D. E’ stato firmato l’accordo sulla rappresentanza e democrazia tra Confindustria Cgil Cisl e Uil, successivamente sottoscritto anche dall’Ugl. Il gruppo dirigente Fiom non solo non si è opposto ma ne ha dato un giudizio sostanzialmente positivo. La valutazione della Rete 28 Aprile è invece molto negativa, ci puoi argomentare i principali punti di disaccordo tra voi e la maggioranza Fiom?
R. E' riduttivo parlare di "accordo negativo", con quell'intesa si instaura un vero e proprio regime sindacale. Un regime riservato esclusivamente al sindacalismo complice , destinato cioè, a praticare la contrattazione di restituzione, di riduzione di salari e diritti. In continuità peraltro con quanto previsto dall'accordo del 28 giugno 2011 e dall'articolo 8 di Sacconi, le deroghe cioè al Contratto ed alla legge. In sostanza serve ad applicare sul terreno sociale le politiche d'austerità. Sin da subito abbiamo parlato del giudizio positivo di Landini come della firma tecnica sul modello Marchionne, la stessa per capirci che la Cgil e settori Fiom proponevano di apporre nel 2010 a Pomigliano di fronte all'intesa separata che cancellava la Fiom dagli stabilimenti. L'accordo su rappresentanza e democrazia è appunto la piena affermazione del modello Marchionne su scala generale. Lo stesso modello autoritario e sanzionatorio che contempla solo il sindacalismo complice. E' sufficiente vedere cosa è previsto sul terreno della rappresentanza: solo le organizzazioni sindacali firmatarie e/o che piegano la testa accettando di non confliggere con l'impresa in rispetto degli accordi vigenti, hanno il diritto a presentarsi alle elezioni rsu. Così si cancella il diritto dei lavoratori ad opporsi agli accordi, a lottare cioè per migliorare le proprie condizioni. Si cancella il sindacalismo conflittuale. Se quest'accordo fosse stato sottoscritto prima del 2010, la Fiom avrebbe dovuto firmare gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, dove, non dimentichiamolo, i lavoratori hanno votato. Hanno votato per cancellare la Fiom, per peggiorare le proprie condizioni, per uscire dal Contratto nazionale. Ecco perchè il voto dei lavoratori previsto nell'accordo e che tanto viene enfatizzato, altro non è che lo strumento per legittimare il ruolo di un sindacato che sottoscrive accordi peggiorativi, è l'istituzionalizzazione del referendum come strumento per imporre la contrattazione di restituzione. Quando nel 2010 decidemmo come Fiom di non firmare l'accordo di Pomigliano, decidemmo di lottare mettendo al centro i diritti dei lavoratori, non quelli d'organizzazione. Tutti ci invitavano al realismo, ci raccomandavano di stare dentro. E' evidente che c'è un radicale cambio di linea.
D. Il corteo della Fiom dello scorso 18 maggio, l’abbiamo potuto vedere tutti, non è stato particolarmente partecipato ed è passato senza produrre risultati per i lavoratori. Per il prossimo venerdì è previsto lo sciopero del settore auto Fiom. A tuo avviso può rappresentare un nuovo inizio e restituire un profilo conflittuale al sindacato dei metalmeccanici o invece è ancora insufficiente?
