Il tubetto di dentifricio
di Leonardo Mazzei
L'ottavo congresso del Prc è ormai consegnato agli archivi. Ci eravamo chiesti (vedi Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista) se il Prc sarebbe stato capace di cogliere la possibilità di una svolta politica, dettata dal nuovo contesto segnato dal golpe bianco che ha portato al potere Monti e la sua cricca di «professori».
La risposta giunta da Napoli è pressappoco questa: «No, non ne siamo capaci, ci basta galleggiare restando nell'orbita del Pd». Di fronte al massacro sociale operato dal governo Monti, davanti alla necessità di costruire un'opposizione sistemica, il gruppo dirigente ferreriano ha scelto la strada della continuità, dunque quella dell'inutilità politica conclamata.
L'intervento conclusivo del segretario è stato davvero illuminante. Ferrero ha impiegato i primi venti minuti della sua replica per difendere la politica delle alleanze con il Pd, ed il successivo quarto d'ora per spiegare, peraltro assai malamente, che l'uscita dall'euro sarebbe una «follia».
Con questo micidiale uno-due al volto delle possibili speranze di ripresa del suo partito, Ferrero - che ha così riscosso gli applausi convinti della destra governista della sua maggioranza congressuale - ha mostrato fin dove possa arrivare un ceto politico irriformabile pur di non doversi mai mettere in discussione. L'approdo, in questo caso, è l'autolesionismo puro e semplice. La politica delle alleanze con il Pd, tanto più dopo le vicende delle ultime settimane, conduce non solo alla subalternità, ma pure all'irrilevanza, minando alla radice ogni ipotesi di alternativa, ma anche gli stessi interessi della «ditta». Ma questo ce lo dirà il futuro. Intanto, limitiamoci alle conclusioni del congresso di Napoli.
La parte dedicata alla strenua difesa della politica delle alleanze con il centrosinistra è stata sinceramente penosa, quella sull'euro e l'Europa semplicemente folle e dilettantesca.
Sulle alleanze Ferrero ce l'ha messa tutta, ma proprio tutta, per demonizzare ogni correzione di linea. Sono passati 17 anni dalla «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto, 15 dalla «desistenza» e 10 dalla «non belligeranza» bertinottiana, 5 dalle illusioni unioniste, ed ancora ci si rifiuta di tracciare un bilancio storico-politico di una simile impostazione. Se nel documento congressuale di ottobre si insisteva sulla strada del «Fronte democratico tra le forze di sinistra e di centrosinistra per sconfiggere le destre», che senso ha continuare a farlo oggi di fronte al governo del centro-sinistra-destra unite nella lotta contro il popolo lavoratore?
Oggi, l'unico fronte democratico dovrebbe essere costruito contro il governo più antidemocratico del dopoguerra. Ma se quel governo ha proprio nel Pd (oltre che nei centristi) i sostenitori più convinti, qualcosa dovrà pur significare, o no?
Pur di non dover entrare nel merito delle implicazioni strategiche di questa politica, Ferrero si è sgolato per derubricare il tema delle alleanze elettorali a questione meramente tattica. Nel disperato tentativo di riuscirci ha fatto finta di dimenticarsi che, lo si voglia o no, le alleanze elettorali hanno inevitabilmente una stretta parentela con quelle di governo. Dovendo riconoscere che tutte le numerose scissioni subite dal Prc sono avvenute tutte, ma proprio tutte (chissà perché!), su questo terreno, ha quasi implorato il proprio partito di non farlo più. Ha così cercato di cancellare un fatto elementare: che l'essenza di un partito è la sua linea politica, ed è su quella che viene giudicato dagli iscritti, dai simpatizzanti, dagli elettori.
Rendendosi forse conto di quanto fosse vano il suo sforzo, il segretario di Rifondazione è ricorso all'arma segreta, una formula che recita così: «Il tema elettorale è decisivo per l'esistenza del partito, mentre è irrilevante per la costruzione dell'alternativa». E qui siamo alla schizofrenia pura, dato che normalmente non si partecipa alle elezioni solo per «esistere», cioè per strappare qualche strapuntino parlamentare, ma anche per proporre un proprio programma ed una propria visione della società se non proprio del mondo. Che poi non sia quello il terreno della trasformazione siamo i primi a dirlo. Ma che sia possibile utilizzare una sorta di taxi bersaniano, per conquistarsi una tribuna (ed un bel finanziamento), per poi guidare l'opposizione contro il governo che si è contribuito ad insediare a Palazzo Chigi, questo ci sembra davvero troppo. Ci sbagliamo? Si ripercorra con la mente tutti i tentativi, poc'anzi richiamati, della ventennale storia rifondarola e si giungerà facilmente alla risposta. Molti militanti onesti la risposta se la sono già data, mentre il gruppo dirigente mostra una notevole allergia anche alla semplice domanda.
