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese, fino alla verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri governi;
- appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni
- si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona». [dalla Carta d'Intenti del centro sinistra]
di Piemme
Populismo è oramai un concetto-prezzemolo, dai molteplici significati. Qui da noi esso è l'epiteto con cui tecnici e politici euristi bollano chiunque si opponga alle misure penitenziali e antipopolari di austerità. Loro invece, quelli che lanciano l'anatema anti-populista, sarebbero i coraggiosi che invece di adulare e lusingare i cittadini, gli dicono le cose come stanno.
Misure d'austerità definite come le sole plausibili ed anzi spacciate come le sole razionali e che farebbero il "bene comune".
In verità, se proprio si deve ricorrere alla categoria di populismo, e se per populismo intendiamo l'atteggiamento cinico di chi con l'inganno cerca di ottenere il consenso delle masse per poi fregarle; se per populismo intendiamo il modus operandi per cui si chiede alla stesse masse un consenso puramente passivo, una delega in bianco al capo del momento; se per populismo intendiamo formazioni politiche fondate sulla leadership personale e carismatica; ebbene, gli "anti-populisti" sono i veri populisti.
Il meccanismo delle elezioni primarie —non a caso importato dagli Stati Uniti, paese che ha dato i natali al sistema presidenzialista e che altro non è se non una monarchia elettiva— a ben vedere, è la quint'essenza del populismo. L'infatuazione di Pd e alleati per questa americanata riporta alle mente quanto Mao disse e metà anni '50 dei suoi avversari filo-sovietici in seno al Partito comunista cinese: "Per costoro anche le scoregge dei russi profumano".
I candidati sono scelti dalla nomenklatura e ai cittadini non si chiede null'altro che mettere una crocetta su questo o quello. Sono finiti i tempi dei partiti di massa i quali, pur coi loro limiti, mobilitavano in modo attivo i loro iscritti i quali, a partire dalle sezioni di base, erano chiamati ad esprimersi sulla linea politica, spesso tra mozioni alternative. E chi avrebbe guidato il partito era una conseguenza non certo l'atto primario.
Che le primarie sono poco più di una farsa è dimostrato in maniera lampante dalla Carta d'Intenti [1] che ogni candidato ha dovuto sottoscrivere come condizione per essere eleggibile. Essa non solo sancisce regole stringenti per gli alleati, ma li obbliga a sostenere gli atti di governo, tutti ispirati dal rigoroso rispetto dei Trattati europei, orientati non solo alla difesa intransigente della moneta unica ma alla passaggio al super-Stato europeo. E qui chi ci fa la figura del più notevole venditore di fumo è anzitutto Vendola: i patti che ha sottoscritto riducono tutte le sue romantiche evocazioni a cinico chiacchiericcio. La realtà è che le primarie sono l'habitat ideale per le sue ambizioni personali e quelle del suo partito populistico e di plastica.
Il governo che verrà fuori dalle prossime elezioni, come Napolitano ha ribadito, ha la strada segnata. Dovrà muoversi pedissequamente sul solco tracciato da Monti, ovvero seguire le politiche dettate dai mercati finanziari.
Nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. Riuscirà il centro sinistra, malgrado i premi-truffa, ad ottenere la maggioranza assoluta? Ne dubitiamo. I mercati finanziari sono all'erta, pronti a sfoderare di nuovo l'arma di distruzione di massa dello spread:
«I mercati cercano politiche che siano coerenti con gli interessi dei detentori del debito: chiunque e in qualunque forma tuteli il rimborso delle obbligazioni detenute dagli investitori globali è sostenuto e non avversato dai flussi di investimento; nel caso contrario - si veda il referendum greco cancellato con un colpo di spread - si innescano quelle vendite che molti identificano con la cosiddetta speculazione», spiega Gabriele Roghi, responsabile gestioni patrimoniali di Invest Banca. «Il discorso generale è che la politica e la democrazia sono state messe sotto scacco da una finanza che ha ormai da tempo esondato dal proprio alveo naturale, quello del Glass Steagal Act (legge varata nel 1933 negli Stati Uniti per contenere la speculazione finanziaria introducendo il principio della separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento, abrogata nel 1999 dal Gramm-Leach-Bliley Act, ndr) per intenderci, e ormai non è sottomessa al legislatore ma lo guida in un rapporto innaturale che sta causando forti tensioni sociali. Il caso di Obama è eclatante: partito come il messia che ci avrebbe salvato dalla finanza, ha dovuto chinare il capo di fronte a lobby più potenti dello stesso Commander in Chief, che ha potuto solo emanare una legge di oltre 3.000 pagine che non riesce a disporre quello che le 125 pagine del Glass Steagal tanto bene ha definito per 70 anni».
