[ 16 ottobre ]
Nell'imminenza del referendum del 4 dicembre, cresce all'estero l'attenzione sulla situazione italiana. In occasione del III. Forum no euro svoltosi a Chianciano Terme nel settembre scorso, molte erano le domande che venivano rivolte a noi italiani. Chi c'è dietro Renzi? Qual'è la vera posta in palio del referendum? Cosa accadrà in caso di vittoria del NO o del SÌ? Perché Programma 101? Leonardo Mazzei [nella foto] risponde alle domande di Wilhelm Langthaler.
D. Perché questo referendum costituzionale è così importante?
R. E' importante sia per il suo contenuto effettivo, che per i significati simbolici che è venuto ad assumere. La controriforma costituzionale è pesante, basti pensare ad un Senato che manterrà notevoli poteri (ad esempio in materia costituzionale, rapporti con l'UE, enti locali, elezione del presidente della repubblica, eccetera) ma non più elettivo. Il Senato non è stato abolito, come dice la propaganda di Renzi. E' stata invece abolita la democrazia. Ma la vera chiave della controriforma sta nella legge elettorale. Un sistema che garantisce il 55% dei seggi a chi raggiunge il 40% dei voti, blindato dal ballottaggio nel caso nessuno raggiungesse la soglia prevista al primo turno. Un meccanismo costruito su misura per il Partito Democratico che, qualora passasse, condurrebbe ad un presidenzialismo di fatto. Ma il referendum si è caricato di significati politici più generali. Di fatto sarà un pronunciamento su Renzi e il renzismo. E, sul piano più generale, sarà un nuovo round della rivolta dei ceti popolari contro le èlite, con una chiara matrice di classe. Non a caso i sondaggi ci parlano di un no che prevale largamente al centro-sud (dove i livelli di povertà e disoccupazione sono più alti), mentre il sì risulta in vantaggio nel nord-ovest del Paese.
D Quali sono le forze del no?
R. Tra i partiti sono per il no il Movimento Cinque Stelle (M5S), le forze di destra (Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d'Italia) e quelle di sinistra (Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista e tutte le altre forze minori). Mentre si prevede che gli elettorati della sinistra, di M5S e della Lega Nord voteranno in maniera piuttosto compatta per il no, diverso è il discorso di Forza Italia. Gli elettori di questo partito (oggi attorno al 10% dei consensi) sembrano spaccati a metà. Del resto le televisioni di Berlusconi si comportano in maniera asettica, mentre il leader non parla. Questo lo schieramento del no a livello partitico, ma il fronte del no nella società è ben più ampio. Già dalla primavera scorsa sono attivi centinaia di comitati locali, largamente indipendenti dalle forze politiche. Le iniziative promosse da questi comitati riscuotono in genere una notevole partecipazione popolare.
D. Come si spiega la svolta della Lega Nord che era per la Padania, che veniva concepita come contigua alla Baviera, e oggi sta per l’Italia contro la zona Euro? Sembra che abbiano cambiato sponda.
D. Il nuovo gruppo dirigente della Lega, rappresentato da Matteo Salvini, è andato a coprire il vuoto apertosi con la crisi del berlusconismo. L'idea è stata quella di uscire da un lato dai limiti geografici della cosiddetta "Padania" (il nord Italia), dall'altro da quelli dell'alleanza politica di una destra guidata da Berlusconi. Il tutto per costruire una sorta di partito lepenista italiano. I temi scelti per questa operazione sono due: no-euro, ma soprattutto no all'immigrazione, con una deriva xenofoba sempre più accentuata. In questo modo la Lega è salita da un 5-6% al 12% degli attuali sondaggi. Tuttavia i risultati delle amministrative di giugno non sono stati favorevoli a Salvini e lo sfondamento verso sud sembra destinato a fallire. Probabilmente l'attuale segretario, volendo mantenersi autonomo da Forza Italia, dovrà cercare di competere con i berlusconiani in tutto il paese, ma la forza di questa operazione non sembra più quella di un anno fa.
D. Si parla ancora della coalizione rosso-bruna come hanno fatto in Inghilterra e altrove. Come commenta questo attacco?
R. Più che di coalizione rosso-bruna lo schieramento renziano cerca di qualificare tutti gli oppositori come il "fronte del vecchio". In realtà l'accusa di "rossobrunismo" non regge per due motivi: primo, perché è naturale che in un referendum convergano anche forze ideologicamente molto diverse fra loro, e questo lo capiscono tutti; secondo, perché in questo caso la destra è obbligata ad utilizzare le argomentazioni giuridico-politiche tipiche della sinistra, parlando quindi di democrazia, rappresentanza, equilibrio dei poteri, eccetera.
D. Come interpreta il no di Bersani? È di sostanza o solamente un tentativo di ottenere concessioni in una situazione di dipendenza?