Naturalmente Ferrero ha utilizzato tutto l'armamentario retorico a disposizione: l'importanza della vittoria di Pisapia a Milano, il caso delle liste No Tav alleate con il Pd nella Comunità Montana della Val di Susa, la necessità di non erigere muri verso il partito di Bersani onde facilitare il «traffico» - questo il linguaggio da vigile urbano del segretario del Prc - dal Pd a Rifondazione. Fino ad arrivare alla scomunica di ogni posizione dissenziente: «Se dicessimo "mai con il centrosinistra" rinunceremmo a far politica». Benissimo, fate allora politica, che è proprio su quello che verrete giudicati.
Dopo venti minuti di questa solfa - e meno male che si trattava di una mera questione tattica! - di cosa si è occupato Ferrero? L'abbiamo già detto, della difesa dell'euro. La cosa non ci dispiace, dato che di sovente la lingua batte dove il dente duole, ed evidentemente nel Prc non proprio tutti sono convinti delle posizioni del gruppo dirigente.
«Noi siamo contrari alla parola d'ordine del passaggio dall'euro alla lira», questa la frase decisiva del segretario. Utilizzando una metafora alpinistica, Ferrero ha parlato di «punto di non ritorno». A suo avviso, questa strada «si poteva decidere prima, ma oggi l'idea che si possa uscire è sbagliata, folle». Ma guarda un po', si poteva decidere prima! Già, e quando? Forse in quel periodo (1996-1998) in cui l'Italia aderì all'euro, Rifondazione era dedita alla costruzione dell'alternativa, dopo aver utilizzato gratis l'autobus prodiano? No, Rifondazione - e Paolo Ferrero era in segreteria - aveva le mani in pasta, appoggerà la politica di Prodi, e voterà le sue «finanziarie per l'Europa». Altri, tra i quali il sottoscritto, si opporranno a quella politica del partito, ma non ci risulta che alcun Paolo Ferrero abbia allora manifestato il benché minimo dubbio sulla linea ultra-europeista del governo.
Una scelta sbagliata l'uscita dall'euro, dice dunque l'ex ministro del governo unionista. Una scelta addirittura folle, nel senso di impossibile, perché come egli ci spiega con fine metafora «sarebbe come far tornare il dentifricio nel tubetto». Francamente non ci aspettavamo una simile visione storicista, nella quale la storia, appunto, fluisce sempre in modo unidirezionale. Ma qui non si tratta neppure della Storia con la esse maiuscola, bensì delle scelte politiche delle attuali oligarchie. Scelte che le stesse oligarchie potrebbero rimettere in discussione, qualora ciò corrispondesse ai loro interessi. Del resto, passando dal campo dei dominanti a quello dei dominati, fino a vent'anni fa in molti pensavano che anche il welfare o i diritti pensionistici fluissero ormai come un dentifricio impossibile da far rientrare nel tubetto. Oggi sappiamo che non è così. Ma per Paolo Ferrero l'euro è un dogma.
Che cosa viene proposto allora nelle sue conclusioni? «Non siamo per l'uscita dall'euro... siamo per rovesciare le politiche della Bce e della Merkel... per obbligare la Germania a cambiare politica». Mentre la riconquista della sovranità nazionale (di cui quella monetaria è un aspetto decisivo) non viene neppure presa in considerazione, ci si lancia in proclami guerreschi quanto grotteschi. Per negare la necessità di una sollevazione popolare nel nostro paese, si evocano rivolgimenti totali nell'assetto dell'Unione Europea, come se questa fosse una via più realistica.
