[ 21 febbraio ]
«Eco si è guadagnata una doppia immortalità: è un’immortalità all’indietro, perché nessuno meglio di lui ha conosciuto ed esplorato la letteratura mondiale ed è anche un’immortalità in avanti, poiché i suoi stessi romanzi sono destinati a rimanere in futuro come patrimonio della letteratura mondiale».
[Nella foto: Umberto Eco e Diego Fusaro. Milano, Novembre 2011]
Ebbi la fortuna di conoscere di persona Umberto Eco nel novembre del 2011, in occasione della presentazione di un libro di Marco Trainito a lui dedicato: "Umberto Eco. Odissea nella biblioteca di Babele" (Il Prato, Padova 2011). A presentare il libro in questione, presso l’associazione culturale “Il Punto Rosso” di Milano, eravamo appunto io ed Eco, oltre all’autore, Marco Trainito. Il locale era gremito, con una fortissima presenza di giovani.
Debbo dire che anche in quell’occasione rimasi piacevolmente stupito dalla cultura immensa di Eco, che spaziava in ogni campo, dalla filosofia all’arte, dalla letteratura alla storia. La grande stima che, dal punto di vista culturale, provavo per Eco, tuttavia, non mi impedì di muovere alcune critiche alla sua impostazione, che liberamente ebbi modo di esprimere nel corso della discussione, senza troppo curarmi della grandezza intellettuale del gigante cui sedevo accanto. Mi affascinava molto, debbo ammetterlo, la sua figura, anche in relazione al fatto che egli proveniva dalle stesse zone da cui provengo io, quella zona del Piemonte che già declina verso la Liguria, e ciò ci permise, tra l’altro, di scambiare rapide battute – dopo la discussione pubblica – sulle nostre comuni terre d’origine (Alessandria lui, Acqui Terme io). Eco, inoltre, si era a suo tempo laureato presso la stessa Università in cui mi laureai io, l’Università di Torino, sotto la guida di Pareyson, insieme con Gianni Vattimo, di cui sempre fu uno dei più cari amici. Varie volte, con Vattimo, di cui ho avuto l’onore di essere allievo e che continuo a frequentare come amico e maestro, ci eravamo trovati a ripercorrere quel periodo: Vattimo mi raccontava con affetto di Eco, delle loro avventure giovanili, di quando insieme convivevano a Milano lavorando presso la RAI.
Con Eco se ne va un gigante della letteratura, una mente finissima, un vero e proprio “uomo di cultura” in senso pieno quali non se ne trovano più nel tempo dell’odierno idiotismo specialistico e della “taylorizzazione del lavoro intellettuale” di gramsciana memoria. Ricordo che con Eco, a partire dal testo a lui dedicato, ci trovammo a discutere di filosofia medievale e di relativismo. Mi permisi di fargli notare, con rispetto e non di meno in modo fermo, il fatto che in quel capolavoro della letteratura mondiale che è “Il nome della rosa” mi pare vi fosse troppo “pensiero debole” e poco pensiero cristiano medievale. In fondo, notavo, i protagonisti del “Nome della rosa” sembrano dividersi o in educati seguaci relativisti del postmoderno camuffati con la tunica medievale o in burberi reazionari fanatici che credono fino alla morte nel Dio cristiano. Ne discutemmo apertamente, probabilmente senza convincerci a vicenda delle rispettive ragioni.
Di Eco non potevo non condividere le battaglie per la cultura e per la letteratura, né potevo non ammirare la sua erudizione più unica che rara, l’ingegno vivissimo e sempre pronto anche alla battuta. Non condividevo però – e sarebbe ipocrita negarlo – la sua prospettiva laicista, giacché consideravo e considero il laicismo una forma di laicità radicalizzata in forma patologica. Significativa mi pare, a questo riguardo, la tenzone che Eco ingaggiò contro papa Ratzinger sul giornale tedesco “Berliner Zeitung” il 19/9/2011, arrivando testualmente a liquidare come “molto grossolane” le battaglie del papa contro il relativismo e a definire Ratzinger stesso come non grande né come filosofo, né come teologo. Credo che, forse, in questa “ybris” laicista e relativista stesse uno dei punti deboli di Eco, che lo spingeva a vedere in Ratzinger non un competentissimo teologo e filosofo con cui dialogare – come fece, ad esempio, Habermas –, ma una sorta di integralista privo di interesse. Non condividevo neppure, ad essere sincero, la prospettiva politica di Eco, ascrivibile, in fondo, in quella sinistra anti-berlusconiana attenta più al legalismo che alla sofferenza dei lavoratori, alla questione morale più che a quella sociale e ai drammi del capitalismo globale. Ma questa è un’altra storia; una storia che, comunque, per quel che mi riguarda, nulla toglie alla grandezza dell’Umberto Eco letterato e romanziere.
