[ 2 dicembre ]
C'eravamo già occupati dell'Associazione Riconquistare la sovranità (ARS), mettendone in evidenza tutte le ambiguità ideologiche.
Qualcuno considerò la nostra critica immotivata se non infondata. Il tempo è galantuomo.
E' un fatto che dietro alla bandiera del "sovranismo" si nascondono in molti, tra cui diversi gruppuscoli neofascisti, non solo Casa Pound. Ed è un altro fatto che in ARS, dietro alla ostentata difesa della Costituzione c'è chi, apertamente, manifesta nostalgie per il regime fascista. QUI, ad esempio, si fa una inquietante apologia del mussolinismo.
Recentemente il presidente di ARS è giunto a fare l'elogio se non proprio l'esaltazione di un losco personaggio il quale —dopo aver sostenuto il colpo di stato monarchico che destituì Giolitti e fece entrare l'Italia in guerra— portò in dote al fascismo nascente l'appoggio (ed i quattrini) della destra più reazionaria e imperialista. Di chi si parla? Di Enrico Corradini.
Il fattaccio non è sfuggito a Fraioli.
principali artefici della nascita e sviluppo del nazionalismo. I "tempi oscuri" di cui parla "il capo di quel partito che tenne il potere per venti anni" sono l'età giolittiana, durante la quale furono legiferate norme in favore di anziani, infortunati e invalidi, norme per la protezione di donne e bambini, l'istruzione elementare obbligatoria fino a 12 anni, il diritto al riposo settimanale, provvidenze assistenziali, l'indennità parlamentare, migliori retribuzioni, norme in favore delle condizioni igienico-sanitarie. Il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini di sesso maschile, e venne avviata un'imponente politica di opere pubbliche, in particolare nei trasporti. La società italiana conobbe un periodo di forte crescita economica, di aumento della pace sociale e di crescita della partecipazione alla vita democratica. Infine Giolitti non abbandonò mai una linea di separazione tra Stato e Chiesa, nonostante le aperture nei confronti del mondo cattolico ("Il principio nostro è questo, che lo Stato e la Chiesa sono due parallele che non si debbono incontrare mai" - Giolitti 1904).
Tutto ciò suscitò la reazione dei settori più reazionari, che vedevano minacciata una supremazia secolare che non era stata intaccata nei primi decenni dall'unità d'Italia. Ad essi le idee dei nazionalisti, Corradini in testa, fornirono il supporto ideologico per la difesa degli interessi minacciati. Il nazionalismo italiano non fu un movimento "dal basso", ma un fenomeno che maturò negli ambienti culturali della borghesia, al quale non mancarono, non appena riuscì a raggiungere un minimo di consistenza, gli appoggi politici e finanziari della grande borghesia, inquieta per il riformismo giolittiano, e dei settori più retrivi del cattolicesimo. Già nel 1913 il Corradini tentò, fallendo, di essere eletto in Parlamento grazie all'appoggio dei cattolici, ma ciò non gli impedì, un anno dopo, di essere uno strenuo sostenitore dell'entrata in guerra contro la cattolicissima Austria, in quanto «ci sono nazioni proletarie come ci sono classi proletarie; nazioni, cioè, le cui condizioni di vita sono con svantaggio sottoposte a quelle di altre nazioni, tali quali le classi ... L'Italia è una nazione materialmente e moralmente proletaria" - Enrico Corradini in "Classi proletarie: socialismo, nazioni proletarie: nazionalismo"»
L'idea, sostenuta dal Corradini, che esista uno "sfruttamento di classe semplice", operato dalla borghesia ai danni del proletariato in ciascun paese, e uno "sfruttamento di classe composto", che si verifica sul piano internazionale e si concretizza nell'opposizione tra nazioni ricche e nazioni povere, è il nucleo della narrazione nazionalista, la quale si fonda sull'assunzione della concorrenza come valore assoluto, sia che questa si svolga nell'ambito della competizione tra capitali, sia nella guerra tra le nazioni. La conseguenza di questo ordine di idee era che le nazioni povere come l'Italia dovessero dotarsi di una forte statualità, intesa però come strumento per la guerra verso l'esterno attraverso cui assicurare alla nazione le risorse necessarie all'aumento della sua potenza. Inutile aggiungere che, per Corradini e i nazionalisti, lo Stato doveva essere posto sotto la guida di una forte borghesia nazionale. Nulla a che vedere con l'idea sovranista, per la quale è il lavoro la vera e unica fonte della ricchezza di un popolo, e la giusta distribuzione di questa operata dallo Stato democratico.