R. Il no di Bersani attiene alla lotta interna al PD. Renzi è un rullo compressore. Ed il suo slogan della "rottamazione", specie se visto dalla minoranza bersaniana, non è affatto uno scherzo. Sono tre anni che questa minoranza brontola, ma (salvo alcune eccezioni, come quelle dei deputati Fassina e D'Attorre) non rompe. Costoro hanno votato per disciplina la controriforma costituzionale in ben sei passaggi parlamentari, ed ora si apprestano invece a votare no non avendo ottenuto la modifica della legge elettorale. E' chiaro che siamo di fronte ad una posizione debole. Tuttavia, non penso che il loro scopo sia quello di ottenere concessioni, dato che sanno che queste con Renzi sono impossibili. Loro si preparano in qualche modo al dopo 4 dicembre. Se vincerà il no proveranno a riprendersi il partito. Operazione non facile, ma che parzialmente potrebbe riuscire. Se prevarrà il sì una parte di loro sarà invece costretta ad uscire. Ma questo è un discorso ancora prematuro.
D. Le elites economiche sono ancora compatte a favore dell'Euro come in Spagna e Grecia o ci sono già fessure?
R. Le èlite si mantengono piuttosto compatte, ma qualche scricchiolio c'è. Il fatto è che il peso dell'Italia è ben diverso da quello della Grecia, ed è comunque superiore anche a quello della Spagna. Da qui una certa idea sulla possibilità di ottenere concessioni da Bruxelles. Idea che ben si sposa con la politica (le continue richieste di "flessibilità") del governo Renzi. Qualora questa linea fallisse in maniera eclatante, penso che la frattura nel blocco dominante emergerebbe con chiarezza. Il tema più caldo sul quale questa frattura potrebbe manifestarsi è quello della crisi bancaria.
D. Che ruolo gioca questa crisi e che soluzioni propone Renzi?
R. La crisi del sistema bancario italiano è gravissima. E' un disastro che viene direttamente da otto anni di recessione (il pil italiano 2016 è ancora a -8% rispetto al 2007!). Troppe le famiglie e le imprese che non sono più in grado di pagare i loro debiti. Le banche hanno bisogno di ricapitalizzarsi per coprire le perdite subite, ma non ci sono privati disposti a mettere soldi in questo pozzo senza fondo. Unica soluzione l'intervento pubblico. Intervento che non venne fatto nel 2012 (quando lo fece la Spagna) a causa dell'elevato stock del debito. Ma adesso i nodi vengono al pettine: la mitica ripresa non c'è (il pil cresce sotto l'1%), mentre le regole dell'Unione Bancaria (specie quella sul bail in) mettono le banche in una stretta insostenibile. Molti risparmiatori (spesso povera gente che ha perso la totalità dei propri risparmi) hanno già pagato, ma si tratta solo della punta dell'iceberg. Finora il governo Renzi ha affrontato questo problema caso per caso. O con un'applicazione parziale del bail in nel caso di quattro banche fallite del Centro Italia, o con ricapitalizzazioni largamente pubbliche, ma formalmente private, come nel caso delle due principali del Veneto (dove però gli azionisti hanno perso il 100% di quel che avevano). Adesso c'è il caso più importante del Monte dei Paschi di Siena. Qui il governo si è messo nelle mani di JP Morgan, facendo emergere in maniera pesante e plateale il legame con la grande finanza americana. Un'operazione che gli è costata perfino il duro attacco del solitamente governativo Corriere della Sera. Mentre nei fatti il duo Renzi-Padoan agisce in maniera diversa caso per caso, lo slogan del capo del governo è "ci penserà il mercato"! In realtà la situazione è esplosiva. Secondo molti economisti una nuova crisi dei mercati finanziari potrebbe portare allo scoperto in maniera drammatica le difficoltà del sistema bancario italiano. Se sarà così avremo o l'applicazione in serie del bail in (come vorrebbe Lars Feld) o la rottura dell'Unione Bancaria. Penso che a quel punto la frattura nel blocco dominante sarebbe pressoché certa.
D. Come può difendersi Renzi? Ha ancora una possibilità di vittoria il 4 dicembre?
R. Un anno fa tutti pensavano che Renzi avrebbe stravinto il referendum. Poi, passo dopo passo, sono risultate evidenti le sue difficoltà. Ora i sondaggi danno in leggero vantaggio il NO, ma è in genere un piccolo vantaggio, tipo 52 a 48%. Troppo poco per avere certezze, anche se il mio personale parere è che in questo momento il vantaggio del NO sia forse superiore a quel che si dice. Al tempo stesso bisogna sapere che il recupero di Renzi non è impossibile. Sicuramente verrà giocata la carta della paura, ma anche quella - per certi aspetti più insidiosa - di un certo "euroscetticismo". Alcuni pensano che potrebbe esservi addirittura la "sorpresa" di un sostegno in extremis di Berlusconi. Il tutto in un quadro segnato da uno schieramento "bulgaro" dei media e dal vantaggio di poter utilizzare tutte le leve del potere governativo, a partire da alcune misure dal sapore elettorale che verranno prese con la prossima legge di bilancio. Insomma: Renzi è in svantaggio, ma può ancora recuperare. Le forze del no dovranno dunque lavorare sodo e bene nelle prossime settimane.
