La crisi sistemica e il piano dei rapporti di forza
Traccia del dibattito al XIV Festival Comunista Antimperialista
Traccia del dibattito al XIV Festival Comunista Antimperialista
9 settembre, Osimo (An)
di Lotta di Unità Proletaria Osimo
Gli economisti sono divisi sulle prospettive per affrontare la crisi non meno dei politici.
Questo non sorprende perché anche la disciplina economica non è lontana da avere il medesimo status di infallibilità di certi paradigmi scientifici - prima di venir confutati da altri, magari in antitesi ma altrettanto “infallibili” - e se mai è scienza lo è al pari della politica: ossia tende ad assolutizzare i rapporti di forza che esprime. Perciò quanto esprimono gli economisti mainstream in questo momento storico non è che il punto di vista delle classi dominanti, facendosi strumento della feroce lotta di classe da queste attuata, con la loro gestione pilotata della crisi sulla pelle dei lavoratori e delle classi popolari. Per costoro non è tanto importante rimanere o uscire dall’euro in quanto moneta unica e neanche rimanere inquadrati in un mercato comune.
L’Unione europea può reggere con la moneta unica o frammentarsi in piani B o C da tempo allo studio e già pronti ad essere avviati; ciò che conta è che alla fine rimanga un’area cuscinetto sub-imperialista dell’impero a stelle e strisce, omogenea o frammentata che sia, ma dove il costo del lavoro, il welfare e i diritti siano stati abbassati al livello minimo di riproduzione della forza lavoro necessaria. Destinati a coesistere con una disoccupazione di massa, i lavoratori, in carne e ossa, saranno costretti per anni (o meglio decenni) a convivere con delocalizzazioni, fughe di capitali, oltre che a competere al ribasso con i lavoratori dei paesi che attirano capitali, grazie a salari da 150-300 dollari.
Le risposte di tipo neokeynesiano che alcuni economisti non embedded stanno proponendo hanno generalmente il merito di indicare che proprio questo si nasconde dentro la retorica della mano dei mercati e della costruzione europea (oltre all’attacco alla sovranità nazionale) ma sono, secondo noi, insufficienti quando pensano di combattere la recessione tornando a uno stimolo della domanda interna e ad ampi piani di investimento pubblico, sia che questo processo venga concepito a livello europeo (quindi iniziando dalla Germania) oppure ritornando al protagonismo degli stati che recuperino la propria sovranità monetaria. E ci convince poco anche l’insistenza con cui si tende a minimizzare gli effetti di una uscita dall’Euro (e dal mercato comune), così come la ricusazione del debito, passaggi che consideriamo comunque necessari.
I paesi che sotto la spinta delle lotte popolari si assumeranno la responsabilità di avviare il processo di sfaldamento della costruzione europea non avranno vita facile e non possiamo pensare a default pilotati con esiti di tipo argentino - svalutazioni, inflazione sotto controllo, recupero di competitività e ripartenza di un ciclo espansivo - perché la posta in gioco non sarà compresa nei soli manuali di teoria economica ma inciderà pesantemente sul tavolo dei rapporti internazionali, nella ridefinizione dei nuovi equilibri geo-strategici e nella formazione delle aree macro-economiche. La posta è essenzialmente politica e si giocherà sul piano dei rapporti di forza, sia tra gli stati a piena sovranità e i blocchi geopolitici di cui si porranno alla guida, sia tra le classi per le quali la crisi, almeno nei paesi occidentali finora “avanzati”, diventa terreno decisivo di scontro il cui esito sarà determinato proprio dal modo di uscirne.
Le cause strutturali della crisi vanno, secondo noi, cercate nella progressiva perdita di centralità economica dei paesi imperialisti occidentali, perdita che viene contrasta in due modi essenziali: da un lato con le guerre e la deterrenza militare (visto il vantaggio tecnologico che ancora mantengono gli Usa) e dall’altro con l’attacco al reddito diretto e indiretto delle classi popolari. Questo secondo aspetto persegue sia l’obiettivo di ripristinare dove possibile regimi di plusvalore assoluto a casa nostra, contrastando la caduta tendenziale del saggio di profitto dato dalla saturazione dei mercati e dalla sovrapproduzione assoluta di capitali e di merci, sia quello di drenare risorse sempre più ampie da mettere in mano ai capitalisti nazionali per le delocalizzazioni e ai grandi gruppi (anche stranieri e transnazionali), affinché possano giocarseli nella competizione globale. Tra queste risorse, ovviamente, consideriamo anche il patrimonio e le aziende pubbliche, che i vari governi del Sud Europa - tecnici o politici sempre antipopolari ed antinazionali - stanno svendendo ai capitali stranieri, così che quando usciremo dall’euro ci troveremo, magari, il Colosseo o le municipalizzate in mano a tedeschi o finlandesi.