Se dovessi indicare i suoi lavori più belli, mi permetterei di segnalare, oltre al “Nome della Rosa”, lo splendido saggio giovanile sull’estetica di Tommaso d’Aquino, un vero e proprio capolavoro a cavaliere tra storia della filosofia ed estetica. Se, invece, dovessi indicare una delle più belle e suggestive considerazioni di Eco, segnalerei, tra le tante, questa:
chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, […] perché la lettura è un’immortalità all’indietro.
Ebbene, in questo senso credo che l’immortalità che Eco si è guadagnato possa con diritto dirsi duplice: è un’immortalità all’indietro, perché nessuno meglio di lui ha conosciuto ed esplorato la letteratura mondiale; ed è anche un’immortalità in avanti, poiché i suoi stessi romanzi sono – non v’è dubbio – destinati a rimanere in futuro come patrimonio della letteratura mondiale.
* Fonte: Fanpage
«Eco si è guadagnata una doppia immortalità: è un’immortalità all’indietro, perché nessuno meglio di lui ha conosciuto ed esplorato la letteratura mondiale ed è anche un’immortalità in avanti, poiché i suoi stessi romanzi sono destinati a rimanere in futuro come patrimonio della letteratura mondiale».
[Nella foto: Umberto Eco e Diego Fusaro. Milano, Novembre 2011]
Ebbi la fortuna di conoscere di persona Umberto Eco nel novembre del 2011, in occasione della presentazione di un libro di Marco Trainito a lui dedicato: "Umberto Eco. Odissea nella biblioteca di Babele" (Il Prato, Padova 2011). A presentare il libro in questione, presso l’associazione culturale “Il Punto Rosso” di Milano, eravamo appunto io ed Eco, oltre all’autore, Marco Trainito. Il locale era gremito, con una fortissima presenza di giovani.
Debbo dire che anche in quell’occasione rimasi piacevolmente stupito dalla cultura immensa di Eco, che spaziava in ogni campo, dalla filosofia all’arte, dalla letteratura alla storia. La grande stima che, dal punto di vista culturale, provavo per Eco, tuttavia, non mi impedì di muovere alcune critiche alla sua impostazione, che liberamente ebbi modo di esprimere nel corso della discussione, senza troppo curarmi della grandezza intellettuale del gigante cui sedevo accanto. Mi affascinava molto, debbo ammetterlo, la sua figura, anche in relazione al fatto che egli proveniva dalle stesse zone da cui provengo io, quella zona del Piemonte che già declina verso la Liguria, e ciò ci permise, tra l’altro, di scambiare rapide battute – dopo la discussione pubblica – sulle nostre comuni terre d’origine (Alessandria lui, Acqui Terme io). Eco, inoltre, si era a suo tempo laureato presso la stessa Università in cui mi laureai io, l’Università di Torino, sotto la guida di Pareyson, insieme con Gianni Vattimo, di cui sempre fu uno dei più cari amici. Varie volte, con Vattimo, di cui ho avuto l’onore di essere allievo e che continuo a frequentare come amico e maestro, ci eravamo trovati a ripercorrere quel periodo: Vattimo mi raccontava con affetto di Eco, delle loro avventure giovanili, di quando insieme convivevano a Milano lavorando presso la RAI.
Con Eco se ne va un gigante della letteratura, una mente finissima, un vero e proprio “uomo di cultura” in senso pieno quali non se ne trovano più nel tempo dell’odierno idiotismo specialistico e della “taylorizzazione del lavoro intellettuale” di gramsciana memoria. Ricordo che con Eco, a partire dal testo a lui dedicato, ci trovammo a discutere di filosofia medievale e di relativismo. Mi permisi di fargli notare, con rispetto e non di meno in modo fermo, il fatto che in quel capolavoro della letteratura mondiale che è “Il nome della rosa” mi pare vi fosse troppo “pensiero debole” e poco pensiero cristiano medievale. In fondo, notavo, i protagonisti del “Nome della rosa” sembrano dividersi o in educati seguaci relativisti del postmoderno camuffati con la tunica medievale o in burberi reazionari fanatici che credono fino alla morte nel Dio cristiano. Ne discutemmo apertamente, probabilmente senza convincerci a vicenda delle rispettive ragioni.
