Verso le elezioni: tanta confusione, una sola certezza
di Leonardo Mazzei
La confusione sotto il cielo è grande, e per certi versi la situazione potrebbe diventare eccellente. Il blocco degli eurosacrifici non ha ancora deciso del tutto come schierare i suoi pezzi sulla scacchiera elettorale. Segno di una certa difficoltà politica, di consensi magri, di gruppi dirigenti litigiosi. Il simbolo di tutta questa incertezza si chiama Monti Mario.
Il suo cruccio è che, per una sorta di riforma incompiuta, a febbraio voteranno gli italiani, che se si votasse a Bruxelles non ci sarebbero problemi.
A leggere i giornali l'Italia pende dalle sue labbra, a leggere i sondaggi non sembrerebbe proprio. Il problema è tutto qui, in un consenso preteso quanto inesistente. Eh già!, perché l'Italia non è fatta solo di editorialisti, di opinionisti, di finti giornalisti, di operatori di borsa, di «maghi» e maghetti della finanza. Non è fatta neppure soltanto da finti preti che pensano alla cassa, da finti sindacalisti che pensano alla (loro) pensione, da riciclati del circo bipartisan della politichetta della seconda repubblica.
di Leonardo Mazzei
La confusione sotto il cielo è grande, e per certi versi la situazione potrebbe diventare eccellente. Il blocco degli eurosacrifici non ha ancora deciso del tutto come schierare i suoi pezzi sulla scacchiera elettorale. Segno di una certa difficoltà politica, di consensi magri, di gruppi dirigenti litigiosi. Il simbolo di tutta questa incertezza si chiama Monti Mario.
Il suo cruccio è che, per una sorta di riforma incompiuta, a febbraio voteranno gli italiani, che se si votasse a Bruxelles non ci sarebbero problemi.
A leggere i giornali l'Italia pende dalle sue labbra, a leggere i sondaggi non sembrerebbe proprio. Il problema è tutto qui, in un consenso preteso quanto inesistente. Eh già!, perché l'Italia non è fatta solo di editorialisti, di opinionisti, di finti giornalisti, di operatori di borsa, di «maghi» e maghetti della finanza. Non è fatta neppure soltanto da finti preti che pensano alla cassa, da finti sindacalisti che pensano alla (loro) pensione, da riciclati del circo bipartisan della politichetta della seconda repubblica.
Naturalmente ci sono anche loro, con i loro codazzo, i loro soldi, i loro mezzi. E naturalmente esistono anche i gonzi che abboccano in nome dell'Europa, dell'euro, di un governo che ha da essere così serio da meritarsi i complimenti della Merkel. Tutti questi ci sono, e saranno i primi ad imbucare la loro scheda nell'urna. C'è però un problema: non sono così tanti come a Bruxelles ed a Washington vorrebbero.
Il loro numero è sufficiente a partecipare, condizionandolo, al prossimo governo, ma è del tutto insufficiente ad incoronare Monti premier. Il loro numero è sufficiente a dare un po' di peso a Pierferdinando Casini in Caltagirone, a portare nelle aule parlamentari il ciuffo imprenditoriale più antipatico d'Italia, a trovare qualche spazio per un po' di transfughi a rischio disoccupazione. Ma è del tutto insufficiente a costruire un blocco capace di sfondare davvero.
Può permettersi l'unto dei mercati, il salvatore della patria, un simile risultato? Certo, esso sarebbe consono alla sua vera funzione di modesto curatore fallimentare per conto di Obama e della Merkel. In fondo, per rovinare un Paese non è poi necessario né il carisma né una vera investitura popolare. Ma la politica ha le sue regole, ed a un certo punto impone delle scelte. Nel caso di Monti l'alternativa è secca: o continuare a presentarsi come il salvatore di cui sopra senza disporre di una propria forza autonoma, o capeggiare un blocco politico rinunciando alla finzione del suo presentarsi come super partes. Pro e contro che certo verranno soppesati con cura.
Nel primo caso, Monti potrebbe trovarsi più debole di fronte al Pd; nel secondo potrebbe compromettere l'assetto già disegnato da Napolitano, che prevede il professor Quisling al Quirinale, con Bersani premier sotto tutela. Intendiamoci, non che il privatizzatore piacentino abbia bisogno di troppe tutele. Il lavoro sporco per la finanza predatoria e per le euro-oligarchie sa farlo da sé, ma sapete come sono i banchieri e gli strozzini: per loro le garanzie non sono mai troppe.