In questo quadro che non è quello della legge dei mercati ma quello determinato dallo scontro tra grandi capitali - per quanto transnazionali sempre manovrati da capitalisti che hanno dietro gli Stati Uniti e la macchina militare e diplomatica della Nato, oltre a Russia e Cina, quei Brics maggiormente affrancati da subalternità all’imperialismo e con proprie politiche egemoniche d’area - diventa difficile avocare politiche neokeynesiane a casa nostra senza prevedere che “l’ombrello protettivo della Nato” possa venir impugnato come un pesante bastone.
Certamente per uscire dalla crisi dal lato delle classi popolari occorre non pagare il debito estero, tornare alla sovranità monetaria ma anche nazionale, ritornare ad un ruolo dello stato negli investimenti pubblici, addirittura avviare in alcuni settori un “economia di piano”, recuperare imprese in crisi, bloccare la prevedibile fuga di capitali, nazionalizzare banche e riportare la banca centrale sotto il controllo del Tesoro, avviare misure protezionistiche. Ma dove trovare le risorse per far tutto questo se rimaniamo dentro le compatibilità capitaliste e l’attuale quadro di alleanze politiche e di trattati commerciali? Il capitalismo reale è quello che ci sta imponendo la garrota dell’Europa sub-imperialista. Attuare le misure di cui sopra comporta quanto meno assicurarci un mercato alternativo al mercato comune europeo, che ci consenta l’approvvigionamento di materie prime e sbocco alle esportazioni nel caso prevedibile di embarghi o sanzioni. L’adozione di misure protezionistiche non può risolversi nell’autarchia, perché nessuno sopravviverebbe da solo, ma dovrebbe combinarsi con la costruzione di nuove alleanze e scelte condivise a partire dai paesi dell’area euro-mediterranea maggiormente penalizzati dai diktat euro-tedeschi, i quali dovrebbero fare fronte comune, pur nelle rispettive autonomie.
Sarà l’avanzamento delle lotte per riprendersi i propri diritti e la sovranità popolare a determinare tali alleanze, come la possibilità di costituire un futuro blocco omogeneo; le nazionalizzazioni vanno perseguite per porre banche e imprese in fuga o fallite sotto il controllo popolare e non per garantire alle classi dominanti nazionali un ruolo egemone anche nel caso di uscita dall’euro dall’alto della Germania, ruolo che magari farebbe rimanere il nostro paese una succursale di un ipotetico nuovo marco o euro ristretto. Bloccare capitali richiederebbe misure energiche fino all’esproprio che difficilmente potrebbe fare un governo liberal-democratico, molto più portato ad espropriare i proletari; anche gli investimenti pubblici per stimolare la domanda non dovrebbero porsi il fine di rilanciare la crescita alimentando nuovi cicli di consumismo compulsivo, non fosse che per i drammatici limiti ambientali e demografici cui è giunto il pianeta, né quello di consentire ai ceti popolari di pagarsi i servizi, continuando così a mercificarli, ma dovrebbero determinare scopo e direzione dei processi produttivi per favorire forme socializzate di economia che sottraggano spazio all’egemonia dei mercati, finalizzate prioritariamente a garantire ai cittadini i bisogni essenziali e la dignità del lavoro.
Insomma allo stato attuale adottare semplici misure, che trenta anni fa sarebbero state considerate di stampo keynesiano o di protezione nazionale e, soprattutto, renderle oggi efficaci, contraddirebbe a tal punto il corrente funzionamento del modo di produzione capitalista (da noi ultra-liberista) da doversi declinare in direzione di un altro modello sociale e istituzionale che potremmo definire in diversi modi ma che, per quanto ci riguarda, chiamiamo ancora socialista.
Se ci sono chiare le misure transitorie che andrebbero adottate, comunque imperniate sull’uscita dell’euro e la cancellazione selettiva del debito, non altrettanto é chiaro chi potrebbe assumerle. Occorre un soggetto politico forte, laddove la politica è oggi asservita alle oligarchie eurocratiche sub-imperialiste che usano il debito estero per forme di neocolonizzazione dei paesi periferici. Occorre un blocco sociale del popolo lavoratore, oggi lontano dal formarsi perché le classi medie impoverite mantengono una visione individualistica o nel migliore dei casi neo-corporativa e le organizzazioni sindacali vogliono rimanere nei vincoli europei per paura di veder crollare l’occupazione e quindi la loro rappresentatività, quando è chiaro che i trattati che andiamo sottoscrivendo, non da ultimi il “fiscal compact” e l’adesione al “Fondo salva stati”, porteranno comunque disoccupazione di massa; quando è chiaro che tali vincoli sono strumenti di una lotta di classe che i grandi capitalisti stanno vincendo, usandoli per comprimere salari e welfare.
