«Svendere il patrimonio pubblico? Meglio pensare a una strategia di uscita dall'euro»
D. Brancaccio, davvero quello che era considerato impossibile fino a qualche mese fa, ovvero l’uscita dall’Italia dall’euro, ora è una possibilità reale?
R. «Sì, perchè l’euro non ha raggiunto gli obiettivi per cui è stato creato. L’auspicato compromesso tra i paesi forti come la Germania da un lato e la Francia e l’area mediterranea dall’altro non si è mai realizzato. Gli Stati hanno interessi divergenti che non si riescono a ricomporre. E ognuno va per la sua strada. Così l’euro si configura sempre di più come un vestito tagliato su misura per l’economia tedesca. Che ne trae vantaggi a livello di competitività delle sue imprese a scapito dei Paesi periferici. Così la zona euro è fortemente sbilanciata in favore degli interessi dell’economia più forte. E la crisi lo dimostra, perché colpisce in modo asimmetrico: La Germania è toccata in misura minore, mentre altri vanno a picco».
Insomma, l’euro ha fallito la sua missione?
«Nell’attuale configurazione sì. E lo dimostra il fatto che l’area euro si è dimostrata la più fragile del mondo di fronte all’onda di crisi che veniva dagli Stati Uniti».
Quindi si va verso la fine della moneta unica?
«Il problema è che in Germania non sembrano convinti che convenga salvare l’euro. I gruppi dirigenti tedeschi reputano sostenibile il costo dell’uscita dall’euro per le loro imprese e le loro banche. L’unico fattore che spaventa la Germania è che la deflagrazione della moneta unica ponga fine anche al mercato comune europeo. Il motivo è che i tedeschi hanno lungamente prosperato sulla libera circolazione dei capitali e delle merci e vogliono preservarla. Ma nessuno, tanto meno Monti, sembra avere il coraggio di minacciare una opzione “neo-protezionista” da parte dei paesi deboli per indurre la Germania a rendere più equilibrata l’Unione. Allo stato attuale, dunque, è improbabile che l’euro sopravviva. La Bce può anche continuare a comprare i titoli dei paesi in difficoltà, ma non potrà farlo per sempre anche perché nel Consiglio direttivo le opinioni sono discordanti. Può al limite prolungare l’agonia, ma col passare del tempo l’attuale zona euro è destinata a saltare».
Quando succederà?
«George Soros ha parlato di un orizzonte di pochi mesi. E il Fondo Monetario Internazionale anziché smentirlo si è accodato. Dopo le dichiarazioni di Draghi questo orizzonte si è allargato, ma non credo di molto. Comunque, piuttosto che continuare così, sarebbe meglio tagliare i legami ora piuttosto che essere costretti a farlo dopo, quando la desertificazione produttiva del Paese sarà compiuta».
Quindi l’Italia deve decidere l’uscita?
«Non mi pare che si annuncino svolte credibili a favore di un effettivo rilancio e di un coordinamento dello sviluppo europeo, e quindi sarebbe bene iniziare a preparare una strategia di uscita. Oltretutto senza l’Italia la zona euro non sopravviverà, ci sarà un effetto a catena che porterà alla fine della moneta unica, almeno nella versione attuale».
Una decisione che alcuni giudicano catastrofica.
«Bisogna evitare una sterile contrapposizione tra catastrofisti e iperottimisti. L’uscita dall’euro non sarebbe certo una passeggiata. E’ urgente definire i possibili criteri di uscita, che avrebbero implicazioni diverse sui diversi gruppi sociali. A mio avviso, per esempio, un meccanismo di indicizzazione dei salari sarebbe assolutamente necessario. Inoltre, rendere esplicita la possibilità che i paesi deboli limitino la libera circolazione dei capitali e delle merci potrebbe mettere in chiaro i rischi che la stessa Germania sta correndo. A date condizioni, dunque, il ritorno alla sovranità monetaria potrebbe avere un effetto benefico sull’occupazione e i redditi. Del resto, l’analisi va fatta confrontandoci con le alternative: restare in questo stallo per anni sarebbe peggio. Così non si può continuare».
Una decisione di questa portata può essere presa dal governo Monti o dovrebbe essere presa da un esecutivo politico?
