I risultati delle elezioni del maggio scorso. L'avanzata di Syriza ha mutato il tradizionale paesaggio politico. (clicca per ingrandire) |
A chi porta sfiga il 17?
«Nessun atto unilaterale e soprattutto nessuna uscita dall'euro né tantomeno dalla Nato».
Oggi i greci vanno al voto. Mai elezioni furono tanto osservate. I risultati sono attesi con impazienza un po' da tutti: dai greci anzitutto, da tanta gente della vecchia sinistra in Europa che spera che da lì venga il segnale della resurrezione. Ma i risultati sono attesi con nervosismo dai governanti occidentali, dai banchieri e dalla grande finanza. Questi ultimi sperano, al contrario, che lo sfondamento di Syriza non ci sia. Di sicuro non siamo vicini a questi pescecani. Ciò non ci impedisce tuttavia di segnalare i limiti vistosi della piattaforma elettorale di Syriza.
Nello sforzo di diventare primo partito e di non spaventare i "mercati" Syriza ha annacquato la sua già claudicante piattaforma. Come indica l'articolo qui sotto. In caso di vittoria (che malgrado tutto noi ci auguriamo), se applicasse la linea moderata e di compromesso con le oligarchie europee (chi ha detto che annacquare la radicalità porti più voti?), il popolo greco non eviterebbe il calvario, e quindi l'esperienza di governo si concluderebbe in un fallimento e all'entusiasmo seguirebbe una brutale demoralizzazione. Senza escludere che ciò potrebbe mandare in frantumi l'eterogenea coalizione Syriza. Interessante sarà vedere quali saranno i risultati del Kke, del partito comunista di Grecia, che con nettezza chiede l'uscita dall'Unione, dalla NATO, dall'euro e il ripristino della sovranità nazionale, come premesse per la sola vera alternativa: il socialismo. Non ci piace l'ostilità settaria del Kke verso Syriza, né la sua ostinata avversione alla combattività giovanile, ma è sicuro che le proposte del Kke sono le più chiare e coerenti.
Nello sforzo di diventare primo partito e di non spaventare i "mercati" Syriza ha annacquato la sua già claudicante piattaforma. Come indica l'articolo qui sotto. In caso di vittoria (che malgrado tutto noi ci auguriamo), se applicasse la linea moderata e di compromesso con le oligarchie europee (chi ha detto che annacquare la radicalità porti più voti?), il popolo greco non eviterebbe il calvario, e quindi l'esperienza di governo si concluderebbe in un fallimento e all'entusiasmo seguirebbe una brutale demoralizzazione. Senza escludere che ciò potrebbe mandare in frantumi l'eterogenea coalizione Syriza. Interessante sarà vedere quali saranno i risultati del Kke, del partito comunista di Grecia, che con nettezza chiede l'uscita dall'Unione, dalla NATO, dall'euro e il ripristino della sovranità nazionale, come premesse per la sola vera alternativa: il socialismo. Non ci piace l'ostilità settaria del Kke verso Syriza, né la sua ostinata avversione alla combattività giovanile, ma è sicuro che le proposte del Kke sono le più chiare e coerenti.
Cosa propone davvero Alex Tsipras
di Vittorio da Rold*
«Alla vigilia del voto che può mandare in recessione il mondo, Alex Tsipras, leader di Syriza, la sinistra radicale che potrebbe anche vincere le elezioni di domani in Grecia, arriva sul palco del comizio a piazza Omonia ad Atene come una stella del rock tra le note di Bruce Springsteen e in mezzo a ventimila fans. È sudato, senza cravatta e arringa la folla, in maggioranza giovani come lui e quindi disoccupati al 50%, con un magnetismo da leader consumato. Finito il discorso, esce di scena ma la folla lo richiama: torna sul palco e scandisce la parola d'ordine: ricostruiremo la Grecia, cambieremo l'Europa. Un boato lo acclama. Hugo Chavez ha mandato un emissario speciale per l'occasione.