La chiosa di SdA ("qui si prescinde totalmente dal merito delle idee") non basta a fugare, neppure lontanamente, la perplessità. Non è la prima volta che SdA esprime pubblicamente idee e concetti discutibili, ma finora avevo taciuto per amicizia. Credo che la misura sia colma, ed è questa la ragione di questo scritto. Il sovranismo non ha nulla a che vedere con il nazionalismo espresso dal Corradini e dai suoi accoliti, sebbene esistano certamente diverse declinazioni del significato di questo termine. Fu proprio per evitare ogni possibile confusione che, qualche anno fa, discutendo con lo stesso SdA, si convenne di coniare e introdurre nel lessico politico la parola "sovranismo", nell'attesa e nella speranza che "nazionalismo" tornasse ad avere un'accezione più democratica. Sta accadendo invece il contrario: le due parole vengono, sempre più, sovrapposte, generando così confusione.
Il fatto che il fondatore e principale esponente di un'associazione politica che si definisce "sovranista", nell'argomentare la necessità della nascita di movimenti dal basso faccia riferimento alla vicenda del nazionalismo italiano, e in particolare a Enrico Corradini, è cosa che lascia stupefatti per il suo carico di ambiguità. Non tanto e non solo per il fatto che il nazionalismo non fu un movimento dal basso, bensì borghese (come riconosce lo stesso SdA) e reazionario (come dimentica di ricordare SdA), ma perché l'accostamento dell'idea sovranista al nazionalismo denuncia una strategia comunicativa che lascia spazio ad una sola e netta alternativa: o SdA non sa comunicare, oppure SdA fa un discorso peloso. E cioè un discorso che mira esclusivamente al proprio tornaconto».
«In nome dell'amicizia si possono sopportare molte cose, perfino tacendo quando invece si dovrebbe parlare. E' quello che ho fatto per quasi un anno e mezzo, da quando, nell'estate del 2014, uscii dall'ARS. Anche in quell'occasione mi comportai come avevo già fatto in un'occasione precedente, il litigio con Bagnai, tacendo e rifuggendo la polemica per così lungo tempo che in molti scambiarono questo atteggiamento per debolezza. Lo stesso ho fatto successivamente, quando sono entrato in conflitto di idee con un altro caro amico: ho preferito tacere per lungo tempo, e ancora mi taccio, per non esacerbare i rapporti.
C'è però un limite, oltre il quale tacere non è più possibile. Accadde con Bagnai, succede di nuovo oggi con l'amico Stefano D'Andrea (SdA nel seguito). Farlo significherebbe non chiarire a sufficienza la distanza ideale che ormai esiste tra alcune posizioni di SdA e la mia visione delle cose. L'occasione è la pubblicazione di uno suo scritto su Appello al Popolo, dal titolo “Antesignani in tempi oscuri della grande riscossa”.
Nell'articolo SdA scrive:
C'è però un limite, oltre il quale tacere non è più possibile. Accadde con Bagnai, succede di nuovo oggi con l'amico Stefano D'Andrea (SdA nel seguito). Farlo significherebbe non chiarire a sufficienza la distanza ideale che ormai esiste tra alcune posizioni di SdA e la mia visione delle cose. L'occasione è la pubblicazione di uno suo scritto su Appello al Popolo, dal titolo “Antesignani in tempi oscuri della grande riscossa”.