Nell'imminenza del referendum del 4 dicembre, cresce all'estero l'attenzione sulla situazione italiana. In occasione del III. Forum no euro svoltosi a Chianciano Terme nel settembre scorso, molte erano le domande che venivano rivolte a noi italiani. Chi c'è dietro Renzi? Qual'è la vera posta in palio del referendum? Cosa accadrà in caso di vittoria del NO o del SÌ? Perché Programma 101? Leonardo Mazzei [nella foto] risponde alle domande di Wilhelm Langthaler.
D. Perché questo referendum costituzionale è così importante?
R. E' importante sia per il suo contenuto effettivo, che per i significati simbolici che è venuto ad assumere. La controriforma costituzionale è pesante, basti pensare ad un Senato che manterrà notevoli poteri (ad esempio in materia costituzionale, rapporti con l'UE, enti locali, elezione del presidente della repubblica, eccetera) ma non più elettivo. Il Senato non è stato abolito, come dice la propaganda di Renzi. E' stata invece abolita la democrazia. Ma la vera chiave della controriforma sta nella legge elettorale. Un sistema che garantisce il 55% dei seggi a chi raggiunge il 40% dei voti, blindato dal ballottaggio nel caso nessuno raggiungesse la soglia prevista al primo turno. Un meccanismo costruito su misura per il Partito Democratico che, qualora passasse, condurrebbe ad un presidenzialismo di fatto. Ma il referendum si è caricato di significati politici più generali. Di fatto sarà un pronunciamento su Renzi e il renzismo. E, sul piano più generale, sarà un nuovo round della rivolta dei ceti popolari contro le èlite, con una chiara matrice di classe. Non a caso i sondaggi ci parlano di un no che prevale largamente al centro-sud (dove i livelli di povertà e disoccupazione sono più alti), mentre il sì risulta in vantaggio nel nord-ovest del Paese.
Wilhelm Langthaler |
D Quali sono le forze del no?
R. Tra i partiti sono per il no il Movimento Cinque Stelle (M5S), le forze di destra (Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d'Italia) e quelle di sinistra (Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista e tutte le altre forze minori). Mentre si prevede che gli elettorati della sinistra, di M5S e della Lega Nord voteranno in maniera piuttosto compatta per il no, diverso è il discorso di Forza Italia. Gli elettori di questo partito (oggi attorno al 10% dei consensi) sembrano spaccati a metà. Del resto le televisioni di Berlusconi si comportano in maniera asettica, mentre il leader non parla. Questo lo schieramento del no a livello partitico, ma il fronte del no nella società è ben più ampio. Già dalla primavera scorsa sono attivi centinaia di comitati locali, largamente indipendenti dalle forze politiche. Le iniziative promosse da questi comitati riscuotono in genere una notevole partecipazione popolare.
D. Come si spiega la svolta della Lega Nord che era per la Padania, che veniva concepita come contigua alla Baviera, e oggi sta per l’Italia contro la zona Euro? Sembra che abbiano cambiato sponda.
D. Il nuovo gruppo dirigente della Lega, rappresentato da Matteo Salvini, è andato a coprire il vuoto apertosi con la crisi del berlusconismo. L'idea è stata quella di uscire da un lato dai limiti geografici della cosiddetta "Padania" (il nord Italia), dall'altro da quelli dell'alleanza politica di una destra guidata da Berlusconi. Il tutto per costruire una sorta di partito lepenista italiano. I temi scelti per questa operazione sono due: no-euro, ma soprattutto no all'immigrazione, con una deriva xenofoba sempre più accentuata. In questo modo la Lega è salita da un 5-6% al 12% degli attuali sondaggi. Tuttavia i risultati delle amministrative di giugno non sono stati favorevoli a Salvini e lo sfondamento verso sud sembra destinato a fallire. Probabilmente l'attuale segretario, volendo mantenersi autonomo da Forza Italia, dovrà cercare di competere con i berlusconiani in tutto il paese, ma la forza di questa operazione non sembra più quella di un anno fa.
