[ 17 febbraio ]
“Se una cosa sembra una papera, cammina come una papera e fa qua-qua, probabilmente è proprio una papera”.
Suscitò critiche, due anni fa, il mio articolo del gennaio 2014: «CHE COS’È IL FRONT NATIONAL DI MARINE LE PEN (dedicato a quelli che la dicotomia destra-sinistra non c’è più)».
Si trattava di un'analisi del programma del Front National —per l’esattezza «MON PROJECT. POUR LA FRANÇE ET LES FRANÇAIS»—, quello sul quale il FN condusse la campagna per le presidenziali del 2012.
“Se una cosa sembra una papera, cammina come una papera e fa qua-qua, probabilmente è proprio una papera”.
Suscitò critiche, due anni fa, il mio articolo del gennaio 2014: «CHE COS’È IL FRONT NATIONAL DI MARINE LE PEN (dedicato a quelli che la dicotomia destra-sinistra non c’è più)».
Si trattava di un'analisi del programma del Front National —per l’esattezza «MON PROJECT. POUR LA FRANÇE ET LES FRANÇAIS»—, quello sul quale il FN condusse la campagna per le presidenziali del 2012.
Alle porte delle ancor più importanti elezioni presidenziali imminenti, vale forse la pena tornare sull'argomento, analizzando l'odierno programma elettorale del Front National —in particolare le misure economiche che esso prenderebbe una volta salito al governo—, dandone un giudizio di massima, ed anche verificando se vi siano aggiustamenti rispetto a quello del 2012 e, nel caso, quali sono ed in quale direzione vanno.
2012: STATO (POCO) KEYNESIANO DI POLIZIA
Nel mio pezzo del 2014, mettevo in guardia coloro che guardavano con eccessiva simpatia e/o indulgenza al Front National, segnalando come esso, al netto di numerose proposte di politica economica sostenibili, non solo fosse molto ambiguo sulla questione dell'euro, ma avesse, oltre ad una visione revanscista e imperialista della Francia, una concezione fortemente autoritaria della democrazia, anzi perorasse un tetragono Stato di polizia.
Riguardo all'impianto economico del programma del Front National, giungevo a questa conclusione:
«Un keynesismo temperato che può ben sfociare in un liberismo temperato. Un programma attentamente calibrato per sfondare a sinistra e conquistare voti nel proletariato e nel ceto medio, ma senza spaventare affatto la borghesia, se non i suoi settori apertamente speculativi, e nemmeno la Germania e i centri oligarchici dell’Unione europea. Il grosso di queste misure sono tuttavia ampiamente condivisibili. Un eventuale governo popolare, contestualmente all’uscita dall’euro, non potrebbe che applicarle».
Il 4 febbraio scorso, a Lione, Marine Le Pen ha presentato il programma di governo del Front National: Les 144 engagements présidentiels.
Un "Programma senza sorprese", titolava Liberation, esprimendo l'opinione comune dei media francesi. Non è così, le novità ci sono invece.
2017: STATO DI POLIZIA RAFFORZATO
Partiamo dagli aspetti più squisitamente politici.
La costituzione bonapartista della V Repubblica voluta da De Gaulle nel 1958 —il sistema presidenzialista di "monarchia repubblicana— non viene messa in discussione. Si chiede anzi un rafforzamento dei poteri presidenziali e del modello plebiscitario. [1]
Vero è che si propone una legge elettorale proporzionale ma con due correttivi di rilievo: sbarramento del 5% e un premio alla prima lista del 30% dei seggi.
Per quanto concerne le misure Stato-poliziesche, sicuritariste e islamofobe non si può certo dire che il Programma 2017 sia reticente o vago. [2] Il motto è "tolleranza zero": riarmo massiccio delle forze di polizia, 15mila gendarmi in più, 40mila nuovi posti per i prigionieri, disarmo delle banlieu e misure cautelative contro "i 5mila capibanda censiti", aumento di tutte le pene, espulsioni automatiche e senza processo, menomazione dello Jus soli, forte limitazione del diritto d'asilo, nessuna regolarizzazione per gli immigrati illegali, inserimento in Costituzione del contrasto ad ogni forma di "comunitarismo", promozione della "assimilazione" al posto della "integrazione", via ogni "discriminazione positiva" a favore delle minoranze, limitazione della libertà d'insegnamento, soppressione dell'insegnamento della lingua d'origine per le minoranze. Non sembri un paradosso che il programma dedichi un capitolo alla "protezione degli animali", considerata "priorità nazionale".