La sinistra antagonista, compresa gran parte di quella neo-comunista (quando in buona fede) rimane perlopiù prigioniera di un frainteso internazionalismo che la porta ad osteggiare la dimensione per ora necessariamente nazionale di una efficace lotta e finiscono col proiettare su questa Europa delle banche e degli oligopoli i loro “fantasmi di gioventù”, farneticando di una “Europa dei popoli”, ben lontana a venire in questa fase storica e nelle attuali alleanze.
Quello che possiamo realisticamente fare è lavorare alla costruzione di un soggetto di fronte che tenti di saldare le attuali forze politiche, minoritarie, portatrici di istanze progettuali antieuropee, sovraniste, orientate al socialismo, con quei movimenti sociali, pur privi di progetto complessivo, che esprimono opposizione ed antagonismo ai diktat eurocratici e alla dittatura del grande capitale (dai cittadini di Taranto, ai Forconi, ai No-tav). Tale fronte deve necessariamente operare in sinergia con il disagio e le disperate lotte operaie in difesa del lavoro, rifiutando di assumere la logica del ricatto occupazionale ma promuovendo il cambio di paradigma produttivo, forme di autogestione o co-gestione e l’utilizzo di tutti gli investimenti pubblici disponibili una volta tolti ai creditori-strozzini. Inoltre un fronte di questa natura potrebbe avere un effetto-traino anche per quelle forze politiche e sociali, oggi più consistenti ma sprovviste di una netta prospettiva sull’Europa e sulla crisi, come il Movimento 5 Stelle, e potrebbe incidere anche sulle posizioni dei sindacati più combattivi. Un soggetto quindi che assuma un ruolo gravitazionale (più difficilmente egemonico) nel nostro paese e che, pur perseguendo il ritorno alla piena sovranità nazionale, deve cercare da subito sponde con organizzazioni di paesi e popoli a noi affini, sia sul piano della solidarietà internazionale, che non va messa in contraddizione con il recupero della sovranità nazionale (intesa come sovranità popolare), sia nel progetto strategico della costruzione di un blocco di nuovo socialismo.
Siamo consapevoli che è un percorso difficile, che chiede tempo quando il tempo è poco e la situazione sta precipitando, ma sappiamo anche che la storia ha sempre forgiato nel fuoco dei conflitti più aspri le forze sociali e politiche della trasformazione.
di Lotta di Unità Proletaria Osimo
Gli economisti sono divisi sulle prospettive per affrontare la crisi non meno dei politici.
Questo non sorprende perché anche la disciplina economica non è lontana da avere il medesimo status di infallibilità di certi paradigmi scientifici - prima di venir confutati da altri, magari in antitesi ma altrettanto “infallibili” - e se mai è scienza lo è al pari della politica: ossia tende ad assolutizzare i rapporti di forza che esprime. Perciò quanto esprimono gli economisti mainstream in questo momento storico non è che il punto di vista delle classi dominanti, facendosi strumento della feroce lotta di classe da queste attuata, con la loro gestione pilotata della crisi sulla pelle dei lavoratori e delle classi popolari. Per costoro non è tanto importante rimanere o uscire dall’euro in quanto moneta unica e neanche rimanere inquadrati in un mercato comune.
L’Unione europea può reggere con la moneta unica o frammentarsi in piani B o C da tempo allo studio e già pronti ad essere avviati; ciò che conta è che alla fine rimanga un’area cuscinetto sub-imperialista dell’impero a stelle e strisce, omogenea o frammentata che sia, ma dove il costo del lavoro, il welfare e i diritti siano stati abbassati al livello minimo di riproduzione della forza lavoro necessaria. Destinati a coesistere con una disoccupazione di massa, i lavoratori, in carne e ossa, saranno costretti per anni (o meglio decenni) a convivere con delocalizzazioni, fughe di capitali, oltre che a competere al ribasso con i lavoratori dei paesi che attirano capitali, grazie a salari da 150-300 dollari.
Le risposte di tipo neokeynesiano che alcuni economisti non embedded stanno proponendo hanno generalmente il merito di indicare che proprio questo si nasconde dentro la retorica della mano dei mercati e della costruzione europea (oltre all’attacco alla sovranità nazionale) ma sono, secondo noi, insufficienti quando pensano di combattere la recessione tornando a uno stimolo della domanda interna e ad ampi piani di investimento pubblico, sia che questo processo venga concepito a livello europeo (quindi iniziando dalla Germania) oppure ritornando al protagonismo degli stati che recuperino la propria sovranità monetaria. E ci convince poco anche l’insistenza con cui si tende a minimizzare gli effetti di una uscita dall’Euro (e dal mercato comune), così come la ricusazione del debito, passaggi che consideriamo comunque necessari.
