[ 9 agosto 2017 ]
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Il regime prova in ogni modo di nascondere lo scandalo delle scommesse finanziarie che dirigenti del Ministero dell'economia del tempo fecero per conto dello Stato. Milena Gabanelli in una sua inchiesta, (vedi stralci più sotto), sostiene che le perdite potrebbero ammontare ad un totale di ben 40 miliardi! E ci si accapiglia sui vitalizi... Da notare che i dirigenti del Mef, come Grilli e Siniscalco, sono finiti proprio a lavorare per quelle banche straniere che avevano stipulato questi contratti con lo Stato italiano.
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La storia comincia a marzo 2012, quando Bloombergnews rende noto che il Tesoro Italiano, a fine 2011, ha chiuso in anticipo un contratto con Morgan Stanley liquidando senza batter ciglio 2,57 miliardi di euro. Si poteva negoziare e pagare meno, o abbiamo esaudito i desiderata della banca d’affari? Senza conoscere le clausole ti puoi solo fidare. Subito dopo però emergono indiscrezioni su altre operazioni in derivati con perdite miliardarie per il Tesoro, proprio mentre il ministro Fornero produceva «esodati» per mancanza di fondi. Parte una commissione di indagine parlamentare, una raffica di interrogazioni e question time. Le dichiarazioni dei ministri pro-tempore e del direttore del debito Maria Cannata sono sempre state rassicuranti qualificando il tema derivati di Stato come un problema estemporaneo e comunque sotto controllo.
Purtroppo i dati del Def ed Eurostat mostrano che il problema non è per niente sotto controllo e che le perdite effettive sono una costante nel bilancio dello Stato. In soldoni: 32 miliardi dal 2011 al 2016. Ma in essere ci sono ancora un centinaio di contratti per un controvalore di poco meno di 150 miliardi di euro e che possono produrre perdite negli anni a venire per 40 miliardi di euro. Lo stesso Tesoro le ha già stimate in 15 miliardi tra il 2017 e il 2020. Ma come fa il ministero a quantificare in modo così preciso le perdite, se ha sempre dichiarato di aver usato i derivati per proteggere il debito pubblico dal rischio di rialzo dei tassi di interesse? Che senso ha se la maggior parte del debito è già a tasso fisso? Chi ha analizzato le risposte fornite dal ministero di volta in volta, e sempre farcite di tecnicismi, non ha dubbi: si tratta di operazioni speculative che coprono in realtà i rischi delle banche dal calo dei tassi. Perché stipulare contratti che ti impegnano a pagare un tasso fisso prefissato per 30-40 anni, se non hai la sfera di cristallo? Inoltre molte di queste operazioni sono swaption, ovvero scommesse. Per semplificare si potrebbero paragonare alla vendita del diritto di prelazione su una casa, dopo 1 anno, alla metà del suo valore corrente. Queste «vendite» hanno consentito allo Stato di incassare subito e sistemare qualche bilancio difficile, ma lo hanno esposto al rischio di perdite ingenti negli anni a venire. Tre miliardi solo nel 2016, e almeno altrettanti sembra si spenderanno tra il 2017 e il 2018. Dove sta l’interesse dello Stato?
Intanto a luglio il procuratore della Corte dei Conti Massimiliano Minerva rinvia a giudizio per danno erariale per più di 4 miliardi di euro, Morgan Stanley, i ministri e direttori generali del Tesoro pro-tempore Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, Vincenzo La Via e l’inossidabile Maria Cannata, da più di 3 lustri direttore del debito pubblico. Per la Corte dei Conti il derivato con Morgan Stanley e ciò che ne è conseguito non sembrano riflettere l’interesse dei contribuenti. E tutti gli altri contratti contengono invece qualche vantaggio per noi? Bisognerebbe vederli, ma il ministro Padoan taglia la testa al toro: «Mettere in chiaro i contratti equivale a danneggiare il Paese, ad esporlo al rischio di speculazioni degli operatori di mercato».
