[ 10 marzo 2019 ]
Ieri si è svolta a Roma, presso il Teatro de’ Servi, introdotta da Carlo Formenti, l'assemblea nazionale [vedi foto] con cui Patria e Costituzione, Senso Comune e Rinascita! hanno presentato il Manifesto per la Sovranità Costituzionale. Chi si aspettava l’annuncio della fondazione di un nuovo soggetto politico è forse rimasto deluso. Più modestamente dall’assemblea è uscita la proposta di tre campagne politiche — vedi la dichiarazione di Fassina più sotto. Malgrado i limiti del Manifesto, come Programma 101 abbiamo salutato positivamente questo tentativo di raggruppare le forze disperse di quella che chiamiamo “sinistra patriottica”. Quali sono questi limiti è presto detto...
Oltre alla difesa della Costituzione del ’48, esso non è reticente sul punto strategico decisivo e considerato un inviolabile tabù sia dalla sinistra liberista che da quella radicale: la centralità, in questa fase storica di crisi della globalizzazione e dell’Unione europea, della questione nazionale, quindi della battaglia per la sovranità nazionale.
Ieri si è svolta a Roma, presso il Teatro de’ Servi, introdotta da Carlo Formenti, l'assemblea nazionale [vedi foto] con cui Patria e Costituzione, Senso Comune e Rinascita! hanno presentato il Manifesto per la Sovranità Costituzionale. Chi si aspettava l’annuncio della fondazione di un nuovo soggetto politico è forse rimasto deluso. Più modestamente dall’assemblea è uscita la proposta di tre campagne politiche — vedi la dichiarazione di Fassina più sotto. Malgrado i limiti del Manifesto, come Programma 101 abbiamo salutato positivamente questo tentativo di raggruppare le forze disperse di quella che chiamiamo “sinistra patriottica”. Quali sono questi limiti è presto detto...
* * *
NESSUNO E' PERFETTO
Comunicato n. 3 del Comitato centrale di Programma 101 - 2019
«Abbiamo preso visione del Manifesto per la sovranità costituzionale, frutto dell’intesa tra tre gruppi: Patria e Costituzione, Senso Comune e Rinascita!.
Manifesto per larga parte condivisibile (vi ritroviamo analisi e proposte che per primi abbiamo avanzato) la qual cosa conferma che dalle nostre parti c’è vita, che inizia a delinearsi, pur tra tante difficoltà, l’area che chiamiamo della “sinistra patriottica”.
Perché il documento è condivisibile, è presto detto.
Manifesto per larga parte condivisibile (vi ritroviamo analisi e proposte che per primi abbiamo avanzato) la qual cosa conferma che dalle nostre parti c’è vita, che inizia a delinearsi, pur tra tante difficoltà, l’area che chiamiamo della “sinistra patriottica”.
Perché il documento è condivisibile, è presto detto.
Oltre alla difesa della Costituzione del ’48, esso non è reticente sul punto strategico decisivo e considerato un inviolabile tabù sia dalla sinistra liberista che da quella radicale: la centralità, in questa fase storica di crisi della globalizzazione e dell’Unione europea, della questione nazionale, quindi della battaglia per la sovranità nazionale.
Di qui il dovere, per una sinistra popolare, di proporre un patriottismo democratico come arma non solo contro l’élite liberista e cosmopolitica ma pure come mezzo per contrastare il risorgente nazionalismo populista. Così come sono condivisibili le considerazioni sulla primazia dello Stato sul mercato; quelle per un controllo sul movimento dei capitali; quelle sui rischi per l’unità nazionale derivanti dal “regionalismo differenziato”; quelle sul principio che i flussi migratori debbono essere regolati (di qui la critica alle sinistre “no border”); quelle sul concetto che non tutti i bisogni individualistici indotti dal mercato sia diritti; infine quelle sui rischi delle tecno-scienze e l’esigenza e di un controllo democratico sull’uso dei saperi.
Ma allora dove casca l’asino?
Casca perché questo Manifesto è reticente su alcuni punti cruciali, ovvero non da le risposte che qui e ora ci servono sul piano strategico e tattico per uscire dal minoritarismo o dalla mera testimonianza ideale.
Il Manifesto pecca insomma di astrattismo politico.
(1) Manca un’analisi della crisi di egemonia dell’élite neoliberista, quindi del fenomeno controverso e composito dei “populismi”, qui in Italia anzitutto del Movimento 5 Stelle e poi della Lega a trazione salviniana.
(2) Manca un giudizio sulla svolta politica del 4 marzo 2017: è essa irreversibile, destinata a produrre effetti sul lungo periodo sul piano sociale, politico e istituzionale, oppure si tratta solo di una momentanea parentesi?