I paesi che sotto la spinta delle lotte popolari si assumeranno la responsabilità di avviare il processo di sfaldamento della costruzione europea non avranno vita facile e non possiamo pensare a default pilotati con esiti di tipo argentino - svalutazioni, inflazione sotto controllo, recupero di competitività e ripartenza di un ciclo espansivo - perché la posta in gioco non sarà compresa nei soli manuali di teoria economica ma inciderà pesantemente sul tavolo dei rapporti internazionali, nella ridefinizione dei nuovi equilibri geo-strategici e nella formazione delle aree macro-economiche. La posta è essenzialmente politica e si giocherà sul piano dei rapporti di forza, sia tra gli stati a piena sovranità e i blocchi geopolitici di cui si porranno alla guida, sia tra le classi per le quali la crisi, almeno nei paesi occidentali finora “avanzati”, diventa terreno decisivo di scontro il cui esito sarà determinato proprio dal modo di uscirne.
Le cause strutturali della crisi vanno, secondo noi, cercate nella progressiva perdita di centralità economica dei paesi imperialisti occidentali, perdita che viene contrasta in due modi essenziali: da un lato con le guerre e la deterrenza militare (visto il vantaggio tecnologico che ancora mantengono gli Usa) e dall’altro con l’attacco al reddito diretto e indiretto delle classi popolari. Questo secondo aspetto persegue sia l’obiettivo di ripristinare dove possibile regimi di plusvalore assoluto a casa nostra, contrastando la caduta tendenziale del saggio di profitto dato dalla saturazione dei mercati e dalla sovrapproduzione assoluta di capitali e di merci, sia quello di drenare risorse sempre più ampie da mettere in mano ai capitalisti nazionali per le delocalizzazioni e ai grandi gruppi (anche stranieri e transnazionali), affinché possano giocarseli nella competizione globale. Tra queste risorse, ovviamente, consideriamo anche il patrimonio e le aziende pubbliche, che i vari governi del Sud Europa - tecnici o politici sempre antipopolari ed antinazionali - stanno svendendo ai capitali stranieri, così che quando usciremo dall’euro ci troveremo, magari, il Colosseo o le municipalizzate in mano a tedeschi o finlandesi.
In questo quadro che non è quello della legge dei mercati ma quello determinato dallo scontro tra grandi capitali - per quanto transnazionali sempre manovrati da capitalisti che hanno dietro gli Stati Uniti e la macchina militare e diplomatica della Nato, oltre a Russia e Cina, quei Brics maggiormente affrancati da subalternità all’imperialismo e con proprie politiche egemoniche d’area - diventa difficile avocare politiche neokeynesiane a casa nostra senza prevedere che “l’ombrello protettivo della Nato” possa venir impugnato come un pesante bastone.
Certamente per uscire dalla crisi dal lato delle classi popolari occorre non pagare il debito estero, tornare alla sovranità monetaria ma anche nazionale, ritornare ad un ruolo dello stato negli investimenti pubblici, addirittura avviare in alcuni settori un “economia di piano”, recuperare imprese in crisi, bloccare la prevedibile fuga di capitali, nazionalizzare banche e riportare la banca centrale sotto il controllo del Tesoro, avviare misure protezionistiche. Ma dove trovare le risorse per far tutto questo se rimaniamo dentro le compatibilità capitaliste e l’attuale quadro di alleanze politiche e di trattati commerciali? Il capitalismo reale è quello che ci sta imponendo la garrota dell’Europa sub-imperialista. Attuare le misure di cui sopra comporta quanto meno assicurarci un mercato alternativo al mercato comune europeo, che ci consenta l’approvvigionamento di materie prime e sbocco alle esportazioni nel caso prevedibile di embarghi o sanzioni. L’adozione di misure protezionistiche non può risolversi nell’autarchia, perché nessuno sopravviverebbe da solo, ma dovrebbe combinarsi con la costruzione di nuove alleanze e scelte condivise a partire dai paesi dell’area euro-mediterranea maggiormente penalizzati dai diktat euro-tedeschi, i quali dovrebbero fare fronte comune, pur nelle rispettive autonomie.