«Dubito che Monti possa prendere una decisione simile. Questo dovrebbe essere un tema centrale del dibattito politico ed elettorale. In Italia bisognerebbe tornare a un governo espressamente politico, anche perché la pretesa di attribuire ai tecnocrati proprietà taumaturgiche si è dimostrata infondata. Dalle crisi economiche non si esce affidando il timone ai tecnici, come viene da tempo preconizzato dalla Trilateral Commission. Al contrario, bisognerebbe rivitalizzare i processi democratici».
Quindi lei non salva nulla della politica economica del governo Monti? E’ appena stata approvata la spending review. E’ stato annunciato un piano anti-debito con la vendita di patrimonio pubblico.
«Sotto il termine spending review si nasconde in realtà un pezzo ulteriore di manovra, a scoppio ritardato. Vedo pochi tagli agli sprechi e molti tagli indiscriminati, basti vedere la stretta nei confronti di importanti enti di ricerca. Per quanto riguarda le vendite del patrimonio pubblico, anche ammettendo per pura ipotesi che si possa arrivare a un introito di 400 miliardi di euro, con gli interessi sul debito al 4 per cento in realtà il risparmio annuo dello Stato si aggirerebbe intorno ai 15 miliardi. Insomma, un piano colossale che rischia di partorire un topolino».
Il suo ultimo libro si intitola “L’austerità è di destra e sta distruggendo l’Europa”. E’ questa la causa del fallimento dell’Ue?
«Il titolo vuole essere un monito anche alla sinistra. Significa che le politiche di taglio alla spesa pubblica e di aumento della pressione fiscale colpiscono in primo luogo le fasce più deboli, e a cascata riducono la capacità delle famiglie e delle imprese, deprimendo la domanda di merci, con le imprese che abbattono la produzione e licenziano. E i redditi cadono, il che rende più difficile il rimborso dei debiti. In questo senso le politiche di austerità perseguite da tutti i governi, di destra e di sinistra, stanno impoverendo e, quindi, distruggendo l’Europa.
di Emiliano Brancaccio*
Intervista di Gianluca Roselli
Intervista di Gianluca Roselli
Il bluff londinese di Mario Draghi (fine luglio) evitò che le aste di titoli spagnola e italiana affondassero l'euro. Che fosse un bluff lo confermerà lui stesso nella conferenza stampa subito dopo il Consiglio direttivo della Bce: «Le mie frasi di Londra della settimana scorsa sono state “fraintese” dai mercati». Proprio in questa occasione Draghi precisò che nuovi eventuali acquisti di titoli da parte della Bce erano non sono vincolati a condizioni strettissime ma subordinati all'attivazione del "fondo salva-stati" ESM/MES. Per questo molto dipende dalla sentenza della Corte costituzionale tedesca, il 12 settembre, sulla legittimità del fondo ESM, micidiale tritacarne di diritti sociali e sovranità nazionali. Tempesta finanziaria rimandata quindi. Nel frattempo la recessione si approfondisce, lo spread sale, la finanza mondiale scappa dai titoli spagnoli e italiani, in Germania si consolidano le posizioni per una zona euro dei soli "pasi forti (Il «falco» tedesco Issing senza freni: via i Paesi deboli dall'euro, e chi chiede gli eurobond stia zitto). La "mano invisibile del mercato" scommette sulla fine imminente dell'euro e alla fine avrà la meglio sulla resistenza dell'euro-tecnocrazia.
La sinistra italiana è divisa in due schieramenti suicidi: la maggioranza è pro-euro a prescindere, l'altra tace blatera come se niente fosse. Di grande rilevanza, dunque, quanto afferma Emiliano Brancaccio. Solo fino a pochi mesi fa considerato economista di riferimento di molti sinistrati, oggi è vittima del loro ostracismo.
D. Brancaccio, davvero quello che era considerato impossibile fino a qualche mese fa, ovvero l’uscita dall’Italia dall’euro, ora è una possibilità reale?
R. «Sì, perchè l’euro non ha raggiunto gli obiettivi per cui è stato creato. L’auspicato compromesso tra i paesi forti come la Germania da un lato e la Francia e l’area mediterranea dall’altro non si è mai realizzato. Gli Stati hanno interessi divergenti che non si riescono a ricomporre. E ognuno va per la sua strada. Così l’euro si configura sempre di più come un vestito tagliato su misura per l’economia tedesca. Che ne trae vantaggi a livello di competitività delle sue imprese a scapito dei Paesi periferici. Così la zona euro è fortemente sbilanciata in favore degli interessi dell’economia più forte. E la crisi lo dimostra, perché colpisce in modo asimmetrico: La Germania è toccata in misura minore, mentre altri vanno a picco».
