[ 15 settembre 2010 ]
Il Rosso (ex) che ora vede nero
RIGUARDO AD UNA RECENTE INTERVISTA DI BERTINOTTI
di Maurizio Fratta
Nel giugno scorso,in un’intervista rilasciata a il manifesto (19.6.2010), qualche giorno dopo l’Editto di Pomigliano, Pierre Carniti dice a chiare lettere cosa pensa della politica industriale che l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne tenta di imporre nel nostro paese.
Senza infingimenti o mezzi termini sostiene, il vecchio capo dei meccanici della Cisl, che sarebbe altamente rieducativo mandare alla catena di montaggio padroni e imprenditori, come Colaninno o Marcegaglia —aggiungiamo noi, che forse una catena di montaggio non l'hanno mai vistanemmeno in un film di Chaplin.
Nel giugno scorso,in un’intervista rilasciata a il manifesto (19.6.2010), qualche giorno dopo l’Editto di Pomigliano, Pierre Carniti dice a chiare lettere cosa pensa della politica industriale che l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne tenta di imporre nel nostro paese.
Senza infingimenti o mezzi termini sostiene, il vecchio capo dei meccanici della Cisl, che sarebbe altamente rieducativo mandare alla catena di montaggio padroni e imprenditori, come Colaninno o Marcegaglia —aggiungiamo noi, che forse una catena di montaggio non l'hanno mai vistanemmeno in un film di Chaplin.
E nemmeno ha dubbi su cosa ci sarebbe da fare qualora un padrone proponesse ad un sindacalista di firmare un accordo come quello che Marchionne propone: non firmarlo ovviamente, o meglio farne carta straccia (che è la stessa cosa, pensiamo noi).
E quand'anche si fosse costretti per qualche tempo a subire un regime schiavistico che impone di lavorare dopo un infortunio e senza la possibilità di scioperare, si può sempre tentare di reagire sabotando, ad esempio, la produzione, commenta Carniti.
Ritorniamo sul tema perché ad offrircene lo spunto è sempre un sindacalista. Anzi un ex-sindacalista, che è stato anche un ex-segretario di partito, e che oggi viene soprattutto citato come ex Presidente della Camera dei Deputati, con qualche malcelato interesse sospettiamo noi.
Stiamo parlando di Fausto Bertinottie dell' intervista concessa al quotidiano Il Riformista di ieri 15 settembre nello studio della sua Fondazione personale, sempre della Camera.
Cosa ci dice oggi colui che capeggio' quell'Arcobaleno che nell'Aprile del 2008 subitaneamente sparì dal cielo della politica italiana facendo precipitare dall'empireo del parlamento tutti gli equilibristi della sinistra autonominatasi radicale?
Quale approfondita riflessione dopo un così lungo silenzio propone colui che noi invece continuiamo a ricordare per le più sublimi acrobazie, semantiche e logiche, che quel ceto politico seppe offrire?
"Berlusconi è alla fine del suo ciclo politico." Si legge nella prima frase
dell’articolo.
Trasaliamo. Anche Bertinotti vede ora ciò che tutti vediamo!
”Con la fine del berlusconismo, prosegue, si intravedono le avvisaglie di un altro modello, più autoritario: il marchionnismo".
Ancora meglio, ci diciamo.
Ed ancora:
"Dietro l'entrata in crisi del modello sociale europeo si nasconde la nascita di un altro modello sociale che ha come base l'impresa autoritaria."
”Con la fine del berlusconismo, prosegue, si intravedono le avvisaglie di un altro modello, più autoritario: il marchionnismo".
Ancora meglio, ci diciamo.
Ed ancora:
"Dietro l'entrata in crisi del modello sociale europeo si nasconde la nascita di un altro modello sociale che ha come base l'impresa autoritaria."
Non ci sono dubbi. Dovevano essere state le frequentazioni dei salotti
televisivi ad annebbiare quel fine intelletto.
Sul tavolo, nota l’intervistatore, c’è una copia del suo ultimo libro “Chi comanda qui?”, quello in cui l’avvento della globalizzazione e la crisi delle Costituzioni europee sono analizzate come due grandezze proporzionali.
Bertinotti non l'ha detto o noi non l'abbiamo saputo. Ma soltanto dopo un lungo isolamento sul Monte Athos si può essere pervenuti a tanto.
E quando addirittura si abbozza l'analisi sulla natura e pervasività del berlusconismo pensiamo: ci siamo.
Ora seguirà il ravvedimento sulle politiche scellerate degli ultimi quindici anni, a dir poco.
Un'autocritica sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, qualche considerazione sull' autorizzazione all'ampliamento della base di Vicenza, un'autocritica sui provvedimenti di selvaggia fleissibilizzazione del mercato del lavoro, o un ripensamento per le politiche di tassazione delle rendite finanziarie adottate qualche tempo fa
(indimenticabile il manifesto "Anche i ricchi piangono") o ancora qualche parola di verità sulle cospicue sovvenzioni, le tante risorse, i lauti stipendi derivanti dalla presenza nelle istituzioni.
Nulla di tutto ciò.
A Tommaso Labate che gli chiede come fu proprio lui ad individuare in Marchionne un "borghese buono", il nostro risponde che è Marchionne ad essere cambiato, che fu lui a dire che l'impresa che licenzia non configura un imprenditore, che era inutile pensare di bastonare un lavoratore quando il costo del lavoro pesa il 6/7 per cento, che
contrattare con i sindacati italiani era meglio che farlo con quelli americani, che il suo rapporto con la Fiom era fortissimo..."
Ed a poco gli serve ricordare che il neoliberismo lascia spazio al mercatismo puro, che rispetto al capitalismo fordista-taylorista il capitalismo di oggi è ”particolarmente
totalizzante, che per la borghesia precedente il conflitto era considerato fisiologico,
che non a caso anche un erede aspro e radicale di quella tradizione, come Cesare Romiti, lo riconosce”.
Povero Bertinotti, novello Epimeteo (“colui che riflette in ritardo” nella mitologia greca)
Eppure un tempo si diceva che fosse un fior di sindacalista e si è invece bevuto la leggenda del padrone che faceva del bene agli operai.
Si siano chiamati Valletta o Romiti, Cantarella o Marchionne, che abbiano riconosciuto oppure perseguitato le rappresentanze sindacali, quando si è trattato di salvaguardare i profitti e sfruttare gli operai sono stati tutti uguali.
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