Sarà l’avanzamento delle lotte per riprendersi i propri diritti e la sovranità popolare a determinare tali alleanze, come la possibilità di costituire un futuro blocco omogeneo; le nazionalizzazioni vanno perseguite per porre banche e imprese in fuga o fallite sotto il controllo popolare e non per garantire alle classi dominanti nazionali un ruolo egemone anche nel caso di uscita dall’euro dall’alto della Germania, ruolo che magari farebbe rimanere il nostro paese una succursale di un ipotetico nuovo marco o euro ristretto. Bloccare capitali richiederebbe misure energiche fino all’esproprio che difficilmente potrebbe fare un governo liberal-democratico, molto più portato ad espropriare i proletari; anche gli investimenti pubblici per stimolare la domanda non dovrebbero porsi il fine di rilanciare la crescita alimentando nuovi cicli di consumismo compulsivo, non fosse che per i drammatici limiti ambientali e demografici cui è giunto il pianeta, né quello di consentire ai ceti popolari di pagarsi i servizi, continuando così a mercificarli, ma dovrebbero determinare scopo e direzione dei processi produttivi per favorire forme socializzate di economia che sottraggano spazio all’egemonia dei mercati, finalizzate prioritariamente a garantire ai cittadini i bisogni essenziali e la dignità del lavoro.
Insomma allo stato attuale adottare semplici misure, che trenta anni fa sarebbero state considerate di stampo keynesiano o di protezione nazionale e, soprattutto, renderle oggi efficaci, contraddirebbe a tal punto il corrente funzionamento del modo di produzione capitalista (da noi ultra-liberista) da doversi declinare in direzione di un altro modello sociale e istituzionale che potremmo definire in diversi modi ma che, per quanto ci riguarda, chiamiamo ancora socialista.
Se ci sono chiare le misure transitorie che andrebbero adottate, comunque imperniate sull’uscita dell’euro e la cancellazione selettiva del debito, non altrettanto é chiaro chi potrebbe assumerle. Occorre un soggetto politico forte, laddove la politica è oggi asservita alle oligarchie eurocratiche sub-imperialiste che usano il debito estero per forme di neocolonizzazione dei paesi periferici. Occorre un blocco sociale del popolo lavoratore, oggi lontano dal formarsi perché le classi medie impoverite mantengono una visione individualistica o nel migliore dei casi neo-corporativa e le organizzazioni sindacali vogliono rimanere nei vincoli europei per paura di veder crollare l’occupazione e quindi la loro rappresentatività, quando è chiaro che i trattati che andiamo sottoscrivendo, non da ultimi il “fiscal compact” e l’adesione al “Fondo salva stati”, porteranno comunque disoccupazione di massa; quando è chiaro che tali vincoli sono strumenti di una lotta di classe che i grandi capitalisti stanno vincendo, usandoli per comprimere salari e welfare.
La sinistra antagonista, compresa gran parte di quella neo-comunista (quando in buona fede) rimane perlopiù prigioniera di un frainteso internazionalismo che la porta ad osteggiare la dimensione per ora necessariamente nazionale di una efficace lotta e finiscono col proiettare su questa Europa delle banche e degli oligopoli i loro “fantasmi di gioventù”, farneticando di una “Europa dei popoli”, ben lontana a venire in questa fase storica e nelle attuali alleanze.
Quello che possiamo realisticamente fare è lavorare alla costruzione di un soggetto di fronte che tenti di saldare le attuali forze politiche, minoritarie, portatrici di istanze progettuali antieuropee, sovraniste, orientate al socialismo, con quei movimenti sociali, pur privi di progetto complessivo, che esprimono opposizione ed antagonismo ai diktat eurocratici e alla dittatura del grande capitale (dai cittadini di Taranto, ai Forconi, ai No-tav). Tale fronte deve necessariamente operare in sinergia con il disagio e le disperate lotte operaie in difesa del lavoro, rifiutando di assumere la logica del ricatto occupazionale ma promuovendo il cambio di paradigma produttivo, forme di autogestione o co-gestione e l’utilizzo di tutti gli investimenti pubblici disponibili una volta tolti ai creditori-strozzini. Inoltre un fronte di questa natura potrebbe avere un effetto-traino anche per quelle forze politiche e sociali, oggi più consistenti ma sprovviste di una netta prospettiva sull’Europa e sulla crisi, come il Movimento 5 Stelle, e potrebbe incidere anche sulle posizioni dei sindacati più combattivi. Un soggetto quindi che assuma un ruolo gravitazionale (più difficilmente egemonico) nel nostro paese e che, pur perseguendo il ritorno alla piena sovranità nazionale, deve cercare da subito sponde con organizzazioni di paesi e popoli a noi affini, sia sul piano della solidarietà internazionale, che non va messa in contraddizione con il recupero della sovranità nazionale (intesa come sovranità popolare), sia nel progetto strategico della costruzione di un blocco di nuovo socialismo.
