[ 13 marzo 2019 ]
Il 9 marzo scorso si è svolta a Roma la presentazione del Manifesto per la sovranità costituzionale, sottoscritto da Patria e Costituzione, Senso comune e Rinascita!
Nonostante alcuni importanti limiti — da noi segnalati — abbiamo salutato positivamente questo tentativo di raggruppare le forze disperse di quella che chiamiamo “sinistra patriottica”.
Il 9 marzo scorso si è svolta a Roma la presentazione del Manifesto per la sovranità costituzionale, sottoscritto da Patria e Costituzione, Senso comune e Rinascita!
Nonostante alcuni importanti limiti — da noi segnalati — abbiamo salutato positivamente questo tentativo di raggruppare le forze disperse di quella che chiamiamo “sinistra patriottica”.
Bazaar era presente all'incontro del 9 marzo a Roma. D'appresso le sue severe considerazioni.
* * *
Una breve riflessione sul Manifesto presentato da Patria e
Costituzione occorre farla.
Ciò che si ritiene ci sia di più o meno buono in questa
esperienza è grosso modo tratteggiato da Ugo Boghetta.
Diciamo che il 9 marzo, dopo l’eccellente
introduzione di Carlo Formenti, le contraddizioni che
appaiano già nel Manifesto, e che si ritiene debbano essere assolutamente
risolte affinché ci si possa effettivamente trovare di fronte agli albori di
una nuova forza socialista, sono esplose in tutta la loro irrazionalità
con gli interventi di alcuni relatori.
I maggiori punti dolenti sono tre, fondamentali, e rivelativi di una mancata abiura del liberalismo di sinistra: se l’ambizioso obiettivo, che onorerebbe il nome dell’associazione, è la formazione di un partito socialista, allora questi punti negano ab origine l’emancipazione dall’ideologia – liberal e politicamente corretta — che ha fatto del neoliberalismo un totalitarismo in gran parte del globo.
I maggiori punti dolenti sono tre, fondamentali, e rivelativi di una mancata abiura del liberalismo di sinistra: se l’ambizioso obiettivo, che onorerebbe il nome dell’associazione, è la formazione di un partito socialista, allora questi punti negano ab origine l’emancipazione dall’ideologia – liberal e politicamente corretta — che ha fatto del neoliberalismo un totalitarismo in gran parte del globo.
1-Il lavoro di cittadinanza… e l’euro e la UE?
Questo punto programmatico — che ha almeno nominalisticamente
il merito di ribaltare l’idea horror del “reddito di cittadinanza” — vede omesso in modo inaccettabile un fatto macroeconomico — l’euro — per cui
questa iniziativa rimane una semplice forma di politica economica volta alla sussidiarietà
in linea con le politiche liberiste, oppressive della classe lavoratrice, che
trovano genesi nelle istituzioni eurounioniste. Proprio come nel caso del
“reddito di cittadinanza” cui si vorrebbe opporre un’alternativa conforme a
costituzione.
La Costituzione Italiana prevede inderogabilmente che la
Repubblica intervenga attivamente per far sì che sia raggiunta la piena
occupazione; piena occupazione che è incompatibile con i trattati
eurounionisti e con l’euro, i quali scaricano gli aggiustamenti di cambio
sul costo del lavoro, ovvero sulle classi subalterne: nell’unione monetaria i
prezzi dei beni che vengono esportati per permetterci di importare in primis
materie prime ed energia, non variano in base al variare del cambio valutario
tramite un’unica azione di politica economica (apprezzamento o deprezzamento
della valuta), ma vengono variati aggiustando il livello salariale e la domanda
aggregata conseguente (la mancanza di una moneta sovrana implica un cambio
irrevocabilmente fisso con gli altri paesi dell’eurozona). Ciò significa che
per rendere più competitivi i nostri beni sui mercati internazionali, e per
ripagare il debito estero, si ricorre alla macelleria sociale in atto da almeno
dieci anni.
L’obiezione che si solleva è quindi ovvia e immediata: è
inutile parlare di “Patria” e “Costituzione” se non si mette al centro del
discorso politico la dirimente questione della sovranità monetaria e della
possibilità di decidere le politiche valutarie (e fiscali).
Si può affermare quindi che il progresso da “reddito di
cittadinanza” a “lavoro di cittadinanza” è solo formale e non sostanziale: lo
proposta non è sicuramente una istanza kaleckiana e socialista.
Questo mancato esplicito antagonismo al processo
eurounionista non può che essere un retaggio dell’europeismo della sinistra liberal.
(Di cui Altiero Spinelli, socialista liberale, è un’icona).