Nell'articolo SdA scrive:
«Se dovessi citare un caso italiano di movimento politico-culturale sorto “dal basso”, ma non popolare, bensì borghese, come era naturale ai primi del novecento, movimento portato avanti con capacità, determinazione, pazienza, da un gruppo, che aveva la guida in una specifica personalità, e che tuttavia fondo’ un’associazione dopo sette anni dalla costituzione, associazione che dopo altri tredici confluì in un partito, più popolare, che avrebbe avuto il potere per venti anni (qui si prescinde totalmente dal merito delle idee), direi che esso è il movimento nazionalista di Enrico Corradini. Non a caso, il capo di quel partito che tenne il potere per venti anni defini’ quel gruppo “antesignani in tempi oscuri della grande riscossa”».SdA sta parlando di Enrico Corradini, un agitatore politico (e scrittore fallito) tra i
Enrico Corradini |
Tutto ciò suscitò la reazione dei settori più reazionari, che vedevano minacciata una supremazia secolare che non era stata intaccata nei primi decenni dall'unità d'Italia. Ad essi le idee dei nazionalisti, Corradini in testa, fornirono il supporto ideologico per la difesa degli interessi minacciati. Il nazionalismo italiano non fu un movimento "dal basso", ma un fenomeno che maturò negli ambienti culturali della borghesia, al quale non mancarono, non appena riuscì a raggiungere un minimo di consistenza, gli appoggi politici e finanziari della grande borghesia, inquieta per il riformismo giolittiano, e dei settori più retrivi del cattolicesimo. Già nel 1913 il Corradini tentò, fallendo, di essere eletto in Parlamento grazie all'appoggio dei cattolici, ma ciò non gli impedì, un anno dopo, di essere uno strenuo sostenitore dell'entrata in guerra contro la cattolicissima Austria, in quanto «ci sono nazioni proletarie come ci sono classi proletarie; nazioni, cioè, le cui condizioni di vita sono con svantaggio sottoposte a quelle di altre nazioni, tali quali le classi ... L'Italia è una nazione materialmente e moralmente proletaria" - Enrico Corradini in "Classi proletarie: socialismo, nazioni proletarie: nazionalismo"»
L'idea, sostenuta dal Corradini, che esista uno "sfruttamento di classe semplice", operato dalla borghesia ai danni del proletariato in ciascun paese, e uno "sfruttamento di classe composto", che si verifica sul piano internazionale e si concretizza nell'opposizione tra nazioni ricche e nazioni povere, è il nucleo della narrazione nazionalista, la quale si fonda sull'assunzione della concorrenza come valore assoluto, sia che questa si svolga nell'ambito della competizione tra capitali, sia nella guerra tra le nazioni. La conseguenza di questo ordine di idee era che le nazioni povere come l'Italia dovessero dotarsi di una forte statualità, intesa però come strumento per la guerra verso l'esterno attraverso cui assicurare alla nazione le risorse necessarie all'aumento della sua potenza. Inutile aggiungere che, per Corradini e i nazionalisti, lo Stato doveva essere posto sotto la guida di una forte borghesia nazionale. Nulla a che vedere con l'idea sovranista, per la quale è il lavoro la vera e unica fonte della ricchezza di un popolo, e la giusta distribuzione di questa operata dallo Stato democratico.