A questo punto, prima di cercare di capire come potranno sciogliersi le attuali incertezze, diciamo subito qual è l'unica certezza. Essa riguarda quello che sarà l'asse attorno al quale si costruiranno il nuovo governo e gli assetti politici della prossima legislatura. Stiamo parlando dell'asse Bersani-Casini-Monti, l'asse dell'euro, del rigore, del dogma europeista. Il tanto vituperato Porcellum garantirà infatti a Bersani la vittoria elettorale, con qualche incertezza al Senato. Ma non saranno tanto queste incertezze a costringere all'alleanza con il blocco centrista, quanto piuttosto la precisa scelta del Pd di muoversi in questa direzione.
«Alleanza tra progressisti e moderati», ripete tutti i giorni Bersani. Che poi sia «progressista» consegnare il futuro del paese ai vampiri della finanza è un altro discorso, come del resto ci sarebbe da ridire sulla «moderazione» di chi sa solo immaginare una politica di strangolamento di ogni diritto sociale. Ma il punto non è questo. Il punto è che quella alleanza è obiettivamente l'unica in grado di proseguire con la politica imposta dalla UE, esemplificata assai sciattamente nella cosiddetta «Agenda Monti».
Questo le oligarchie lo sanno. Come sanno anche che il consenso reale alla loro politica è in picchiata libera. Dunque devono mettere assieme quel che hanno, in concreto il Pd e il costruendo blocco centrista. Esse sanno anche che le elezioni hanno le loro regole. Dunque a Bersani sarà consentito coprirsi a sinistra con l'orecchino di Vendola, mentre a Casini sarà permessa qualche battuta sul tasso di «sinistra» (bum!) presente nella coalizione bersaniana. Idiozie da campagna elettorale che lasciano il tempo che trovano.
Il fatto è che oggi solo questi due soggetti aderiscono appieno all'ideologia eurista, giurano sul pareggio di bilancio, garantiscono il Fiscal compact. E questo è quel che conta. Si tratta però di due soggetti diversi. Il Pd è l'unico partito ancora strutturato, uscito spennacchiato ma salvo dai disastri della seconda repubblica, il blocco centrista è invece ancora un incerto cantiere. Ovvio che spetti al primo l'onere del governo, ed al secondo un ruolo da contrappeso. Un bilanciamento utile alle oligarchie, non tanto per spostare al «centro» il centrosinistra - lasciamo perdere, per favore, questi sragionamenti geografici ormai inutili a comprendere le cose - quanto per rendere più debole ogni soggetto politico in modo da poterlo così etero-dirigere meglio, magari dal Colle quirinalizio.
E' per questa ragione che si pone la questione dell'eventuale candidatura di Monti. Per rimpolpare i centristi, le cui pretese sono inversamente proporzionali ai voti previsti. Candidarsi non per vincere, che è palesemente impossibile, ma per determinare equilibri di potere un po' diversi nel futuro asse di governo. Per ragioni un po' più volgari, chiedono a San Monti il miracolo gli Udc, i Fli, i Monteprezzemoliani, i transfughi da destra (Frattini, Pisanu e soci) e quelli possibili dal centrosinistra (Fioroni ed altri). Senza dimenticare i suoi «tecnici», che non sembrano disdegnare troppo il finora deprecato scranno parlamentare. Un po' troppi anche per l'uomo del Bilderberg...
Oggi [ieri, 15 dicembre, Ndr] metà compagine governativa è annunciata ad Assisi, dove senza arrossire tenteranno pure di impossessarsi di San Francesco. Non gli riuscirà, ma a loro basta la comparsa televisiva (oggi c'è la registrazione) la mattina di Natale. Cosa non si fa per la campagna elettorale... Il loro sguardo però sarà altrove. Rivolto verso un altro santo: San Sondaggio, protettore dei paracadutati nella politica di un regime senza onore e senza pudore. Un tempo certe scelte le avrebbe fatte un congresso, un organismo dirigente regolarmente eletto; oggi - nella politica oligarchica travestita da tecnica - si decide in chiuse stanze leggendo i sondaggi. Che almeno gli vadano di traverso!
