la "Banda dei Quattro" |
di Leonardo Mazzei
Dunque, ad oggi, la situazione è questa: gli artefici del Porcellum (autunno 2005) lo vogliono ora superare a tutti i costi per arrivare a un Montellum, mentre gli avversari storici del Porcellum se lo vorrebbero ora tenere stretto, pur senza poterlo dire.
Paradossi della situazione italiana, dove una casta politica che non ha la minima idea su come uscire dal disastro in cui ha portato il Paese, si azzanna su come spartirsi i resti di un potere comunque delegato in larga parte alle tecnocrazie al servizio degli squali della finanza.
Finora, a ben guardare, hanno fatto tutto in maniera bipolare: lo sfascio economico e sociale di quest'ultimo ventennio porta il marchio di Berlusconi come quello di Prodi, le controriforme antisociali idem, identica la loro subordinazione agli ordini dell'eurocrazia, per non parlare di quelli di Washington. Insieme sostengono il governo Monti, che da un anno esatto sta strangolando l'economia, peggiorando la vita di decine di milioni di persone, senza peraltro aver registrato alcun miglioramento neppure sul versante del debito pubblico [1].
Ed insieme avrebbero dovuto cambiare la legge elettorale, ma qui le cose si sono fatte più complicate. Intendiamoci, è assai probabile che l'accordo che ad oggi non c'è arrivi ben presto in parlamento. E' tuttavia utile cercare di capire qual è la vera materia del contendere. Fanno infatti un po' ridere le affermazioni (Grillo, Bersani) sul fatto che una soglia di accesso al premio di maggioranza al 42,5% sarebbe addirittura un «colpo di stato», mentre al 40% (Bersani) no.
Ben più grave, anche se certo non stupisce, è che mentre ci si sbrana su qualche punto percentuale, quasi nessuno abbia niente da ridire sull'anomalia —da un punto di vista meramente democratico-borghese— di una legge elettorale rappezzata su misura in extremis per predeterminare l'esito del voto in termini di seggi e maggioranze parlamentari. Un po' come se il giorno prima della finale di Champions League si cambiassero le regole del fuorigioco e si allontanasse il dischetto del rigore di qualche metro dalla porta.
Se l'attuale maggioranza parlamentare (Pdl, Pd, Udc), ampiamente spronata dal golpista Napolitano, ha intrapreso come se niente fosse questa strada, è solo perché - a differenza delle regole del calcio - le leggi elettorali (spesso farraginose, e sempre presentate in modo truffaldino) suscitano un interesse tra la gente pari a zero.
Ma andiamo al dunque: qual è la vera materia del contendere? Viste le posizioni in campo, ed il pittoresco scambio delle parti di cui sopra, sarà chiaro a tutti che non siamo qui di fronte ad uno scontro tra «golpisti» e «democratici», e neppure tra «proporzionalisti» e «maggioritaristi». Ben più banalmente lo scontro è solo sui futuri assetti di governo, che tuttavia entrambe le parti vogliono (chi più, chi meno) in sostanziale continuità con quello attuale. Non siamo, cioè, ai tempi della famigerata «legge truffa» del 1953, che in confronto alle truffe perpetrate dal Mattarellum (1993) in poi non sfigura poi tanto.
Quelli erano comunque tempi più seri. Oggi la zuffa, consumata da tempo la truffa, è di minor spessore. E dopo un ventennio passato ad affermare i dogmi del bipolarismo e della governabilità, sembra ora in arrivo una legge che vorrebbe essere la quadratura del cerchio: unificare i due poli (in realtà assai spompati) nell'appoggio al futuro esecutivo, tradurre il termine «governabilità» in governo della tecnocrazia oligarchica, ineleggibile (e dove li prenderebbero i voti?) quanto insindacabile.