2 I “beni comuni”: il municipalismo e le privatizzazioni
Chiamare “beni comuni” i beni pubblici è una
prassi dialettica che lascia il campo al pensiero privatistico e neoliberale
che ha fatto carne di porco della stessa Carta che si vorrebbe difendere.
È un controsenso aver l’ambizione di lottare contro le
privatizzazioni permesse dall’attuazione del paradigma liberale usando le
categorie stesse usate dai neoliberisti per svendere i beni pubblici.
Il localismo municipalista è invece un corollario del
vincolo esterno ed è quindi volto alla svendita e alla gestione privatistica
del patrimonio pubblico.
Va comunque evidenziato che ci sono stati relatori che
hanno specificato, durante il loro intervento, che preferivano discutere di
beni pubblici (anziché di beni “comuni” che, in quanto tali, possono
essere considerati “privatizzabili”).
Inutile sottolineare che è stata la “prodiana” e
“dalemiana” sinistra liberale a procedere alle privatizzazioni e a
svendere il nostro patrimonio pubblico: si cominciasse a prendere le distanze
da questa partendo dalle categorie usate.
L’identità
socialista si acquisisce in contrapposizione a quella liberale, non
alle istanze genericamente “di destra” (segnatamente in riferimento al
“regionalismo” leghista e al “reddito di cittadinanza” pentastellato)
3 L’ecologismo… e la “matria”
Il tema ecologista — da non confondere con l’ecologia e
con quella prassi politica volta a tutelare «il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della
Nazione» e a tutelare «la salute come fondamentale diritto dell'individuo e
interesse della collettività» — segna il momento più deprimente
dell’evento, tanto che, nel contributo che più si è concentrato sulla tematica
ambientalista, il relatore (rectius, la “relatrice”) ha esordito con quell’aberrazione
sostantivale chiamata “matria”: il più truce dei neologismi della sinistra neoliberale
e politicamente corretta.
L’indice di falsa coscienza e d’ideologia liberal
che si evince da questo semplice mostruosa parola è allarmante: allarmante che
un intervento così sia stato messo nella scaletta dell’evento. Probabilmente il
contributo più ideologicamente lontano dall’introduzione carica di socialismo
fatta dal buon Formenti.
Purtroppo anche nel “Manifesto per la sovranità
costituzionale” si afferma che «il socialismo del XXI secolo non può essere
disgiunto da una vocazione ecologista», fino a parafrasare la Luxemburg
con: «socialismo o collasso ecologico del pianeta».
Si è assolutamente d’accordo che o si realizza il
socialismo oppure si andrà verso il disastro ecologico: il punto che non
dovrebbe sfuggire è che mai Rosa Luxemburg avrebbe fatto dei
comizi contro una distopica “barbarie”. (E si è dovuto aspettare il depressivo Orwell
per leggere un romanzo distopico scritto da un socialista… ma transeat).
Figuriamoci se sarebbe mai morta con le armi in pugno per la salvezza dei panda
o per la diffusione della raccolta differenziata. Neanche a Davos...
Chi è che desidera la “barbarie”? Ovvero, chi è che
desidera l’inquinamento?
Semplice: nessuno. I liberisti lo chiamano “esternalità
negativa”, un prodotto indesiderato del processo industriale e non voluto
ovviamente da nessuno.
La salubrità dell’ambiente è un correlato della storica
lotta socialista: a partire dall’ambiente di lavoro. Ma la salvaguardia
dell’ambiente, senza alcun riferimento di classe, è una battaglia della classe
egemone che, non a caso, ha finanziato gran parte dei movimenti ecologisti che
sono nati con la controrivoluzione neoliberale. Così come non è un caso
che siano i neomalthusiani ad aver promosso la retorica catastrofista
intorno all’ambiente, dalla scomparsa dei panda al riscaldamento globale.
L’ecologismo
non è altro che il vincolo esterno ideologico usato per ristrutturare
l’ordine sociale in senso classista: se la moneta sottratta alla sovranità
popolare è il vincolo esterno sociostrutturale — in Europa l’euro — l’ambientalismo è il vincolo esterno sovrastrutturale.
Il socialista si preoccupa della qualità dell’ambiente in
cui vivono e lavorano le classi subalterne: al socialista interessa
innanzitutto che la produzione sia funzionale ai bisogni e agli interessi di
classe, quindi si interessa dell’inquinamento che i borghesi producono.
All’interno e all’esterno dei luoghi di lavoro.
L’ecologismo è invece quel pensiero borghese per il quale
sono i ceti subordinati ad inquinare con i loro consumi, con il loro riprodursi
“bestiale” (se non esternamente vincolato…): “Con tutta quella prole
che produce CO²!” — tuona la classe egemone.