Se i sondaggisti districheranno la confusione al «centro», non è ancora ben chiaro chi la risolverà nel campo della destra (e del Pdl in particolare), né in quello di una sinistra ancora confusa tra l'arancione giustizialista, il minimalismo professorale di Alba, l'esigenza del Prc di rientrare in parlamento.
Ma torniamo a noi. O meglio a Monti Mario. Abbiamo già detto che se l'asse degli eurosacrifici è deciso, più incerti sono gli equilibri interni che si determineranno. Ai centristi che vorrebbero modificarli a loro favore, ha risposto il Pd con il duo Bersani-D'Alema, il primo nel ruolo del poliziotto buono, il secondo in quello del poliziotto cattivo. D'Alema - non senza ragioni - ha definito l'eventuale candidatura di Monti, necessariamente alternativa al Pd, «moralmente discutibile». Una richiesta di non candidarsi, che in bocca al presidente del Copasir suona come un preciso avvertimento.
Il braccio di ferro in corso tra i futuri sposi del dopo-elezioni non è cosa di poco conto. Si tratta del più classico degli scontri di potere all'interno dello stesso blocco dominante. Vedremo come andrà a finire. Di certo il suo esito non cambierà però lo scenario di fondo. L'asse degli eurosacrifici è ormai definito. Se ne dovranno fare una ragione nel Pdl, ma ancor di più nell'area a sinistra del Pd. Dopo le elezioni, Vendola dovrà scegliere tra l'ingoiare il rospo e lo sfilarsi dalla maggioranza di governo: due opzioni entrambe disastrose per i destini di Sel. In quanto al fritto misto Arancioni-Alba-Prc, l'ipotesi del condizionamento di Bersani appare già ora ridicola ancor più che irrealistica.
Ricapitolando, abbiamo detto che abbiamo una certezza ed ancora molta confusione. Ma abbiamo iniziato affermando che questa confusione potrebbe essere - a certe condizioni - il segno di una situazione potenzialmente eccellente. Perché questo ottimismo? Per due motivi: primo, perché si tratta di un caos che ci indica le difficoltà presenti nel blocco dominante; secondo, perché l'asse degli eurosacrifici potrebbe alla fine risultare assai meno forte di quel che sembra.
Le elezioni non saranno il momento del redde rationem, perché un governo montista riusciranno in qualche modo a insediarlo. Ma con quale consenso? Questo è il punto che ci interessa, perché l'asse Bersani-Casini-Monti andrà senz'altro al governo, ma più sarà debole e più sarà possibile porsi subito l'obiettivo di farlo saltare. In fondo, almeno per questa volta, si voterà in Italia e non a Bruxelles.
Il loro numero è sufficiente a partecipare, condizionandolo, al prossimo governo, ma è del tutto insufficiente ad incoronare Monti premier. Il loro numero è sufficiente a dare un po' di peso a Pierferdinando Casini in Caltagirone, a portare nelle aule parlamentari il ciuffo imprenditoriale più antipatico d'Italia, a trovare qualche spazio per un po' di transfughi a rischio disoccupazione. Ma è del tutto insufficiente a costruire un blocco capace di sfondare davvero.
Può permettersi l'unto dei mercati, il salvatore della patria, un simile risultato? Certo, esso sarebbe consono alla sua vera funzione di modesto curatore fallimentare per conto di Obama e della Merkel. In fondo, per rovinare un Paese non è poi necessario né il carisma né una vera investitura popolare. Ma la politica ha le sue regole, ed a un certo punto impone delle scelte. Nel caso di Monti l'alternativa è secca: o continuare a presentarsi come il salvatore di cui sopra senza disporre di una propria forza autonoma, o capeggiare un blocco politico rinunciando alla finzione del suo presentarsi come super partes. Pro e contro che certo verranno soppesati con cura.
Nel primo caso, Monti potrebbe trovarsi più debole di fronte al Pd; nel secondo potrebbe compromettere l'assetto già disegnato da Napolitano, che prevede il professor Quisling al Quirinale, con Bersani premier sotto tutela. Intendiamoci, non che il privatizzatore piacentino abbia bisogno di troppe tutele. Il lavoro sporco per la finanza predatoria e per le euro-oligarchie sa farlo da sé, ma sapete come sono i banchieri e gli strozzini: per loro le garanzie non sono mai troppe.