Poi passa ai contenuti. Una moratoria nel pagamento di tutti gli interessi sui prestiti e un nuovo taglio del debito pubblico greco dopo la ristrutturazione da 100 miliardi di euro. Questa è la richiesta segreta che Syriza, il partito della sinistra radicale, farebbe alla Ue se dovesse vincere le elezioni politiche domenica.
Syriza, guidata da Alexis Tsipras, la stella emergente nel panorama politico greco, ha pronte le richieste di rinegoziare il Memorandum con la troika composta da Ue, Fmi e Bce se domenica sera dovesse vincere le elezioni passando dal 4,6% dei voti delle elezioni del 2009 al 16,78% di maggio al balzo definitivo verso il primo partito di Grecia.
«Nessun atto unilaterale – ha promesso il pragmatico Tsipras, 37 anni, sempre rigorosamente senza cravatta, nel corso di un incontro a porte chiuse con gli ambasciatori Ue tenutosi ad Atene – e soprattutto nessuna uscita dall'euro né tantomeno dalla Nato. Solo una rinegoziazione del Memorandum considerata una terapia che sta uccidendo il malato».
Promesse da marinaio? Nessuno sa rispondere. Di sicuro Tsipras è un abile surfista che sta cavalcando l'onda lunga dello scontento contro i due maggiori partiti storici del Paese, il conservatore Nea Dimokratia e il socialista Pasok, accusati di essersi spartiti il potere dal 1974, anno della caduta della dittatura dei colonnelli, e di aver condotto con le loro politiche clientelari al baratro il Paese. Tsipras, dopo aver raccolto il voto dello scontento, soprattutto intercettando quello giovanile (al 50% disoccupati) ora sta facendo una sterzata al centro per raccogliere anche i voti dei moderati scontenti dei vecchi partiti che hanno abbracciato la via dell'austerity senza però intaccare i privilegi delle corporazioni, dei grandi commmis di stato, delle clientele pubbliche.
L'accusa è di aver colpito pensionati e lavoratori a reddito fisso, i più deboli politicamente senza intaccare i grandi evasori o i dipendenti privilegiati delle aziende di Stato. Il programma economico di Syriza, stilato dall'economista Giannis Dragasakis (famoso per la frase: «l'economia greca è come un'auto in discesa senza freni») e forse da Kostas Laliotios, ex ministro dei Lavori pubblici di Andreas Papandreou, è diventato in un mese molto meno radicale e più pragmatico.
Ora Syriza chiede di ridurre (non più abolire) le esenzioni fiscali concesse agli armatori e previste nella Costituzione; di incrementare la lotta all'evasione fiscale che viaggia al 20% del Pil, di incrociare i dati degli imprenditori che hanno dichiarato fallimento in patria con gli acquisti di case all'estero, soprattutto a Londra; di aumentare la pressione fiscale dell'1% del Pil all'anno e di bloccare il taglio delle spese sociali per istruzione e sanità. Svolta pragmatica anche sulle banche dove non si parla più di nazionalizzazione, si è favorevoli alla loro ricapitalizzazione per 48 miliardi di euro ma prevedendo distribuzione di azioni per il Tesoro con diritto di voto e non più semplici azioni privilegiate come preferito dalla troika.
Infine si tornerebbe ad aumentare, per sostenere la domanda interna, i salari minimi precedentemente ridotti e si rivitalizzerebbe la contrattazione collettiva di settore, oggi abolita a favore dei contratti individuali. Anche il piano di privatizzazioni da 50 miliardi subirebbe uno stop e anzi, si nazionalizzerebbero i traghetti per le 150 isole abitate del Paese e si trasformerebbe l'ex aeroporto Hellenikos in un parco pubblico. Congelati anche i 150mila licenziamenti degli statali. Giorgios Papandreous, ex premier socialista, e Antonis Samaras, presidente di Nea Dimokratia, il partito conservatore che contende a Syriza il primato al voto di domenica, non credono alle promesse di Tsipras accusandolo di essere «un populista di sinistra», un demagogo che porterà il Paese fuori dall'euro. Domenica la risposta dei greci, in un voto decisivo per l'Eurozona».