Non meno perentorie le misure in vista di ritorno ad una politica imperialista di grandeur. Si propone di abbandonare il Comando NATO, a favore di guerre nel "solo interesse della Francia", si chiede l'aumento delle spese militari, il rafforzamento delle Forze armate, il ristabilimento della coscrizione obbligatoria.
Basta tutto questo per sostenere che il Front National della Marine le Pen è un movimento politico fascista? Ovviamente no. Esso si presenta piuttosto come una variante del
gollismo, evidentemente peggiorativa, visto che fa sua, mala tempra currunt, una visione sociale viziata di liberismo economico e da un nazionalismo identitario paranoico.
gollismo, evidentemente peggiorativa, visto che fa sua, mala tempra currunt, una visione sociale viziata di liberismo economico e da un nazionalismo identitario paranoico.
2017: ORDOLIBERISMO SI STATO
Ma se la gran parte di queste misure era già contemplata nel Programma 2012, consistenti sono invece gli "aggiustamenti" sul piano della politica economica. Si sente forte lo zampino dell'economista liberale Jean Messiha, boiardo di stato, tecnocrate, e dei suoi sodali del Circolo degli Orazi,[1] che sembrano essere stati scelti come consiglieri economici dalla Le Pen proprio per tranquillizzare non solo la potente borghesia francese ma tutta la grande finanza.
Beninteso nel Programma 2017 il Front National —tanto più visto che è finalizzato a vincere le prossime elezioni— avanza misure a favore del popolo lavoratore: aumento del salario minimo, delle pensioni più basse, difesa del diritto alla salute (fatto salvo il doppio regime pubblico-privato), alla scolarità (fatte salve le scuole private), ribasso del 5% delle tariffe di gas e elettricità, difesa dei risparmi contro, mantenimento delle 35 ore settimanali (con la facoltà concessa alle aziende di passare a 39 ore).
E' difficile tuttavia non vedere il senso di questi "aggiustamenti": essi hanno una evidente impronta liberista per andare incontro agli interessi non solo e non tanto del settore privato ma delle grandi aziende monopoliste, in special modo di quelle finanziarie e bancarie, punto di forza del capitalismo francese. Vediamo dunque di capire dove stanno i cambiamenti rispetto al Programma 2012, e quindi di tirare le somme.
(1) La prima cosa che stupisce è la vaghezza sull'euro. Scompare l'idea del 2012 della doppia moneta ma il dispositivo proposto per tornare alla sovranità moneta non contempla affatto (come erroneamente si crede) un'uscita unilaterale bensì l'avvio di «un negoziato coi partner europei seguito da un referendum sull'appartenenza alla Ue». Il segnale lanciato al mondo della finanza e delle grandi banche è chiaro: non ci sarà alcuna decisione scioccante, si dovrà trovare un accordo vantaggioso per tutti. Degno di nota che l'idea (giusta) che la banca centrale debba finanziare il Tesoro sia relegata al punto 43, però scompare, quel che era contemplato nel 2012, ovvero a interessi zero. la banca centrale resta poi formalmente indipendente.
(2) Si parla di un "Nuovo modello patriottico in favore dell'impiego" —sparisce il concetto del 2012 della "Priorità a politiche di pieno impiego—ma di misure concrete per debellare la disoccupazione, di un piano di investimenti pubblici per la piena occupazione non c'è alcuna traccia. Quale sia il paradigma è evidente: si fa affidamento sul settore privato, alle leggi di mercato, ove quindi il ruolo dello Stato si riduce a mero supporto con misure protezionistiche e di defiscalizzazione. Nemmeno un accenno all'aumento della spesa pubblica, si lascia anzi intendere una politica di tipo monetarista.