(3) E’ del tutto assente (reticenza imperdonabile) un giudizio sul governo giallo-verde: durerà o cadrà? E se cadrà, per sue contraddizioni interne o sotto l’attacco dell’élite eurocratica? E siccome questo attacco è in pieno svolgimento (anzitutto contro i Cinque Stelle) può la sinistra patriottica restare equidistante?
(4) Non c’è traccia, nel Manifesto, del “Fattore S”, ovvero alla Sollevazione popolare, quindi del protagonismo delle masse. Reticenza assai grave, anche visto quanto sta accadendo in Francia col movimento dei Gilet gialli. Si pensa forse che l’attuale pace sociale è definitiva? Oppure no? Ed allora come una sinistra patriottica deve prepararsi alla bisogna e battersi per l’egemonia in seno alla rivolta popolare? L’impressione è che la strategia sia tutta schiacciata sui piani elettorale e istituzionale.
(5) La conferma che il Manifesto è debole sul piano politico-strategico viene dall’assenza di ogni discorso sulle alleanze (tattiche e strategiche). A meno che non si pensi alla propria autosufficienza, l’uscita dalla gabbia eurocratica, lo sganciamento della globalizzazione neoliberista, sono battaglie titaniche che implicano la costruzione di un potente fronte di lotta. Quanto ampio? Quali classi sociali e partiti può includere? Non è un caso che non si parli, come noi facciamo, di un Comitato di liberazione nazionale.
(6) Come minimo singolare è l’assenza totale di una proposta di politica internazionale. Quella cosa che da tempo ha preso il nome di geopolitica. Mancanza assai grave se si pensa alle svolte avvenute nei diversi teatri globali e dei rischi crescenti di conflitti deflagranti e di nuove aggressioni imperialiste (Venezuela). Da che parte stanno i promotori del Manifesto? Sono essi indifferenti allo scontro sempre più duro tra potenze? Come pensano debba collocarsi il nostro Paese una volta liberatosi dal giogo euro-tedesco? Dovrà anche uscire dalla NATO o fare da sponda alla casa Bianca trumpiana?
(7) Veniamo infine alla lacuna più sorprendente: da nessuna parte si scrive che l’Italia deve uscire dall’eurozona e dall’Unione. Da nessuna parte si proclama a chiare lettere la necessità dell’Italia di battere moneta propria attraverso una banca centrale pubblica. Una mancanza che anche a noi ha lasciato di stucco. Data questa assenza, mentre tutti, da sinistra a destra, si trastullano nell’illusione di poter “cambiare i Trattati”, la prospettiva (di sapore gollista) di una Confederazione europea di nazioni sovrane ha un aspetto davvero sinistro.
Nessuno è perfetto, diranno alcuni. Sì, qui nessuno è perfetto, ma dalla perfezione all’insufficienza c’era ampio spazio per fare qualcosa di meglio.
Il Manifesto si conclude con l’auspicio che “la discussione e l’approfondimento dei temi sopra indicati deve essere funzionale alla formazione di un nuova forza politica”, un nuovo partito.
Malgrado il Manifesto in questione non sia una base politica e strategica sufficiente per un partito nuovo, socialista, patriottico e rivoluzionario, condividiamo l’auspicio e ci auguriamo che nei prossimi mesi sia possibile un confronto politico aperto e costruttivo. La qual cosa implica non solo onestà intellettuale ma pure un giusto metodo per risolvere la differenze e trovare l’auspicabile sintesi unitaria».
Ma allora dove casca l’asino?
Casca perché questo Manifesto è reticente su alcuni punti cruciali, ovvero non da le risposte che qui e ora ci servono sul piano strategico e tattico per uscire dal minoritarismo o dalla mera testimonianza ideale.
Il Manifesto pecca insomma di astrattismo politico.
(1) Manca un’analisi della crisi di egemonia dell’élite neoliberista, quindi del fenomeno controverso e composito dei “populismi”, qui in Italia anzitutto del Movimento 5 Stelle e poi della Lega a trazione salviniana.
(2) Manca un giudizio sulla svolta politica del 4 marzo 2017: è essa irreversibile, destinata a produrre effetti sul lungo periodo sul piano sociale, politico e istituzionale, oppure si tratta solo di una momentanea parentesi?
(3) E’ del tutto assente (reticenza imperdonabile) un giudizio sul governo giallo-verde: durerà o cadrà? E se cadrà, per sue contraddizioni interne o sotto l’attacco dell’élite eurocratica? E siccome questo attacco è in pieno svolgimento (anzitutto contro i Cinque Stelle) può la sinistra patriottica restare equidistante?
