6 giugno. «Non siamo qui a difendere un odioso presente sol perché si annuncia un
futuro ancora peggiore. Siamo qui a proporre un'alternativa, un sistema davvero
democratico e popolare».
E'
lì che andranno a parare. Il presidenzialismo non è solo il passaggio finale di
un processo di accentramento e rafforzamento del potere esecutivo iniziato
vent'anni fa. Non è solo la pietra tombale su quel che resta (poco in verità)
del sistema parlamentare. E' anche il modo in cui la casta dei politicanti
espressione delle oligarchie dominanti punta a salvare se stessa.
Per
tutti questi motivi era perciò inevitabile che dal cappello presidenziale delle
«riforme» sbucasse fuori il coniglio presidenzialista. Eugenio Scalfari ci dice
che così non è, che Napolitano parlerà, a giorni, contro il presidenzialismo.
Vedremo, quel che è certo è che il modus
operandi del «comunista preferito da Kissinger», ed ancor più le scelte che
ne sono conseguite hanno portato acqua, più di ogni altra cosa, al mulino
presidenzialista.
Le
avanguardie dell'armata che punta al modello francese sono scese in campo,
sulle colonne del Corriere della Sera, con un appello dal titolo «Un movimento di cittadini per la scelta
diretta». Lo hanno fatto il 2 giugno, festa di quella Repubblica a cui
vogliono fare la festa. I nomi dei firmatari non lasciano adito a dubbi:
Augusto Barbera, Angelo Panebianco, Arturo Parisi, Mario Segni. Tutti costoro (in primis Segni) furono, vent'anni fa, tra
i principali promotori del referendum per il maggioritario. Due di loro
(Barbera e Parisi) sono esponenti di un certo rilievo del Pd. E già questo
basta ed avanza per farci capire che l'offensiva non viene solo da destra.
Per
costoro il presidenzialismo è in fondo il coronamento di quel percorso iniziato
negli anni '90 del secolo scorso. Non dimentichiamoci che proprio dal
maggioritario è scaturita la figura del sindaco/podestà, mentre i presidenti
delle giunte regionali sono diventati «governatori». Il tutto contornato dal
progressivo svuotamento delle assemblee elettive a tutto vantaggio degli
esecutivi di ogni ordine e grado. Chi ha avallato questo processo per tanto
tempo, ha ben poco da lamentarsi oggi della sterzata presidenzialista, peraltro
sostenuta dallo stesso Letta.
Una
volta affermato il principio della «governabilità», dell'accentramento del
potere, fino a consegnarlo nelle mani di una sola persona, come si poteva
pensare che tutto ciò restasse confinato a comuni, province e regioni, senza
arrivare ad imporsi un giorno come forma del potere centrale?
Abbiamo
già detto che il maggioritario da un lato, e il presidenzialismo de facto alla Napolitano dall'altro,
hanno funzionato da apripista alla svolta istituzionale in gestazione. Ma c'è
di più. C'è che il presidenzialismo detto «alla francese» ben si sposa con il
doppio turno di collegio. C'è che il presidenzialismo è anche un modo furbesco
per (tentare) di rispondere alla cosiddetta «crisi della politica», che in
realtà è crisi di un sistema di potere e di governo ben determinato.
Vediamo
intanto il primo aspetto. Già nella primavera 2012, discutendo dell'annosa
questione della riforma del Porcellum, la destra offrì al Pd l'adorato doppio turno
di collegio, ma a condizione che il partito di Bersani accettasse l'elezione
diretta del presidente della Repubblica ed ovviamente il riordino dei poteri
che ne consegue. Il Pd respinse l'offerta, non per ragioni di principio - non
sia mai detto, che son finiti quei tempi! - ma solo perché i sui lungimiranti
strateghi erano certi di fare il botto proprio grazie al premio di maggioranza
della legge calderoliana. Ora che gli è andata come gli è andata, è naturale
che l'offerta di Alfano suoni assai bene agli orecchi piddini. E le cronache
già ci parlano di diversi big già schierati: da Veltroni a D'Alema, da Prodi a
Renzi, per arrivare all'annebbiato Epifani, tutti in fila ad adorar la Francia.