Non è un caso che quindi Malthus propugnasse ambienti sporchi e malsani
in cui far sopravvivere — il meno a lungo possibile — il proletariato.
Lo Stato keynesiano che interviene in economia con la
scusa della green economy è un ulteriore prodotto di un pensiero
illogico: innanzitutto oggi lo Stato non riesce a intervenire in economia tout
court a causa del vincolo esterno, e, nel caso in cui ci si fosse
liberati dal vincolo esterno e si fosse riconquistata la sovranità
costituzionale, la tutela dell’ambiente sarebbe obbligo costituzionale a cui
deve adempiere la Repubblica.
La priorità di un partito socialista è quella della tutela
del lavoro in tutti i suoi aspetti.
Visto che occorre sottolinearlo, ribadiamo: il processo di
deindustrializzazione e le politiche di riduzione demografica impliciti
nell’ecologismo sono reazionari, sono desiderati dalla classe egemone, e sono
antitetici al socialismo. L’istanza per cui lo Stato dovrebbe intervenire per
modificare la funzione di produzione “in senso ecologista” è, di fatto, o
reazionaria o inutilmente ridondante. I “modelli di sviluppo” che tengono conto
della funzione di produzione in modo non subordinato alla tutela del lavoro
sono istanze politiche parte del paradigma neoliberale. I partiti
“verdi” sono infatti espressione della sinistra liberale e sono
antagonisti delle istanze socialiste.
4 Altre note sparse in conclusione
“Xenofobia” e “nazionalismo” sono altre categorie del
paradigma neoliberale usate durante gli interventi dei relatori per
stigmatizzare moralisticamente le istanze politiche che hanno posto resistenza
alla globalizzazione liberale.
Chi non accetta il liberismo migratorio, o dà segni di
scontento per il disagio sociale causato dall’immigrazione, viene tacciato di
“xenofobia” o di “razzismo”; chi resiste alla cessione di sovranità agli
oligopoli economico-finanziari, e rivendica interessi nazionali, viene tacciato
di “nazionalismo”.
Chi combatte invece per tutelare il lavoro fa — ovviamente! — in modo di placare i conflitti sezionali che la borghesia aizza
nella classe lavoratrice, lotta per impedire che questi vengano alimentati con
ulteriore immigrazione, e opera per la solidale unità della classe lavoratrice.
Non esiste un suprematismo morale di una parte politica
sull’altra: esiste una coscienza morale che porta il socialista a lottare a
favore degli interessi della classe lavoratrice; ma esso riconosce la
legittimità degli interessi della classe proprietaria, rappresentata o meno
dalla destra politica.
Il
confondere l’etica sociale con la privatistica moralità individuale è parte del
paradigma neoliberale.
Non a caso il moralismo è il segno distintivo della
sinistra liberal.
Se è giusto «regolare» l'immigrazione in quanto
variabile politica che influisce sul livello dei salari, e sulla possibilità
dello Stato di adempiere agli obblighi costituzionali che prevedono piena
occupazione e servizi sociali universali, non è altrettanto giusto che un
partito socialista si limiti a rivendicare una «regolazione».
Se l’immigrazione abbassa il livello dei salari, significa
che l’immigrazione è voluta dal padronato: quindi un partito socialista
dovrebbe far sì che questa sia sempre ostacolata. Come ostacolerà sempre
l’emigrazione.
Non essere noborder non è sufficiente per prendere
una posizione socialista sull’immigrazione. Ovvero non basta – per quanto
sia già tantissimo – rendere vivo il Dettato che, ricordiamo, è pluriclasse: un
partito socialista si preoccupa degli interessi immediati della classe
lavoratrice.
In conclusione, al di là di queste note e degli interventi
a cui queste si riferiscono, i relatori hanno mediamente espresso contributi di
un livello molto più alto rispetto a quello che ci ha abituato il panorama
politico degli ultimi lustri. E la possibilità che possa nascere una vera forza
politica socialista è auspicata da tutti coloro che lottano per l’indipendenza
della propria Patria e per la relativa sovranità costituzionale.
Ma c’è sicuramente ancora tanto lavoro da fare, ad
iniziare dalle basi: ovvero dal punto di vista ideologico.
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8 commenti:
Intervento rozzo, terrapiattista, intriso di malcelato operaismo, che altro non è che l'altra faccia del liberalismo "di sinistra".
Caro Pasquinelli, alias Bazaar, ti sta mancando quel poco di terra che ti era rimasta sotto i piedi.... qualche riflessione dovrai pur farla, no?
Brutta cosa la "sindrome di Napoleone"!!