«Alla vigilia del voto che può mandare in recessione il mondo, Alex Tsipras, leader di Syriza, la sinistra radicale che potrebbe anche vincere le elezioni di domani in Grecia, arriva sul palco del comizio a piazza Omonia ad Atene come una stella del rock tra le note di Bruce Springsteen e in mezzo a ventimila fans. È sudato, senza cravatta e arringa la folla, in maggioranza giovani come lui e quindi disoccupati al 50%, con un magnetismo da leader consumato. Finito il discorso, esce di scena ma la folla lo richiama: torna sul palco e scandisce la parola d'ordine: ricostruiremo la Grecia, cambieremo l'Europa. Un boato lo acclama. Hugo Chavez ha mandato un emissario speciale per l'occasione.
Poi passa ai contenuti. Una moratoria nel pagamento di tutti gli interessi sui prestiti e un nuovo taglio del debito pubblico greco dopo la ristrutturazione da 100 miliardi di euro. Questa è la richiesta segreta che Syriza, il partito della sinistra radicale, farebbe alla Ue se dovesse vincere le elezioni politiche domenica.
Syriza, guidata da Alexis Tsipras, la stella emergente nel panorama politico greco, ha pronte le richieste di rinegoziare il Memorandum con la troika composta da Ue, Fmi e Bce se domenica sera dovesse vincere le elezioni passando dal 4,6% dei voti delle elezioni del 2009 al 16,78% di maggio al balzo definitivo verso il primo partito di Grecia.
«Nessun atto unilaterale – ha promesso il pragmatico Tsipras, 37 anni, sempre rigorosamente senza cravatta, nel corso di un incontro a porte chiuse con gli ambasciatori Ue tenutosi ad Atene – e soprattutto nessuna uscita dall'euro né tantomeno dalla Nato. Solo una rinegoziazione del Memorandum considerata una terapia che sta uccidendo il malato».
Promesse da marinaio? Nessuno sa rispondere. Di sicuro Tsipras è un abile surfista che sta cavalcando l'onda lunga dello scontento contro i due maggiori partiti storici del Paese, il conservatore Nea Dimokratia e il socialista Pasok, accusati di essersi spartiti il potere dal 1974, anno della caduta della dittatura dei colonnelli, e di aver condotto con le loro politiche clientelari al baratro il Paese. Tsipras, dopo aver raccolto il voto dello scontento, soprattutto intercettando quello giovanile (al 50% disoccupati) ora sta facendo una sterzata al centro per raccogliere anche i voti dei moderati scontenti dei vecchi partiti che hanno abbracciato la via dell'austerity senza però intaccare i privilegi delle corporazioni, dei grandi commmis di stato, delle clientele pubbliche.
L'accusa è di aver colpito pensionati e lavoratori a reddito fisso, i più deboli politicamente senza intaccare i grandi evasori o i dipendenti privilegiati delle aziende di Stato. Il programma economico di Syriza, stilato dall'economista Giannis Dragasakis (famoso per la frase: «l'economia greca è come un'auto in discesa senza freni») e forse da Kostas Laliotios, ex ministro dei Lavori pubblici di Andreas Papandreou, è diventato in un mese molto meno radicale e più pragmatico.
Ora Syriza chiede di ridurre (non più abolire) le esenzioni fiscali concesse agli armatori e previste nella Costituzione; di incrementare la lotta all'evasione fiscale che viaggia al 20% del Pil, di incrociare i dati degli imprenditori che hanno dichiarato fallimento in patria con gli acquisti di case all'estero, soprattutto a Londra; di aumentare la pressione fiscale dell'1% del Pil all'anno e di bloccare il taglio delle spese sociali per istruzione e sanità. Svolta pragmatica anche sulle banche dove non si parla più di nazionalizzazione, si è favorevoli alla loro ricapitalizzazione per 48 miliardi di euro ma prevedendo distribuzione di azioni per il Tesoro con diritto di voto e non più semplici azioni privilegiate come preferito dalla troika.
