[ 26 dicembre ]
Riceviamo da un nostro lettore, Martin Sebastiano, questo intervento sulla guerra in corso in Medio oriente, ed in particolare sulle dinamiche interne al mondo curdo e sul ruolo della Turchia di Erdogan. Sulle stesse questioni consigliamo anche la lettura dell' articolo da noi pubblicato il 5 dicembre scorso.
Nella duplice bipolarità – mitologica “procurda” e complottista pura – che sembra caratterizzare la gran parte delle analisi occidentali sui fatti del Vicino Oriente il presidente turco Erdogan è ormai divenuto il nemico pubblico, subito dopo il Califfato nero di Raqqa, di cui sarebbe un fiancheggiatore strategico. In realtà, la questione è molto più complessa di quanto il mainstream consolidato vorrebbe far passare.
Il lettore ci segua in questo quadro di pensiero in movimento che tentiamo di fornire. Dalla nostra posizione, il complottismo, come il parteggiare con tutto il cuore appassionato per il Kurdistan, per la Russia, per l'Islam e così di seguito, tutto questo è inessenziale, se non si comprende la sostanza dinamica delle forze.
Immaginiamo dunque una Quadratura come movimento del mondo; quadratura ovvero l'insieme dinamico dei Quattro. Terra, Cielo, mortale, immortale. Non sempre, anzi raramente domina l'equilibrio. L'equilibrio si ha nel momento di intervallo tra le forze. Per quanto paia assurdo, la guerra è questo; infatti evangelicamente, chi non ha la guerra dentro di sé deve sperimentarla fuori di sé.
L'equilibrio della Quadratura è lo squadrare – die Verung; lo squadrare non è una sintesi addizionale, astratta, statica e metafisica. E' invece un gioco fluente di specchi, danza circolare di puri essenti che non rispondono a logiche predeterminate ma che vorrebbero guerreggiare, mondeggiare per fare dello specchio un'essenza semplice nell'Essere. Ma non vi riescono quasi mai: troppo grande è la loro paura di smarrirsi.
Occorre dunque rilasciare le cose all'ignoto, all'incompreso, senza giudicare troppo. Osservare. Le potenze, le forze finanziarie sono gli specchi. Il soldato puro è il solo mortale. Il soldato ha superato il sé. Ha vinto la paura di perdersi. Solo i mortali possono morire, dice Holderlin. E il soldato è colui che può morire. Gli altri periscono non muoiono. Le potenze spariranno. Il gioco degli specchi le risucchierà nel fondo abissale. Il soldato no, poiché la morte, quale fortezza del nulla, custodisce in sé l'essenziale dell'originario, come insegna la Gita.
Dunque la Squadratura: non è il complotto; quest'ultimo, quand'anche esista, ammesso e non concesso, è un riflesso del mero specchiarsi. Non è nemmeno la strategia politico-economica; questa è lo specchio specchiato nel suo divenire ondeggiante. E' l'essere del soldato come puro spirito mondo: la Squadratura. E' il mondo nella sua nudità. Lo scacco del soldato alla metafisica è non puntare alla vittoria: agire invece verso la mortalità del mortale, che è l'immortalità. Egli è l'unico che gioca marciando verso la frantumazione del gioco di specchi. E' da tener presente tutto ciò. Non è un esempio letterario, ma una realtà. Lo spirito del soldato, non il semplice soldato, è il fuoco eracliteo.
Fatta tale necessaria premessa, tornando alla presunta complicità tra Erdogan e Califfato, nel numero della rivista dell’IS Dabiq uscito dopo la decisione della Turchia di entrare in azione a fianco della Coalizione internazionale “anti-IS” a guida occidentale, vi si poteva leggere una chiara condanna di apostasia contro il governo turco e in un video si invitavano i fedeli a «conquistare Istanbul», seppur in modo non violento, senza spargimento di sangue. Allo stesso tempo, il regime turco poneva l’Is alla medesima stregua del Pkk curdo e del Dhkp-c, movimenti considerati terroristi non solo dal regime ma da gran parte della popolazione turca, compresi i milioni di curdi cittadini turchi sostenitori dell’AKP.