Siamo consapevoli che è un percorso difficile, che chiede tempo quando il tempo è poco e la situazione sta precipitando, ma sappiamo anche che la storia ha sempre forgiato nel fuoco dei conflitti più aspri le forze sociali e politiche della trasformazione.
21 commenti:
Bravi, concordo in pieno punto per punto.
Vi critico spesso ma ci tengo a precisare che non è sulla sostanza ma sul metodo perché sono più di 40 anni che la (vera) sinistra ha ragione eppure i risultati e il consenso li ottengono le destre; dovete imparare a comunicare, a capire come 'funziona' la gente, a tollerare il dissenso. Mi sembra che siano tutte cose di cui parlare urgentemente perché temo non sia rimasto molto tempo per organizzarsi.
a quando degli articoli snelli e comprensivi per tutti, da non indurre a lasciare perdere la lettura a metà?; si vuole un mpl davvero popolare o per una elite di intellettuali? a volte sembra di leggere rinascità, quella fondata da togliatti, che pur interessante era pesante come un mattone!
Concordo con te cara congiura degli eguali.
Saluti... Franco
Ma li morté...si danno da fare per scrivere in modo ponderato, completo, motivando le loro conclusioni e gli rompono le palle perché l' articolo è troppo elitario.
Oh, ma ci dobbiamo svegliare pure noi, che volete gli articoli semplificati? Dobbiamo sforzarci di capire sennò saremo sempre dei pecoroni e faranno bene a trattarci come tali.
Sono sempre quello che critica ma questa volta avete scritto un ottimo articolo (anche altre volte, ripeto che ce l'ho più col vostro modo di propagandare le idee che sulla sostanza. Però vedo che è un problema un tantino più complesso di quello che credevo...).
"Questo non sorprende perché anche la disciplina economica non è lontana da avere il medesimo status di infallibilità di certi paradigmi scientifici"
Ma non c'è un errore? "E' lontana"...mi sembra che c'è un "non" in più.
Qual'è la vosrra opinione rispetto a quanto scritto dai compagni di Osimo?
non mi considero affatto pecorone, e so pensare con la mia testa ed agire di conseguenza; solo che questo sito è adatto per coloro che si considerano l'elite, ma l'elite da sola non va da nessuna parte, senza avere una base popolare, che non vuole essere indottrinata; liberi comunque di fare ciò che ritenete più opportuno, come saranno liberi di stancarsi coloro che guardano al dunque e non alle teorie che spesso complicano il che fare!
Compagni, questo blog nacque, prima del Mpl, come luogo di analisi, di questa crisi sistemica, delle sue dinamiche, dei suoi sbocchi possibili. Non fu pensato come blog popolare (ammesso che possa esistere un blog popolare). Ci stiamo ponendo, e come!, il problema di fare il salto "verso le masse", il che implica un linguaggio adatto, semplice, che sia al contempo convincente. Implica darsi strumenti adeguati. Tuttavia divulgazione non significa volgarizzazione. Dateci un po' di tempo. Non è impresa facile.
Il contributo è buono ma certo da considerarsi più come analisi seminariale che a divulgazione tra le masse.
Concordo con la reedazione, ma non perdiamo troppo tempo.
Ci sarà pur una via di mezzo tra l'intellettualismo e la volgarizzazione per slogan di Grillo? Mi spiego, MPL deve lottare contro una volgarizzazione populista ma anche contro un intellettualismo di seconda mano.
"il problema di fare il salto "verso le masse"
Ecco il punto che non capite. Siete massa pure voi, come cavolo pensate che possa nascere una vera "coscienza di classe" se voi vi ponete al di fuori della massa. Voi (noi) siete massa che ha preso coscienza e bisogna che anche gli altri ci arrivino; per gradi è ovvio ma è importante dire e ribadire a chiare lettere che una parte della colpa è proprio della gente che si è appecoronata. Senza uno sforzo di orgoglio da parte della "massa" non ci sarà mai coscienza di classe e se per di più voi partite dal presupposto di essere "altro" rispetto alla massa tutto diventa più difficile.
Guardate che senza "coscienza di classe" non si può fare nulla e questo è il punto chiave da discutere molto più delle analisi corrette che si possono trovare in moltissimi blog anche non di sinistra.
Anzi, personalmente l'unico scopo per il quale penso che valga la pena di lottare è il risveglio della gente dalla sua condizione di subalternità ed è su questo che siete decisamente carenti.
"solo che questo sito è adatto per coloro che si considerano l'elite"
Ma mannaggia a te...ma non capisci che non è tanto il fatto che loro si considerino l'élite (se fosse vero sarebbero dei poveri pirla) quanto il fatto che TU ti consideri al di sotto di loro e di tutti quelli che usano un linguaggio che per te è un po' più difficile? E dici "loro si considerano élite" mentre in realtà pensi "io non sono all'altezza di quel linguaggio".