(4) Non c’è traccia, nel Manifesto, del “Fattore S”, ovvero alla Sollevazione popolare, quindi del protagonismo delle masse. Reticenza assai grave, anche visto quanto sta accadendo in Francia col movimento dei Gilet gialli. Si pensa forse che l’attuale pace sociale è definitiva? Oppure no? Ed allora come una sinistra patriottica deve prepararsi alla bisogna e battersi per l’egemonia in seno alla rivolta popolare? L’impressione è che la strategia sia tutta schiacciata sui piani elettorale e istituzionale.
(5) La conferma che il Manifesto è debole sul piano politico-strategico viene dall’assenza di ogni discorso sulle alleanze (tattiche e strategiche). A meno che non si pensi alla propria autosufficienza, l’uscita dalla gabbia eurocratica, lo sganciamento della globalizzazione neoliberista, sono battaglie titaniche che implicano la costruzione di un potente fronte di lotta. Quanto ampio? Quali classi sociali e partiti può includere? Non è un caso che non si parli, come noi facciamo, di un Comitato di liberazione nazionale.
(6) Come minimo singolare è l’assenza totale di una proposta di politica internazionale. Quella cosa che da tempo ha preso il nome di geopolitica. Mancanza assai grave se si pensa alle svolte avvenute nei diversi teatri globali e dei rischi crescenti di conflitti deflagranti e di nuove aggressioni imperialiste (Venezuela). Da che parte stanno i promotori del Manifesto? Sono essi indifferenti allo scontro sempre più duro tra potenze? Come pensano debba collocarsi il nostro Paese una volta liberatosi dal giogo euro-tedesco? Dovrà anche uscire dalla NATO o fare da sponda alla casa Bianca trumpiana?
(7) Veniamo infine alla lacuna più sorprendente: da nessuna parte si scrive che l’Italia deve uscire dall’eurozona e dall’Unione. Da nessuna parte si proclama a chiare lettere la necessità dell’Italia di battere moneta propria attraverso una banca centrale pubblica. Una mancanza che anche a noi ha lasciato di stucco. Data questa assenza, mentre tutti, da sinistra a destra, si trastullano nell’illusione di poter “cambiare i Trattati”, la prospettiva (di sapore gollista) di una Confederazione europea di nazioni sovrane ha un aspetto davvero sinistro.
Nessuno è perfetto, diranno alcuni. Sì, qui nessuno è perfetto, ma dalla perfezione all’insufficienza c’era ampio spazio per fare qualcosa di meglio.
Il Manifesto si conclude con l’auspicio che “la discussione e l’approfondimento dei temi sopra indicati deve essere funzionale alla formazione di un nuova forza politica”, un nuovo partito.
Malgrado il Manifesto in questione non sia una base politica e strategica sufficiente per un partito nuovo, socialista, patriottico e rivoluzionario, condividiamo l’auspicio e ci auguriamo che nei prossimi mesi sia possibile un confronto politico aperto e costruttivo. La qual cosa implica non solo onestà intellettuale ma pure un giusto metodo per risolvere la differenze e trovare l’auspicabile sintesi unitaria».
Sostieni SOLLEVAZIONE e Programma 101
7 commenti:
Sinistra patriottica quando ormai Lega e 5 stelle hanno assunto identità proletaria e lavoristica....Benvenuti sulla terra ....o si fa entrismo o si resta alla finestra
Le vostre critiche sono tutte giuste, ritengo però che si debba andare fino in fondo per capire il motivo di questo continuo avantindré.
Certo da una parte ci sta il fatto che senza che la situazione precipiti ben difficilmente qualcosa si smuoverà, ma questo da solo non è sufficiente a spiegare il motivo delle loro posizioni eccessivamente tiepide.
Scrivo dopo aver letto su P&C l'articolo sulla questione abitativa che compare sulla vostra barra laterale, un condensato di contraddizioni ed inconseguenza coerente con la tiepidità di quest'area politica. Ci informa che, in base alle solite statitiche di Trilussa, gli italiani in affitto sono una minoranza (il 18%) mentre il problema è prevalentemente degli stranieri (il 70%), fesso io ad essere nella minoranza. Prosegue ricordandoci che in fondo abitiamo in case troppo grandi (abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità) perché in fondo siamo prevalentemente nuclei monocomponenti i bicomponenti (sigh), ciliegina sulla torta propone una soluzione basata sulla gig economy. Ora cerchiamo su google gig economy ci salta subito fuori "lavoro temporaneo" un fenomeno davanti al quale non è ammissibile nessuna posizione tiepida come quella possibilista che invece l'articolo esprime.