D. Si parla ancora della coalizione rosso-bruna come hanno fatto in Inghilterra e altrove. Come commenta questo attacco?
R. Più che di coalizione rosso-bruna lo schieramento renziano cerca di qualificare tutti gli oppositori come il "fronte del vecchio". In realtà l'accusa di "rossobrunismo" non regge per due motivi: primo, perché è naturale che in un referendum convergano anche forze ideologicamente molto diverse fra loro, e questo lo capiscono tutti; secondo, perché in questo caso la destra è obbligata ad utilizzare le argomentazioni giuridico-politiche tipiche della sinistra, parlando quindi di democrazia, rappresentanza, equilibrio dei poteri, eccetera.
D. Come interpreta il no di Bersani? È di sostanza o solamente un tentativo di ottenere concessioni in una situazione di dipendenza?
R. Il no di Bersani attiene alla lotta interna al PD. Renzi è un rullo compressore. Ed il suo slogan della "rottamazione", specie se visto dalla minoranza bersaniana, non è affatto uno scherzo. Sono tre anni che questa minoranza brontola, ma (salvo alcune eccezioni, come quelle dei deputati Fassina e D'Attorre) non rompe. Costoro hanno votato per disciplina la controriforma costituzionale in ben sei passaggi parlamentari, ed ora si apprestano invece a votare no non avendo ottenuto la modifica della legge elettorale. E' chiaro che siamo di fronte ad una posizione debole. Tuttavia, non penso che il loro scopo sia quello di ottenere concessioni, dato che sanno che queste con Renzi sono impossibili. Loro si preparano in qualche modo al dopo 4 dicembre. Se vincerà il no proveranno a riprendersi il partito. Operazione non facile, ma che parzialmente potrebbe riuscire. Se prevarrà il sì una parte di loro sarà invece costretta ad uscire. Ma questo è un discorso ancora prematuro.
D. Le elites economiche sono ancora compatte a favore dell'Euro come in Spagna e Grecia o ci sono già fessure?
R. Le èlite si mantengono piuttosto compatte, ma qualche scricchiolio c'è. Il fatto è che il peso dell'Italia è ben diverso da quello della Grecia, ed è comunque superiore anche a quello della Spagna. Da qui una certa idea sulla possibilità di ottenere concessioni da Bruxelles. Idea che ben si sposa con la politica (le continue richieste di "flessibilità") del governo Renzi. Qualora questa linea fallisse in maniera eclatante, penso che la frattura nel blocco dominante emergerebbe con chiarezza. Il tema più caldo sul quale questa frattura potrebbe manifestarsi è quello della crisi bancaria.
D. Che ruolo gioca questa crisi e che soluzioni propone Renzi?
R. La crisi del sistema bancario italiano è gravissima. E' un disastro che viene direttamente da otto anni di recessione (il pil italiano 2016 è ancora a -8% rispetto al 2007!). Troppe le famiglie e le imprese che non sono più in grado di pagare i loro debiti. Le banche hanno bisogno di ricapitalizzarsi per coprire le perdite subite, ma non ci sono privati disposti a mettere soldi in questo pozzo senza fondo. Unica soluzione l'intervento pubblico. Intervento che non venne fatto nel 2012 (quando lo fece la Spagna) a causa dell'elevato stock del debito. Ma adesso i nodi vengono al pettine: la mitica ripresa non c'è (il pil cresce sotto l'1%), mentre le regole dell'Unione Bancaria (specie quella sul bail in) mettono le banche in una stretta insostenibile. Molti risparmiatori (spesso povera gente che ha perso la totalità dei propri risparmi) hanno già pagato, ma si tratta solo della punta dell'iceberg. Finora il governo Renzi ha affrontato questo problema caso per caso. O con un'applicazione parziale del bail in nel caso di quattro banche fallite del Centro Italia, o con ricapitalizzazioni largamente pubbliche, ma formalmente private, come nel caso delle due principali del Veneto (dove però gli azionisti hanno perso il 100% di quel che avevano). Adesso c'è il caso più importante del Monte dei Paschi di Siena. Qui il governo si è messo nelle mani di JP Morgan, facendo emergere in maniera pesante e plateale il legame con la grande finanza americana. Un'operazione che gli è costata perfino il duro attacco del solitamente governativo Corriere della Sera. Mentre nei fatti il duo Renzi-Padoan agisce in maniera diversa caso per caso, lo slogan del capo del governo è "ci penserà il mercato"! In realtà la situazione è esplosiva. Secondo molti economisti una nuova crisi dei mercati finanziari potrebbe portare allo scoperto in maniera drammatica le difficoltà del sistema bancario italiano. Se sarà così avremo o l'applicazione in serie del bail in (come vorrebbe Lars Feld) o la rottura dell'Unione Bancaria. Penso che a quel punto la frattura nel blocco dominante sarebbe pressoché certa.