Riguardo la questione curda, occorre innanzitutto sgombrare il campo da interessati equivoci. Come da più di un anno avvertono lucidamente riviste turche è scorretto e disonesto parlare di una guerra tra curdi ed Isis. All'interno di Is militano infatti centinaia e centinaia di combattenti curdi che combattono per l'espansione del Califfato anche, molto spesso, contro altri curdi. In realtà la guerra in corso riguarderebbe talune specifiche milizie curde e l’Isis. Quali milizie curde? Quelle che secondo il megafono propagandistico di Ankara sarebbero tradizionalmente sostenute da Israele, Usa e più di recente dalla Russia con il chiaro fine di assolutamente debellare dalla zona mediorientale la mala pianta dell’Islam nero di Abu Bakr Al Baghdadi.
Ciò è percepito da Ankara come un vero e proprio shock, non perché Erdogan simpatizzi occultamente per il Califfato, come vorrebbe farci credere certa stampa occidentale o russa, ma perché significherebbe la legittimazione politica di un Kurdistan in potenza e dunque la certa destabilizzazione della Turchia.[1]
Ma quanto vi è di propaganda antisionista mascherata da curdofobia e quanto di vero in ciò che Ankara denuncia? Vediamolo. Il doppio shock di Erdogan è rappresentato in primo luogo dalla temporanea “riconquista” da parte della popolazione curda della Rojava di Kobane, ad opera del movimento delle Yekîneyên Parastina Gel (Ypg) – Unità di protezione popolare –; movimento affiliato, come sappiamo, al PKK, impegnato contro l’Is e supportato nell’intero periodo del duro assedio da continui raid americani contro i militanti dello Stato islamico. In seconda battuta, dalla successiva avanzata del movimento delle YPG, di nuovo costantemente supportato dai raid della coalizione occidentale-araba anti-Is, sino al controllo delle città di confine di Tall Abyad, con la conseguente unificazione dei due cantoni del Rojava di Cezire e Kobani.
In questo contesto è avvenuta la decisione di Erdogan di riaprire l’ostilità con i “terroristi” curdi. E’ questa la linea rossa su cui Ankara non può essere morbida o non può transigere, non per affinità ideologica con il Califfato, come vuole far credere la propaganda occidentale e russa, ma evidentemente per la sopravvivenza stessa della Turchia. Nonostante le pressioni e le velate minacce di Erdogan, tanto gli americani quanto i russi hanno continuato negli ultimi mesi a sostenere logisticamente e militarmente una vasta componente curdo siriana di cui le Ypg costituiscono la punta di lancia.
Anche all’Iran, come è nella logica delle cose, non è parso vero poter mettere le mani sul movimento curdo siriano. Recentemente, vari organi di informazione [2] hanno messo in luce un coordinamento strategico tra le Ypg, l’Unione patriottica del Kurdistan di Talabani e il generale iraniano Qasem Soleimani. Quest’ultimo e Talabani del resto sono in contatto dai primissimi anni ’80, dai tempi cioè della guerra Iran Iraq. Durante l’invasione americana dell’Iraq (2003), nel Kurdistan iracheno controllato dall’Upk di Talabani operava la brigata Badr, ala militare di circa 15 mila combattenti, controllata dall’esponente sciita iracheno ayatollah Muhammad Baqr al Hakim (nato nel 1939 a Najaf), del Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq (noto con l’acronimo inglese Sciri).
«Gli Stati Uniti si sono largamente basati sul contributo militare dei peshmerga. Un funzionario curdo rimarca con orgoglio: “Noi siamo il secondo gruppo della coalizione per numero di combattenti”. Pdk-Iraq e Upk avrebbero fornito complessivamente circa 80 mila peshmerga a supporto delle 3-4 mila forze speciali…statunitensi, di cui circa 2 mila assegnate al controllo di Kirkuk, dei pozzi petroliferi e della base aerea militare». [3]
Pdk e Upk svolgevano e svolgono un ruolo di mediazione intrairachena per l’Iran; ruolo certamente antitetico a quello del Pjak di Abdul Rahman Armadi, la cui guerra anti-persiana è costata a Tehran la vita di importanti generali. E l'Iran dovrebbe dunque essere più cauta nel maneggiare così, con tale leggerezza, la “bomba curda”. Come ormai noto, l’ayatollah sciita iracheno al Hakim era allora l’elemento “moderato”, di mediazione, tra l’imperialismo americano ed il neo-colonialismo safavide persiano, finalizzato alla spartizione dell’Iraq che fu baathista e sovrano.