(3) La politica fiscale diventa più accomodante rispetto al 2012. Spariscono sia il criterio della fiscalità progressiva sia la tassa sui grandi patrimoni. Le tre aliquote del 2012 diventano due, con grande vantaggio per le grandi aziende. Scompare infatti ogni riferimento alla fine del regime fiscale di vantaggio per i grandi gruppi, così come il contrasto dell’elusione fiscale. Scompare la riduzione dell'IVA al 5% sui prodotti di prima necessità.
(4) Scompare nel Programma 2017 ogni riferimento al contrasto dei grandi monopoli privati, anzitutto di quelli bancari —nel 2012 ne veniva chiesta la soppressione. Nessun accenno alla nazionalizzazione del sistema bancario.
(5) Per quanto concerne la politica agricola, chiacchiere sul "patriottismo economico" e la "concorrenza sleale" ma nessuna parola sul contrasto alle grandi catene della distribuzione alimentare —e quelle francesi sono le più grandi e predatorie d'Europa.
(6) Si parla di "controllo sugli investimenti stranieri che danneggiano gli interessi nazionali", nessuna parola sul controllo pubblico dei movimenti dei capitali, sulla tassazione della rendita finanziaria, sulla limitazione del potere della borsa.
A noi pare che le tracce di keynesismo del 2012, siano andate a farsi friggere. Non abbiamo qui lo spazio per ribadire in cosa davvero consista il keynesismo. Ne abbiamo molto scritto su questo sito e la letteratura scientifica è immensa. Basti dire l'essenziale: una politica economica keynesiana è volta a contrastare disoccupazione, recessione e deflazione accrescendo il volume complessivo dei consumi e degli investimenti, anzitutto pubblici, quindi espandendo la spesa pubblica da parte del governo.
Cosa c'è di keynesiano nel Programma 2017 del Font National? Poco o nulla. Certo, siamo lontani dal neoliberismo di Milton Friedman, all'idea di lasciare tutto al mercato, di privatizzare tutto il privatizzabile, di eliminare ogni traccia di gestione e proprietà pubblica. Molto meno distanti siamo invece dal modello della economia sociale di mercato o ordoliberista, e dal modello di welfare dello stato capofila dell'ordoliberismo: la germania. [4]
Se ieri dicevamo «Il grosso di queste misure sono tuttavia ampiamente condivisibili. Un eventuale governo popolare, contestualmente all’uscita dall’euro, non potrebbe che applicarle», oggi non possiamo dire altrettanto. Il grosso delle misure che propone il Front national non dovrebbero affatto essere adottate da un governo che meriti l'attributo di popolare.
NOTE
[1] «2. Organiser un référendum en vue de réviser la Constitution et conditionner toute révision future de la Constitution à un référendum. Élargir le champ d’application de l’article 11 de la Constitution».
[2] Su sette capitoli del programma, ben tre sono dedicati al rafforzamento delle forze dell'ordine, e delle forze armate —Una Francia sicura; V. Una Francia fiera; VI. Una Francia possente.
[3] «Bonjour,
Oui, les "Horaces" existent et sont bien un cercle de spécialistes, d'experts dans de nombreux domaines et entourent et conseillent notre présidente pour les futures présidentielles 2017.
Marine, présidente du FN a mis à profit l'été pour rencontrer de nombreux spécialistes d'économie, de défense, de justice, de sécurité... Le groupe «Les Horaces» s'est d'ailleurs constitué avant l'été.
Il y a environ une soixantaine de personnes (hauts fonctionnaires, magistrats, avocats, médecins, anciens militaires, chefs d'entreprises, des membres des cabinets ministériels d'Edouard Balladur, Jean-Pierre Raffarin et Dominique de Villepin).
Un porte-parole a été nommé, qui s'exposera jusqu'en mai prochain. Il s'agit de monsieur Jean Messiha, passé par Sciences Po et l'ENA.» Partisansmarine, 6/9/2016
Oui, les "Horaces" existent et sont bien un cercle de spécialistes, d'experts dans de nombreux domaines et entourent et conseillent notre présidente pour les futures présidentielles 2017.
Marine, présidente du FN a mis à profit l'été pour rencontrer de nombreux spécialistes d'économie, de défense, de justice, de sécurité... Le groupe «Les Horaces» s'est d'ailleurs constitué avant l'été.