E' il solito vecchio trucco del socialismo della domenica, le cui bandiere rosse al vento volevano far dimenticare la bassa cucina politica esercitata nei giorni feriali, quando cioè si fanno le cose che contano. Ovviamente Ferrero dice anche cose condivisibili, ma - come tutti i massimalisti - le impasta in maniera irresponsabile. Grandi proclami, dunque, meglio se palesemente fuori portata, perché la peggior praticaccia politica troverà sempre la migliore giustificazione proprio in un lontano «sol dell'avvenir».
Tralasciamo qui, per carità di patria, alcuni sfondoni contenuti nelle argomentazioni economiche ferreriane - come quando ha spiegato alla platea congressuale gli effetti dell'Euro Plus Pact, calcolando l'obiettivo del 60% sul debito totale anziché sul Pil come richiesto dal Patto. Dettagli, ma comunque significativi, dato che un simile errore certo non sarebbe stato fatto se anziché di percentuali che riguardano la vita di milioni di persone si fosse trattato di quelle che possono determinare la pensione parlamentare di alcune decine di membri del gruppo dirigente...
Ma lasciamo perdere. Quel che conta è invece la formidabile teoria del tubetto di dentifricio. Sulla quale notiamo tuttavia una certa schizofrenia. Su Liberazione del 10 dicembre leggiamo infatti un articolo dal titolo «L'ordine di Berlino regna in Europa», autore lo stesso Ferrero. Ora, a parte il fatto che questo insistere sull'«ordine di Berlino» è anche un modo per rifugiarsi sotto le ali obamiane, alle quali Ferrero ha fatto accenno nelle sue conclusioni napoletane, la cosa più interessante è però un'altra. Leggiamo:
«Penso infatti che con il vertice di ieri si è fatto un deciso passo in avanti verso il baratro della crisi e la demolizione dell'Euro. In questa condizione la rivendicazione che Monti la smetta di fare il cameriere della Merkel e dica chiaramente che non restituiamo i capitali alle banche tedesche è l'unico atto responsabile da chiedere al governo italiano».
Come, come, come?
Avete letto bene: è stato compiuto un passo decisivo per la demolizione dell'euro. Che la Merkel lo rimetta nel tubetto? Ma non era impossibile? Se fossimo semplicemente davanti ad uno dei tanti casi di auto-contraddittorietà di un politico di medio livello non vi sarebbe notizia alcuna. Qui però il problema è un altro. Ed è esattamente questo: mentre si assiste all'implosione dell'area euro - con le sofferenze imposte alle classi popolari di tutto il continente, ma in misura maggiore a quelle dei paesi con il debito pubblico più elevato - si ammette che una parte delle classi dirigenti possa puntare al dissolvimento della moneta unica (mentre un'altra parte la vuol difendere costi quel che costi), ma non si ammette che se ne possa anche solo discutere nell'ambito delle forze che vorrebbero costruire un'opposizione al massacro sociale in corso, perché lo impedisce il dogma del tubetto.
L'Unione Europea non è il progresso, assai più modestamente l'UE è la struttura che si è dato il capitalismo europeo, prima per meglio assolvere il ruolo antisovietico durante la guerra fredda, poi per favorire al massimo il processo di finanziarizzazione che ha condotto all'attuale capitalismo-casinò. Il risultato è sotto i nostri occhi: l'area euro è il paradiso della speculazione, l'UE è la tomba dei diritti sociali e della stessa democrazia. L'unica Europa che esiste è questa.
Dall'euro si uscirà, ma come? Il come è decisivo e altrettanto decisivo è il chi guiderà il processo. Per questo dobbiamo guardare alla prospettiva di una sollevazione popolare, non a quella irrealistica della rifondazione della Bce e dell'Ue. Ma dall'euro si uscirà perché necessario: vogliamo che siano prima le classi dominanti (o parti di esse) a proclamare questa necessità? E magari con la sinistra che rimane a fare la guardia di un bidone ormai vuoto?
Speriamo che non si arrivi a tanto. Certo, le conclusioni dell'ottavo congresso del Prc non aiutano.
La seconda possibilità di rinascita, dopo quella del 2008, è stata totalmente mancata. Ce ne dispiace, ma non ci stupisce. In ogni caso ne prendiamo atto. Come, crediamo, ne prenderanno atto tutti quei compagni che, in assenza di alternative credibili ai loro occhi, agiscono ancora all'interno del Prc nella speranza di mutarne gli indirizzi. Il tempo stringe ed è il momento delle scelte.