Finora pare che siano state queste chiusure anticipate e le rinegoziazioni opache a rappresentare una speculazione ai danni del Paese. Conoscere i contratti, vedere le condizioni a cui sono stati stipulati, come sono stati gestiti nel tempo e analizzarli attraverso gli «scenari di probabilità» (cioè con gli stessi strumenti che usano le banche), ci farebbe capire se lo Stato ha fatto bene a farli, ha ricevuto i giusti compensi per i rischi che si è assunto, e magari anche a fare luce su come mai dirigenti del Mef, come Grilli e Siniscalco, sono finiti proprio a lavorare per quelle banche straniere che avevano stipulato questi contratti con lo Stato italiano. C’è da dire che quando Consob e Bankitalia proposero di utilizzare gli scenari di probabilità per i derivati degli enti locali, il Mef prima prese tempo, poi li fece rimuovere da qualsiasi ipotesi di lavoro con un provvedimento del governo Letta. E infatti sui derivati degli enti locali luce non verrà mai fatta, anzi non abbiamo neanche i dati aggregati che con tanta fatica sono stati ottenuti per quelli dello Stato italiano. In un Paese dove non si trova il denaro per mettere in sicurezza le scuole, mantenere efficiente la sanità pubblica e manutenere le infrastrutture per prevenire rischi sismici ed idrogeologici, è bello discutere dei vitalizi.
Purtroppo i dati del Def ed Eurostat mostrano che il problema non è per niente sotto controllo e che le perdite effettive sono una costante nel bilancio dello Stato. In soldoni: 32 miliardi dal 2011 al 2016. Ma in essere ci sono ancora un centinaio di contratti per un controvalore di poco meno di 150 miliardi di euro e che possono produrre perdite negli anni a venire per 40 miliardi di euro. Lo stesso Tesoro le ha già stimate in 15 miliardi tra il 2017 e il 2020. Ma come fa il ministero a quantificare in modo così preciso le perdite, se ha sempre dichiarato di aver usato i derivati per proteggere il debito pubblico dal rischio di rialzo dei tassi di interesse? Che senso ha se la maggior parte del debito è già a tasso fisso? Chi ha analizzato le risposte fornite dal ministero di volta in volta, e sempre farcite di tecnicismi, non ha dubbi: si tratta di operazioni speculative che coprono in realtà i rischi delle banche dal calo dei tassi. Perché stipulare contratti che ti impegnano a pagare un tasso fisso prefissato per 30-40 anni, se non hai la sfera di cristallo? Inoltre molte di queste operazioni sono swaption, ovvero scommesse. Per semplificare si potrebbero paragonare alla vendita del diritto di prelazione su una casa, dopo 1 anno, alla metà del suo valore corrente. Queste «vendite» hanno consentito allo Stato di incassare subito e sistemare qualche bilancio difficile, ma lo hanno esposto al rischio di perdite ingenti negli anni a venire. Tre miliardi solo nel 2016, e almeno altrettanti sembra si spenderanno tra il 2017 e il 2018. Dove sta l’interesse dello Stato?
Intanto a luglio il procuratore della Corte dei Conti Massimiliano Minerva rinvia a giudizio per danno erariale per più di 4 miliardi di euro, Morgan Stanley, i ministri e direttori generali del Tesoro pro-tempore Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, Vincenzo La Via e l’inossidabile Maria Cannata, da più di 3 lustri direttore del debito pubblico. Per la Corte dei Conti il derivato con Morgan Stanley e ciò che ne è conseguito non sembrano riflettere l’interesse dei contribuenti. E tutti gli altri contratti contengono invece qualche vantaggio per noi? Bisognerebbe vederli, ma il ministro Padoan taglia la testa al toro: «Mettere in chiaro i contratti equivale a danneggiare il Paese, ad esporlo al rischio di speculazioni degli operatori di mercato».