Carlo F.
L'artico di Baazar è il solito e stantio esempio di cretinismo economicistico risalente a una certa vulgata marxista secondo la quale l'etica sarebbe nientepopodimeno che una "sovrastruttura" di determinati rapporti di produzione. Di qui l’assurda proposizione di due morali: “l’etica sociale e la privatistica moralità individuale”, ridicolo aggiornamento della distinzione tra morale “proletaria” e morale” borghese” di ascendenza staliniana. Dato che il soggetto in questione si vanta di essere una persona semi-istruita veda di andarsi a ripassare Hegel che pone l’eticità come superamento e inveramento della moralità (l’imperativo categorico kantiano): senza “privatistica moralità individuale”, nessuna “etica sociale”. Tra l’altro non si capisce perché i socialisti dovrebbero “regalare” la moralità individuale ai loro avversari e quindi all’errore teoretico si aggiunge l’errore politico (come spesso avviene). Speriamo che i militanti di Patria e Costituzione (per i quali nutro viva simpatia) sappiano liberarsi di simili sedicenti “intellettuali”. Per fare avanzare una giusta posizione politica non è necessario essere filosofi o storici. Se si vuole fare filosofia storiografia bisogna lasciare il terreno dello scontro politico perché la verità, così come la moralità, non ha colore politico. Sempre che un partito qualsiasi non intenda rivendicarne il monopolio il che, ripeto, è una scempiaggine teoretica e un errore politico (che porta dritti dritti al totalitarismo).
P. S. Rosa Luxemburg, se lo ficchi bene in mente sto baazar, è stata un fulgido esempio di “moralità individuale”, alta testimonianza di umanità che sempre sarà ammirata da tutti gli uomini di buona volontà. Si ricordi bene, sto bazar, che Rosa Luxemburg non è stata capo di gabinetto del Ministero degli Italiani nel mondo del governo Berlusconi (così come si peritò di essere l'amico e il maestro del soggettino in questione).
P.S. Sto bazar impari la distinzione tra liberalismo e liberismo. Dopo tutto sembra che sia italiano e di Benedetto Croce dovrebbe saperne qualcosa.
francesco fiorillo
A Carlo F,
Bazaar è, come noto a moltissimi, uno dei redattori del blog Orizzonte 48.
Approfittiamo per segnalare a tutti i lettori che i contributi di Moreno Pasquinelli sono sempre pubblicati a suo nome.
Quelli che portano altri nomi e/o pseudonimi, sono di altri membri di Programma 101, o di collaboratori e simpatizzanti della testata sollevazione o anche esterni alla nostra area.
@Carlo F.
Al di là del cospirazionismo dietrologico circa il reale autore dell'articolo, mi chiedo il senso del suo livoroso contributo.
@francesco fiorillo
Anche il suo commento è intriso di livore, ma almeno contiene - oltre ad un malcelato senso di inadeguatezza - uno straccio di tentativo di confrontarsi sui contenuti:
1- quale sarebbe "il cretinismo economico"? La descrizione delle dinamiche macroeconomiche che opprimono la classe lavoratrice?
Innanzitutto filologicamente parlando è scorretto usare la locuzione gramsciana "cretinismo economico" in quanto questa fu proprio rivolta ai liberisti, ovvero a coloro che fondavano e fondano la propria ideologia volta alla difesa della proprietà privata sull'individualismo metodologico.
Per un socialista (in senso marxiano) sono i rapporti di produzione (e riproduzione) e quindi l'economia ad essere il motore della Storia: ci siamo dimenticati il materialismo storico? Marx ha passato decenni a criticare l'economia politica a fare?
2- la differenza portata tra etica sociale e moralità individuale è ovviamente un riferimento a Hegel, quindi non si capisce proprio la sua polemica.
La riflessione nasceva proprio dal fatto che il (neo)liberalismo microfonda sull'individuo il suo paradigma ideologico e, se «non esiste la società» non esistono neanche istituzioni sociali eticamente orientate secondo giustizia.
3- il discorso che fa è confusionario, disorganico: non c'entrano nulla con l'articolo né Kant, né Stalin, né la "storiografia", né "monopoli" di significanti assiologici.
4- L'unico "totalitarismo" di cui temere è quello neoliberale che incombe: sventolare lo spauracchio di totalitarismi diversi da quello del mercato è prassi neoliberale.
5- Rosa Luxemburg è stata un fulgido esempio di coscienza morale. Quindi? Che cazzo c'entra con l'articolo?
6- Il liberalismo è stato sempre sovrastrutturato al liberismo economico: argomentare con la distinzione crociana è, appunto, una prassi liberale. Quella più vergognosamente pilatesca.