Non a caso, quando Muqtada al Sadr, con il suo Esercito del Mahdi, dava avvio a una potenzialmente esplosiva guerriglia interna antiamericana, Tehran, mediante al Hakim, seppe richiamarlo all'ordine. Non deve così meravigliarci il fatto che oggi troviamo nel vertice militare Is l’intero reparto baathista saddamista. In questo gioco di potenze – la Danza degli Specchi, appunto, che non quadra se il soldato frantuma la mediazione astrattamente equidistante - i curdi iracheni giocarono il loro ruolo nel quadro della coalizione tattica americano-iraniana. Ma gli specchi si son frantumati, poiché l'elemento sunnita baathista dell'Iraq ha preferito la guerra senza speranza al dominio colonialista sciita iraniano, sostenuto da Occidente e Russia. Ciò ha significato, del resto, la totale dissoluzione dell'astorico accordo Sykes Picot, che —grazie alla rinascita di forza del neobaathismo saddamista il quale non si può affatto appiattire strategicamente sulle posizioni del Califfato o di altri movimenti islamisti— [4] è finalmente scomparso come neve al sole.
Allo stesso modo, pare si stia comportando oggi nel Rojava la componente curdo-siriana. Probabilmente, sviluppandosi così gli eventi, tastato il gran timore dei vertici politici e militari di Ankara, la posta in gioco promessa dalle grandi e medie potenze all’Ypg sul piano della guerra globale ad Is, ed indirettamente alla Turchia, potrebbe proprio essere la benedizione della comunità internazionale di un Grande Kurdistan, che frantumerebbe la Turchia.
Poniamo tutta questa diveniente danza di specchi riflessi in senso logico e dubitativo, senza dare nulla per scontato. Ma ci sembra quanto di più meno lontano dagli eventi possa esservi.
Passando ad Israele, questo ha nel Kurdistan iracheno un punto fisso di convergenza strategica. Qui l’entità sionista ha modo di rifornire non solo il Pkk ma anche il Pyd curdo-siriano. Il leader del Pyd, Saleh Muslim, di recente dal Kurdistan iracheno ha appoggiato i raid russi in Siria e nel Kurdistan iracheno è solito incontrare ministri esteri delle varie nazioni. E’ comunque da anni che la stampa di Ankara vicina ad Erdogan accusa Israele di sostenere in ogni modo il Pkk; almeno dai giorni dell’attacco israeliano alla nave Mavi Marmara, conosciuta come Freedom Flottila per Gaza (maggio 2010).
Probabilmente Erdogan rimane, dopo la morte del presidente Saddam Hussein, lo statista più sensibile alla causa palestinese. Ben più, probabilmente, del Califfo di Raqqa che non pone affatto come strategica la lotta per la libertà del popolo di Palestina. Spessissimo i vertici, sia interni che esteri, di Hamas si riuniscono ad Ankara e vengono ricevuti in pompa magna da Erdogan. L’ultimo incontro è avvenuto appena cinque giorni fa;[5] i primi a complimentarsi con il recente successo elettorale del presidente Erdogan son stati proprio i vertici di Hamas: ciò non può certamente far felici gli israeliani. Lo stesso Abu Shakra ha più volte visto in Erdogan l’unico riferimento della lotta di liberazione palestinese. [6]
L’Hdp, il partito filocurdo di Selahattin Demirtas, già sostenuto dalle varie fondazioni Soros, [7] ha di recente messo in programma un viaggio a Mosca, per sostenere Putin nella sua crociata. [8] Del resto, per quanto la scena mediorientale rimanga centrale, questa finisce per estendere i suoi pericolosi tentacoli anche in Ucraina. Da settembre ad oggi, almeno 14 volontari “separatisti” del Donbass sono caduti nella lotta contro l’Is; son stati schierati da Mosca, che non vuol rischiare truppe russe sul terreno, a fianco delle YPG; mentre in vari casi, neofascisti ucraini si son detti disposti anche a marciare a fianco di Ankara pur di combattere l’“imperialismo russo”. Ad esempio, lo scorso 5 dicembre Biletsky, leader di Azov ha dichiarato normale che “la Turchia cerchi sostegno e contatti con i patrioti ucraini e quelli della Cecenia” e che “Azov è pronto a svolgere la funzione organizzativa in Siria di unità combattente contro russi e iraniani”.
Il quadro è dunque molto complesso e quantomeno ingarbugliato: risolvere illusoriamente il tutto con la visione “mitologica” dei curdi guerrieri senza macchia può mettere a posto la fangosa coscienza di un Occidente patologico e nichilista, ma sicuramente ci allontana ancora di più dalla analisi fredda e rigorosa e da quella verace comprensione, che ci son richieste.