Corradini ricordato da un gruppo neofascista |
La chiosa di SdA ("qui si prescinde totalmente dal merito delle idee") non basta a fugare, neppure lontanamente, la perplessità. Non è la prima volta che SdA esprime pubblicamente idee e concetti discutibili, ma finora avevo taciuto per amicizia. Credo che la misura sia colma, ed è questa la ragione di questo scritto. Il sovranismo non ha nulla a che vedere con il nazionalismo espresso dal Corradini e dai suoi accoliti, sebbene esistano certamente diverse declinazioni del significato di questo termine. Fu proprio per evitare ogni possibile confusione che, qualche anno fa, discutendo con lo stesso SdA, si convenne di coniare e introdurre nel lessico politico la parola "sovranismo", nell'attesa e nella speranza che "nazionalismo" tornasse ad avere un'accezione più democratica. Sta accadendo invece il contrario: le due parole vengono, sempre più, sovrapposte, generando così confusione.
Il fatto che il fondatore e principale esponente di un'associazione politica che si definisce "sovranista", nell'argomentare la necessità della nascita di movimenti dal basso faccia riferimento alla vicenda del nazionalismo italiano, e in particolare a Enrico Corradini, è cosa che lascia stupefatti per il suo carico di ambiguità. Non tanto e non solo per il fatto che il nazionalismo non fu un movimento dal basso, bensì borghese (come riconosce lo stesso SdA) e reazionario (come dimentica di ricordare SdA), ma perché l'accostamento dell'idea sovranista al nazionalismo denuncia una strategia comunicativa che lascia spazio ad una sola e netta alternativa: o SdA non sa comunicare, oppure SdA fa un discorso peloso. E cioè un discorso che mira esclusivamente al proprio tornaconto».
* Fonte: Ego della Rete
22 commenti:
Veramente lo avevano capito tutti fin da subito che ARS aveva il vizietto di rimpiangere i "bei tempi".
Per esempio Ars Longa e signora ci avevano subito litigato e di brutto con il fondatore.
Altri molto meno intuitivi ci hanno messo un po' più di tempo a capire l'ovvio.
E l'ovvio è che come MSI riprendeva RSI cosí FSI riprende entrambe le sigle, non ci vuole tanto per accorgersene.
Il problema grosso - oltre a quello delle persone che prendono le toppe e non imparano mai dagli errori marchiani che commettono - è che il sovranismo non riesce a liberarsi delle incrostazioni ideologiche del passato, quelle che portano inevitabilmente alla auto emarginazione e alla sconfitta.
Destra e sinistra esistono, nessuno lo nega, ma vanno radicalmente ripensate.
Programma che richiede coraggio e creatività quindi decisamente troppo vasto.
Una notizia molto importante
http://www.zerohedge.com/news/2015-12-01/greeks-told-declare-cash-under-mattress-jewelry-and-precious-stones
Ci sono tutti i link ai siti originali.
Un movimento sovranista dovrebbe far capire con la massima urgenza alla classe media queste cose, perché ovviamente colpiscono solo i piccoli proprietari e non i grandi e potenti che hanno i soldi all'estero.
Questi sono i punti chiave su cui si può stabilire una alleanza fra lavoro, PMI e media borghesia cioè la comprensione che in questo sistema non c'è più soeranza per nessuno.
la vecchia e malsana idea del "comitato di liberazione nazionale" anti-euro, che riunisse fascisti, comunisti, liberali e cattolici sotto una stessa indistinta bandiera "sovranista", sta mostrando tutti i suoi limiti. Brancaccio e altri ci avevano avvisato. I fasci si infiltrano ovunque, la cultura generale dominante è di destra, e noi siamo in ritardo perché ci siamo illusi di potere mettere sotto il tappeto la distinzione tra destra e sinistra. Ma quella esiste SEMPRE perché è un fatto oggettivo, indipendente dal fatto che quelli che hanno rappresentato la sinistra erano degli impostori. Paolo
Se si riconosce l'esistenza di una sinistra complice del liberismo, non si capisce perché si debba negare l'esistenza di una destra keynesiana.
l'ultimo anonimo dice che quella del CLN (comitato di liberazione nazionale) sarebbe "un'idea malsana", poiché unirebbe
«fascisti, comunisti, liberali e cattolici sotto una stessa indistinta bandiera "sovranista"».