Fanno solo sorridere gli strilli di Pd e Sel sul fatto che venga fissata una soglia per accedere al premio di maggioranza. Ma non stava proprio nell'assenza di quest'ultima una delle loro (motivate) critiche all'impianto del Porcellum? Ora che ritengono di essere vicini al governo, non vale più la preoccupazione che possa diventare maggioranza assoluta anche la più piccola delle maggioranze relative? Certo, qui ognuno vorrebbe farsi una legge ad personam, ma questa possibilità ce l'ha soltanto chi ha ancora la maggioranza nelle aule parlamentari. Una maggioranza che, esattamente un anno fa, Bersani decise di non mandare a casa pur di insediare il governo del professor Quisling. E chi è causa del suo mal pianga se stesso.
In gioco non sono dunque visioni istituzionali ed architetture del sistema politico alternative. In gioco sono solo gli assetti del futuro governo. Entriamo nel merito.
I sondaggi elettorali, peraltro confortati dai dati siciliani, ci dicono tre cose: la prima, è che l'esodo da una politica sempre più avvertita come separata dai bisogni sociali, è in forte crescita (astensionismo, voto al M5S); la seconda è che, anche nel bacino ristretto di chi esprime un voto, il consenso del tripartito che sostiene Monti è al limite della soglia del 50%; la terza, è che il vecchio meccanismo bipolare è ormai andato in frantumi.
Il blocco dominante, con al centro i poteri forti della finanza, ha ben chiara questa situazione. Consapevole di non avere più il consenso di un tempo, vuole però mantenere e rafforzare il controllo sul governo. Se il bipolarismo non funziona più, che si passi rapidamente ad un'altra soluzione. Il Monti-bis è la formula assai scontata di questo disegno, che prevede la stretta osservanza delle regole mercatiste di rito eurocratico.
Questo orientamento economico-religioso è condiviso da Alfano a Bersani, con i loro rispettivi alleati di serie B al seguito. Ma il fatto è che il Monti-bis, altrimenti detto prosecuzione dell'Agenda Monti, può realizzarsi con diverse geometrie. E qui entrano in campo gli azzeccagarbugli che si occupano della legge elettorale.
Nella versione bersaniana, Monti dovrebbe portare avanti la sua Agenda dal Quirinale, lasciando a lui il posto di premier a Palazzo Chigi. Nella versione casiniana, l'uomo del Bilderberg dovrebbe invece restare lì dov'è. Dubitiamo che, mentre il Berluska si riposa in Kenya, esista una precisa versione alfaniana, ma il detto «mal comune, mezzo gaudio», potrebbe certo essere di qualche consolazione per un partito destinato ad una tremenda debacle elettorale.
Ecco allora le micro-differenze sulle percentuali da raggiungere per far scattare il premio di maggioranza. Ma —attenzione!— tutti sanno benissimo (a partire da Bersani) che nessuno potrà governare da solo. E' che non si può dire in anticipo, per non mandare in frantumi quel poco di appeal residuo che i partiti vorranno giocarsi in campagna elettorale. Qual è la grande differenza tra il 42,5% imposto per ora da Pdl e Udc, contro il 40% sul quale è disposto a chiudere l'accordo il Pd? Qual è la differenza tra il 6% di premio al maggior partito, nel caso non scatti il premio di maggioranza di coalizione (un'assurdità che non ci risulta esistere in nessun altro luogo del pianeta), e il 10% chiesto dal Pd?
La differenza sta tra gli schemi di Bersani e Casini.
Bersani, lo ripetiamo, non pensa affatto (e del resto lo dice espressamente) che il centrosinistra possa essere autosufficiente. E tuttavia resta fermo nel pretendere la guida del governo, ed una certa forza politica all'interno della futura maggioranza. Il suo schema prevede dunque tre mosse: 1. vincere le elezioni, ottenendo (grazie al premio) una maggioranza assai vicina al 50% dei seggi; 2. aprire all'Udc (alleanza tra cosiddetti «progressisti» e cosiddetti «moderati»); 3. se necessario aprire anche alla frazione montista del Pdl, lasciando all'opposizione il M5S, la Lega, la parte berlusconiana del Pdl.
Che questo sia lo schema bersaniano lo sanno perfino i bambini, anche se Nichi Vendola, ma pure Diliberto, Patta e Salvi fanno finta di ignorarlo. Le cose, del resto, non lasciano grandi spazi di manovra a chi vuol continuare a governare nel quadro del folle disegno europeista.