SINTESI: la stragrande maggioranza dei militanti di sinistra degli ultimi lustri è infarcita di liberalismo come dimostrano gli sgangherati interventi ivi commentati.
È il problema ideologico peggiore: chi non ce la fa a liberarsi da tutte queste cazzate semplicemente fa parte delle forze di reazione.
Ho apprezzato i contributi di Bazaar su Orizzonte48 ma con l'affermazione "L’ecologismo è invece quel pensiero borghese per il quale sono i ceti subordinati ad inquinare con i loro consumi" dimostra di non sapere molto in merito a quel che critica e farebbe bene ad approfondire la questione.
Sulla questione della xenofobia un conto è non seguire la primazia della immigrazione nell'agenda politica, un altro è sdoganare ogni forma di pulsione xenofoba interpretandola come resistenza alla globalizzazione. Mi pare un po' troppo francamente.
I compagni di Sollevazione fanno bene a dare spazio a varie posizioni, so che loro rifuggono da impostazioni che alla fine sono sul piano inclinato che arriva in prossimità delle forze reazionarie.
p.s.
Per un marxiano è il moralismo ad essere una sovrastruttura dei rapporti di produzione, ovvero ideologia, ovvero falsa coscienza.
Per un marxiano la morale invece coincide con la prassi stessa.
@Valmor
Grazie per il contributo, ma andrò diretto anche con lei:
1- l'ecologismo - per chi si occupa di teoria politica - è una patente sovrastruttura del malthusianesimo che, come scritto nell'articolo, non va confuso con l'ecologia e l'ingegneria ambientale. Ha votato "verde"? Bene, ha votato malthusiano. I neomalthusiani sono neoliberisti? Sì.
2- parlare di freudiane "pulsioni xenofobe" è tipicamente retorica della sinistra liberal. Nell'articolo si dà per scontato che se si ricerca solidarietà e unità di classe non si va a fomentare conflitti sezionali come fanno certe "destre" o, soprattutto, il padronato che possiede i mezzi - i media - per farlo.
Ma è normale che a dei presunti socialisti vada specificato? Normale?
Inoltre tacciare di "xenofobia" e "razzismo" in senso moralistico i proletari e i disoccupati che esprimono disagio per l'immigrazione, è fare leva sui sensi di colpa come, appunto, ha sempre storicamente fatto la ierocrazia cattolica: la morale dell'ACCOGLIENZA dell'attuale papa dovrebbe mettere all'erta i socialisti. A meno che, come dimostrato nel post, questi in realtà appartengano al grande armento della sinistra liberale. Borghese, cosmopolita e liberista.
3- gli unici "piani inclinati" sono quelli che hanno GIÀ portato gran parte della sinistra a unirsi compattamente al liberalismo "conservatore" e alle forze della reazione che hanno prodotto l'attuale regime totalitario.
C'è chi vuole continuare a dare la caccia a fasci e a razzisti? c'è chi vuole trovare un senso identitario e di appartenenza andando in giro ad acchiappare fantasmi? c'è ancora chi pensa che la morale "non ha colore politico" ma agisce egli stesso come un suprematista morale? c'è ancora chi non ha capito che la sinistra liberale è la nuova Chiesa con tanto di Santa Inquisizione? pronta alle guerre di religione al servizio dei rentier?
La mia posizione politica è presto detta: non considero la sinistra liberale un insieme di compagni che sbaglia. No. Considero qualsiasi forma di liberalismo una minaccia di classe. E i liberali di sinistra dei nemici di classe.
Grandissimo Bazaar!; ho letto spesso, imparando(esercizio di umiltà che dovrebbero far proprio anche sinistrati dalla memoria corta e dal ditino accusatore perennemente sollevato ad indicare il reprobo abiurante il nuovo vangelo scritto nelle segrete stanze del potere proprio da quelle élites globaliste composte da "filantropi amici del popolo"vero?)che, se ve ne fosse ancora bisogno, con questa pseudo sinistra(transgenica), assieme alla sua cultura ed al suo ruolo interno alla ideologia dominante liberale ,NON E' PIU'POSSIBILE ISTAURARE ALCUN DIALOGO, nè tantomeno alcuna alleanza di fase, risultando pressoché inutile ogni tentativo dialogico;TEMPO SPRECATO.Ps. esilarante poi l'accostamento di Bazaar con Moreno Pasquinelli; e che dire di quell'altro che cita il fondatore di Orizzonte48 definendolo come da sopra,uno a cui il commentatore,sono sicuro,in un eventuale confronto con il citato,perderebbe miseramente.
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