Una critica come minimo puerile e per diverse ragioni.
(1) Sul piano storico-simbolico: il riferimento al CLN non può dare adito ad equivoci. Il CLN nacque come organismo unitario di liberazione dal nazi-fascismo. Esso è quindi, per sua natura, antifascista, in quanto blocco democratico e costituzionale. Che poi una alleanza simile non vada a genio ai dottrinari "marxisti", beh, questo lo abbiamo messo nel conto, come abbiamo messo nel conto che essi saranno, e per molto tempo ancora, del tutto fuori dal concreto campo di gioco;
(2) Sul piano politico: noi siamo fermi nel ritenere che non riusciremo a liberare il nostro Paese dalla morsa neoliberista ed eurista senza un fronte ampio e, lo diciamo apertamente, interclassista. Lo chiamiamo CLN. Ritornati alla sovranità il CLN avrà svolto il suo compito e ogni componente andrà per la sua strada. Per quanto ci riguarda la riconquista della sovranità nazionale è per noi la sola via per procedere poi verso il socialismo;
(3) Sul piano della morfologia del "sovranismo", l'anonimo si vede che non è ben al corrente di come stanno le cose. E' vero, ci sono gruppi neofascisti e cascami della destra xenofoba che oggi usano la bandiera della sovranità ma, nessuno di loro accetta, com'è ovvio, la proposta del CLN;
(4) In questo ampio blocco che sarà il CLN ci sarà chi dovrà occupare il fianco sinistro, in rappresentanza dei ceti sociali proletari ed esclusi i quali, non dovranno stare a rimorchio delle formazioni borghesi, ma essere la forza motrice del processo di liberazione dal neoliberismo. E solo se il nuovo proletariato saprà svolgere questo ruolo dirigente e nazionale, potrà poi pretendere di far avanzare la transizione al socialismo.
Tutto il resto, se non è fuffetta, poco ci manca.
Tanto più che molti a destra si richiamano a quella che era e rimane una Costituzione antifascisa; , bisognerà chiarirsi su questo punto centrale del sovranismo, a meno che anche a sinistra non si pensi ad un successivo superamento di quel Patto Democratico, spero di no.
Caro Grimaldi,
la Costituzione non è il Talmud. Adesso dobbiamo difenderla e ripristinarla, ma la società cambia e anche noi dovremo metterci mano, domani. In questo senso sì', dovremo superarla, ovvero aggiornarla, ma non in base agli interessi della classe neoliberista, bensì quelli del popolo lavorarore.
RedazioneSollevazione, invece di buttarla in caciara cercate di argomentare in modo serio su un problema che solo un analfabeta politico non vedrebbe. Se dobbiamo proprio usare la vostra espressione, "puerile", allora puerile mi sembra l'idea che nell'ora X la destra xenofoba possa essere contraria a un CLN. Nell'attuale stato di rapporti di forze Salvini andrebbe a nozze con una proposta del genere, che lui dominerebbe senza difficoltà e che schiaccerebbe un minuto dopo il suo successo. Pensate a diventare qualcosa di tangibile invece di affannarvi dietro la scorciatoia del CLN. Questo non è marxismo, è ABC. Paolo
P.S. A Fraioli. Hai ragione, la destra keynesiana esiste. Anzi, "le" destre: esiste il keynesismo militare, esiste il keynesismo criminale, esiste perfino un keynesismo reganiano, e ovviamente un keynesismo nazista. La parola "keynesismo" non lava tutti i panni sporchi.
Caro Paolo,
ci "affanniamo" anche troppo (secondo alcuni), a tal punto che, nella mortagora generale, in netta controtendenza rispetto all'abbandono generale dell'impegno politico, come parte del Coordinamento sinistra contro l'euro, siamo decisi a dare vita ad una nuova formazione politica, di cui il seminario programmatico del 12-13 dicembre è il primo passo.