D. Come può difendersi Renzi? Ha ancora una possibilità di vittoria il 4 dicembre?
R. Un anno fa tutti pensavano che Renzi avrebbe stravinto il referendum. Poi, passo dopo passo, sono risultate evidenti le sue difficoltà. Ora i sondaggi danno in leggero vantaggio il NO, ma è in genere un piccolo vantaggio, tipo 52 a 48%. Troppo poco per avere certezze, anche se il mio personale parere è che in questo momento il vantaggio del NO sia forse superiore a quel che si dice. Al tempo stesso bisogna sapere che il recupero di Renzi non è impossibile. Sicuramente verrà giocata la carta della paura, ma anche quella - per certi aspetti più insidiosa - di un certo "euroscetticismo". Alcuni pensano che potrebbe esservi addirittura la "sorpresa" di un sostegno in extremis di Berlusconi. Il tutto in un quadro segnato da uno schieramento "bulgaro" dei media e dal vantaggio di poter utilizzare tutte le leve del potere governativo, a partire da alcune misure dal sapore elettorale che verranno prese con la prossima legge di bilancio. Insomma: Renzi è in svantaggio, ma può ancora recuperare. Le forze del no dovranno dunque lavorare sodo e bene nelle prossime settimane.
D. La richiesta di Renzi verso il centro e la Germania di ammorbidire l’austerità ha trovato il sostegno di Hollande e anche del cancelliere austriaco Kern che vuole fare la stessa cosa per vincere le elezioni. C'è una chance reale per una versione light di Tsipras?
R. A me pare che la linea di Renzi stia ormai mostrando tutti i suoi limiti. Almeno per un paese come l'Italia, quella che noi definiamo la "politica dei decimali" non è minimamente sufficiente. Non basta un'attenuazione così moderata dell'austerità per invertire il trend alla stagnazione. Al tempo stesso, questa politica mette oggettivamente in discussione le regole europee, il fiscal compact in primo luogo. Quanto potrà durare questa situazione di né pace né guerra con l'Unione Europea è difficile a dirsi, ma certo Renzi (se resterà al governo) vorrà approfittare dei prossimi delicati passaggi della politica europea, elezioni presidenziali francesi in primo luogo, per ottenere nuove concessioni. In ogni caso ritengo più probabile che gli attriti con la Commissione Europea e con la Germania possano sfociare in uno scontro aperto sulla questione bancaria più che sul tema dell'austerità.
D. Che potrebbe succedere in caso di vittoria del NO?
R. Bella domanda! Di certo Renzi non potrebbe restare al suo posto di capo del governo. Se lo facesse andrebbe incontro ad un logoramento che finirebbe per distruggerne definitivamente la sua immagine di innovatore. L'uomo è intelligente e non credo farà questo errore. Potrebbe invece restare alla guida del Pd, che però a quel punto entrerebbe in una difficile fase di convulsioni interne. Il piano B del blocco dominante è sicuramente quello delle "larghe intese", sia nell'immediato che nella prospettiva della prossima legislatura. Nell'immediato potrebbe nascere, sotto l'egida del capo dello Stato, un governo di transizione che modifichi la legge elettorale e traghetti il paese verso le elezioni politiche nel 2018. Al momento è impossibile dire chi guiderebbe quel governo (molti pensano ad Enrico Letta), ma certamente Forza Italia sarebbe ben felice di far parte della maggioranza. Questo per quanto riguarda gli assetti istituzionali. Più in generale, ed è quello che a noi più interessa, si aprirebbe una fase di crisi del blocco dominante e di rinvigorimento di tutte le forze che si battono contro lo stato di cose presente. Per comprendere le difficoltà delle élite bisogna capire che quello di Renzi non è un nome fra tanti. La scelta dei principali centri del potere economico di appoggiarlo per portarlo alla guida del governo nacque dalla consapevolezza di quanto la situazione fosse ormai esplosiva. Dal loro punto di vista Renzi rappresentava il giusto mix di liberismo e populismo, di politica privatizzatrice e di retorica anti-austerity. Dunque trovare non solo un nuovo assetto, ma anche un nuovo nome, non sarà per niente facile. Per quel che riguarda invece le forze che si battono per la rottura con l'euro e con l'UE, in una prospettiva democratica e tesa alla difesa degli interessi delle classi popolari, sarà il momento in cui tentare il salto di qualità. Operazione non facile, ma di certo ben più difficile nel caso di una stabilizzazione politica successiva ad un'affermazione del sì. Decisivo in questo campo sarà comunque l'evoluzione di M5S.
