2 aprile. «La sinistra dovrebbe lottare per recuperare la sovranità nazionale. Solo così sarà possibile contrastare questa Unione Europea contro i popoli e rifondare l'Europa democratica. La destra avanza in Europa denunciando che l'euro e la UE producono povertà e sottomissione alle misure autoritarie calate dall'alto della tecnocrazia di Bruxelles. Come si è visto nella Francia di Hollande, la progressione della destra è simmetrica rispetto al calo socialista e all'aumento dell'astensionismo di sinistra. Il problema è che il socialismo europeo è ormai profondamente compromesso con questa Europa liberista e della finanza. Ma anche la sinistra radicale europea, soprattutto quella italiana, soffre di una grave ritardo culturale e politico nei confronti dell'Europa reale.
La sinistra aristocratica italiana sottovaluta i guasti dell'Europa reale e dell'euro e sogna la democrazia dell'Europa federata e di uno stato federale; rischia così di rimanere elitaria, isolata e senza troppo popolo (e voti). Rischia di rimanere minoritaria se non minuscola, e che alle elezioni europee vincano le proposte della destra conservatrice o fascista; o che, nel migliore dei casi, stravinca il populismo né di destra né di sinistra di Grillo che ha una politica confusa e chiusa verso l'Europa, ma che è assai più pronto a intercettare gli umori popolari contro questo euro disastroso. L'Italia è allo stremo. Neppure la crisi del '29 è stata così violenta, le famiglie non sanno come arrivare alla fine del mese, la disoccupazione e la povertà dilagano, i giovani non trovano lavoro e non hanno prospettive, ma l'opposizione di sinistra, per usare un eufemismo, sembra latitare: chiede con grande moderazione “meno austerità” e “più democrazia in Europa”. Ma difficilmente queste parole d'ordine possono mobilitare la resistenza a questa Europa reale.
Il brutto trionfo elettorale di Marine Le Pen dovrebbe svegliarci. Il governo liberal-socialista di Hollande ha seguito le ricette liberiste dell'Unione Europea e della Merkel e incassa una giusta sconfitta politica ed elettorale forse irreversibile. Il compagno tedesco Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, dice che occorre invertire la rotta e fare finalmente le riforme per lo sviluppo. Ma non fa nessuna autocritica sulla folle austerità imposta dalla sua alleata di governo Angela Merkel, giustifica ed esalta l'euro di Maastricht, e tace sul fatto che con questi trattati e con il Fiscal Compact uscire dalla crisi è impossibile[1]. Alexis Tsipras lotta giustamente per opporsi all'austerità che rovina la Grecia e per superare i trattati vigenti; vuole ridiscutere i debiti e avviare delle riforme radicali della UE e dell'eurozona. Ma il dibattito sull'euro e sulla UE deve rimanere aperto, soprattutto nella sinistra italiana. Una vivace discussione sull'euro non può che fare bene in un contesto in cui troppo spesso una sinistra autoreferenziale discute soprattutto delle ultime affermazioni di Vendola o di Cuperlo, senza però affrontare apertamente e criticamente i problemi reali che interessano milioni di persone.
Questa Europa fa male, molto male. Ormai una forte minoranza dell'opinione pubblica che sta diventando maggioranza non sopporta più l'euro ed è sempre più critica verso questa UE che impone una crisi che non finisce più. L'elettorato si sta polarizzando e radicalizzando, e la rabbia contro questa Europa della disoccupazione e della povertà – altro che austerità! austerità è un delicato eufemismo! -, sta dilagando. Però se i ceti popolari votano massicciamente a destra, qualche colpa anche la sinistra ce l'avrà!