Come vedi stiamo non solo "pensando", bensì facendo, "per diventare qualcosa si tangible", al fine di costituire un forza politica indipendente del mondo del lavoro e degli esclusi, nella speranza che sia possibile non andare a rimorchio delle frazioni della classe dominante che già si preparano ad un'uscita nazional-liberista. E certo che da soli non ce la faremo! va quindi costruito in fretta un blocco del sovranismo democratico che sfidi l'egemonia dei nazional-liberali.
E' in questo quadro che collochiamo il Comitato di Liberazione nazionale.
Se poi tu pensi ad un fronte proletario "puro", lontano da contaminazioni "borghesi", ti lasciamo alle tue illusioni.
Il rischio, se comprendiamo ciò che pensi, è che la sinistra anticapitalista, oltreché antiliberista, resti confinata in un recinto residuale, condannata alla sterilità politica.
Argomentare per categorie largamente superate dalla storia, in una situazione come l'attuale in cui le illusioni e le speranze sono sommerse dalla catastrofe economica e, perché no, anche produttiva in cui è precipitato il paese dopo il diluvio delle privatizzazioni e dallo sfascio radicale delle istituzioni in balia del pugno di ferro dell'imperialismo monetario esercitato da un Capitalismo stramaturo e ormai organicamente pronto al dominio assoluto, mi sembra non solo puerile, ma improvvido e cieco. Ed ora, come al solito, non pubblicate il mio post e che i nostalgici di un passato che non ritornerà mai più, dormano i loro sonni tranquilli cullati dai vecchi inni di cui molti si sono dolcemente ubriacati in questo oltre mezzo secolo di tregenda.
Constato che a molti dà proprio fastidio anche solo l'esistenza di un piccolo gruppo che si ispiri al marxismo, chiedendo con insistenza, a dir poco sospetta, l'abiura completa e definitiva, nonché l'adesione alle schiere di partiti e/o movimenti che accettano lo stato esistente delle cose, perché, come ricordano in ogni momento, non ci sono alternative e siamo alla fine della storia.
Il bello è che, a sentir loro, lo dicono per generosità, quasi sorprendendosi quando i loro (sicuramente) disinteressati consigli non vengono accolti. Ma scusa, anonimo, esiste o no la libertà di pensarla in modo diverso dalla stragrande maggioranza?
Ah... dimenticavo: un certo Copernico sosteneva idee piuttosto vecchie, addirittura di duemila anni prima. Idee superate dalla storia, sicuro.
Ho sbagliato il link alle idee piuttosto vecchie.
(Gli è che certi commenti mi fanno innervosire...)
Non c'entra un fico secco il marxismo o il non marxismo.
Volete fare un movimento CHE LA GENTE VOTERÀ?
E allora il vocabolario marxista NON LO DOVETE USARE.
Sveglia!
Cribbio, sto diventando vecchio! Non mi capitava da tempo di sbagliare due volte di seguito un link! Cmq è questo: Aristarco di Samo.
Sarà per questo che nell`incontro del 12-13 c'è un tavolo di lavoro sul linguaggio?
Mah chi lo sa.........
Ad un certo punto occorre decidersi sul significato dei fatti e delle parole.
La "sinistra" è stata pro Europa in tutti questi anni di marasma. Basta ricordare le votazioni in favore del governo Monti nei parlamenti di "nominati" nonché tutte le leggi e i provvedimenti antiproletari, la torchiatura del sistema pensionistico, la scarnificazione del welfare sanitario, la ferocia fiscale, l'abolizione dell'art. 18 e tutto il resto. Eppure era gente che di formule marxiste si era riempita la bocca, Da tutto questo bailamme (altro che destra!) si evince che qualcosa è cambiato. Sarà la fine del sistema di cose ma niente può essere come prima.
La politica dei giochi di prestigio e delle falsità sistematiche ha "smonato" a sufficienza.