Il y a environ une soixantaine de personnes (hauts fonctionnaires, magistrats, avocats, médecins, anciens militaires, chefs d'entreprises, des membres des cabinets ministériels d'Edouard Balladur, Jean-Pierre Raffarin et Dominique de Villepin).
Un porte-parole a été nommé, qui s'exposera jusqu'en mai prochain. Il s'agit de monsieur Jean Messiha, passé par Sciences Po et l'ENA.» Partisansmarine, 6/9/2016
[4] «Economia sociale di mercato. Tipologia di sistema economico caratterizzato allo stesso tempo da libertà di mercato e giustizia sociale. I fondamenti di tale modello stanno nella constatazione che il puro liberalismo non è in grado di garantire una soddisfacente equità sociale, ritenuta invece indispensabile proprio perché i singoli individui siano in grado di operare liberamente e in condizioni di pari opportunità; di converso, anche la piena realizzazione dell’individuo non può compiersi se non vengono garantite la libera iniziativa, la libertà di impresa, di mercato e la proprietà privata. È quindi necessario un ruolo ‘regolatore’ dell’autorità statale, i cui confini di intervento sono però problematici da definire con esattezza e, soprattutto, in modo oggettivo. L’intervento dello Stato, infatti, non deve guidare il m. o interferire con i suoi esiti naturali: deve semplicemente intervenire laddove esso fallisce nella sua funzione sociale. Ne consegue che i fondamenti dell’e. s. di m. si possono sintetizzare nei seguenti punti: un severo ordinamento monetario; un credito conforme alle norme di concorrenza e la sua regolamentazione per scongiurare monopoli; una politica tributaria e fiscale che non sia elemento di disturbo alla libera concorrenza e che eviti sovvenzioni che la possano alterare; la protezione dell’ambiente; l’ordinamento territoriale; la tutela dei consumatori finalizzata a minimizzare i comportamenti opportunistici. In definitiva, i sostenitori dell’e. s. di m. sono strenui critici sia della concentrazione del potere economico e politico sia dello sfrenato antagonismo tra classi sociali. La loro proposta ‘riformista’ si pone contro qualsiasi idea di pianificazione e collettivismo e anche contro il liberalismo sfrenato». Voce della Treccani Di Andrea Fumagalli
11 commenti:
e quindi? meglio fillon o macron? non credo proprio ...
Bisogna sempre fare attenzione alle finalita' e ai modi con cui si scrivono articoli come questo perche' poi non ci si puo' che aspettare giustamente qualcuno che domanda: "e quindi?..."
A) voi di Sollevazione votereste Fillon o Macron?
B) non pensate che comunque la Le Pen comtribuirebbe a mettere in difficoltà il sistema attuale?
C) vi siete opportunamente "dimenticati" di dire che la Le Pen vuole la fine dell'indipendenza della Banca Centrale e la separazione delle funzioni bancarie.
D) la Le Pen è democratica, il sistema attuale no. Cosa ci conviene a noi di sinistra?
Il vecchio difetto dei comunisti: la rigidità, l'incapacità di abbandonare i vecchi schemi, la mancanza di fantasia e quando serve di spregiudicatezza.
Decisamente la sinistra è una esperienza chiusa della storia e questo articolo ne è la dimostrazione.
FEDERICO, ROBERTO... E LA LE PEN
Ce lo aspettavamo.
Ci si impegna in un'analisi rigorosa del programma del Front National e che ti dicono? "E che allora che si deve votare per Macron e/o Fillon?"
Un classico: noi si indica la luna e c'è chi guarda il dito. Diteci piuttosto, usando la ragione, cosa c'è di sbagliato nell'analisi. Dateci il vostro giudizio sul programma economico e politico del Front National!
é sintomatico che gli stessi che tappandosi naso (e occhi) sulla politica della Le Pen, siano poi quelli che qui in Italia, sparano a zero sui cinque stelle, e che siano più che indulgenti su Salvini, le sue ruspe, le sua castrazioni e la sua liberista flat tax.
caro Roberto, e certo che facciamo attenzione, poiché fare attenzione significa guardare in faccia la realtà riconoscere i fatti per quello che sono, e non dare giudizi in base a pregiudizi.
Dalla critica al Fn non discende affatto che si voti per due sgherri dell'oligarchia come Fillon o Macron. QUi non vale mica la proprietà transitiva! ce ne sono altri di candidati, e nel caso siano tutti deprecabili, uno può anche decidere per astenersi —ammesso che sia il caso.