A questo punto, prima di cercare di capire come potranno sciogliersi le attuali incertezze, diciamo subito qual è l'unica certezza. Essa riguarda quello che sarà l'asse attorno al quale si costruiranno il nuovo governo e gli assetti politici della prossima legislatura. Stiamo parlando dell'asse Bersani-Casini-Monti, l'asse dell'euro, del rigore, del dogma europeista. Il tanto vituperato Porcellum garantirà infatti a Bersani la vittoria elettorale, con qualche incertezza al Senato. Ma non saranno tanto queste incertezze a costringere all'alleanza con il blocco centrista, quanto piuttosto la precisa scelta del Pd di muoversi in questa direzione.
«Alleanza tra progressisti e moderati», ripete tutti i giorni Bersani. Che poi sia «progressista» consegnare il futuro del paese ai vampiri della finanza è un altro discorso, come del resto ci sarebbe da ridire sulla «moderazione» di chi sa solo immaginare una politica di strangolamento di ogni diritto sociale. Ma il punto non è questo. Il punto è che quella alleanza è obiettivamente l'unica in grado di proseguire con la politica imposta dalla UE, esemplificata assai sciattamente nella cosiddetta «Agenda Monti».
Questo le oligarchie lo sanno. Come sanno anche che il consenso reale alla loro politica è in picchiata libera. Dunque devono mettere assieme quel che hanno, in concreto il Pd e il costruendo blocco centrista. Esse sanno anche che le elezioni hanno le loro regole. Dunque a Bersani sarà consentito coprirsi a sinistra con l'orecchino di Vendola, mentre a Casini sarà permessa qualche battuta sul tasso di «sinistra» (bum!) presente nella coalizione bersaniana. Idiozie da campagna elettorale che lasciano il tempo che trovano.
Il fatto è che oggi solo questi due soggetti aderiscono appieno all'ideologia eurista, giurano sul pareggio di bilancio, garantiscono il Fiscal compact. E questo è quel che conta. Si tratta però di due soggetti diversi. Il Pd è l'unico partito ancora strutturato, uscito spennacchiato ma salvo dai disastri della seconda repubblica, il blocco centrista è invece ancora un incerto cantiere. Ovvio che spetti al primo l'onere del governo, ed al secondo un ruolo da contrappeso. Un bilanciamento utile alle oligarchie, non tanto per spostare al «centro» il centrosinistra - lasciamo perdere, per favore, questi sragionamenti geografici ormai inutili a comprendere le cose - quanto per rendere più debole ogni soggetto politico in modo da poterlo così etero-dirigere meglio, magari dal Colle quirinalizio.
E' per questa ragione che si pone la questione dell'eventuale candidatura di Monti. Per rimpolpare i centristi, le cui pretese sono inversamente proporzionali ai voti previsti. Candidarsi non per vincere, che è palesemente impossibile, ma per determinare equilibri di potere un po' diversi nel futuro asse di governo. Per ragioni un po' più volgari, chiedono a San Monti il miracolo gli Udc, i Fli, i Monteprezzemoliani, i transfughi da destra (Frattini, Pisanu e soci) e quelli possibili dal centrosinistra (Fioroni ed altri). Senza dimenticare i suoi «tecnici», che non sembrano disdegnare troppo il finora deprecato scranno parlamentare. Un po' troppi anche per l'uomo del Bilderberg...
Oggi [ieri, 15 dicembre, Ndr] metà compagine governativa è annunciata ad Assisi, dove senza arrossire tenteranno pure di impossessarsi di San Francesco. Non gli riuscirà, ma a loro basta la comparsa televisiva (oggi c'è la registrazione) la mattina di Natale. Cosa non si fa per la campagna elettorale... Il loro sguardo però sarà altrove. Rivolto verso un altro santo: San Sondaggio, protettore dei paracadutati nella politica di un regime senza onore e senza pudore. Un tempo certe scelte le avrebbe fatte un congresso, un organismo dirigente regolarmente eletto; oggi - nella politica oligarchica travestita da tecnica - si decide in chiuse stanze leggendo i sondaggi. Che almeno gli vadano di traverso!