Tutto
ciò non deve stupire. Stupirebbe semmai il contrario. Costoro sono disposti a
tutto pur di restare in sella. Ed il fatto che, insieme a Berlusconi ed ai berluscones, costoro siano in prima fila
per il presidenzialismo, non può che dar forza a chi vorrà opporsi a questa
ennesima deriva autoritaria. La loro credibilità, infatti, è ormai sottozero.
C'è
però per noi un altro problema. Ed è che, almeno in questa prima fase,
l'opposizione al presidenzialismo assumerà i volti di Rosy Bindi ed Eugenio
Scalfari. La prima in nome di una Costituzione che non c'è più, che ella stessa
ha contribuito a stravolgere in questi anni. Il secondo in nome del pericolo
«populista», sia nella versione berlusconiana che in quella grillesca. Questo è
un vero problema, perché se saranno quelli i volti dell'opposizione, il
presidenzialismo ha già vinto in partenza.
Che
fare allora? Essenzialmente due cose:
La
prima consiste nello spiegare con linguaggio semplice che il presidenzialismo è
l'ultimo rifugio delle canaglie che governano bipartiticamente il paese da
vent'anni. Detto in linguaggio popolare, è la casta che non vuol mollare, che
cambia la forma istituzionale perché niente cambi negli assetti del potere. In
altri termini, è il tentativo di salvare un sistema che sa solo proporre
sacrifici, tagli, tasse, disoccupazione in nome del Dio Euro e dei suoi
sacerdoti di Bruxelles e Francoforte. Il sistema politico non è in crisi perché
«troppo democratico»; al contrario la sua crisi deriva dal distacco dal
bipolarismo di milioni e milioni di elettori, allontanatisi da esso proprio a
causa dell'azzeramento della democrazia necessitato dalle scelte di cui sopra. Mai
come oggi le classi popolari sono state escluse da ogni influenza sul potere,
ma proprio per questo maggiore è la possibilità che decidano di rivoltarglisi
contro.
La
seconda cosa da fare è quella di non limitarsi ad una battaglia difensiva. Al «com'era bella la nostra Costituzione».
Una Costituzione che a forza di decantarla ormai non c'è più. Con i cantori
della domenica assai spesso impegnati nell'opera di sistematico smantellamento durante
la settimana. Una battaglia solo difensiva darebbe le carte migliori proprio ai
presidenzialisti. Nossignori, a ben poco servirebbe asserragliarsi in un
fortino così sguarnito. La battaglia ha da essere offensiva. Come abbiamo
scritto in un documento del Mpl l'estate scorsa: «A partire dallo spirito originario della
Costituzione italiana, occorre promuovere un'Assemblea Nazionale Costituente al fine di riconquistare
un’effettiva sovranità popolare». Ed è chiaro che riconquistare la
sovranità popolare, e dunque nazionale, significa in primo luogo liberarsi dal
giogo dell'Unione Europea e della sua moneta unica. Certo, questo obiettivo si
inserisce necessariamente in un contesto di grandi trasformazioni, frutto di
una vincente sollevazione popolare, ma visto che il nemico ci porta su questo
terreno è necessario porsi all'altezza dello scontro fin da ora.
In
conclusione: non siamo qui a difendere un odioso presente sol perché si
annuncia un futuro ancora peggiore. Siamo qui a proporre un'alternativa, un
sistema davvero democratico e popolare. Solo così potremo davvero contrastare
il presidenzialismo. Ed anche una sconfitta sarebbe in quel caso meno amara,
perché non pregiudicherebbe - a differenza della linea difensivista - l'esito
delle battaglie che già si intravedono all'orizzonte.
Fonte: Campo Antimperialista
3 commenti:
Certo a voi gli operai fanno proprio schifo. Oggi tutti i media nazionali hanno aperto sugli scontri di Terni...voi e il Foglio siete i soli che preferite parlare delle alchime di governo
Non ho capito perché il semipresidenzialismo non andrebbe bene.
C'è in Francia e funziona, non è che la Francia sia un esempio di dittarura e oppressione delle masse peggio che in altri paesi europei con altri sistemi.
È una domanda che faccio per capire, non vuol essere polemica.
Anonimo delle 13:14. Non ne possono parlare perchè con loro manifestava un sindaco del PD-L, cui s'è beccato pure le manganellate in testa.
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