La nostra proposta è che per rifondare l'Europa occorre recuperare la sovranità nazionale sia in campo politico che in quello economico, senza cederla a questa UE neoliberista. Occorre prendere atto che questa Europa è antidemocratica e persegue politiche intrusive e ferocemente liberiste che prolungano e approfondiscono la crisi. Queste politiche, senza abolire Maastricht, sono irriformabili. Non è più possibile farsi illusioni. Dopo la caduta del muro e dopo la fine della minaccia sovietica, dopo la riunificazione della Germania e l'allargamento a est, l'Unione Europea ha subito una mutazione genetica rispetto alle speranze dei padri fondatori. L'attuale Unione Europea è un “non stato”, una istituzione intergovernativa che opprime i popoli, che è diretta dalla finanza ed è guidata da una sola nazione, la Germania, e che è solo debolmente legittimata da un Parlamento senza potere eletto nel 2009 dal 43% dei cittadini europei. L'Europa non ci protegge dalla crisi ma ci affossa. In questo contesto per uscire dalla crisi è necessario rivendicare la sovranità economica e monetaria degli stati – anche se sarà ovviamente parziale, perché la sovranità piena non è più possibile nella globalizzazione . A livello politico la sovranità popolare si esprime attualmente, nel bene e nel male, solo a livello nazionale dove esistono istituzioni elette dai cittadini. La sovranità nazionale e la democrazia non possono essere cedute gratis all'Unione Europea in cambio dell'austerità.
La sinistra non dovrebbe lasciare alla destra la rivendicazione della sovranità nazionale in nome di un astratto ideale europeista. Sovranità nazionale è un concetto ambiguo ma non può essere confuso con il bieco nazionalismo sciovinista e xenofobo di Le Pen o con l'isolazionismo britannico. Battersi per la sovranità nazionale deve invece significare semplicemente che esigiamo la democrazia e non vogliamo essere diretti da tecnocrazie opache asservite alla finanza e ai governi dei paesi dominanti. Oggi è necessario lottare perché i popoli possano decidere democraticamente le loro politiche economiche: ma questo è possibile solo a partire dagli stati nazionali. Solamente recuperando l'autonomia degli stati in campo economico e monetario e la sovranità nazionale in campo politico è possibile tentare di rifondare su basi aperte, democratiche e completamente nuove una Europa dei popoli. In questo senso occorre rivendicare una sovranità nazionale aperta alla cooperazione europea e alle battaglie democratiche contro la crisi all'interno della UE, per esempio per la ristrutturazione dei debiti alla Grecia.
Habermas e Streeck. Il dibattito sulla sovranità nazionale in Europa
In Francia Frederic Lordon[2] e Jacques Sapir sostengono la sovranità nazionale e l'uscita coordinata degli stati dall'euro con la creazione di una moneta comune, l'Eurobancor (di cui parleremo in seguito); mentre il filosofo marxista Etienne Balibar afferma invece che tornare alla sovranità nazionale sarebbe storicamente regressivo. Balibar mira piuttosto alla democratizzazione dell'Europa[3]:“L’unica soluzione è fare blocco assieme, costruire contro-poteri e non dissolversi in una frammentazione di stati”. In Germania si è aperto un dibattito vivace tra Jurgen Habermas e Wolfgang Streeck. Il filosofo Habermas vorrebbe che la Germania (proprio questa nazione…) si desse la missione di guidare in maniera lungimirante il processo di formazione costituzionale degli Stati Uniti d'Europa dal momento che questo processo nel lungo periodo sarebbe estremamente positivo per la stessa nazione tedesca[4]. Habermas mostra così la radice idealista e hegeliana del suo pensiero. Wolfgang Streeck, direttore del Max Planck Institute for the Study of Societies, indica invece che a causa della pressione del capitale finanziario crescono le divergenze tra i paesi europei e aumenta il pericolo per le democrazie; per lui è improponibile affidare proprio alla Germania il compito di fondare l'Europa unita. Allo stato attuale, secondo Streeck, gli Stati Uniti d'Europa sono impossibili perché non esiste un demos europeo e perché l'Unione Europea, espressione del dominio della finanza, prevarica i popoli e la democrazia. Meglio quindi ritornare alla sovranità nazionale in modo che le nazioni possano anche riprendersi il diritto di svalutare o rivalutare le loro monete[5].