Finora pare che siano state queste chiusure anticipate e le rinegoziazioni opache a rappresentare una speculazione ai danni del Paese. Conoscere i contratti, vedere le condizioni a cui sono stati stipulati, come sono stati gestiti nel tempo e analizzarli attraverso gli «scenari di probabilità» (cioè con gli stessi strumenti che usano le banche), ci farebbe capire se lo Stato ha fatto bene a farli, ha ricevuto i giusti compensi per i rischi che si è assunto, e magari anche a fare luce su come mai dirigenti del Mef, come Grilli e Siniscalco, sono finiti proprio a lavorare per quelle banche straniere che avevano stipulato questi contratti con lo Stato italiano. C’è da dire che quando Consob e Bankitalia proposero di utilizzare gli scenari di probabilità per i derivati degli enti locali, il Mef prima prese tempo, poi li fece rimuovere da qualsiasi ipotesi di lavoro con un provvedimento del governo Letta. E infatti sui derivati degli enti locali luce non verrà mai fatta, anzi non abbiamo neanche i dati aggregati che con tanta fatica sono stati ottenuti per quelli dello Stato italiano. In un Paese dove non si trova il denaro per mettere in sicurezza le scuole, mantenere efficiente la sanità pubblica e manutenere le infrastrutture per prevenire rischi sismici ed idrogeologici, è bello discutere dei vitalizi.
* Fonte: Corriere della Sera
1 commento:
C'è qualcuno che mi può dire se ho compreso questa faccenda dei derivati, e nello specifico i famosi contratti tra Tesoro e Mongan Stanley?
I derivati sono contratti assicurativi. Il Tesoro vuole assicurarsi contro il rischio che i tassi sul debito salgano troppo. Contrae quindi un contratto derivato con la MS: fissa un prezzo (un tasso) a cui risarcirà un prestito x a una data scadenza. Se il tasso reale supera il tasso fissato nel contratto lo stato risparmia e la banca ci perde. Se il tasso è inferiore lo stato ci perde e la banca ci guadagna. In entrambi i casi il derivato è uno strumento che rende possibile fissare e quantificare con un margine di certezza l'esborso futuro. Lo stato ha la possibilità quindi di mettere sotto controllo il debito. Fin qui niente di scandaloso, se uno è convinto che uno stato debba sottostare alle leggi privatistiche del mercato (facciamo finta di esserlo e di non accorgerci della demenzialità di escogitare strumenti per complicarsi volutamente l'esistenza).
Tuttavia i contratti con la MS presentavano l'opzione assimetrica che solo la banca aveva la possibilità di estinguere anticipatamente il contratto nell'eventualità di condizioni vantaggiose per lei (cioè in presenza di tassi sul debito in discesa). Cioè, lo stato stipula con la MS un derivato sui tassi di interesse sul debito per un valore di 100: se i tassi salgono la banca a scadenza paga allo stato poniamo 10 (e quei 10 vanno a compensare il maggior esborso dello stato causato dall'aumento dei tassi di interesse). Se i tassi scendono dello stesso tanto sarà lo Stato a pagare alla banca quei 10 (compensati in questo caso dai minori esborsi complessivi sul debito). Salvo che il particolare contratto con la Morgan Stanley prevedeva che la banca (e solo lei) aveva la possibilità di estinguere il contratto e farsi pagare tutto o parte di quei 10 se i tassi fossero scesi e il guadagno avesse superato una data soglia (minima, secondo Alberto Micalizzi: https://albertomicalizzi.com/2017/07/06/derivati-tesoro-morgan-stanley-la-clausola-maledetta-terza-parte/). A questo punto la natura compensatoria del derivato è sparita, lo stato sborsa il denaro alla MS e rimane esposta a un eventuale rialzo dei tassi. Il derivato non è più tale ma è semplice speculazione.
Scusate lunghezza ed eventuali castronerie. Ringrazio in anticipo chi mi darà conferma o mi correggerà.
Sandro Arcais
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