Infine si tornerebbe ad aumentare, per sostenere la domanda interna, i salari minimi precedentemente ridotti e si rivitalizzerebbe la contrattazione collettiva di settore, oggi abolita a favore dei contratti individuali. Anche il piano di privatizzazioni da 50 miliardi subirebbe uno stop e anzi, si nazionalizzerebbero i traghetti per le 150 isole abitate del Paese e si trasformerebbe l'ex aeroporto Hellenikos in un parco pubblico. Congelati anche i 150mila licenziamenti degli statali. Giorgios Papandreous, ex premier socialista, e Antonis Samaras, presidente di Nea Dimokratia, il partito conservatore che contende a Syriza il primato al voto di domenica, non credono alle promesse di Tsipras accusandolo di essere «un populista di sinistra», un demagogo che porterà il Paese fuori dall'euro. Domenica la risposta dei greci, in un voto decisivo per l'Eurozona».
* Fonte: Il Sole 24 ORE del 16 giugno 2012
4 commenti:
che vinca la sinistra, ma con una grande affermazione del kke, unica garanzia per non venire stritolati dalla bce e dalla n.a.t.o.
La diatriba dentro l'Euro , fuori dall'Euro è un falso problema. In ogni caso sia dentro che fuori è solo un problema tecnico. Il vero nocciolo politico è ribaltare la logica liberista e monetarista che sta dietro il memorandum. Da qui parte il rifiuto e la base di partenza per la costruzione in Europa di una politica dei lavoratori. Solo all'interno dell'euro e con un fronte unito con tutte le forze politiche anticapitaliste in Europa si può avere la speranza di una politica antiliberista.
Altrimenti si finisce per parteggiare o con l'una o con l'altra delle fazioni borghesi in lotta fra di loro. Quelle finanziarie che vogliono paesi isolati fuori dall'Euro, e quelle produttive che vogliono tutti nell'euro al riparo per l'esportazione delle loro merci verso i paesi deboli .
Caro Zag(c), possibile che non capisci??!!?
la moneta è una questione POLITICA, altro che TECNICA (!!!???)... mi sbaglio o chi la gestisce codetermina le politiche economiche, di bilancio, valutarie, bancarie? E chi controlla l'euro? la Bce? In mano a chi è la Bce: ai monetaristi-liberisti.
Io non capisco come non capiate tale questione lampante.
Che palle con questa storia che se uno non dice che la sola soluzione è il comunismo si schiera con una frazione della borghesia..... Il solito estremismo sterile e da quattro soldi.
Sì, molto interessante; come si farebbe a ribaltare la logica liberista, di grazia? In Grecia il popolo (il po-po-lo, non Goldman Sachs, non i Bilderberger, non la turbo-finanza) ha votato per la logica capitalista e sfruttatrice degli euro-tecnocrati. E' vero, avete ragione, ci sono anche quelli che hanno votato per i nazisti, per la precisione quasi il 3% in più dei comunisti.
Il punto è che la sinistra, soprattutto quella italiana, è sempre vissuta di sogni e teorie mentre non ha mai veramente capito cos'è e cosa vuole il popolo; lo aveva capito molto meglio Berlusconi, ad esempio. La Grecia dovrebbe essere una prova sufficiente ma purtroppo non basterà perché il movimento dei perdenti capisca una buona volta quale deve essere la sua strada.
Voi pensate che il problema sia trovare delle soluzioni politiche ed economiche da presentare al popolo che le accetterà perché sono buone e gli convengono (al popolo); sapete benissimo invece che il popolo non ha il coraggio di cambiare e uccide chi viene a incitarlo alla rivolta ma da questo non tirate l' unica conclusione che ne dovreste trarre cioè che prima di formare dei programmi dovete ri-formare il popolo e per farlo dovete davvero capire che cos'è, come pensa e come sente. Non vedo l' ora di leggere i vostri articoli sulle elezioni greche...;)...cioè, al limite, in una certa ottica i greci scontano un forte isolamento culturale.
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