Il progetto di Pierferdinando Casini in Caltagirone, pur volendo perseguire il medesimo scopo, è invece un po' diverso. Non disponendo né di truppe né di voti, e neppure di sondaggi favorevoli, l'erede bello di pesce lesso Forlani (quello considerato intelligente era Follini), deve impedire ad ogni modo che dalle elezioni esca un vincitore. Il suo schema è dunque il seguente: 1. fare in modo che il vincitore abbia il minor numero di voti (e soprattutto di seggi) possibile; 2. imporre dunque il reinsediamento di Monti, con una maggioranza dal Pd (magari depurato da Vendola) al Pdl; 3. giocarsi in tutti i modi (qualche ministero pesante, ma non solo) il ruolo di cerniera «centrista» tra Pd e Pdl per un'intera legislatura.
Francamente, entrambi questi disegni appaiono assai deboli. Ma da questi due protagonisti della farsesca fine della Seconda repubblica non possiamo attenderci di più. Tornando ai numeri, la differenza tra 42,5 e 40% non è granché, perché è ben difficile che il centrosinistra possa arrivare al 40. Il gioco si sposterà allora sul premio al partito maggiore, perché un eventuale 36% (questa secondo i sondaggi la forza attuale del centrosinistra), sommato ad un altrettanto eventuale 10% di premio, darebbe un 46%, certo non autosufficiente ma in grado di esprimere una guida della futura coalizione.
E' da notare che il premio al partito maggiore (che tutti pensano sarà appannaggio di Bersani) è accettato (sia pure con percentuali un po' diverse) anche dagli altri componenti della combriccola tripartita che sostiene Monti. Come mai, questo accordo? Semplice, perché abbiamo già visto che non è detto che Pd, Pdl e Udc arrivino al 50% dei voti. Dunque un premio al partito maggiore servirebbe a ridimensionare lo spettro di Grillo. Questo almeno nelle intenzioni, ma sono così sicuri che il M5S non arrivi ad insidiare il primato del Pd?
Tanto sicuri non sono. Eccoli infatti al lavoro (il golpista Napolitano in primis) per accorpare le elezioni di Lazio, Lombardia e Molise alle politiche, onde non fornire al comico genovese un ulteriore trampolino di lancio. Ma non è detto che questo basti. Ed allora, come si vocifera, avremo forse l'ingresso di Sel nel listone Pd. Un'ipotesi ad oggi smentita, ma a nostro modesto avviso tutt'altro che improbabile.
Di sicuro ne vedremo delle belle. Quel che è certo è che quando la nuova legge elettorale vedrà la luce, sarà chiaro a tutti il passaggio dal Porcellum al Montellum. Resta solo da stabilire la gradazione (più o meno bersaniana, più o meno casiniana) di questa nuova porcheria. La serie delle leggi ad personam è dunque destinata a continuare, ma questa volta non è in ballo una persona —peraltro di ben poco spessore— ma il ferreo controllo del blocco dominante su istituzioni che solo la propaganda potrà continuare a chiamare «democratiche».
Note
Dunque, ad oggi, la situazione è questa: gli artefici del Porcellum (autunno 2005) lo vogliono ora superare a tutti i costi per arrivare a un Montellum, mentre gli avversari storici del Porcellum se lo vorrebbero ora tenere stretto, pur senza poterlo dire.
Paradossi della situazione italiana, dove una casta politica che non ha la minima idea su come uscire dal disastro in cui ha portato il Paese, si azzanna su come spartirsi i resti di un potere comunque delegato in larga parte alle tecnocrazie al servizio degli squali della finanza.
Finora, a ben guardare, hanno fatto tutto in maniera bipolare: lo sfascio economico e sociale di quest'ultimo ventennio porta il marchio di Berlusconi come quello di Prodi, le controriforme antisociali idem, identica la loro subordinazione agli ordini dell'eurocrazia, per non parlare di quelli di Washington. Insieme sostengono il governo Monti, che da un anno esatto sta strangolando l'economia, peggiorando la vita di decine di milioni di persone, senza peraltro aver registrato alcun miglioramento neppure sul versante del debito pubblico [1].