Chi crede più alla sinistra e a quelli che se ne riempiono la bocca, ormai?
E Copernico lasciamolo stare insieme ad Aristarco di Samo, che quelli erano persone serie che credevano negli "Dei immortali" , non a Mammona travestito da Comunista.
Qualsiasi parola, che venga scelta e usata per definire la propria posizione, dopo un po' viene "adulterata" dalla potenza dei "megafoni più potenti" del mainstream. Davanti a questo dato di fatto che fare? Ci sono due opzioni:
1) cambiare continuamente le parole
2) piantare i piedi per terra e difendere a oltranza il proprio linguaggio
Basta pensare alla parola "sovranismo", che ormai viene associata a Salvini. La parola sinistra evoca, nella testa della gran massa degli elettori, è vero, il ricordo delle immonde porcherie di personaggi come Amato, D'Alema, Prodi e compagnia di giro, ma credere di ottenere risultati rinunciando al proprio linguaggio è una prospettiva di cortissimo respiro. Non siamo noi che dobbiamo cambiare le parole, ma gli elettori che devono impararne il vero significato. Se saranno disposti a farlo, e "nella misura in cui", potranno salvarsi il deretano, altrimenti si fottano.
Adeguarsi al linguaggio del nemico di classe, scimmiottarne i comportamenti, rinunciare al rigore di una narrazione veritiera, significa non solo perdere, la qual cosa è nel novero del possibile, ma anche farlo con disonore. La vera vittoria consiste nell'imporre il proprio linguaggio.
Noi dobbiamo fare il possibile, ma l'esito non dipende da noi. Fatto il nostro dovere moriremo. Che altro c'è nella vita?
HA RAGIONE FRAIOLI
non se ne può più di queste chiacchiere-melassa sulla fine della dicotomia destra-sinistra, di lettori che rilanciano i discorsi simbolici (e financo la semantica) del mainstream sistemico e che si spacciano addirittura per brillanti antagonisti.
Il refrain sinistra=destra è un discorso di destra. Lo è non solo da oggi ma sin dagli inizi del '900.
Per essere ancora più precisi, non è solo di destra, era una narrazione che distinse il fascismo.
Tant'è vero che l'anonimo sopra, scrive che Marx era "Mammona travestito da Comunista".
I fascisti possono andare a disseminare le loro sciocchezze in luoghi più consoni.
Non c'entra niente.
Sinistra e destra esistono ma lo scopo di un partito non è solamente portare avanti un progetto ma far sì che la gente si faccia coinvolgere.
Volete i voti o volete poter die di avere ragione e che gli altri non capiscono niente?
Credo di no e allora se volete il consenso dovete usare un altro linguaggio.
Poi fate come vi pare, ci penseranno i risultati ad aprirvi gli occhi.
Intervengo in questa discussione solo per un motivo “relazionale”,mi spiego meglio:
Per me è assurdo che persone che vogliono fondamentalmente la stessa cosa si pongano nei rapporti con l'altro in maniera così ostile come ,secondo me,avete appena dimostrato.
Penso che il riproporre la democrazia e tutto ciò che comporta in termini di paideia sociale non debba essere solamente una direttiva strategica da esplicare in un programma ma anche e soprattutto un esempio da proporre tramite un qualcosa che io definisco (forse impropriamente) estetica.
A me in fondo sembra che nonostante le sacrosante critiche rivolte ai modelli comportamentali che lo spettacolo impone,noi stessi continuiamo ad esserne vittime fino al punto che per ricordarci il nostro compito dobbiamo ritornare ad affermare banalità tremende come quella che ho scritto qui sopra.
Entrando nel merito anche qui mi sembra una discussione miope nel senso che a me sembrano chiare 2 cose:
1- che le categorie usate dal marxismo in quanto studio delle contraddizioni strutturali del capitalismo permangano per la banale ragione che esisteranno sempre in questo modo di produzione che si fonda su queste contraddizioni.