L'intervento conclusivo del segretario è stato davvero illuminante. Ferrero ha impiegato i primi venti minuti della sua replica per difendere la politica delle alleanze con il Pd, ed il successivo quarto d'ora per spiegare, peraltro assai malamente, che l'uscita dall'euro sarebbe una «follia».
Con questo micidiale uno-due al volto delle possibili speranze di ripresa del suo partito, Ferrero - che ha così riscosso gli applausi convinti della destra governista della sua maggioranza congressuale - ha mostrato fin dove possa arrivare un ceto politico irriformabile pur di non doversi mai mettere in discussione. L'approdo, in questo caso, è l'autolesionismo puro e semplice. La politica delle alleanze con il Pd, tanto più dopo le vicende delle ultime settimane, conduce non solo alla subalternità, ma pure all'irrilevanza, minando alla radice ogni ipotesi di alternativa, ma anche gli stessi interessi della «ditta». Ma questo ce lo dirà il futuro. Intanto, limitiamoci alle conclusioni del congresso di Napoli.
La parte dedicata alla strenua difesa della politica delle alleanze con il centrosinistra è stata sinceramente penosa, quella sull'euro e l'Europa semplicemente folle e dilettantesca.
Sulle alleanze Ferrero ce l'ha messa tutta, ma proprio tutta, per demonizzare ogni correzione di linea. Sono passati 17 anni dalla «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto, 15 dalla «desistenza» e 10 dalla «non belligeranza» bertinottiana, 5 dalle illusioni unioniste, ed ancora ci si rifiuta di tracciare un bilancio storico-politico di una simile impostazione. Se nel documento congressuale di ottobre si insisteva sulla strada del «Fronte democratico tra le forze di sinistra e di centrosinistra per sconfiggere le destre», che senso ha continuare a farlo oggi di fronte al governo del centro-sinistra-destra unite nella lotta contro il popolo lavoratore?
Oggi, l'unico fronte democratico dovrebbe essere costruito contro il governo più antidemocratico del dopoguerra. Ma se quel governo ha proprio nel Pd (oltre che nei centristi) i sostenitori più convinti, qualcosa dovrà pur significare, o no?
Pur di non dover entrare nel merito delle implicazioni strategiche di questa politica, Ferrero si è sgolato per derubricare il tema delle alleanze elettorali a questione meramente tattica. Nel disperato tentativo di riuscirci ha fatto finta di dimenticarsi che, lo si voglia o no, le alleanze elettorali hanno inevitabilmente una stretta parentela con quelle di governo. Dovendo riconoscere che tutte le numerose scissioni subite dal Prc sono avvenute tutte, ma proprio tutte (chissà perché!), su questo terreno, ha quasi implorato il proprio partito di non farlo più. Ha così cercato di cancellare un fatto elementare: che l'essenza di un partito è la sua linea politica, ed è su quella che viene giudicato dagli iscritti, dai simpatizzanti, dagli elettori.
Rendendosi forse conto di quanto fosse vano il suo sforzo, il segretario di Rifondazione è ricorso all'arma segreta, una formula che recita così: «Il tema elettorale è decisivo per l'esistenza del partito, mentre è irrilevante per la costruzione dell'alternativa». E qui siamo alla schizofrenia pura, dato che normalmente non si partecipa alle elezioni solo per «esistere», cioè per strappare qualche strapuntino parlamentare, ma anche per proporre un proprio programma ed una propria visione della società se non proprio del mondo. Che poi non sia quello il terreno della trasformazione siamo i primi a dirlo. Ma che sia possibile utilizzare una sorta di taxi bersaniano, per conquistarsi una tribuna (ed un bel finanziamento), per poi guidare l'opposizione contro il governo che si è contribuito ad insediare a Palazzo Chigi, questo ci sembra davvero troppo. Ci sbagliamo? Si ripercorra con la mente tutti i tentativi, poc'anzi richiamati, della ventennale storia rifondarola e si giungerà facilmente alla risposta. Molti militanti onesti la risposta se la sono già data, mentre il gruppo dirigente mostra una notevole allergia anche alla semplice domanda.