In Europa si incendia il dibattito sul futuro della UE e dell'euro: in Italia curiosamente sembra che la sinistra non sia ancora culturalmente pronta ad affrontare apertamente questi temi, che peraltro sono discussi animatamente anche in Grecia all'interno della stessa Syriza. Nella sinistra italiana, una volta scartata l'ipotesi di uscire unilateralmente dall'euro, considerata come catastrofica, prevale l'allineamento alle tesi pro-euro e pro-UE, e spesso le opinioni eterodosse vengono accantonate e censurate, come vedremo, ed escluse a priori dal dibattito pubblico. Le mie critiche alla sinistra, anche ai pezzi nobili e pensanti della sinistra, come il Manifesto e Sbilanciamoci, tendono a riaprire un dibattito che è ineludibile perché la sinistra possa ancora contare qualcosa in Italia.
La bestemmia monetaria dell'euro
L'euro, la moneta unica prevista per tutti i 28 stati dell'Unione Europea e utilizzata da 12 paesi [qui l'autore commette un banale errore, com'è noto dei 28 paesi che compongono l'Unione europea, sono 18 quelli la cui moneta è l'euro, Ndr], sul piano economico è una solenne bestemmia: infatti significa che 12 paesi molto differenti, dalla Spagna alla Germania, dall'Italia all'Olanda, dal Portogallo alla Lettonia, sono soggetti allo stesso tasso di interesse, devono avere la stessa base monetaria e subiscono lo stesso tasso di cambio verso i paesi extraeuropei. Ma è chiaro come il sole che le esigenze sono diverse nei diversi paesi: un paese che corre troppo, in cui l'inflazione è elevata, ha bisogno di alti tassi di interesse; invece un altro paese (come l'Italia) che è fermo necessita di tassi bassi per stimolare gli investimenti. Un paese come la Germania può riuscire ad esportare con l'euro a 1,40 sul dollaro; altri paesi invece con lo stesso tasso di cambio non riescono più ad esportare e a compensare l'import, e sono quindi costretti ad accendere debiti. Le esigenze sono molto differenti.
La moneta unica presuppone paesi con tassi di inflazione, livelli di competitività, debiti pubblici e bilance dei pagamenti sostanzialmente in equilibrio o tendenzialmente in equilibrio. Altrimenti la moneta unica, che non permette svalutazioni e rivalutazioni della moneta, cioè flessibilità monetaria, agisce in senso esattamente contrario: disequilibra le economie dei paesi. Amplifica le divergenze. Quelli più competitivi e in surplus commerciale guadagnano ed erogano crediti; quelli in deficit accendono debiti e perdono competitività. Se i paesi meno competitivi non possono svalutare – che non significa fare qualcosa di immorale ma significa solo riprezzare i prodotti nazionali verso i compratori esteri – le divergenze si approfondiscono e generano un perverso circolo vizioso. La moneta unica applicata in diversi contesti economici aumenta i differenziali delle economie reali. La Germania diventa sempre più competitiva; gli altri paesi invece perdono industria. La Germania impone una politica deflattiva per ridurre i deficit altrui e per garantirsi che le siano restituiti i debiti. Ma la politica deflattiva comprime l'economia , provoca la crisi fiscale dello stato, la disoccupazione, la precarizzazione del lavoro, la riduzione dei redditi, della domanda e degli investimenti. Diventa così sempre più difficile restituire i debiti. Non a caso i debiti pubblici dei paesi mediterranei continuano ad aumentare inesorabilmente nonostante l'austerità. In questa situazione l'euro sarà sempre in bilico. Questa è la realtà dell'euro. Questi processi connessi alla moneta unica in aree valutarie non ottimali, ovvero in paesi profondamente diversi, sono chiaramente spiegati nei libri di testo dell'economia monetaria; ma molti politici ed economisti di sinistra, vuoi per idealismo vuoi per incompetenza, vuoi per mancanza di spirito critico e per conformismo, non hanno voluto riconoscere la realtà.