Insomma, l’euro ha fallito la sua missione?
«Nell’attuale configurazione sì. E lo dimostra il fatto che l’area euro si è dimostrata la più fragile del mondo di fronte all’onda di crisi che veniva dagli Stati Uniti».
Quindi si va verso la fine della moneta unica?
«Il problema è che in Germania non sembrano convinti che convenga salvare l’euro. I gruppi dirigenti tedeschi reputano sostenibile il costo dell’uscita dall’euro per le loro imprese e le loro banche. L’unico fattore che spaventa la Germania è che la deflagrazione della moneta unica ponga fine anche al mercato comune europeo. Il motivo è che i tedeschi hanno lungamente prosperato sulla libera circolazione dei capitali e delle merci e vogliono preservarla. Ma nessuno, tanto meno Monti, sembra avere il coraggio di minacciare una opzione “neo-protezionista” da parte dei paesi deboli per indurre la Germania a rendere più equilibrata l’Unione. Allo stato attuale, dunque, è improbabile che l’euro sopravviva. La Bce può anche continuare a comprare i titoli dei paesi in difficoltà, ma non potrà farlo per sempre anche perché nel Consiglio direttivo le opinioni sono discordanti. Può al limite prolungare l’agonia, ma col passare del tempo l’attuale zona euro è destinata a saltare».
Quando succederà?
«George Soros ha parlato di un orizzonte di pochi mesi. E il Fondo Monetario Internazionale anziché smentirlo si è accodato. Dopo le dichiarazioni di Draghi questo orizzonte si è allargato, ma non credo di molto. Comunque, piuttosto che continuare così, sarebbe meglio tagliare i legami ora piuttosto che essere costretti a farlo dopo, quando la desertificazione produttiva del Paese sarà compiuta».
Quindi l’Italia deve decidere l’uscita?
«Non mi pare che si annuncino svolte credibili a favore di un effettivo rilancio e di un coordinamento dello sviluppo europeo, e quindi sarebbe bene iniziare a preparare una strategia di uscita. Oltretutto senza l’Italia la zona euro non sopravviverà, ci sarà un effetto a catena che porterà alla fine della moneta unica, almeno nella versione attuale».
Una decisione che alcuni giudicano catastrofica.
«Bisogna evitare una sterile contrapposizione tra catastrofisti e iperottimisti. L’uscita dall’euro non sarebbe certo una passeggiata. E’ urgente definire i possibili criteri di uscita, che avrebbero implicazioni diverse sui diversi gruppi sociali. A mio avviso, per esempio, un meccanismo di indicizzazione dei salari sarebbe assolutamente necessario. Inoltre, rendere esplicita la possibilità che i paesi deboli limitino la libera circolazione dei capitali e delle merci potrebbe mettere in chiaro i rischi che la stessa Germania sta correndo. A date condizioni, dunque, il ritorno alla sovranità monetaria potrebbe avere un effetto benefico sull’occupazione e i redditi. Del resto, l’analisi va fatta confrontandoci con le alternative: restare in questo stallo per anni sarebbe peggio. Così non si può continuare».
Una decisione di questa portata può essere presa dal governo Monti o dovrebbe essere presa da un esecutivo politico?
«Dubito che Monti possa prendere una decisione simile. Questo dovrebbe essere un tema centrale del dibattito politico ed elettorale. In Italia bisognerebbe tornare a un governo espressamente politico, anche perché la pretesa di attribuire ai tecnocrati proprietà taumaturgiche si è dimostrata infondata. Dalle crisi economiche non si esce affidando il timone ai tecnici, come viene da tempo preconizzato dalla Trilateral Commission. Al contrario, bisognerebbe rivitalizzare i processi democratici».
Quindi lei non salva nulla della politica economica del governo Monti? E’ appena stata approvata la spending review. E’ stato annunciato un piano anti-debito con la vendita di patrimonio pubblico.
