Il regime "monopartisan"
di Emmezeta*
«Spesso il Pd viene descritto come un partito incerto ed ondivago. Molto spesso lo è davvero, ma non quando si tratta di partecipare alle guerre imperialiste, di cui ama invece farsi vanto. Un «particolare» di cui fingono di scordarsi coloro che, da sinistra, si apprestano all’ennesima alleanza con il partito di Bersani. «Alleanza democratica», sembra che la chiameranno. Sì, «democratica» e filo-imperialista».
Duecentosessantanove sì, dodici no (quelli dell’Idv), un astenuto: la «piccola guerra» tricolore, al servizio della Guerra Infinita a stelle e strisce, può così proseguire. Sarà felice il presidente di questa repubblichetta fondata sul Signorsì, che in questi mesi ha più volte indossato l’uniforme del portavoce Nato. Lo ha fatto a marzo per assicurarsi la partecipazione all’aggressione alla Libia, lo ha fatto nelle settimane scorse per prevenire le marachelle della Lega, le cui minacce si sono risolte come sempre nel nulla.
Dodici no su 330 senatori equivale al 3,63%. Riflettiamo su quella che è, ad esempio, l’opposizione nel paese alla guerra in Afghanistan o a quella alla Libia e avremo la impressionante misura del tasso di (non) rappresentatività dell’attuale parlamento. Un consenso di oltre il 96%: altro che «spirito bipartisan», qui siamo in piena sindrome bulgara!
Non che ci fossero dubbi sull’esito del voto, ma alla vigilia qualche novità sembrava all’orizzonte. Del resto, l’occupazione dell’Afghanistan si avvicina al compimento del decimo anno, mentre i bombardamenti sulla Libia – che avrebbero dovuto essere «risolutivi» nell’arco di qualche giorno, massimo qualche settimana – sono ormai nel quinto mese. Sembravano dunque esserci le premesse per una qualche differenziazione. Niente di tutto questo: non solo i leghisti si sono ricompattati (in cambio di 150 metri quadri di uffici ministeriali distaccati in quel di Monza?), ma il Pd ha ritenuto necessario imporre la più ferrea delle discipline ad una quindicina di dissidenti che erano orientati a votare contro. I quali, naturalmente, si sono lasciati piegare senza troppa fatica. La qual cosa non stupisce, basti pensare alle figuracce dei pacifisti falcemartellati (Prc e Pdci) durante l’ultimo ed inglorioso governo Prodi, ogni qual volta si trattava di votare l’ennesimo rifinanziamento.
I leghisti, da parte loro, avevano motivato il loro dissenso solo in base a considerazioni di budget, ed oggi si dicono soddisfatti sol perché nel secondo semestre si prevede una spesa di 694 milioni di euro, contro gli 812 milioni del primo semestre. Il risparmio (teorico) di 118 milioni verrebbe da una riduzione di militari impegnati all’estero, che dovrebbero passare da un totale attuale di 9.250 a quello di 7.222 previsto a fine anno. Questo calo di circa duemila unità deriverebbe da una riduzione del contingente inquadrato nell’Unifil in Libano, e dal ritiro dal teatro libico della portaerei Garibaldi, il cui equipaggio è di circa mille uomini.
In realtà, la riduzione del contingente in Libano era già prevista da tempo, in cambio dell’accresciuto impegno italiano in Afghanistan. Maggior impegno non solo per il numero dei militari schierati – 4.200, tutti confermati anche per il secondo semestre – ma soprattutto per la più intensa partecipazione alle azioni di guerra, come dimostrato anche dal crescente numero di caduti.
Se sull’Afghanistan il partito trasversale del Signorsì, in pratica l’intero parlamento, non ha ritenuto di dover davvero discutere, fatte salve le solite dichiarazioni di rito sulla necessità di «riflettere», la stessa cosa vale per la Libia. Che i piani iniziali degli aggressori siano saltati, non induce ancora al minimo ripensamento, come se la delega a pensare (oltre a quella a decidere) fosse in realtà assegnata ai soli comandi Nato. Proprio per questo, anche il ritiro della Garibaldi appare assai incerto, legato agli sviluppi della guerra ed alle trattative in corso, non certo al parere del parlamento del signorsì.
Il voto bipartisan sul rifinanziamento delle «missioni», viene dopo quello sulla Libia e dopo il lasciapassare al massacro sociale della manovra economica. Insomma, quando si tratta di economia e di politica estera (tanto più nei suoi aspetti militari) il parlamento è monocolore. Un fatto che dovrebbe far riflettere coloro che pensano che il male del paese si chiami solo Berlusconi. Un fatto che ci dice con chiarezza quale sia la natura del Pd, un partito confindustriale ed atlantico, che non ammette su questo il minimo dissenso.