Ed insieme avrebbero dovuto cambiare la legge elettorale, ma qui le cose si sono fatte più complicate. Intendiamoci, è assai probabile che l'accordo che ad oggi non c'è arrivi ben presto in parlamento. E' tuttavia utile cercare di capire qual è la vera materia del contendere. Fanno infatti un po' ridere le affermazioni (Grillo, Bersani) sul fatto che una soglia di accesso al premio di maggioranza al 42,5% sarebbe addirittura un «colpo di stato», mentre al 40% (Bersani) no.
Ben più grave, anche se certo non stupisce, è che mentre ci si sbrana su qualche punto percentuale, quasi nessuno abbia niente da ridire sull'anomalia —da un punto di vista meramente democratico-borghese— di una legge elettorale rappezzata su misura in extremis per predeterminare l'esito del voto in termini di seggi e maggioranze parlamentari. Un po' come se il giorno prima della finale di Champions League si cambiassero le regole del fuorigioco e si allontanasse il dischetto del rigore di qualche metro dalla porta.
Se l'attuale maggioranza parlamentare (Pdl, Pd, Udc), ampiamente spronata dal golpista Napolitano, ha intrapreso come se niente fosse questa strada, è solo perché - a differenza delle regole del calcio - le leggi elettorali (spesso farraginose, e sempre presentate in modo truffaldino) suscitano un interesse tra la gente pari a zero.
Ma andiamo al dunque: qual è la vera materia del contendere? Viste le posizioni in campo, ed il pittoresco scambio delle parti di cui sopra, sarà chiaro a tutti che non siamo qui di fronte ad uno scontro tra «golpisti» e «democratici», e neppure tra «proporzionalisti» e «maggioritaristi». Ben più banalmente lo scontro è solo sui futuri assetti di governo, che tuttavia entrambe le parti vogliono (chi più, chi meno) in sostanziale continuità con quello attuale. Non siamo, cioè, ai tempi della famigerata «legge truffa» del 1953, che in confronto alle truffe perpetrate dal Mattarellum (1993) in poi non sfigura poi tanto.
Quelli erano comunque tempi più seri. Oggi la zuffa, consumata da tempo la truffa, è di minor spessore. E dopo un ventennio passato ad affermare i dogmi del bipolarismo e della governabilità, sembra ora in arrivo una legge che vorrebbe essere la quadratura del cerchio: unificare i due poli (in realtà assai spompati) nell'appoggio al futuro esecutivo, tradurre il termine «governabilità» in governo della tecnocrazia oligarchica, ineleggibile (e dove li prenderebbero i voti?) quanto insindacabile.
Fanno solo sorridere gli strilli di Pd e Sel sul fatto che venga fissata una soglia per accedere al premio di maggioranza. Ma non stava proprio nell'assenza di quest'ultima una delle loro (motivate) critiche all'impianto del Porcellum? Ora che ritengono di essere vicini al governo, non vale più la preoccupazione che possa diventare maggioranza assoluta anche la più piccola delle maggioranze relative? Certo, qui ognuno vorrebbe farsi una legge ad personam, ma questa possibilità ce l'ha soltanto chi ha ancora la maggioranza nelle aule parlamentari. Una maggioranza che, esattamente un anno fa, Bersani decise di non mandare a casa pur di insediare il governo del professor Quisling. E chi è causa del suo mal pianga se stesso.
In gioco non sono dunque visioni istituzionali ed architetture del sistema politico alternative. In gioco sono solo gli assetti del futuro governo. Entriamo nel merito.
I sondaggi elettorali, peraltro confortati dai dati siciliani, ci dicono tre cose: la prima, è che l'esodo da una politica sempre più avvertita come separata dai bisogni sociali, è in forte crescita (astensionismo, voto al M5S); la seconda è che, anche nel bacino ristretto di chi esprime un voto, il consenso del tripartito che sostiene Monti è al limite della soglia del 50%; la terza, è che il vecchio meccanismo bipolare è ormai andato in frantumi.