«Sotto il termine spending review si nasconde in realtà un pezzo ulteriore di manovra, a scoppio ritardato. Vedo pochi tagli agli sprechi e molti tagli indiscriminati, basti vedere la stretta nei confronti di importanti enti di ricerca. Per quanto riguarda le vendite del patrimonio pubblico, anche ammettendo per pura ipotesi che si possa arrivare a un introito di 400 miliardi di euro, con gli interessi sul debito al 4 per cento in realtà il risparmio annuo dello Stato si aggirerebbe intorno ai 15 miliardi. Insomma, un piano colossale che rischia di partorire un topolino».
Il suo ultimo libro si intitola “L’austerità è di destra e sta distruggendo l’Europa”. E’ questa la causa del fallimento dell’Ue?
«Il titolo vuole essere un monito anche alla sinistra. Significa che le politiche di taglio alla spesa pubblica e di aumento della pressione fiscale colpiscono in primo luogo le fasce più deboli, e a cascata riducono la capacità delle famiglie e delle imprese, deprimendo la domanda di merci, con le imprese che abbattono la produzione e licenziano. E i redditi cadono, il che rende più difficile il rimborso dei debiti. In questo senso le politiche di austerità perseguite da tutti i governi, di destra e di sinistra, stanno impoverendo e, quindi, distruggendo l’Europa.
* Fonte: emilianobrancaccio
** Una versione ridotta è stata pubblicata si Libero quotidiano
7 commenti:
che ne pensate di questo : http://www.rischiocalcolato.it/2012/08/boooom-la-bce-ha-autorizzato-il-primo-vero-quantitative-easing-in-grecia-per-farsi-pagare-i-suoi-bond.html
sì, è esatto, e questo sito non aveva mancato di segnalarlo per tempo
Finalmente anche Brancaccio ha sciolto la sua riserva, ha abbandonato le sue perplessità e ha parlato chiaramente della necessità d'una strategia di uscita dall'euro.
Scrivete stronzate.Ma quanti anni avete? L'ocse ha dichiarato più volte a suo tempo e con l'Italia della LIRA che le cose non andavano bene,anzi a metà anni 90' c'era il rischio bancarotta della lira.Poi l'euro e all'inizio tutto d'accordo e quelli di estrema destra che andavano contro l'euro venivano come sempre derisi.Fatemi il piacere,prima di scrivere andate nei database dei giornali provate a fare ricerche,documentatevi e vedrete che solo per la crisi del 1992 lo spread nel 1995 aveva toccato quota 700 (quasi) ,ma non fregava nulla a nessuno.Oramai tornare ad una lira non servirebbe a nulla,Brancaccio è ubriaco,solo qualche anno fa sosteneva l'esatto contrario...adesso tutti maestri,ma per favore!!!
Caro anonimo, francamente è risibile la tua supponenza. Si vede che manchi dei fondamentali. Comunque, se trovi il tempo di fare un giro nell'archivio di sollevazione troverai una messe, non solo di dati scientifici, ma di opinioni di analisti ed economisti, anche di diverse scuole, che forse ti aiuteranno a schiariti le idee. Li troverai anche sulla vicenda della Crisi italiana del 1992, sulla quale, scusaci... scrivi una colossale "stronzata".
Caro anonimo: nel 95 non rischiavamo di fallire a differenza di adesso perché avevamo guadagnato un surplus commerciale superiore a quello della Germania ( grazie alla svalutazione del 92, che se fosse stata fatta subito si sarebbero evitati agli italiani inutili manovre, prelievi forzosi, e l' aver bruciato le riserve di marchi, di quel periodo ci sono da condannare solo le privatizzazioni, anzi svendite ) .. forse è per questo che nel 96- 97 non gli è poi dispiaciuto tanto ai nord - europei farci rientrare nello SME. Fai lo stesso errore del main - strem: guardi solo il debito pubblico e non quello privato.
Ma in ogni caso se è quello pubblico che ti preoccupa il punto è che oltre alla lira, la banca d' italia va rimessa sotto il tesoro, alle banche vanno rimessi i vincoli di portafoglio e i movimenti di capitale vanno limitati.
se qualcuno non è d'accordo nemmeno sull'uscita dall'euro, questa repubblica è proprio alla frutta! Non capisco proprio come si possa essere felici e giulivi quando si viene conquistati! perchè questa inermità??? qualcuno ha una risposta.....?
DUM ROMAE CONSULITUR SAGUNTUM EXPUGNATUM EST
martin pescatore
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