D. I Cinque Stelle non sembrano preparati per guidare il paese come si vede a Roma. Quali sono gli scenari?
R. I Cinque Stelle non possono pensare di andare al governo da soli. La loro posizione per il no al referendum è netta e così pure quella contro la legge elettorale di Renzi, anche se alcuni dei loro dirigenti avevano magari pensato di avvantaggiarsene grazie al ballottaggio. Personalmente non ho mai creduto a Di Maio primo ministro. Questo per un motivo molto semplice: visto il persistente rifiuto di ogni alleanza, M5S potrebbe vincere solo con l'Italicum (la legge elettorale di cui abbiamo già parlato, che assegna il premio di maggioranza escludendo però le coalizioni), ma in caso di vittoria del NO l'Italicum salterà, mentre se vi sarà l'affermazione del SI Renzi andrà subito alle elezioni nella primavera 2017 e - questo almeno è il mio parere - sull'onda del risultato referendario vincerebbe al ballottaggio. Più in generale è impensabile un governo basato su una sola forza, peraltro con un radicamento sociale ben più scarso di quello che i successi elettorali potrebbero far pensare. La vicenda di Roma è una conferma di questi problemi, anche se non bisogna credere che le difficoltà che lì sono emerse portino meccanicamente ad un calo dei consensi dei Cinque Stelle. In caso di vittoria del no anche M5S sarà chiamato alla prova del fuoco in vista delle elezioni politiche del 2018. Due i problemi di fondo: uscire dal mito del web e radicarsi seriamente nella società, costruire uno schieramento di alleanze politico-sociali il più vasto possibile. Inutile dire che una simile apertura porterebbe con se anche un altro cambiamento, quello di una diversa strutturazione del movimento, che non può continuare a vivere senza uno statuto, senza vere strutture territoriali, senza una vita democratica degna di questo nome.
D. Che cosa fanno le forze di sinistra?
R. Nell'attuale parlamento c'è un solo raggruppamento che si definisce di sinistra: Sinistra Italiana, che nasce dall'allargamento di Sel ai fuoriusciti dal Pd. Peraltro, dalla stessa Sel è uscito un nutrito gruppo di parlamentari che è andato ad ingrossare le fila del partito di Renzi... Ad ogni modo non è da qui che verrà qualcosa di nuovo. Probabilmente il congresso di Sinistra Italiana non si terrà neppure, vista la frattura tra chi è critico con l'euro (i soliti Fassina e D'Attorre) e chi invece è addirittura per gli Stati Uniti d'Europa! Oltre a questo bisogna tener conto dell'atavico trasformismo di una certa sinistra, che potrebbe portare il grosso di Sel verso il Pd, una volta che quest'ultimo dovesse liberarsi di Renzi. L'altra forza principale della sinistra rimane Rifondazione Comunista. Un partito con ancora un buon numero di militanti, ma assolutamente incapace di rigenerarsi in qualche modo. In ultimo, la sua posizione sull'Europa ha avuto addirittura un'involuzione: siccome l'uscita dall'euro è chiesta da forze di destra, l'uscita in se è di destra. Ne deriva l'assenza di ogni capacità di lettura del presente, per non parlare dell'assenza di ogni iniziativa concreta. Per fortuna esiste anche un'altra sinistra, che a differenza di quella di cui si siamo occupati sin qui, negli ultimi anni è cresciuta di peso. Mi riferisco principalmente alle forze che convergono nella piattaforma Eurostop: l'Unione Sindacale di Base(USB), Programma 101, Partito Comunista Italiano (il vecchio Pdci), Rete dei comunisti e la minoranza interna no-euro di Rifondazione, più un certo numero di intellettuali. Sia pure con alcune differenze tra di loro, queste forze mettono al centro la battaglia contro l'euro e l'UE, cercando di legare la questione di classe a quella nazionale, come i comunisti seppero fare in altri contesti storici.
D. Può spiegarci la prospettiva della vostra organizzazione, P101 e la coalizione Eurostop?
R. Programma 101 (P101) è per ora in progetto, nato come sviluppo del Coordinamento della sinistra contro l'euro, la cui fase costituente è ancora in corso. Al tempo stesso lavoriamo per una più ampia aggregazione di tipo confederale che sappia essere uno dei soggetti di un vasto fronte democratico-popolare che si candidi alla guida del paese. L'importanza di P101 è nella sua capacità di essere un centro propulsore in quanto a capacità di analisi e di proposta. La coalizione Eurostop nasce da diversi soggetti - tra i quali appunto P101 - che si sono uniti per dare vita ad iniziative comuni, come ad esempio il "No Renzi day", la manifestazione che si terrà a Roma sabato 22 ottobre. Tornando a P101, il nostro sforzo è quello di pensare in grande, in maniera aperta e non auto-referenziale, nella consapevolezza del passaggio storico che ci attende. Al di là delle diverse posizioni politiche, è probabilmente proprio questa la più grande differenza con le forze tradizionali della sinistra. Mentre gli altri continuano a vivere dentro una visione impotente, caratterizzata da una sorta di pessimismo cosmico; noi pensiamo che nella società ci sia una nuova domanda di politica, oggi raccolta da M5S, domani chissà. Non solo: mentre gli altri non credono più di tanto alle conseguenze traumatiche della crisi anche nel campo dei dominanti, noi siamo invece convinti che queste conseguenze vi saranno, che si apriranno dunque nuovi spazi, che vi sarà una lotta aspra dall'esito non ancora predeterminato. Solo i fatti diranno chi avrà visto giusto, ma noi siamo convinti delle nostre idee.