Se i sondaggisti districheranno la confusione al «centro», non è ancora ben chiaro chi la risolverà nel campo della destra (e del Pdl in particolare), né in quello di una sinistra ancora confusa tra l'arancione giustizialista, il minimalismo professorale di Alba, l'esigenza del Prc di rientrare in parlamento.
Ma torniamo a noi. O meglio a Monti Mario. Abbiamo già detto che se l'asse degli eurosacrifici è deciso, più incerti sono gli equilibri interni che si determineranno. Ai centristi che vorrebbero modificarli a loro favore, ha risposto il Pd con il duo Bersani-D'Alema, il primo nel ruolo del poliziotto buono, il secondo in quello del poliziotto cattivo. D'Alema - non senza ragioni - ha definito l'eventuale candidatura di Monti, necessariamente alternativa al Pd, «moralmente discutibile». Una richiesta di non candidarsi, che in bocca al presidente del Copasir suona come un preciso avvertimento.
Il braccio di ferro in corso tra i futuri sposi del dopo-elezioni non è cosa di poco conto. Si tratta del più classico degli scontri di potere all'interno dello stesso blocco dominante. Vedremo come andrà a finire. Di certo il suo esito non cambierà però lo scenario di fondo. L'asse degli eurosacrifici è ormai definito. Se ne dovranno fare una ragione nel Pdl, ma ancor di più nell'area a sinistra del Pd. Dopo le elezioni, Vendola dovrà scegliere tra l'ingoiare il rospo e lo sfilarsi dalla maggioranza di governo: due opzioni entrambe disastrose per i destini di Sel. In quanto al fritto misto Arancioni-Alba-Prc, l'ipotesi del condizionamento di Bersani appare già ora ridicola ancor più che irrealistica.
Ricapitolando, abbiamo detto che abbiamo una certezza ed ancora molta confusione. Ma abbiamo iniziato affermando che questa confusione potrebbe essere - a certe condizioni - il segno di una situazione potenzialmente eccellente. Perché questo ottimismo? Per due motivi: primo, perché si tratta di un caos che ci indica le difficoltà presenti nel blocco dominante; secondo, perché l'asse degli eurosacrifici potrebbe alla fine risultare assai meno forte di quel che sembra.
Le elezioni non saranno il momento del redde rationem, perché un governo montista riusciranno in qualche modo a insediarlo. Ma con quale consenso? Questo è il punto che ci interessa, perché l'asse Bersani-Casini-Monti andrà senz'altro al governo, ma più sarà debole e più sarà possibile porsi subito l'obiettivo di farlo saltare. In fondo, almeno per questa volta, si voterà in Italia e non a Bruxelles.
4 commenti:
faccio notare lo schiaffo subito da Bersani quando il "socialista" Hollande ha fatto l'endorsement per Monti. Non solo il PPe dunque per Monti-Bis. Ed infatti il Bersani oggi non ha sparato a zero contro la scesa in campo di Monti.
Non pensate che il movimento5stelle possa scompaginare molto di piu' i giochi di questi criminali dell'astensionismo su cui contate?
Cara Chiara, il mov.5 stelle, è...il vecchio che avanza.
Anche con tutte le buone intenzioni di questo mondo da parte dei suoi attivisti, NON GLI PERMETTERANNO MAI DI ENTRARE NELLA STANZA DEI BOTTONI.
Ma ammesso e concesso che ci riuscissero, cosa vogliono fare costoro, un mov. politico INTERCLASSISTA?
Il grosso dell'elettorato del 5 stelle, è costituito da reazionari, quindi, conservatori.
Tutto quello che potranno fare, è un po di caciara, ed anche questa è utile alla conservazione di potere del sistema sociopolitico italiano.
Su Grillo ti consiglio questo link se vorrai leggerlo: http://diciottobrumaio.blogspot.it/2012/05/panem-et-circenses.html
Auguri e saluti da Franco
del Mpl sono solo simpatizzante, ma mi pare di interpretare bene la linea del nostro movimento: dare una spallata allo schieramento montiano (da Vendola a Berlusconi).
le elezioni sono solo un passaggio, ma possono contribuire a battere il nemico principale.
Io spero che questo sonoro No popolare al montismo emerga anche nelle urne. Le chiacchiere stanno a zero: ciò avverrà solo con una grande affermazione del M5S.
Ciao a tutti.
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