R. Certamente la manifestazione del 18 maggio non è stata delle più partecipate nella lunga storia dei metalmeccanici. Le ragioni sono molteplici, pesa sopratutto la profonda crisi di credibilità del sindacato nel nostro paese. La condizione di chi lavora precipita e più nessuno crede, non a torto, che siano le manifestazioni a Roma a poterla cambiare. In particolare tuttavia occorre sottolineare che da molti mesi la Fiom non ha più nessuna grande vertenza in campo, continua certamente a rappresentare un punto di vista importante, radicale sul terreno politico, ma un punto di vista che non è più, da molto tempo, conseguente sul piano dell'iniziativa concreta. E i lavoratori misurano un sindacato su quello che fa concretamente, non su quello che dice, per quanto importante. La stessa manifestazione su Fiat di venerdi 28 ha questi limiti. Non c'è più in piedi una vertenza Fiat che vada oltre le sacrosante battaglie legali, oltre la denuncia dell'anomalia Marchionne. Tutti sanno che nei prossimi anni Fiat metterà pesantemente le mani sull'occupazione. E' in gioco forse più di metà dell'occupazione e degli stabilimenti. La sovraccapacità produttiva rispetto al dato delle vendite è persino eclatante. Non risolveranno né nuovi modelli che pure sono necessari, né una nuova indispensabile strategia industriale . Tra le altre cose non va sottovalutato il fatto che per gli azionisti Fiat Marchionne è la gallina dalle uova d'oro per i profitti che ha portato loro con le diverse operazioni finanziarie ed industriali. Voglio dire che non c'è una proprietà arrabbiata per i dati disastrosi sulle vendite, se non qualche ricco e attempato sabaudo nostalgico della Fabbrica Automobili Torino. Cisl,Uil, la politica e le Istituzioni, a partire dal Governo sanno benissimo cosa succede e cosa si prepara. Non ci si può aspettare nulla visto che hanno legittimato e legalizzato il modello Marchionne. Per queste ragioni occorre costruire una pura vertenza sindacale. Senza una battaglia per la redistribuzione del lavoro su tutti gli stabilimenti e la difesa intransigente di ogni sito si rischia semplicemente di accompagnare la pesante ristrutturazione che verrà. Ed è in quella chiave che la lotta contro il modello Marchionne va inserita. La leva della battaglia è la difesa dell'occupazione. Diversi compagni che lavorano in Fiat da tempo propongono inascoltati di riprendere il terreno della lotta, pur consapevoli della difficilissima fase. A Pomigliano per esempio, è allucinante la contraddizione tra il ricorso al lavoro straordinario e la cassa integrazione. Per queste ragioni molti si aspettavano un blocco dei cancelli, qualcosa di più forte che la semplice denuncia.
D. Sabato a Roma avrà luogo l’assemblea nazionale della Rete. Quale bilancio faresti dell’operato della vostra area programmatica dalla sua nascita ad oggi? Per quale ragione nonostante l’aggravarsi delle condizioni nel mondo del lavoro avete incontrato così tante difficoltà a costruire un’opposizione di massa alla linea maggioritaria della Cgil? Come mai siete ancora poco conosciuti in tanti luoghi di lavoro? Cosa vi proponete di fare per il futuro?
R. L'assemblea di sabato è un passaggio importante. Si tratta,per noi che abbiamo da tempo deciso di presentare un documento alternativo al congresso Cgil , di qualificare il come ma anche perchè continuare la battaglia in Cgil. Non ci misuriamo solo con la deriva inarrestabile di una Cgil che ha sostanzialmente aderito al modello Cisl consentendo così la totale destrutturazione del sistema dei diritti e delle tutele del mondo del lavoro. Il quadro nel nostro paese, come peraltro nella maggior parte dell'area euro, è segnato dalla durezza del combinato disposto tra politiche d'austerità e crisi economica. Una si alimenta dell'altra e entrambe, nell'assenza totale di rappresentanza politica e sociale delle classi popolari, deflagrano creando impoverimento, disoccupazione ma anche, per ora, rassegnazione e