ALLA VOCE: «ALTRUISMO»
di Piemme
Questo termine venne escogitato da August Comte nel suo Catechismo positivista (1852) per significare l’esatto opposto di egoismo. Vivere per gli altri era la massima fondamentale della dottrina morale del positivismo medesimo. Comte riteneva che accanto ad impulsi aggressivi ed egoistici, ogni uomo possedesse come qualità connaturata ed essenziale l’inclinazione alla bontà e alla benevolenza verso i propri simili. Il positivismo riteneva poi che l’antitesi egoismo-altruismo fosse destinata a scomparire con l’evoluzione sociale, dato che questa avrebbe portato con sé inevitabilmente il progresso nel campo morale —per cui alla soddisfazione del benessere individuale avrebbe corrisposto la felicità altrui.
Contro questa dottrina si scaglieranno i pensatori che porranno l’individuo al di sopra della comunità. Tra questi Nietzsche, il quale infatti identificava l’A. con l’amore cristiano verso il prossimo. In realtà l’A. comtiano, pur tradendo la sua matrice cristiana, non ha la valenza estatica dell’agape, ed è piuttosto una riproposizione della aristotelica philìa, o amicizia. Più concretamente l’A. comtiano non è che l’idea universalistica alla fratellanza della rivoluzione francese. È innegabile come il concetto di A. sia stato fatto proprio dal nascente movimento operaio, nelle forme della solidarietà sociale e del mutualismo.
L’A. in quanto espressione della forza e del valore morale della fratellanza era proprio anche del giovane Karl Marx: «Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno primamente come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della società, e ciò che sembra un mezzo, è diventato scopo. Questo movimento pratico può essere osservato nei suoi risultati più luminosi, se si guarda ad una riunione di "ouvriers" socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare, ecc. non sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A loro basta la società, l’unione, la conversazione che questa società ha a sua volta per scopo; la fratellanza degli uomini non è presso di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell’uomo s’irradia verso di noi da questi volti induriti dal lavoro».(Manoscritti economico-filosofici del 1844).
Con il distacco dall’umanesimo feuerbachiano e la scoperta della lotta di classe come forza motrice della storia, Marx si sbarazzerà di ogni idea astratta e indeterminata di fratellanza, la quale resta sì un valore morale, ma circoscritto alla comunità proletaria, per la quale, da mero vincolo etico, essa diventa uno strumento di battaglia e un criterio di azione organizzata finalizzata al rovesciamento del sistema capitalistico. L’evoluzione storica, sia all’Ovest che all’Est, ha smentito il dogma positivistico per cui allo sviluppo sociale e scientifico avrebbe automaticamente corrisposto un avanzamento morale e civile, e quindi il sopravvento del lato altruistico dell’uomo su quello egoistico. È anzi accaduto l’opposto: lo sviluppo della società capitalistica ha accentuato i comportamenti individualistici ed egoistici, dando apparentemente ragione a Hobbes e alla sua antropologia pessimistica per cui l’uomo sarebbe il lupo per gli altri uomini. L’etica liberale affermatasi in Occidente sul finire del secolo scorso legittima questa tendenza in quanto nega ogni validità morale all’A. con l’argomento che la persona non debba essere mai considerata un mezzo ma un fine in sé —segnando così un ritorno alle tradizionali ideologie individualistiche che andavano per la maggiore prima della rivoluzione francese e del sorgere del movimento socialista.
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