Sveglia ragazzi, capire dipende da noi, solo da noi e dal nostro orgoglio. In realtà i concetti di questo articolo non sono affatto difficili, basta sforzarsi e nel giro di poco tempo ci si arriva tranquillamente. E' ovvio che l'economia è una disciplina complessa ma non crediate che la redazione sia composta da economisti laureati a Harvard. Si tratta di gente che si è impegnata per cominciare a capire e lo puoi fare pure tu, chiunque.
Se non cominciate non si potrà fare nulla!!!
INOLTRE: non esiste solo la redazione, ci siamo pure noi lettori e quindi CHI NON HA CAPITO QUALCOSA LO DICA e se non ci pensano loro a spiegare ci aiutiamo fra di noi. L'IMPORTANTE NON è "CAPIRE" MA RIFLETTERCI INSIEME!!! QUESTA è L'UNICA E SOLA STRADA CHE PORTA A UNA VERA COSCIENZA DI CLASSE, LA RIFLESSIONE INSIEME!!!
ATTENZIONE: guardate che questo non è il MEZZO per cambiare le cose MA IL FINE. Una volta che si cresce culturalmente si è liberi e una "massa" di persone libere non è più semplice massa ma un "gruppo" con una sua coscienza e un senso di appartenenza.
SVEGLIA!!!
guarda che non mi considero affatto inferiore a loro; mi considero eguale fra gli eguali e guai se così non fosse; io faccio rilevare che se questo sito vuole essere strumento di lotta deve essere compreso da tutti anche da coloro che essendo stanchi dopo una giornata di lavoro vogliono informarsi sulla realtà che li circonda; altrimenti questo sito sarà uno strumento per addetti ai lavori, dai quali addetti poi si avrà la presunzione di scegliere i gruppi dirigenti, ma di una organizzazione verticale che non avrà possibilità alcuna di crescita; troppe esperienze del passato sono fallite perchè non capaci di mettere radici fra i ceti sociali subalterni; si cresce assieme o si perirà assieme, quindi uno sforzo redazionale per essere compresi da tutti deve essere fatto; la semplicità darà maggiori frutti dei discorsi forbiti e oltremodo complessi.
bene l'intervento della redazione, testimonianza di onestà intellettuale; sarà complicato essere leggibili senza volgarizzare, ma bisogna andare nella direzione di innovare per essere compresi senza tediare, in bocca al lupo.
NON sono complessi, ok? Non hai capito qualcosa? Di' cosa perché sennò non affitteremo mai. Non è che io sia il detentore della spiegazione universalmente accettata ma se uno non capisce bisogna discuterne insieme.
Errore tuo: non dire concretamente cosa non hai capito.
Errore della redazione: aver risposto che non è un blog popolare, che devono fare il salto verso le masse, SENZA aver detto l'unica cosa seria da dirsi:
"Compagni cosa non avete capito?"
non ti inalberare se non si è d'accordo con te; tu non hai capito che io mi riferisco alla prolissità o lunghezza degli articoli, che sono lungnhi perchè sono troppo cattedratici, e quindi francamente mi annoiano, perchè non si fanno leggere sino in fondo; ora se vuoi un mpl per professoroni e secchioni tienitelo; leggo tutti i giorni contropiano, così come leggo questo sito; contropiano si fa leggere perchè è molto agile e comprensivo perchè riesce ad essere semplice anche nel descrivere discorsi complessi; quindi evita di bacchettare chi pone questioni elementari che riguardano la possibilità di coinvolgere nella lettura, che più è semplice più è formativa; e con questo chiudo perche il ping pong alla fine stanca.
E hai parlato di tutto meno che del merito dell'articolo. Che senso ha?
Ma siamo d'accordo sulla sostanza, che senza coscienza non c'è né partecipazione agli affari sociali, né azione per cambiare la situazione. Il fatto è che mutamenti su larga scala di coscienza e quindi di comportamento politico, non avvengono solo per divulgazione delle idee. Queste sono semi, che possono crescere solo se c'è un humus, un terreno favorevole. Che crescano non dipende solo dalla abilità con cui vengono gettati dal contadino. Il terreno non è ancora abbastanza adatto, occorre che passi una piena vivificante e fertilizzante.
Ragazzi io apprezzo molto il vostro impegno ma è un dato di fatto che sono decenni, quasi mezzo secolo, che si perde regolarmente terreno.
Non si può considerarlo un fattore importante ma secondario rispetto all'analisi; è il fattore fondamentale.