passività. Tutte le vecchie forme della rappresentanza sono travolte, siano esse complici o antagoniste. E' lo spazio concreto dell'iniziativa sindacale rivendicativa che è praticamente scomparso e non solo per responsabilità del sindacalismo complice che c'è ed è enorme, non dobbiamo dimenticare che la crisi è crisi del capitale, della sua capacità di generare profitti, di garantire consenso e crescita. Ogni lotta sindacale in difesa dell'occupazione, per il salario, per i diritti diviene immediatamente lotta politica, immediatamente diviene sovversiva rispetto alle compatibilità date. Questa è la ragione di fondo che rende complicata la costruzione del conflitto. La condizione dei lavoratori è divenuta variabile dipendente dei margini del capitale nella sua competizione globale. L'accordo sulla rappresentanza e democrazia e le deroghe previste dal 28 giugno 2011 sono gli strumenti concreti per applicare nel concreto questa subordinazione. Se questo è il quadro, il punto centrale per la Rete 28 aprile è come essere parte della necessaria ricostruzione del conflitto sociale a partire dai luoghi di lavoro. Stare nelle lotte parziali, agire per una nuova coscienza di classe, stare nella contraddizione che nei diversi soggetti si pare e che è sempre più esplosiva. La Rete, sin dalla sua nascita nel 2005, ha cercato in ogni modo di contrastare la deriva della Cgil, la sua progressiva cislizzazione. Sia nella battaglia interna, per una lunga fase insieme alla Fiom ed a altri pezzi della Cgil, sia nel tentativo di costruzione di un fronte sociale contro le politiche del padronato e del Governo. Siamo un punto di riferimento per larghissima parte dei militanti della sinistra antagonista nei luoghi di lavoro, ovviamente per tutti quelli che continuano a lottare. Tanti compagni purtroppo sono semplicemente tornati nel privato senza che nessuna nuova generazione si sia affacciata sullo scenario sociale. Certamente si poteva fare di più, tuttavia la marginalità della nostra esperienza non è cercata, ma imposta dalle condizioni date. Il congresso da questo punto di vista è una straordinaria possibilità di farci conoscere, di consolidare e aggregare nuovi quadri, di ri-costruzione di una nuova esperienza collettiva interna alla Cgil.
D. Vi proponete di presentare un documento alternativo al congresso della Cgil. Nel precedente furono denunciate procedure quantomeno dubbie e risultati manipolati nonostante l’opposizione al gruppo dirigente di pezzi importanti della Cgil quali gli allora segretari di categoria dei metalmeccanici, funzione pubblica e bancari. Non hai timore che possano ripetersi simili pratiche? E soprattutto, pensi sia ancora possibile poter invertire la rotta del sindacato di Corso Italia in assenza di conflitti costruiti dal basso?
R. Chiediamo un congresso democratico, regole certe e trasparenti che garantiscano il diritto di ogni iscritto di conoscere le diverse posizioni e di decidere. Lo scorso congresso è stato devastante da questo punto di vista se si pensa che ancora oggi non conosciamo i dati del voto disaggregati per territorio e categorie... regioni del sud che hanno raddoppiato i voti di quelle industriali. Una cosa inaccettabile. In più, la stretta autoritaria che viviamo nell'organizzazione e che è direttamente figlia della crisi della forma sindacale, rischia di degenerare nel tentativo di cancellare politicamente e sostanzialmente il dissenso in Cgil. Le contraddizioni che apriamo sulle scelte dell'organizzazione sono vissute dai gruppi dirigenti come atti di lesa maestà, come aggressioni violente. Difenderemo con ogni mezzo, ripeto, con ogni mezzo, il diritto al dissenso. Il sindacato non è proprietà dei suoi dirigenti. No, senza un nuovo ciclo di lotte il sindacato, tutto, non cambierà mai. E' illusorio pensare che sia la nostra battaglia congressuale a modificare un'organizzazione come la Cgil. Solo un nuovo protagonismo sociale può obbligare il sindacato a cambiare o ad adeguarsi.