La verità è che per molta parte della sinistra il sogno di un'Europa unita e federata, degli Stati Uniti d'Europa, ha sostituito il sogno fallito del comunismo. La sinistra ha perso la testa e si è innamorata perdutamente dell'idea di Europa, una Europa che però la tradisce spudoratamente con la finanza. Inoltre la questione della moneta unica è stata considerata – salvo eccezioni – “minore” dalla sinistra italiana. Il problema, afferma una certa sinistra europeista, non è l'euro: “le difficoltà sono ben più profonde, radicate nell'economia reale”. Certamente l'euro non è l'unica causa delle difficoltà europee e dei paesi del mediterraneo; ma sicuramente fa parte del problema e non della soluzione perché amplifica le difficoltà dell'economia reale, soprattutto quando scoppiano le crisi. Non è un caso che l'Europa sia oggi il malato del mondo. Le questioni monetarie non possono essere sottovalutate perché hanno un posto assolutamente centrale nell'economia. La moneta non è neutra, come invece afferma l'ideologia monetarista. Ha effetti immensi sul piano economico, politico e simbolico.
I tedeschi lo sanno e ci hanno spinto a sottoscrivere dei trattati, a partire da quello di Maastricht e del fiscal compact, che rispecchiano in pieno la loro filosofia deflattiva (e gli interessi delle loro banche e della loro industria). L'euro è nato a immagine e somiglianza del marco; la BCE ha uno statuto ancora più restrittivo della Bundesbank, e il fiscal compact condanna tutti gli stati a non avere debito, ad annullare qualsiasi politica di rilancio della domanda di stampo keynesiano, ad avere bilanci asfittici e sempre in equilibrio, senza deficit. In questo modo è annullata alla radice qualsiasi possibilità di investimento per il futuro e qualsiasi possibilità di ripresa. Siamo in un vero e proprio cul de sac, e con il fiscal compact – la restituzione accelerata dei debiti pubblici e la compressione drastica della spesa pubblica - la situazione è destinata drammaticamente a peggiorare.
La UE non ci aiuta ma ci bastona. La Commissione UE nel suo ultimo rapporto ha dato la pagella all'Italia e ci ha bocciato. Per rilanciare la competitività la UE ha decretato che l'Italia deve abbassare ancora il costo del lavoro, parametrare i salari alla produttività aziendale e differenziare i salari in base alle aree territoriali (cioè realizzare le gabbie salariali). Il paradosso è che la sinistra, anche quella radicale e soi disant comunista-marxista, sembra sottovalutare questi espliciti e dettagliati diktat neocoloniali. Non sorprendiamoci poi se Grillo fa le battaglie “populiste” contro l'Europa e conquista nove milioni di voti! Per fortuna, dico io, che in Italia c'è Grillo e non Le Pen!
A sinistra molti suggeriscono che occorre completare l'euro, la “moneta unica incompiuta”, grazie a una maggiore integrazione europea a livello di politica fiscale e di bilancio, e grazie a una maggiore centralizzazione sulle decisioni economiche, magari accompagnata da una maggiore democrazia delle istituzioni europee. Ma non si può innalzare un grattacielo su fondamenta di sabbia e argilla. Altrimenti si producono mostri come l'Unione Bancaria su cui recentemente l'autorevole Wolfgang Munchau sul Financial Times ha scritto un articolo titolato “L'Europa dovrebbe dire no ad una unione completamente sbagliata”[6]. Prima bisogna abbattere le cattive fondamenta e poi ricostruire l'edificio su solide basi. Del resto la centralizzazione europea sulle politiche economiche è già in atto, ed è fortemente negativa per l'economia e la democrazia. Grazie al Six Packs la Commissione UE dà già la sua approvazione preventiva – o il suo rifiuto – ai bilanci pubblici dei paesi europei, anche prima dei Parlamenti nazionali. I governi e i Parlamenti sono già sorpassati ed esautorati. Anche il governo Renzi, dopo avere alzato la voce, e dopo che forse avrà ottenuto qualche concessione marginale, dovrà abdicare al vincolante potere europeo.