Detto questo è chiaro che il concetto di sinistra e destra rimanga poiché esprime differenti interessi e differenti visioni del mondo e che il problema riguardo questo concetto non sia altro che di natura linguistica.
Ma la natura linguistica non significa altro che una discussione sulle forme.
E le forme 2-cambiano a seconda dei rapporti di forza che producono un contesto storico.
Esiste quindi una crisi del concetto destra sinistra? Secondo me no.
Esiste un problema linguistico di oggettivazione dei concetti? Secondo me si poiché le forme usate un tempo hanno perso significato conseguentemente allo svuotamento del linguaggio che è uno dei figli dello spettacolo.
In questo,se rapportato al nostro contesto,sono in disaccordo con Fraioli poiché l'affermazione sociale di un linguaggio dipende da 2 fattori:
1-dai rapporti di forza
2-dal decorso storico che questi rapporti di forza producono.
Se uniamo a questo il fatto che il tempo stringe credo che dobbiamo saggiamente ragionare di conseguenza e formare un nuovo linguaggio che esprima concetti che,dobbiamo tenere a mente,devono essere rivolti alle “forze vive” del cambiamento che per una questione squisitamente cronologica A)non hanno mai vissuto coscientemente l'imposizione di un rapporto di forza di tale intensità e B)non possono riconoscere e RICONOSCERSI,per mancata istruzione e per la sistemica mistificazione trentennale,nelle forme linguistiche che esprimevano questi concetti 40 anni fa.
Ps:é chiaro che queste considerazioni personali non sono rivolte a chi concepisce Marx come Mammona,in tal caso mi unisco volentieri (e a ragion veduta) al consiglio rivolto dalla redazione ,ma mi pace pensare che quella frase sia il frutto di quella impulsività egocentrica che internet sa così bene tirarci fuori e dalla quale tutti,me in primis,dobbiamo prendere le distanze.
@Karl Melvin
Ovviamente sono completamente d'accordo sul fatto che il linguaggio non deve diventare un totem di pietra, però mi sembra che molti di quelli che chiedono di cambiare stiano, in realtà, chiedendo la resa senza condizioni di una visione del mondo. La prova di ciò è che non vengono criticate singole espressioni, a ragione o a torto ritenute obsolete o da aggiornare, ma un intero bagaglio di termini, con tutto il loro carico di significati storici e di memoria collettiva. Aggiungo che i termini di sapore marxista, che tanto infastidiscono alcuni, fanno parte e sono accettati nel dibattito storico e politico "alto", mentre si pretende di sostituirli nella propaganda. Ciò avrebbe la devastante conseguenza di creare una cesura insormontabile tra il dibattito culturale "alto" e la divulgazione. Le conseguenze sarebbero devastanti. Ma forse è proprio questo che desiderano certuni.
Ti rispondo nel merito e ti risparmio il mio biasimo verso i gattopardi.
Tu fai riferimento ad un concetto interessante e ad una preoccupazione condivisibile:
Il concetto è quello di memoria collettiva e la preoccupazione è quella della cesura tra dibattito culturale “alto” e divulgazione.
Ecco io credo che la memoria collettiva all'attuale stato delle cose non esista praticamente più,essendo l'identità collettiva totalmente distrutta e ridicolizzata, di conseguenza temo che purtroppo la cesura sia già ampiamente avvenuta.
Sta a noi ricostruirla ma per farlo dobbiamo immergerci in un mondo che non solo non concepisce socialmente un identità collettiva,se non in maniera episodica retorica o “legale”,ma che rifiuta come negativi e inesistenti nel reale quei termini che un tempo facevano parte della stessa.
Concependo il linguaggio in ambito politico come il prodotto di un rapporto di forza la vedo un po' come una voce sul conto da pagare per la caduta del muro di Berlino.
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