Naturalmente Ferrero ha utilizzato tutto l'armamentario retorico a disposizione: l'importanza della vittoria di Pisapia a Milano, il caso delle liste No Tav alleate con il Pd nella Comunità Montana della Val di Susa, la necessità di non erigere muri verso il partito di Bersani onde facilitare il «traffico» - questo il linguaggio da vigile urbano del segretario del Prc - dal Pd a Rifondazione. Fino ad arrivare alla scomunica di ogni posizione dissenziente: «Se dicessimo "mai con il centrosinistra" rinunceremmo a far politica». Benissimo, fate allora politica, che è proprio su quello che verrete giudicati.
Dopo venti minuti di questa solfa - e meno male che si trattava di una mera questione tattica! - di cosa si è occupato Ferrero? L'abbiamo già detto, della difesa dell'euro. La cosa non ci dispiace, dato che di sovente la lingua batte dove il dente duole, ed evidentemente nel Prc non proprio tutti sono convinti delle posizioni del gruppo dirigente.
«Noi siamo contrari alla parola d'ordine del passaggio dall'euro alla lira», questa la frase decisiva del segretario. Utilizzando una metafora alpinistica, Ferrero ha parlato di «punto di non ritorno». A suo avviso, questa strada «si poteva decidere prima, ma oggi l'idea che si possa uscire è sbagliata, folle». Ma guarda un po', si poteva decidere prima! Già, e quando? Forse in quel periodo (1996-1998) in cui l'Italia aderì all'euro, Rifondazione era dedita alla costruzione dell'alternativa, dopo aver utilizzato gratis l'autobus prodiano? No, Rifondazione - e Paolo Ferrero era in segreteria - aveva le mani in pasta, appoggerà la politica di Prodi, e voterà le sue «finanziarie per l'Europa». Altri, tra i quali il sottoscritto, si opporranno a quella politica del partito, ma non ci risulta che alcun Paolo Ferrero abbia allora manifestato il benché minimo dubbio sulla linea ultra-europeista del governo.
Una scelta sbagliata l'uscita dall'euro, dice dunque l'ex ministro del governo unionista. Una scelta addirittura folle, nel senso di impossibile, perché come egli ci spiega con fine metafora «sarebbe come far tornare il dentifricio nel tubetto». Francamente non ci aspettavamo una simile visione storicista, nella quale la storia, appunto, fluisce sempre in modo unidirezionale. Ma qui non si tratta neppure della Storia con la esse maiuscola, bensì delle scelte politiche delle attuali oligarchie. Scelte che le stesse oligarchie potrebbero rimettere in discussione, qualora ciò corrispondesse ai loro interessi. Del resto, passando dal campo dei dominanti a quello dei dominati, fino a vent'anni fa in molti pensavano che anche il welfare o i diritti pensionistici fluissero ormai come un dentifricio impossibile da far rientrare nel tubetto. Oggi sappiamo che non è così. Ma per Paolo Ferrero l'euro è un dogma.
Che cosa viene proposto allora nelle sue conclusioni? «Non siamo per l'uscita dall'euro... siamo per rovesciare le politiche della Bce e della Merkel... per obbligare la Germania a cambiare politica». Mentre la riconquista della sovranità nazionale (di cui quella monetaria è un aspetto decisivo) non viene neppure presa in considerazione, ci si lancia in proclami guerreschi quanto grotteschi. Per negare la necessità di una sollevazione popolare nel nostro paese, si evocano rivolgimenti totali nell'assetto dell'Unione Europea, come se questa fosse una via più realistica.
E' il solito vecchio trucco del socialismo della domenica, le cui bandiere rosse al vento volevano far dimenticare la bassa cucina politica esercitata nei giorni feriali, quando cioè si fanno le cose che contano. Ovviamente Ferrero dice anche cose condivisibili, ma - come tutti i massimalisti - le impasta in maniera irresponsabile. Grandi proclami, dunque, meglio se palesemente fuori portata, perché la peggior praticaccia politica troverà sempre la migliore giustificazione proprio in un lontano «sol dell'avvenir».
Tralasciamo qui, per carità di patria, alcuni sfondoni contenuti nelle argomentazioni economiche ferreriane - come quando ha spiegato alla platea congressuale gli effetti dell'Euro Plus Pact, calcolando l'obiettivo del 60% sul debito totale anziché sul Pil come richiesto dal Patto. Dettagli, ma comunque significativi, dato che un simile errore certo non sarebbe stato fatto se anziché di percentuali che riguardano la vita di milioni di persone si fosse trattato di quelle che possono determinare la pensione parlamentare di alcune decine di membri del gruppo dirigente...