Di Eco non potevo non condividere le battaglie per la cultura e per la letteratura, né potevo non ammirare la sua erudizione più unica che rara, l’ingegno vivissimo e sempre pronto anche alla battuta. Non condividevo però – e sarebbe ipocrita negarlo – la sua prospettiva laicista, giacché consideravo e considero il laicismo una forma di laicità radicalizzata in forma patologica. Significativa mi pare, a questo riguardo, la tenzone che Eco ingaggiò contro papa Ratzinger sul giornale tedesco “Berliner Zeitung” il 19/9/2011, arrivando testualmente a liquidare come “molto grossolane” le battaglie del papa contro il relativismo e a definire Ratzinger stesso come non grande né come filosofo, né come teologo. Credo che, forse, in questa “ybris” laicista e relativista stesse uno dei punti deboli di Eco, che lo spingeva a vedere in Ratzinger non un competentissimo teologo e filosofo con cui dialogare – come fece, ad esempio, Habermas –, ma una sorta di integralista privo di interesse. Non condividevo neppure, ad essere sincero, la prospettiva politica di Eco, ascrivibile, in fondo, in quella sinistra anti-berlusconiana attenta più al legalismo che alla sofferenza dei lavoratori, alla questione morale più che a quella sociale e ai drammi del capitalismo globale. Ma questa è un’altra storia; una storia che, comunque, per quel che mi riguarda, nulla toglie alla grandezza dell’Umberto Eco letterato e romanziere.
Se dovessi indicare i suoi lavori più belli, mi permetterei di segnalare, oltre al “Nome della Rosa”, lo splendido saggio giovanile sull’estetica di Tommaso d’Aquino, un vero e proprio capolavoro a cavaliere tra storia della filosofia ed estetica. Se, invece, dovessi indicare una delle più belle e suggestive considerazioni di Eco, segnalerei, tra le tante, questa:
chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, […] perché la lettura è un’immortalità all’indietro.
Ebbene, in questo senso credo che l’immortalità che Eco si è guadagnato possa con diritto dirsi duplice: è un’immortalità all’indietro, perché nessuno meglio di lui ha conosciuto ed esplorato la letteratura mondiale; ed è anche un’immortalità in avanti, poiché i suoi stessi romanzi sono – non v’è dubbio – destinati a rimanere in futuro come patrimonio della letteratura mondiale.
* Fonte: Fanpage
8 commenti:
Era anche un uomo di grande ironia e dispiace che, da grande conoscitore del medioevo qual era, se ne sia andato proprio mentre quest' ultimo sta per ritornare.
Scusate ma che dice Fusaro...
Umberto Eco ha scritto un romanzo decente, più che altro perché era una novità, e poi il resto era illeggibile a partire dal pazzesco Pendolo di Foucault che è veramente meno che pessimo, pesantissimo, didascalico e inconcludente. E provate a rileggere Il Nome Della Rosa per vedere che impressione molto meno positiva vi fa a distanza di tempo (che se ricordate ha una storia drammatica con un ambientazione "lussuosissima" che poi si scioglie in un finale molto miserello tirato per i capelli, quello che ammazza tutti col veleno perché? Perché non vuole che la gente legga il libro sull'ironia di Aristotele...ridicolo).
Come filosofo non lo conosco ma politicamente, lo dice anche Fusaro, era sostanzialmente un piddino e oltretutto era fortemente filo Unione Europea. Forse il giovane filosofo non ha le idee chiarissime.
Ma che ce ne facciamo di questi personaggi così smaccatamente da establishment? A meno che non si voglia dire che non ci si è accorti che Eco era un intellettuale del tutto organico all'establishment. E se fosse così però sarebbe sarebbe abbastanza grave...
Sic!
Se non si apprezza l'ironia è inutile leggere Eco e forse anche Aristotele.
Il medioevo è più vicino di quanto pensiamo.
Ippolito
Che c'entra l'ironia?
Dicevo che Il Nome della Rosa non è un grande romanzo e che la conclusione è molto fiacca e pretenziosa.
Gli altri sono illeggibili, lui era filo europeista, piddino, legato all'establishment...oh, se ti piace, liberissimo...
E poi cos'ha poi da dire Diego Fusaro sul disprezzo con cui Costanzo Preve, suo maestro, ha trattato Umberto Eco?
All'epoca di quelle dichiarazione, raccolte proprio da lui medesimo, non ebbe nulla da replicare !!
Vedetevi questo video:
https://youtu.be/bwok9ukLN8g
Grazie
S. Genovese
Sostengo le ragioni che ha esposto Ippolito Grimaldi.
Non si può pretendere di leggere tutto sulla base di un'unica chiave di lettura, santo cielo.
Politicamente Eco ha sostenuto non poche castronerie, ma che questo sia sufficiente ad esprimere una stroncatura sull'autore non sta né in cielo né in terra.
Per altro nel movimento per il federalismo europeo, che intellettualmente è cosa che risale al XIX secolo, uno dei nomi più importanti è stato quello di Victor Hugo.
Alla luce delle contraddizioni odierne, che mettono in luce come non avendo un demos europeo non si possa avere una democrazia europea, la conclusione sarebbe quindi buttare al macero anche I Miserabili, Notre Dame de Paris e Novantatre, e rifilare una da damnatio memoriae ad uno dei più grandi autori che pure ha sempre raccontato la storia degli ultimi, degli emarginati, degli sfruttati e del loro desiderio di riscatto?