Spesso il Pd viene descritto come un partito incerto ed ondivago. Molto spesso lo è davvero, ma non quando si tratta di partecipare alle guerre imperialiste, di cui ama invece farsi vanto. Un «particolare» di cui fingono di scordarsi coloro che, da sinistra, si apprestano all’ennesima alleanza con il partito di Bersani. «Alleanza democratica», sembra che la chiameranno. Sì, «democratica» e filo-imperialista.
Duecentosessantanove sì, dodici no (quelli dell’Idv), un astenuto: la «piccola guerra» tricolore, al servizio della Guerra Infinita a stelle e strisce, può così proseguire. Sarà felice il presidente di questa repubblichetta fondata sul Signorsì, che in questi mesi ha più volte indossato l’uniforme del portavoce Nato. Lo ha fatto a marzo per assicurarsi la partecipazione all’aggressione alla Libia, lo ha fatto nelle settimane scorse per prevenire le marachelle della Lega, le cui minacce si sono risolte come sempre nel nulla.
Dodici no su 330 senatori equivale al 3,63%. Riflettiamo su quella che è, ad esempio, l’opposizione nel paese alla guerra in Afghanistan o a quella alla Libia e avremo la impressionante misura del tasso di (non) rappresentatività dell’attuale parlamento. Un consenso di oltre il 96%: altro che «spirito bipartisan», qui siamo in piena sindrome bulgara!
Non che ci fossero dubbi sull’esito del voto, ma alla vigilia qualche novità sembrava all’orizzonte. Del resto, l’occupazione dell’Afghanistan si avvicina al compimento del decimo anno, mentre i bombardamenti sulla Libia – che avrebbero dovuto essere «risolutivi» nell’arco di qualche giorno, massimo qualche settimana – sono ormai nel quinto mese. Sembravano dunque esserci le premesse per una qualche differenziazione. Niente di tutto questo: non solo i leghisti si sono ricompattati (in cambio di 150 metri quadri di uffici ministeriali distaccati in quel di Monza?), ma il Pd ha ritenuto necessario imporre la più ferrea delle discipline ad una quindicina di dissidenti che erano orientati a votare contro. I quali, naturalmente, si sono lasciati piegare senza troppa fatica. La qual cosa non stupisce, basti pensare alle figuracce dei pacifisti falcemartellati (Prc e Pdci) durante l’ultimo ed inglorioso governo Prodi, ogni qual volta si trattava di votare l’ennesimo rifinanziamento.
I leghisti, da parte loro, avevano motivato il loro dissenso solo in base a considerazioni di budget, ed oggi si dicono soddisfatti sol perché nel secondo semestre si prevede una spesa di 694 milioni di euro, contro gli 812 milioni del primo semestre. Il risparmio (teorico) di 118 milioni verrebbe da una riduzione di militari impegnati all’estero, che dovrebbero passare da un totale attuale di 9.250 a quello di 7.222 previsto a fine anno. Questo calo di circa duemila unità deriverebbe da una riduzione del contingente inquadrato nell’Unifil in Libano, e dal ritiro dal teatro libico della portaerei Garibaldi, il cui equipaggio è di circa mille uomini.
In realtà, la riduzione del contingente in Libano era già prevista da tempo, in cambio dell’accresciuto impegno italiano in Afghanistan. Maggior impegno non solo per il numero dei militari schierati – 4.200, tutti confermati anche per il secondo semestre – ma soprattutto per la più intensa partecipazione alle azioni di guerra, come dimostrato anche dal crescente numero di caduti.
Se sull’Afghanistan il partito trasversale del Signorsì, in pratica l’intero parlamento, non ha ritenuto di dover davvero discutere, fatte salve le solite dichiarazioni di rito sulla necessità di «riflettere», la stessa cosa vale per la Libia. Che i piani iniziali degli aggressori siano saltati, non induce ancora al minimo ripensamento, come se la delega a pensare (oltre a quella a decidere) fosse in realtà assegnata ai soli comandi Nato. Proprio per questo, anche il ritiro della Garibaldi appare assai incerto, legato agli sviluppi della guerra ed alle trattative in corso, non certo al parere del parlamento del signorsì.
Il voto bipartisan sul rifinanziamento delle «missioni», viene dopo quello sulla Libia e dopo il lasciapassare al massacro sociale della manovra economica. Insomma, quando si tratta di economia e di politica estera (tanto più nei suoi aspetti militari) il parlamento è monocolore. Un fatto che dovrebbe far riflettere coloro che pensano che il male del paese si chiami solo Berlusconi. Un fatto che ci dice con chiarezza quale sia la natura del Pd, un partito confindustriale ed atlantico, che non ammette su questo il minimo dissenso.
Spesso il Pd viene descritto come un partito incerto ed ondivago. Molto spesso lo è davvero, ma non quando si tratta di partecipare alle guerre imperialiste, di cui ama invece farsi vanto. Un «particolare» di cui fingono di scordarsi coloro che, da sinistra, si apprestano all’ennesima alleanza con il partito di Bersani. «Alleanza democratica», sembra che la chiameranno. Sì, «democratica» e filo-imperialista.
* Fonte: Campo Antimperialista
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