E comunque il nostro candidato alle presidenziali francesi — ammesso che i nostri compagni di PARDEM (Partito contro la mondializzazione) ce la facciano a superare lo sbarramento della raccolta di firme di più di 500 sindaci (!) per presentare un candidato— è Jacques Nikonoff.
Scrivete:
"Dateci il vostro giudizio sul programma economico e politico del Front National!"
Ma lo avevo già fatto ennon mi avete dato risposta...curioso...
Ci riprovo visto che insistete.
1) La Le pen vuole la fine dell'indipendenza della Banca Centrale e la separazione delel fuznioni bancarie.
Sarà liberismo ma non è a favore della finanza il che è già un grande passo avanti.
Il PD le dice queste cose?
Fassina ne parla?
Civati?
Bersani?
Ferrero?
No.
Chi ne parla?
Solo la Le Pen, Salvini e Grillo (l'ho sentito da Di Batista, poi prima che quelli lo scrivano in un programma ce ne vuole).
2) la le pen è democratica e spinge perché il popolo possa decidere tanto che propone il referendum sull'euro.
Non è chiara la sua volontà di uscire dalla moneta unica?
Intanto se vince lei l'euro cade da solo.
Poi lei sta dicendo che vuole che il popolo voti. Quindi su questo è certamente meglio del sistema attuale che è profondamente antidemocratico e diffidente nei confroni del popolo.
Oggi Blair, progressista a suo temtpo considerato di sinistra, ha detto che non ci deve essere la Brexit "perché il popolo non aveva capito il referendum"...
Questa cosa la Le Pen non la direbbe.
RIBADISCO: la Le Pen è liberista ma non è una quinta colonna delle banche.
E' lecito essere liberisti con distinguo:
1) bisogna essere realmente contro i monopoli e i cartelli. Il vero liberismo prevede libera oscillazione dei prezzi e concorrenza. Oggi non esiste nessuna delle due quindi non è liberismo autentico. Se la Le Pen è contro la grande concentrazione di capitali A NOI CONVIENE VOTARLA
2) bisogna sostenere la piccola impresa locale. La sinistra non dice niente su questo problema ED E' PER QUESTO CHE PERDE.
Elaborate un sistema in cui lavoro dipendente e piccola impresa non riescano a non essere conflittuali E AVRETE VINTO.
3) in un paese democratico DEVONO esistere una destra e una sinistra, DEVONO esistere i liberisti e i collettivisti. La differenza è che oggi c'è un FINTO LIBERISMO gopvernato da una élite che lo usa come strumento di potere.
Noi dobbiamo tornare alla democraiza, dobbiamo renderla sempre più diretta per dare voce al popolo quindi se troviamo che esiste una destra liberista che però sia
a) democratica favorevole a una progressiva implementazione della democrazia diretta o almeno referendaria
b) che sia contro lo strapotere delle banche, della finanza, che voglia la fine dell'indipendenza della banca centrale, che vboglia la separazione delle fuznioni bancarie
in mancanza di alternative valide di sinistra DOBBIAMO SOSTENERE QUESTE DESTRE.
No Nikonoff che sono voti persi e che nella sua biografia di presentazione ostenta in maniera evidentemente da marketing le difficoltà economiche sperimentate per le sue umili origini.
Io ho parlato di fatti concreti vediamo se rispondete.
Grazie a sollevazione per l'articolo che chiarisce bene... cosa non si fa per avere l'avallo dei poteri forti e vincere le elezioni.
All'anonimo sopra.
Leggendo attentamente il programma 2017 non c'è scritto affatto che la Banca di Francia verrà posta sotto il controllo dello Stato!!!!!!
Si dice solo che la Banca centrale deve finanaziare lo Sato.
Il che, se la parole hanno un senso, implica il concetto liberista dell'indipendenza della Banca centrale.