E Grillo piacerebbe ai mercati? «Se dovesse confermarsi come seconda forza politica e addirittura essere cruciale per la formazione di un governo - prosegue Roghi - o se a un certo punto i sondaggi dessero queste indicazioni, credo che i "mercati" farebbero tornare lo spread in area di pericolo, oltre i 500 punti per convincere gli italiani, prima delle elezioni, o i parlamentari dopo il voto, a dirigersi verso un Monti/altro tecnocrate a loro gradito"». [2]
L'euforia con cui Bersani, Vendola e compagnia cantano vittoria ha dunque il fiato corto. Ammesso che non siano obbligati a sostenere un Monti-Bis, essi si troveranno in una situazione ancor più scomoda: proseguire la politica antipopolare chiesta dalla speculazione finanziaria globale, pena la "fine del mondo".
Note
[1] «L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo che democratici e progressisti hanno di fronte è quello dell’affidabilità e della responsabilità. Per questa ragione, nel momento stesso in cui chiamiamo a stringere un patto di governo movimenti, associazioni, liste civiche, singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto, vogliamo assumere insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti.
Le forze della coalizione, in un quadro di lealtà e civiltà dei rapporti, si dovranno impegnare a:
- sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier scelto con le primarie;
- affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionale;
- vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta;
- assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese, fino alla verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri governi;
- appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni
- si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona». [dalla Carta d'Intenti del centro sinistra]
[2] Vito Lops. Il Sole 24 ore del 30 ottobre 2012
4 commenti:
Scrive Alfonso Gianni dissidente di Sel:
Il risultato nazionale di Vendola è modesto solo se confrontato alle esagerate attese create ad arte dal gruppo dirigente. Per raggiungere risultati vincenti Vendola avrebbe dovuto seguire un'altra strada: porsi a capo della sinistra diffusa, aprire davvero i cantieri della sinistra, costringere per tempo il Pd a un reale confronto programmatico, non firmare all'ultimo momento una carta di intenti che ribadisce la fedeltà alla linea della Ue e rende Sel una forza embedded dentro quello schieramento. Questo non è successo, non c'è perciò da stupirsi del risultato, ma bisogna interrogarsi sul da farsi.
Gli elettori sono sovrani. Talvolta votano a occhi chiusi o a mente vuota, ma in democrazia detengono (nominalmente) la sovranità.
E i risultati, qualsiasi siano, vanno rispettati come disse B. all'indomani dei fatidici referendum del giugno 2011, quelli che diedero il via alla dittatura dello spread, per capirsi. Si é visto in quell'occasione cosa conta la "sovranità popolare". Il "Padre della Patria" ha poi chiamato il Castigamatti che, scudiscio dello spread a comando, ha fatto piazza pulita del welfare e dei diritti acquisiti in un secolo di battaglie "popolari". Così, come niente fosse, é stata severamente e compostamente somministrata una doverosa punizione all'insubordinazione libertaria . Coscienziosamente acquiescente il parlamento quasi al completo compresi quelli che sono stati premiati da queste primarie dai risultati delle quali si può evincere come le frustate al popolo siano un mezzo didattico estremamente efficace in "democrazia".
http://francescosalistrari.blogspot.it/2012/11/lasinistra.html
DE MAGISTRIS
SU IL MANIFESTO IN EDICOLA OGGI DICE CHE LA LISTA DEGLI ARANCIONI (SINDACI, ALBA, PRC ECC) SI ALLEERA' COL PD E DOPO LE ELEZIONI FARA' PARTE DEL GOVERNO DI CENTRO SINISTRA.
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