R. A me pare che la linea di Renzi stia ormai mostrando tutti i suoi limiti. Almeno per un paese come l'Italia, quella che noi definiamo la "politica dei decimali" non è minimamente sufficiente. Non basta un'attenuazione così moderata dell'austerità per invertire il trend alla stagnazione. Al tempo stesso, questa politica mette oggettivamente in discussione le regole europee, il fiscal compact in primo luogo. Quanto potrà durare questa situazione di né pace né guerra con l'Unione Europea è difficile a dirsi, ma certo Renzi (se resterà al governo) vorrà approfittare dei prossimi delicati passaggi della politica europea, elezioni presidenziali francesi in primo luogo, per ottenere nuove concessioni. In ogni caso ritengo più probabile che gli attriti con la Commissione Europea e con la Germania possano sfociare in uno scontro aperto sulla questione bancaria più che sul tema dell'austerità.
D. Che potrebbe succedere in caso di vittoria del NO?
R. Bella domanda! Di certo Renzi non potrebbe restare al suo posto di capo del governo. Se lo facesse andrebbe incontro ad un logoramento che finirebbe per distruggerne definitivamente la sua immagine di innovatore. L'uomo è intelligente e non credo farà questo errore. Potrebbe invece restare alla guida del Pd, che però a quel punto entrerebbe in una difficile fase di convulsioni interne. Il piano B del blocco dominante è sicuramente quello delle "larghe intese", sia nell'immediato che nella prospettiva della prossima legislatura. Nell'immediato potrebbe nascere, sotto l'egida del capo dello Stato, un governo di transizione che modifichi la legge elettorale e traghetti il paese verso le elezioni politiche nel 2018. Al momento è impossibile dire chi guiderebbe quel governo (molti pensano ad Enrico Letta), ma certamente Forza Italia sarebbe ben felice di far parte della maggioranza. Questo per quanto riguarda gli assetti istituzionali. Più in generale, ed è quello che a noi più interessa, si aprirebbe una fase di crisi del blocco dominante e di rinvigorimento di tutte le forze che si battono contro lo stato di cose presente. Per comprendere le difficoltà delle élite bisogna capire che quello di Renzi non è un nome fra tanti. La scelta dei principali centri del potere economico di appoggiarlo per portarlo alla guida del governo nacque dalla consapevolezza di quanto la situazione fosse ormai esplosiva. Dal loro punto di vista Renzi rappresentava il giusto mix di liberismo e populismo, di politica privatizzatrice e di retorica anti-austerity. Dunque trovare non solo un nuovo assetto, ma anche un nuovo nome, non sarà per niente facile. Per quel che riguarda invece le forze che si battono per la rottura con l'euro e con l'UE, in una prospettiva democratica e tesa alla difesa degli interessi delle classi popolari, sarà il momento in cui tentare il salto di qualità. Operazione non facile, ma di certo ben più difficile nel caso di una stabilizzazione politica successiva ad un'affermazione del sì. Decisivo in questo campo sarà comunque l'evoluzione di M5S.
D. I Cinque Stelle non sembrano preparati per guidare il paese come si vede a Roma. Quali sono gli scenari?
R. I Cinque Stelle non possono pensare di andare al governo da soli. La loro posizione per il no al referendum è netta e così pure quella contro la legge elettorale di Renzi, anche se alcuni dei loro dirigenti avevano magari pensato di avvantaggiarsene grazie al ballottaggio. Personalmente non ho mai creduto a Di Maio primo ministro. Questo per un motivo molto semplice: visto il persistente rifiuto di ogni alleanza, M5S potrebbe vincere solo con l'Italicum (la legge elettorale di cui abbiamo già parlato, che assegna il premio di maggioranza escludendo però le coalizioni), ma in caso di vittoria del NO l'Italicum salterà, mentre se vi sarà l'affermazione del SI Renzi andrà subito alle elezioni nella primavera 2017 e - questo almeno è il mio parere - sull'onda del risultato referendario vincerebbe al ballottaggio. Più in generale è impensabile un governo basato su una sola forza, peraltro con un radicamento sociale ben più scarso di quello che i successi elettorali potrebbero far pensare. La vicenda di Roma è una conferma di questi problemi, anche se non bisogna credere che le difficoltà che lì sono emerse portino meccanicamente ad un calo dei consensi dei Cinque Stelle. In caso di vittoria del no anche M5S sarà chiamato alla prova del fuoco in vista delle elezioni politiche del 2018. Due i problemi di fondo: uscire dal mito del web e radicarsi seriamente nella società, costruire uno schieramento di alleanze politico-sociali il più vasto possibile. Inutile dire che una simile apertura porterebbe con se anche un altro cambiamento, quello di una diversa strutturazione del movimento, che non può continuare a vivere senza uno statuto, senza vere strutture territoriali, senza una vita democratica degna di questo nome.