Il governo Renzi e i trattati da ripudiare
Il governo Renzi cerca di trattare all'italiana con la UE: dice che rispetterà i vincoli dell'austerità ma vuole fare anche manovre espansive e di crescita. Vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Il problema è che gli italiani firmano i trattati internazionali pensando a come evaderli; ma i tedeschi pretendono invece (legittimamente) che i trattati sottoscritti vengano rispettati integralmente e senza eccezioni, fino all'ultimo comma. Sapendo che esistono i furbi, i tedeschi hanno imposto delle sanzioni automatiche per chi infrange i trattati europei: le sanzioni scattano in caso di non rispetto degli accordi e possono essere sospese solo con un voto a maggioranza qualificata (molto improbabile) di due terzi dei paesi europei. Gli aiuti ai paesi in crisi verranno poi concessi solo alle draconiane condizioni della Troika (UE, BCE, FMI), che sono più pesanti di quelli del FMI e del Washington Consensus.
Quando Renzi ha presentato all'Unione la sua politica economica con velleità semi-espansive, Josè Manuel Barroso, il presidente della Commissione UE, gli ha risposto che “i trattati vanno rispettati integralmente”. E soprattutto gli ha ricordato che “i trattati possono essere modificati solo con l'unanimità di tutti i paesi della UE”. Cioè è impossibile riformarli! In pratica è possibile solo ripudiarli!
I tedeschi hanno accettato una sola importante (contro)riforma proposta da Renzi: quella del lavoro precario, che deregolamenta completamente il mercato e rende il lavoro una merce indifesa e senza valore, una merce che costa poco e si butta quando si vuole. La riforma di Renzi è simile a quella del socialista Peter Hartz promossa in Germania dieci anni fa dal governo rosso-verde di Gerhard Schröder che ha generato milioni di posti di lavoro sottopagati. Così anche in Italia, grazie alla UE, ci saranno i mini job alla tedesca a 400 euro al mese. Del resto se non si può svalutare la moneta si svaluta il lavoro: questa è la legge ferrea della moneta unica. Ma insieme al lavoro si svaluta anche il capitale nazionale: così è più facile per le aziende estere conquistare le banche e le industrie di un paese in debito, magari privatizzate in nome dell'Europa. E così i paesi più deboli cadono nel sottosviluppo, nella subordinazione e nella povertà.
Patriottismo economico, Europa e globalizzazione
Ma la sinistra che si vorrebbe marxista o alternativa non si accorge del pericolo. Un esempio per tutti: in un mio articolo sul Manifesto a proposito dell'assalto di Telefonica a Telecom Italia principale azienda tecnologica nazionale, scrivevo tra l'altro che «Il patriottismo economico è necessario per contrastare la globalizzazione selvaggia”. Matteo Bartocci, autorevole editorialista del suddetto quotidiano mi ha allora pubblicamente redarguito. Riferendosi al mio articolo scriveva: “Tutto ciò è preoccupante …. Già nel definire «straniere», mani europee, si indirizza l’opinione pubblica verso una concezione competitiva della presenza dei singoli stati nell’Unione. Se poi ci si mette di mezzo anche il «patriottismo» i termini della questione si fanno ancora più sinistri. In tutta la discussione sul mercato delle aziende e sulla politica industriale la dimensione europea semplicemente scompare...”. Il marxista Bartocci non si accorge neppure che all'interno dell'Europa gli stati competono già ferocemente e che la svendita delle maggiori aziende nazionali, soprattutto nel campo delle tecnologie e del risparmio, condannerà l'Italia al sottosviluppo e alla dipendenza. Questa è la pericolosissima minaccia incombente! Gli speculatori vogliono i gioielli e le banche dei debitori. Altro che Telefonica … ci vorrebbero tanti nuovi Mattei! Forse bisognerebbe ricordare a Bartocci le pagine di Marx sul colonialismo inglese e quelle di Lenin sull'imperialismo e il sottosviluppo.