Non sarebbe, piuttosto, più intelligente leggerlo con spirito critico avendo ugualmente stima per il grande scrittore?
Vorrei anche dire che se ci si vuol fare un'idea del come e del perchè la sinistra in Italia sia finita nello stato comatoso che ben conosciamo, uno dei libri che lo spiegano meglio è proprio il vituperato Pendolo di Focault.
Una descrizione del vuoto spinto degli anni del riflusso, del rifugio nel privato, lucida - secondo me - quanto altre mai.
Che poi l'autore del libro stesso sia rimasto ampiamente invischiato in quello stesso gorgo, è un altro discorso.
Ma se si pretende di giudicare un autore per il fatto di aver partecipato a qualche riunione dell'Aspen, tanto varrebbe diventare direttamente complottisti.
Il che non esime dall'avere una pessima opinione di certi circoletti, e agire politicamente per contrastarne l'ideologia.
Suvvia.
Il "gigante della cultura italiana" però avrebbe definito imbecilli quelli che postano sul web, quindi dimostra di non aver capito molto della rivoluzione comunicativa e culturale del www ... del resto è espressione di un mondo ipocrita, dominato dalle lobbies di potere, che smercia un falsa cultura ... secondo lui quello che somministrano la stampa, i professionisti, le accademie equivale decisamente alla sacralità del vero ... quello che si trova su internet invece viene divulgato da perfetti imbecilli ... il confronto con la lucidità analitica di Zygmunt Bauman, o di Guy Debord, o di Jean Francois Lyotard , o di Jean Braudillard appare impietoso ...
Per di più Umberto Eco è stato autore di un romanzo capolavoro quale "Il nome della rosa", ed anche di tante altre opere interessanti, però ha sostenuto ostinatamente per tutta la vita un partito truffa quale il PD, e non ha sentito la responsabilità che il suo ruolo pretendeva svolgesse presso l'opinione pubblica, di informarla appunto sulla svendita dell'Italia alle potenze straniere, perpetrata dal PD, con la conseguente demolizione dei diritti sociali, lavoro, welfare, democrazia , patrimonio pubblico, sovranità monetaria, economica, e politica ... grazie al silenzio di un "gigante della cultura" quale Umberto Eco dovremo vederci rapinare tutto questo dalle oligarchie della finanza internazionale, senza poter fiatare o ribellarci ...
Gli intellettuali veri sono quelli che hanno cambiato la storia, che hanno cambiato il pensiero, la cultura, il corso degli eventi, naturalmente in meglio, non in peggio … non come quei signori allineati al potere che da almeno 50 anni distruggono l'economia, che vengono definiti intellettuali, quelli sono usciti dalle università, specie quella della Bocconi dove si formano i nuovi neoliberisti, e quel casino che viviamo oggi lo dobbiamo a loro e alle loro ideologie che hanno imparato nelle stesse università. L’unico che salverei è Keynes, che infatti, contro il suo mandato, abbandonò il tavolo della pace a Versailles nel 1919, e poi scrisse "The Economic Consequences of the Peace", il libro che criticava quella pace paragonandola a una pace cartaginese, e quindi contribuì a consolidare la percezione degli Inglesi sul trattamento disuguale riservato ai Tedeschi.
Dunque se oggi il sapere universitario e tutta la cultura viene sottoposto ad un regime tale per cui è impossibile acquisire capacità critica autonoma, o se quei cosiddetti intellettuali mirano unicamente a fare carriera, non so bene dove possa nascere la consapevolezza che potrebbe portare ad una sorta di ribellione civile per questo stato di cose … gli intellettuali, quelli veri, da sempre sono andati contro corrente … Galileo Galilei ha dovuto abiurare le proprie teorie, diversamente sarebbe incorso nella pena di morte … Giordano Bruno è morto arso vivo … Socrate è stato costretto a bere la cicuta ... questi sono gli intellettuali veri … che hanno lasciato un monito alle generazioni future … perché se la gran parte dei giovani fosse minimamente consapevole di quello che li aspetta nel prossimo squallido futuro, se gli intellettuali aprissero loro gli occhi, oggi ci sarebbe l’occupazione delle università ... invece nelle fabbriche del consenso che sfornano gli "yes man" totalmente inconsapevoli e privi di ogni senso etico, non succederà nulla di tutto questo …
Da tutte le persone bisognerebbe prendere il meglio, Einstein nella vita privata era una merda, per dire.
Il fatto di essere una cima in un determinato campo non autorizza nessuno a dire la qualunque con la medesima autorevolezza su ogni cosa.
Scusate se sono banale, ma sembra troppo spesso si dimentichi la banalità del genere umano.
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