Occorre dunque fare attenzione. La Danza circolare è talvolta trascesa dal Gioco. La squadratura allora irrompe. L'unità dei Quattro è imposta con altri metodi rispetto a quelli, inessenziali ed entici, a cui ci si è ormai assuefatti. L'oscuro trasmuta nel Chiaro.
Note
1 D. Santoro, Per Erdogan, malgrado tutto, l’Is resta il male minore in LIMES, 11/2015 La strategia della paura.
2 http://mebriefing.com/?p=1825
3 M. Galletti, Storia dei curdi, Roma 2004, pag. 279.
4 http://archiviostorico.corriere.it/2015/novembre/20/radici_dell_odio_nel_dopo_co_0_20151120_ac706eb2-8f50-11e5-81bb-1a209d1f41b1.shtml
5 http://www.vosizneias.com/224361/2015/12/20/istanbul-turkeys-erdogan-meets-hamas-leader-meshaal-in-istanbul/;
http://www.dailystar.com.lb/News/Middle-East/2015/Dec-19/328194-turkeys-erdogan-meets-hamas-leader-meshaal-in-istanbul.ashx.
6 http://www.lastampa.it/2015/12/23/esteri/noi-arabiisraeliani-in-prima-linea-per-i-luoghi-sacri-di-gerusalemme-SdHtchrnmYdXaOFc3U19GI/pagina.html
7 http://www.noreporter.org/index.php?option=com_content&view=article&id=23445:le-narcomilizie-di-soros&catid=6:conflitti&Itemid=16
8 http://www.todayszaman.com/diplomacy_hdps-demirtas-to-meet-russian-fm-lavrov-in-moscow_407485.html
* Fonte: Campo Antimperialista
4 commenti:
Heidegger no, vi prego...
Caro signor Gengiss,
riguardo l'ermeneutica holderliniana, il debito heideggeriano è palese.
I mortali muoiono...Sterbliche sterben....
Per il resto, perchè no Heidegger?
Mi sorprende tanta durezza verso uno dei più grandi filosofi che abbiamo la fortuna di poter meditare, bandito con furor inquisitoriale dalle università.
La sua è forse un'evocazione di una chiamata alla censura metafisica?
Ritengo di no. Ma se così fosse....
Allora potremmo estendere il divieto metafisico a Aristotele in quanto schiavista; ad Hegel in quanto cultore della forma Stato prussiana; allo stesso Marx in quanto padre del totalitarismo sovietico.
E a Fichte? Al teorico dello Stato commerciale chiuso cosa faremmo allora?
Cosa rimarrebbe delle vette solitarie ineguagliate del Pensare?
La sua se tale fosse - mi permetta: è solo uno scavare nel pensiero recondito ma ormai consolidato - è una attestazione di posizione. Ossia della posizione ultranichilistica dell'Occidente, soggiogata dall'impianto (Gestell) e dalla continua cospirazione della macchinazione (Machenschaft). Un Nichilismo che fa impallidire i più reazionari fanatismi religiosi.
La necessità della cospirazione: nulla conta lo spirito mondo, l'uomo è un fattore di disturbo cibernetico; tutto è metafisica e dunque nulla de-essenzializzato depotenziato. Un intralcio all'Essere.
Non sorprende che la letteratura filosofica-politica comune, di fronte all'ardire che tali questioni evocano, sguazzi nel complottismo: il lascito secolarizzato di culture teo-ontologiche, di passate visioni del mondo, che sono visioni poichè non hanno il coraggio dello spirito mondo, la fondazione di un nuovo mondo.
Lasciamoci alle spalle le rap-presentazioni metafisiche soggettivistiche.
Arrischiamoci al nuovo Dio, che attende nel silenzio rituale.
L'Epoca lo chiede.
L'Occidente terra della sera ha ormai segnato il passo.
Complottismo, determinismo geopolitico, intrigo ideologico sempre in veste civilista falsamente umanitaria reazionaria e progressista: riduzione al semplice di ciò che è complesso.
L'Occidente non sa più Pensare e Poetare.
Ma no signor Martin, Heidegger va benissimo. E porta il suo steso nome!
Solo che lei appare un po' troppo compiaciuto e questo fa perdere di forza ai suoi argomenti.
Caro signor Marco,
risponde Lei per Gengiss?
Bene, comunque.
Non si tratta di compiacersi. Nemmeno di argomentare.
Occorre Pensare. Lo ho scritto prima. Mi rimanda altrimenti a un processo sentimentale, che è puro sonno dell'Essere.
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