Potrei continuare, questo è solo che un esempio dei tanti che quest'area politica continua a produrre, il punto è sempre la questione che ho posto all'inizio: perché da quest'area continuano ad uscire queste posizioni da "rivoluzionario tentenna"? Sono passati ormai troppi anni ed a questa domanda è necessario dare una risposta. La mia, per quanto sprezzante, è la seguente: essi sono benestanti, da questi benestanti non ci si potrà aspettare che posizioni tiepide e minimaliste, pannicelli caldi, ben al di sotto di ciò che sarebbe necessario per chi benestante non è.
Giovanni
Non dissentiamo dalla crudele diagnosi di Giovanni.
Sia per ciò che concerne il giudizio sui rivoluzionari-tentenna, sia sul fatto che solo grazie a profondi shock sociali i moerti cesseranno di allungare le mani sui vivi.
Portate pazienza, che lo shock verrà, e quindi il punto è: chi si sta preparando a giocare un ruolo nella tempesta?
Per quanto concerne il primo anonimo che ci dice che si deve vare entrismo: e dove si dovrebbe fare l'entrismo?
Io personalmente ritengo che tutti noi, facenti parte dei vari partiti di sinistra patriottica dovremmo unirci e tralasciare i dettagli sui quali non siamo d'accordo soffermandoci invece sulla visione comune. Ritengo anche cheche dovre accelerare i tempi sennò va a finire che si fa la fine che ha sempre fatto la sinistra, parliamo parliamo parliamo ma poi sui fatti non si riesce ad andare avanti. E soprattutto visione ampia, che non è detto che bisogna aspettare le prossime elezioni.
Quello che serve non e entrismo. Serve organizzazione. Informazione e sensibilizzazione della gente sui territori, "divisione del lavoro" tra le varie associazioni (patria e costituzione, rinascita, p101 ecc..) perché ognuno di noi ha una peculiarità, c'è chi è più predisposto al ruolo istituzionale, chi al contatto con la gente e chi all:attivi at di manifestazione e protesta. Se si fa un lavoro organizzato sul territorio per
le prossime elezioni avremmo una larga maggioranza come partito e forse anche senza aspettarle. Ritengo che bisogna fare pressione costante, non una manifestazione al mese ma una a settimana. Non si può stare in eterno a commentare e parlare, o si agisce sul serio o sennò speriamo bene nel "governo del cambiamento", non credo ci siano altre opzioni.
Non è solo questione di benessere. La distropia di fondo consiste nell’accettare la rivendicazione sistemica secondo cui opereremmo in una società libera. Questa società non è libera. Anche laddove non operano reati di pensiero e di associazione, uscire dalla nebulosa della political correctness – in tutti i campi attinenti alla manipolazione della vita pubblica, quindi la politica ma anche scuola, accademia, giornalismo... – significa essere estromessi dal mainstream e, oltre un certo limite, rischiare il posto di lavoro.
Coloro che arrivano ai vertici nazionali in qualsiasi campo hanno introiettato questa regola fin dai primi passi della loro professione e sanno quanto è lunga la propria catena. Chi sarebbe pronto a rompersi l’osso del collo rimane fuori dai giochi molto prima di arrivare abbastanza in alto da farsi sentire.
E’ un sistema soft di imposizione del consenso che è stato ben descritto sia da Spengler che da Marcuse e che rientra nel galoppante processo di americanizzazione: "negli Stati Uniti i processi di esclusione e repressione del dissenso non sono passati attraverso il controllo formale dell’apparato statale, e l’assenza d’un’azione deliberata da parte delle istituzioni nei confronti della devianza ha indotto molti americani a credere che tali processi non esistano. In realtà la società americana, a causa della debolezza che ne ha caratterizzato l’apparato statuale per gran parte della sua storia, ha puntato, onde controllare le deviazioni alle norme e tutelare la propria identità, su meccanismi informali di esclusione/repressione" (Samuel Francis).
Chiudo ricordando che chi è a favore della repressione poliziesca del pensiero e dell’azione politica altrui (legge Mancino) non può certo lamentarsi della repressione soft dell’azione propria.
Per dovere di cronaca:
Noi siamo per la massima unità delle diverse forze della sinistra patriottica, ma non transigiamo su quelli che per noi sono punti non negoziabili: sovranità nazionale e uscita dall'Unione dall'euro.
Sembravano punti scontati fino ad un anno fa.... ora c'è aria di altreuropeismo di ritorno.
Posta un commento