D. Per rilanciare il conflitto sociale non si potrà certamente fare a meno di coinvolgere i milioni di disoccupati e precari. L’Usb a tal proposito ha iniziato a ragionare sulla costruzione del “sindacalismo metropolitano” e della “confederalità sociale”. L’idea è che il sindacato si debba porre il problema della relazione con i settori sociali esclusi dai circuiti lavorativi tradizionali, dunque fuori dalla contrattazione ordinaria. Questi soggetti, che è difficile come nel caso dei precari se non impossibile come nel caso dei disoccupati organizzare nei luoghi di lavoro vanno organizzati sul territorio, affiancando alle lotte sindacali classiche quelle per le occupazioni di case, per la sanità, e per tutte le problematiche che riguardano la vita nei territori. Cosa ne pensi? Ti sembra un esperimento interessante?
R. Si, davvero molto interessante. La crisi che tutto travolge riduce nei fatti la stratificazione sociale e generalizza la condizione di massima delle classi popolari, cancellando anche vecchie divisioni. La questione salariale,la lotta contro il carovita ad esempio travalica da tempo le diverse appartenenze categoriali. Si impone la necessità di promuovere un'azione unificante interna ed esterna ai luoghi di lavoro, sia perché imposta dal processo di espulsione del sindacato da fabbriche e uffici, sia per effetto della crescente disoccupazione di massa. Non dimentichiamo che con la cancellazione dell'art.18 la Costituzione è uscita dai luoghi di lavoro riducendo molto la possibilità della tradizionale organizzazione interna ai luoghi di lavoro. Stesso processo riguarda la contrattazione sindacale. Diviene quindi centrale il territorio che, guarda caso, è una dimensione altamente unificante per le classi popolari. La casa, il salario, i servizi, il lavoro. Senza dimenticare, ovviamente, un livello generale che riunificando il parziale,dia alle lotte una prospettiva progressiva e solidale impedendo che quella stessa dimensione che vogliamo indagare non diventi causa di nuove separazioni, egoismi, o peggio.
6 commenti:
Ma ha ancora senso stare nella CGIL? A me sembra una battaglia persa pensare di poter cambiare dall'interno quel sindacato...
Stare nella CGIL? Dimentichiamocelo.
Ma non seguiremo il percorso +1 del sindacalismo "di base(?) afflitto da smarrimento. E pure avevano sedi, uffici legali,gruppi dirigenti, una grafica moderna, compagni volenterosi
Cosumatisi dietro la differenza, a lustrare la propria targhetta,aggiustarsi il vestito della rappresentanza nel mentre la crisi tracimava lavoro salario; migliaia di persone abbandonate al family-welfare ,alla carità mollati insomma alla propria disperazione. Incapaci di pensare agli interessi collettivi, di sentire la sofferenza proletaria, di connettersi fare forza sociale:conflitto.
La crisi chiuderà anche le loro botteghe.
Da tempo si parla di Assemblea Metropolitana, convegni che aprono nuovi orizonti,iniziative di lotta vera e non mimica del conflitto ad uso e consumo dei media.
Io aspetto il momento in cui la disoccupazione sarà di massa e la povertà diffusa. solo allora io scenderò in campo..
Ora da tutte le parti c'è corruzione e ipocresia...compreso tra i comunisti e tutti i sindacati compresi quelli di base..
Solo qunado il popolo sarà disperato e alla fame diverrà rivoluzionario!
"Tanto peggio tanto meglio"? Fosse così facile...
@Anonimo
...io, io, io questo pidocchio della grammatica
Terrore: "tanto peggio, tanto meglio?"
Da quanti decenni veniamo irrititi da questo lit-motiv per non farci riflettere sul come risalire la china?
Le condizioni potranno peggiorare, e sarà così, e può non accadere nulla. Non basta che le condizioni oggettive peggiorino sempre di più se non si è creato una cultura che comprende e fa diventare iniziativa politica la disperazione.
Oggi più di ogni altro momento soffriamo della mancanza di ciò; gli "organizzati" sensibili alle scadenze elettorali, non sentono la disperazione proletaria lasciata all'individuo.
A noi la responsabilità di uccidere l'IO e cedere il passo al NOI ?
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