Il blocco dominante, con al centro i poteri forti della finanza, ha ben chiara questa situazione. Consapevole di non avere più il consenso di un tempo, vuole però mantenere e rafforzare il controllo sul governo. Se il bipolarismo non funziona più, che si passi rapidamente ad un'altra soluzione. Il Monti-bis è la formula assai scontata di questo disegno, che prevede la stretta osservanza delle regole mercatiste di rito eurocratico.
Questo orientamento economico-religioso è condiviso da Alfano a Bersani, con i loro rispettivi alleati di serie B al seguito. Ma il fatto è che il Monti-bis, altrimenti detto prosecuzione dell'Agenda Monti, può realizzarsi con diverse geometrie. E qui entrano in campo gli azzeccagarbugli che si occupano della legge elettorale.
Nella versione bersaniana, Monti dovrebbe portare avanti la sua Agenda dal Quirinale, lasciando a lui il posto di premier a Palazzo Chigi. Nella versione casiniana, l'uomo del Bilderberg dovrebbe invece restare lì dov'è. Dubitiamo che, mentre il Berluska si riposa in Kenya, esista una precisa versione alfaniana, ma il detto «mal comune, mezzo gaudio», potrebbe certo essere di qualche consolazione per un partito destinato ad una tremenda debacle elettorale.
Ecco allora le micro-differenze sulle percentuali da raggiungere per far scattare il premio di maggioranza. Ma —attenzione!— tutti sanno benissimo (a partire da Bersani) che nessuno potrà governare da solo. E' che non si può dire in anticipo, per non mandare in frantumi quel poco di appeal residuo che i partiti vorranno giocarsi in campagna elettorale. Qual è la grande differenza tra il 42,5% imposto per ora da Pdl e Udc, contro il 40% sul quale è disposto a chiudere l'accordo il Pd? Qual è la differenza tra il 6% di premio al maggior partito, nel caso non scatti il premio di maggioranza di coalizione (un'assurdità che non ci risulta esistere in nessun altro luogo del pianeta), e il 10% chiesto dal Pd?
La differenza sta tra gli schemi di Bersani e Casini.
Bersani, lo ripetiamo, non pensa affatto (e del resto lo dice espressamente) che il centrosinistra possa essere autosufficiente. E tuttavia resta fermo nel pretendere la guida del governo, ed una certa forza politica all'interno della futura maggioranza. Il suo schema prevede dunque tre mosse: 1. vincere le elezioni, ottenendo (grazie al premio) una maggioranza assai vicina al 50% dei seggi; 2. aprire all'Udc (alleanza tra cosiddetti «progressisti» e cosiddetti «moderati»); 3. se necessario aprire anche alla frazione montista del Pdl, lasciando all'opposizione il M5S, la Lega, la parte berlusconiana del Pdl.
Che questo sia lo schema bersaniano lo sanno perfino i bambini, anche se Nichi Vendola, ma pure Diliberto, Patta e Salvi fanno finta di ignorarlo. Le cose, del resto, non lasciano grandi spazi di manovra a chi vuol continuare a governare nel quadro del folle disegno europeista.
Il progetto di Pierferdinando Casini in Caltagirone, pur volendo perseguire il medesimo scopo, è invece un po' diverso. Non disponendo né di truppe né di voti, e neppure di sondaggi favorevoli, l'erede bello di pesce lesso Forlani (quello considerato intelligente era Follini), deve impedire ad ogni modo che dalle elezioni esca un vincitore. Il suo schema è dunque il seguente: 1. fare in modo che il vincitore abbia il minor numero di voti (e soprattutto di seggi) possibile; 2. imporre dunque il reinsediamento di Monti, con una maggioranza dal Pd (magari depurato da Vendola) al Pdl; 3. giocarsi in tutti i modi (qualche ministero pesante, ma non solo) il ruolo di cerniera «centrista» tra Pd e Pdl per un'intera legislatura.