D. Che cosa fanno le forze di sinistra?
R. Nell'attuale parlamento c'è un solo raggruppamento che si definisce di sinistra: Sinistra Italiana, che nasce dall'allargamento di Sel ai fuoriusciti dal Pd. Peraltro, dalla stessa Sel è uscito un nutrito gruppo di parlamentari che è andato ad ingrossare le fila del partito di Renzi... Ad ogni modo non è da qui che verrà qualcosa di nuovo. Probabilmente il congresso di Sinistra Italiana non si terrà neppure, vista la frattura tra chi è critico con l'euro (i soliti Fassina e D'Attorre) e chi invece è addirittura per gli Stati Uniti d'Europa! Oltre a questo bisogna tener conto dell'atavico trasformismo di una certa sinistra, che potrebbe portare il grosso di Sel verso il Pd, una volta che quest'ultimo dovesse liberarsi di Renzi. L'altra forza principale della sinistra rimane Rifondazione Comunista. Un partito con ancora un buon numero di militanti, ma assolutamente incapace di rigenerarsi in qualche modo. In ultimo, la sua posizione sull'Europa ha avuto addirittura un'involuzione: siccome l'uscita dall'euro è chiesta da forze di destra, l'uscita in se è di destra. Ne deriva l'assenza di ogni capacità di lettura del presente, per non parlare dell'assenza di ogni iniziativa concreta. Per fortuna esiste anche un'altra sinistra, che a differenza di quella di cui si siamo occupati sin qui, negli ultimi anni è cresciuta di peso. Mi riferisco principalmente alle forze che convergono nella piattaforma Eurostop: l'Unione Sindacale di Base(USB), Programma 101, Partito Comunista Italiano (il vecchio Pdci), Rete dei comunisti e la minoranza interna no-euro di Rifondazione, più un certo numero di intellettuali. Sia pure con alcune differenze tra di loro, queste forze mettono al centro la battaglia contro l'euro e l'UE, cercando di legare la questione di classe a quella nazionale, come i comunisti seppero fare in altri contesti storici.
D. Può spiegarci la prospettiva della vostra organizzazione, P101 e la coalizione Eurostop?
R. Programma 101 (P101) è per ora in progetto, nato come sviluppo del Coordinamento della sinistra contro l'euro, la cui fase costituente è ancora in corso. Al tempo stesso lavoriamo per una più ampia aggregazione di tipo confederale che sappia essere uno dei soggetti di un vasto fronte democratico-popolare che si candidi alla guida del paese. L'importanza di P101 è nella sua capacità di essere un centro propulsore in quanto a capacità di analisi e di proposta. La coalizione Eurostop nasce da diversi soggetti - tra i quali appunto P101 - che si sono uniti per dare vita ad iniziative comuni, come ad esempio il "No Renzi day", la manifestazione che si terrà a Roma sabato 22 ottobre. Tornando a P101, il nostro sforzo è quello di pensare in grande, in maniera aperta e non auto-referenziale, nella consapevolezza del passaggio storico che ci attende. Al di là delle diverse posizioni politiche, è probabilmente proprio questa la più grande differenza con le forze tradizionali della sinistra. Mentre gli altri continuano a vivere dentro una visione impotente, caratterizzata da una sorta di pessimismo cosmico; noi pensiamo che nella società ci sia una nuova domanda di politica, oggi raccolta da M5S, domani chissà. Non solo: mentre gli altri non credono più di tanto alle conseguenze traumatiche della crisi anche nel campo dei dominanti, noi siamo invece convinti che queste conseguenze vi saranno, che si apriranno dunque nuovi spazi, che vi sarà una lotta aspra dall'esito non ancora predeterminato. Solo i fatti diranno chi avrà visto giusto, ma noi siamo convinti delle nostre idee.
1 commento:
Si assegna a qualcuno la qualifica di"intelligente". A ma pare invece che occorra distinguere l'intelligenza dalla furbizia che, se spesso porta qualche vantaggio, alla fine, basandosi la furbizia sulla menzogna, diventa una trappola rischiosa per che ne fa uso sistematico.
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