Vi Leggo sempre con interesse, ma un appunto lo devo fare. Quando si dice "Borghesia" non s'intende più quella nazionale di Marx, ma quella globalizzata, che da qualunque ritorno allo status quo ante avrebbe solo da perdere. E' molto difficile che tale B si possa riposizionare all'interno della nazione, una volta smantellata la domanda interna. Del resto, ciò è stato fatto proprio per questo. Capisco che chi viene da Marx possa e debba auspicare un sistema collettivista nel quale la Proprietà venga del tutto abolita. Ma se è così, basta lasciar fare all'attuale dirigenza che lo sa fare anche meglio. Quando i teorici del nuovo governo globale dicono "la proprietà privata è obsoleta" un vero comunista dovrebbe fare i salti dalla gioia, anzichè buttarsi sul Sovranismo. In tutto ciò io vedo l'incapacità di distinguere i fini dai mezzi. Che Lenin non ha fatto le liberalizzazioni ? E le ha fatte perchè era un liberista ? Che non ha creato una Banca Centrale ? Che era un banchiere ? Anzi, ha proprio lasciato scritto che "per fare il Socialismo è necessaria una Banca Centrale". Qualunque ipotesi sovranista non può essere basata che su di un'economia mista: pubblico e privato. Nè Liberismo assoluto, nè Comunismo Superiore. Gli accenni all'ordine pubblico non sono aspetti caratterizzanti di un Regime, mentre lo sono quelli di carattere economico. Questa visione fa parte ancora oggi di una propaganda bellica che data ad ormai più di settant'anni fa. Che non c'è repressione oggi ? C'è eccome, ma le sue modalità sono diverse da quelle di ieri. Nondimeno, sono molto più efficaci di quelle del passato, almeno, sulla base del giudizio circa una sollevazione che ancora non c'è nonostante i disastri di cui tutti siamo stati fatti oggetto.
Rudi
Non è come dici tu.
In ogni caso rispondi a una domanda precisa:
AL BALLOTTAGGIO CHI VOTI, LE PEN O FILLON/MACRON?
L'analisi di Moreno Pasquinelli nell'articolo linkato in calce è a mio avviso impeccabile, puntuale nel paziente smontaggio e nella ricostruzione critica di tutto l'impianto demagogico della narrazione lepeniana.
Condivido la scelta, dialetticamente corretta ma criticata da alcuni, di aver posto la questione senza aver voluto anticipare nello stesso scritto un'ipotesi di soluzione a quello che alla fine appare come un dilemma irrisolvibile:
il sostegno diretto o indiretto al Front National e alle politiche recentemente ridefinite da Marine Le Pen è funzionale in qualche modo alla causa antioligarchica, e parliamo dell'idea antioligarchica che non si fonda sulla suggestione identitaria o su prassi diversamente autoritarie ma che ripropone valori e ideali universali smarritti nella sinistra scomparsa o geneticamente modificata, oppure devia la questione verso scenari diversamente oligarchici e peggiorativi per il destino di classe dei ceti subalterni?
Se ci fosse un partito, un movimento o meglio una coalizione politica lungimirante a tal punto da coltivare un progetto antioligarchico autenticamente democratico e capace altresì di posare lo sguardo verso un orizzonte d'ispirazione socialista, il problema non si porrebbe.
Sappiamo però che con i se non si fa la storia e ogni considerazione resterebbe scritta sull’acqua.
Questo dovrebbe esortarci a rilevare l’urgenza ed attrezzarci a riempire un grave vuoto di rappresentanza politica.
Recentemente in un altro luogo avevo posto la questione, in maniera decisamente provocatoria, sull’ipotesi di non ostacolare o addirittura di sostenere una rottura dell’attuale paradigma globalista dall’unica posizione dove fino a ieri appariva possibile, cioè da destra, concludendo con una serie di interrogativi abbastanza inquietanti:
“Davvero non votereste la Le Pen in Francia? Fino a che punto siamo antioligarchici allora? Tanto poco da sostenere comunque attivamente o passivamente il globalismo lasciando il potere a partiti neoliberisti pur di non sentirsi sostenitori di formazioni politiche che comunque difendono la sovranità, anche se da destra ma con rinnovata attenzione ai bisogni e ai diritti sociali? Qual'è il meno peggio allora in attesa che si formino a sinistra forze popolari antioligarchiche, se mai questo avverrà?”