Francamente, entrambi questi disegni appaiono assai deboli. Ma da questi due protagonisti della farsesca fine della Seconda repubblica non possiamo attenderci di più. Tornando ai numeri, la differenza tra 42,5 e 40% non è granché, perché è ben difficile che il centrosinistra possa arrivare al 40. Il gioco si sposterà allora sul premio al partito maggiore, perché un eventuale 36% (questa secondo i sondaggi la forza attuale del centrosinistra), sommato ad un altrettanto eventuale 10% di premio, darebbe un 46%, certo non autosufficiente ma in grado di esprimere una guida della futura coalizione.
E' da notare che il premio al partito maggiore (che tutti pensano sarà appannaggio di Bersani) è accettato (sia pure con percentuali un po' diverse) anche dagli altri componenti della combriccola tripartita che sostiene Monti. Come mai, questo accordo? Semplice, perché abbiamo già visto che non è detto che Pd, Pdl e Udc arrivino al 50% dei voti. Dunque un premio al partito maggiore servirebbe a ridimensionare lo spettro di Grillo. Questo almeno nelle intenzioni, ma sono così sicuri che il M5S non arrivi ad insidiare il primato del Pd?
Tanto sicuri non sono. Eccoli infatti al lavoro (il golpista Napolitano in primis) per accorpare le elezioni di Lazio, Lombardia e Molise alle politiche, onde non fornire al comico genovese un ulteriore trampolino di lancio. Ma non è detto che questo basti. Ed allora, come si vocifera, avremo forse l'ingresso di Sel nel listone Pd. Un'ipotesi ad oggi smentita, ma a nostro modesto avviso tutt'altro che improbabile.
Di sicuro ne vedremo delle belle. Quel che è certo è che quando la nuova legge elettorale vedrà la luce, sarà chiaro a tutti il passaggio dal Porcellum al Montellum. Resta solo da stabilire la gradazione (più o meno bersaniana, più o meno casiniana) di questa nuova porcheria. La serie delle leggi ad personam è dunque destinata a continuare, ma questa volta non è in ballo una persona —peraltro di ben poco spessore— ma il ferreo controllo del blocco dominante su istituzioni che solo la propaganda potrà continuare a chiamare «democratiche».
Note
[1] Ad un anno esatto dall'insediamento di Monti, i dati macro-economici sono così cambiati. Pil: +0,4% nel 2011, -2,3% nel 2012; domanda interna: -1,0% nel 2011, -5,0% nel 2012; inflazione: +2,9 nel 2011, +3,2 nel 2012; tasso disoccupazione: 8,4% nel 2011, 10,6% nel 2012; famiglie in grado di risparmiare: 35% nel 2011, 28% nel 2012. Ed infine, rapporto debito pubblico/Pil: 120,7% nel 2011, 126,5% nel 2012; spesa per interessi/Pil: 4,9% nel 2011, 5,4% nel 2012. (Dati tratti dal Sole 24 Ore del 9 novembre 2012).
Ma quanti buoni motivi per proseguire con l'Agenda Monti!
Ma quanti buoni motivi per proseguire con l'Agenda Monti!
4 commenti:
Anonimo DEmetrio
Paradossalmente, colpo di stato per colpo di stato, tanto vale che facciano una legge (ne abbiamo viste di tutti i colori in fatto di leggi : strampalate, assurde, demenziali, criminose ecc.) che convalidi l'attuale formazione parlamentare per altri cinque anni !!! Penso che il cosidetto popolo italiano dovrà digerire anche questa novità con la solita docile, ovvero, rassegnata, acquiescenza. Altro che "democrazia = potere del Popolo: ci hanno trasformato in un popolo di impotenti, questa è l'amarissima realtà. Qualche nostro Parlamentare europeo non potrebbe fare un po' di baccano in sede comunitaria?
Anonimo
Che si voglia pre-confezionare in tal modo obbrobrioso il risutato elettorale è cosa che letteralmente fa ribollire il sangue! Quella volta per la cosiddetta "legge truffa" c'è stata una mezza sollevazione ed ora .......
Bell'analisi questa di Mazzei.
saluti
Vero. Un'analisi lucida e molto plausibile.
Posta un commento