In piccolo guarda cosa è riuscito a fare Bagnai che spiega, risponde e rispiega, si incazza (e sbaglia) ma almeno mette al centro del problema il fatto che chi lo segue DEVE acquistare la competenza e la voglia di sacrificarsi per cercare di migliorare.
Allora cominciamo a mettere una sezione a parte in cui si spiegano i termini fondamentali più ostici tipo plus valore, imperialismo, reificazione, keynesismo, liberismo etc etc
O mettete dei link a pagine che lo spiegano (vostre o di altri); incoraggiate i lettori a chiedere spiegazioni; uno di voi dovrebbe commentare un editoriale al giorno preso dai grandi giornali tipo Repubblica o Corriere illustrando qual'è il discorso di potere sottostante al testo che di norma è sempre almeno all'apparenza abbastanza neutrale e quindi non facilmente interpretabile; date soddisfazione a chi segue il blog dando a ognuno una risposta e ripetete fino allo sfinimento che senza partecipazione consapevole non si concluderà niente; perché il potere si esercita appunto privando la gente dell'orgoglio di classe che è l'UNICO fattore che permette di ritrovare la voglia e l'intelligenza di capire cose nuove.
Questo è quello che mi viene in mente adesso ma certamente voi avrete idee migliori; il punto, e lo ripeto per l'ennesima volta, è che il risveglio delle coscienze è il PRIMO problema anzi è l'autentico obiettivo finale.
Avete visto che straordinaria proprietà di linguaggio e dignità avevano i minatori del Sulcis quando parlavano? E uno di loro lo ha spiegato: noi lavoriamo in un ambiente chiuso e quindi abbiamo sviluppato un grande spirito di corpo. Questo gli ha dato non solo il coraggio ma anche l'INTELLIGENZA, credetemi.
In un manuale di economia, forse Krugman, ho letto che a volte certi lavori vengono svolti in luoghi lontani l'uno dall'altro costringendo i lavoratori a grandi spostamenti proprio perché si sa che se i dipendenti stanno nel luogo di residenza e a stretto contatto sviluppano un grandissimo spirito di corpo e diventano più agguerriti. E quindi questo è il segreto, il senso di appartenenza (o coscienza di classe, ma secondo me è un termine sbagliato) e se riusciamo in questo tentativo si potrà fare qualsiasi cosa.
P.S.: Cos'è il patriottismo? Un senso di appartenenza di default che riesce a convincere la gente che è bello farsi ammazzare in trincea (e ricordate la spinta che ebbero i movimenti socialisti dopo la I guerra mondiale combattuta "in ambiente chiuso e a stretto contatto").
George Bernard Shaw chiamava il patriottismo "il segreto di famiglia della ruling class" ossia loro sono più forti perché hanno un senso di appartenenza saldissimo e "autentico" mentre agli altri ne regalano uno falso e d'accatto esclusivamente funzionale ai loro interessi; il problema è che funziona benissimo e la gente si sente appagata (secondo voi perché si va a tifare allo stadio buttando i soldi e il tempo?).
I credenti si fanno ammazzare per la loro religione; e qual'è l'etimologia di religione? Re/Ligio ossia lego assieme; come diceva (più o meno) Durkheim, il Dio che si adora è la società stessa che noi percepiamo appunto come senso di appartenenza; la dottrina è solo cemento.
Insomma bisogna cominciare a discuterne.
L'editoriale è buono, ma non cita una cosa molto importante:l'esercito e le spese per l'armamento. Si dovrebbe uscire dalla NATO ed investire i capitali spesi inutilmente per la fabbricazione delle armi, nelle strutture sociali, come la sanità, i trasporti pubblici, l'istruzione e l'ecologia. L'esercito dovrebbe essere traformato per metterlo al servizio dell'agricoltura, dell'ambiente, della bonifica delle terre,del sistema idrologico nazionale, del rimboschimento, dell'edilizia popolare e di cento altre attività utili al popolo italiano, e non al servizio dello Zio Sam.
cari Tutti,
non ci è facile rispondere ad ogni questione e obiezione entro il limiti angusti del commento. Toccate questioni scottanti, decisive. Ad esse risponderemo, statene certi, con pezzi dedicati in home. Ma per farlo occorre tempo, studio, inchiesta, e spesso un ripasso delle cose che già sappiamo. Per di più, su certe cose, si discute anche tra noi del Mpl, per cui dobbiamo trovare la quadra anche tra noi. Questo per dire che seguiamo le discussioni che si sviluppano qui, che sono utili a noi stessi per chiarirci le idee ed esporle nella maniera più convincente.
Ottimo il documenti dei compagni. Non c'è alternativa alla strada del fronte. Intanto i gruppi che sono d'accordo non possono dar vita ad un nucleo del fronte futuro?
Posta un commento