Ma lasciamo perdere. Quel che conta è invece la formidabile teoria del tubetto di dentifricio. Sulla quale notiamo tuttavia una certa schizofrenia. Su Liberazione del 10 dicembre leggiamo infatti un articolo dal titolo «L'ordine di Berlino regna in Europa», autore lo stesso Ferrero. Ora, a parte il fatto che questo insistere sull'«ordine di Berlino» è anche un modo per rifugiarsi sotto le ali obamiane, alle quali Ferrero ha fatto accenno nelle sue conclusioni napoletane, la cosa più interessante è però un'altra. Leggiamo:
«Penso infatti che con il vertice di ieri si è fatto un deciso passo in avanti verso il baratro della crisi e la demolizione dell'Euro. In questa condizione la rivendicazione che Monti la smetta di fare il cameriere della Merkel e dica chiaramente che non restituiamo i capitali alle banche tedesche è l'unico atto responsabile da chiedere al governo italiano».
Come, come, come?
Avete letto bene: è stato compiuto un passo decisivo per la demolizione dell'euro. Che la Merkel lo rimetta nel tubetto? Ma non era impossibile? Se fossimo semplicemente davanti ad uno dei tanti casi di auto-contraddittorietà di un politico di medio livello non vi sarebbe notizia alcuna. Qui però il problema è un altro. Ed è esattamente questo: mentre si assiste all'implosione dell'area euro - con le sofferenze imposte alle classi popolari di tutto il continente, ma in misura maggiore a quelle dei paesi con il debito pubblico più elevato - si ammette che una parte delle classi dirigenti possa puntare al dissolvimento della moneta unica (mentre un'altra parte la vuol difendere costi quel che costi), ma non si ammette che se ne possa anche solo discutere nell'ambito delle forze che vorrebbero costruire un'opposizione al massacro sociale in corso, perché lo impedisce il dogma del tubetto.
L'Unione Europea non è il progresso, assai più modestamente l'UE è la struttura che si è dato il capitalismo europeo, prima per meglio assolvere il ruolo antisovietico durante la guerra fredda, poi per favorire al massimo il processo di finanziarizzazione che ha condotto all'attuale capitalismo-casinò. Il risultato è sotto i nostri occhi: l'area euro è il paradiso della speculazione, l'UE è la tomba dei diritti sociali e della stessa democrazia. L'unica Europa che esiste è questa.
Dall'euro si uscirà, ma come? Il come è decisivo e altrettanto decisivo è il chi guiderà il processo. Per questo dobbiamo guardare alla prospettiva di una sollevazione popolare, non a quella irrealistica della rifondazione della Bce e dell'Ue. Ma dall'euro si uscirà perché necessario: vogliamo che siano prima le classi dominanti (o parti di esse) a proclamare questa necessità? E magari con la sinistra che rimane a fare la guardia di un bidone ormai vuoto?
Speriamo che non si arrivi a tanto. Certo, le conclusioni dell'ottavo congresso del Prc non aiutano.
La seconda possibilità di rinascita, dopo quella del 2008, è stata totalmente mancata. Ce ne dispiace, ma non ci stupisce. In ogni caso ne prendiamo atto. Come, crediamo, ne prenderanno atto tutti quei compagni che, in assenza di alternative credibili ai loro occhi, agiscono ancora all'interno del Prc nella speranza di mutarne gli indirizzi. Il tempo stringe ed è il momento delle scelte.
2 commenti:
Parlare della "sinistra italiana" è solo un esercizio dialettico.Da molti anni ormai ho smesso di credere nella possibilità di una sua rimonta anche solo parziale. I suoi dirigenti sono troppo presuntuosi, ignoranti, privi di spina dorsale e incapaci di interpretare la realtà.
Non ci resta che piangere.
Bellaciao
Non so come faccia Ferrero a non rendersi conto della contraddittorietà di quello che dice.Se prima le conseguenze dell'euro e della UE potevano essere solo intuite,ora bisogna proprio voltarsi per non vederle.Quello che è chiaro,e lo dico con amarezza,è che queste posizioni sono inservibili per chi voglia creare le premesse per un riscatto sociale.
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