Ora, alla luce dell’articolo di Pasquinelli e della sua critica condivisibile su alcuni punti cruciali del nuovo programma della Le Pen è giusto fare un passo indietro e riproporre il dilemma in termini oggi più chiari.
Proviamo a guardare la questione dal punto di vista vantaggi-svantaggi per la classe sociale cui facciamo riferimento, oggi meglio ridefinita per quanto riguarda ceti e categorie incluse, alla luce della dicotomia imposta nel capitalismo ordoliberista, ovvero oligarchie globaliste da una parte e democrazie nazionali con sovranità popolari dall’altra.
In attesa dell’ingresso di una nuova variabile nello scenario attuale, la variabile di un blocco politico coerente col blocco sociale che sosteniamo, e quindi un soggetto politico antioligarchico in grado d’interpretare e praticare un populismo di sinistra, le scelte che abbiamo davanti sono le seguenti:
1) Ponderare come plausibile una rottura da destra, e di fatto sostenerla o non ostacolarla, consapevoli dei limiti impliciti in questa rottura più demagogica che sostanziale valutandone i rischi politici e smascherandone le simulazioni.
Il vantaggio non sarebbe tanto nelle briciole salariali o nei diritti sociali miseramente distribuiti su base esclusivamente identitaria, o ancora meno sulla ricostruzione del piccolo e medio capitalismo nazionale nell’ambito di politiche industriali che guardano l’interesse del popolo nella nazione, quanto in una ipotetica riapertura dei giochi in termini di contrapposizione dialettica.
La rottura da destra del vincolo esterno della moneta unica porterebbe qualche modesto risultato in termini di recupero di sovranità statale mentre i margini residuali di sovranità popolare dipenderebbero necessariamente dal sistema elettorale adottato.
Questo avverrebbe quindi in un quadro di sostanziale continuità sistemica laddove il capitalismo nazionale andrebbe a rinegoziare migliori posizioni verso il capitalismo globalizzato, sia quello finanziario, sia quello delle grandi multinazionali che producono beni e servizi in assenza di barriere doganali.
Non è difficile immaginare su chi ricadrebbe il maggior costo della rinegoziazione ma nel contempo le istanze politiche e sociali di formazioni antioligarchiche d’ispirazione democratica e socialista avrebbero uno spazio istituzionale, per quanto modesto, in cui svilupparsi e affermarsi in seguito a sistemi elettorali più proporzionali, in presenza di una disponibilità teorica dello strumento monetario per sostenere politiche economiche di tipo keynesiano.
Il rischio è che l’affermazione di un populismo di destra andrebbe a rafforzare economicamente l’egemonia del campo liberale o diversamente liberista, mentre sul piano politico i giochi potrebbero chiudersi piuttosto che aprirsi. Il Front National in salsa neogollista potrebbe riscrivere in corso d’opera una narrazione progressivamente diversa da quella di partenza in cui autoritarismo di fatto, stato di polizia, utilizzo in chiave plebiscitaria degli strumenti di democrazia diretta graverebbero come una seria ipoteca su ogni aspirazione autenticamente democratica e socialista.
2) Non sostenere o avversare una rottura da destra.
La conseguenza più ovvia è quella di portare acqua al mulino dell’oligarchia globalista del tardo capitalismo in crisi, per dirla con Wolfang Streeck, il quale guadagnerebbe del tempo nel tentativo di disinnescare il conflitto e portare a termine un piano di rilegittimazione e di gestione del consenso in cui un paradigma politico apparentemente nuovo riuscirebbe a ricollocare una direzione politica a garanzia degli stessi interessi e degli stessi capitali.
Si potrebbe obiettare che anche le forze antioligarchiche potrebbero utilizzare lo stesso tempo per organizzarsi e strutturare una risposta politica credibile e praticabile.
Il capitalismo ha però dimostrato di essere padrone anche del tempo, almeno nel medio periodo.
Tra queste due opzioni ci possono essere diverse sfumature ma al momento non s’intravvede niente di significativo che non resti decisamente collocato in una delle due possibilità.
Resta da chiederci, valutati i pro e i contro, in quale dei due scenari la posizione della nostra classe di riferimento possa trovare un minimo avanzamento di posizione e la prospettiva di un ruolo da protagonista in uno spazio d’azione dai margini sempre più stretti.
Franz
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