La sovranità nazionale è democrazia
Si dice che gli stati non contano più nulla perché la finanza ormai è globalizzata e quindi l'Europa e l'euro sono necessari per difendersi dalla globalizzazione. Ma la verità è un'altra. La UE e l'euro non ci hanno procurato né stabilità né sviluppo. L'euro non ci ha veramente difeso dalla speculazione internazionale, è un freno per lo sviluppo e la cura dell'austerità uccide il paziente. I paesi europei che non hanno adottato l'euro (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Polonia, ecc, ecc) e hanno una loro moneta nazionale stanno molto meglio di noi. In Italia in cinque anni di crisi abbiamo perso circa l'8,5% del PIL e il 30% degli investimenti. I redditi sono scesi al livello dei primi anni '90, quando l'euro ancora non c'era, e l'Italia ha il 13% di disoccupazione. Un terzo delle famiglie è a rischio povertà, aumenta la pressione fiscale, diminuisce la spesa pubblica e tuttavia cresce il debito pubblico, e l'Italia non può più neppure manovrare la sua moneta. Opera con una valuta sostanzialmente straniera che impone il fiscal compact. E' francamente difficile affermare che … fuori dall'euro saremmo stati peggio!
Sul piano politico la democrazia si esprime esclusivamente a livello nazionale. Nessuno della Troika (commissione UE, BCE, FMI) è stato eletto dai cittadini. Il Parlamento della UE non ha praticamente poteri e serve soprattutto a dare una patina di legittimità alle decisioni dei governi e della Commissione UE. Non può proporre disegni di legge. Anche se i socialisti prevarranno nel Parlamento europeo, i trattati intergovernativi avranno vita propria, almeno fin quando non verranno aboliti. Come pensa Schultz di rovesciare, come promette, le politiche UE? I parlamenti e i governi nazionali sono invece, nel bene e nel male, eletti democraticamente, e possono rigettare i trattati. A livello nazionale i popoli possono influenzare – seppure con molta fatica! - la politica economica e di bilancio (fisco e spese pubbliche) perché hanno l'arma potente del voto, delle mobilitazioni sociali e sindacali, della lotta e della partecipazione democratica. Tutto questo per ora non esiste a livello europeo – e prevedibilmente non esisterà ancora per parecchi anni – . I trattati intergovernativi non sono stati sottoscritti dai popoli ma possono essere ripudiati dai Parlamenti nazionali o rigettati via referendum. In Italia un referendum sull'euro attualmente non si può fare. Ma sarebbe giusto farlo. In Francia e in Olanda i popoli si sono già espressi contro una falsa Costituzione Europea per salvaguardare la loro sovranità. E la Svezia e la Danimarca con un referendum hanno deciso di non entrare nell'eurozona. Beati loro! La Polonia ha rimandato l'ingresso nell'eurozona. Una forma felice di nazionalismo! Solo recuperando la sovranità nazionale è possibile che i popoli possano difendersi dalle politiche neocoloniali della UE e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Senza sovranità nazionale non ci può essere neppure un'ombra di democrazia.
Uscire dall'euro e creare l'eurobancor, la moneta comune ispirata a Keynes
E' necessario difendere le economie nazionali dall'attacco predatorio che questa Unione Europea promuove per conto della finanza e dei paesi ricchi. Chi scrive suggerisce che la sinistra proponga un'uscita concordata dei paesi europei dall'euro (Germania compresa, se vuole). Non è solo la mia proposta. E' la proposta dell'uomo di sinistra che forse più di ogni altro in Europa si intende di finanza: Oskar Lafontaine, ex ministro tedesco delle finanze, ex presidente della SPD, fondatore della Linke tedesca. Secondo Lafontaine (che a differenza di Schulz ha fatto autocritica per le sue passate posizioni pro-euro) bisognerebbe abolire Maastricht, convenire il ritorno alla sovranità monetaria degli stati e concordare un regime di cambi fissi aggiustabili. Secondo Lafontaine bisognerebbe buttare la moneta unica per salvare l'Europa e impedire che la Germania divenga il bersaglio dei popoli europei che soffrono per l'euro. Ma la sinistra europea e italiana non vuole neppure ascoltare le sue tesi e discuterne. Quando ho proposto a Sbilanciamoci.info, uno dei migliori think tank della sinistra italiana sull'economia, un articolo che comprendeva la traduzione della proposta di Lafontaine, la redazione (o forse parte di essa) ha rifiutato la pubblicazione. La soluzione di Lafontaine è forse apparsa troppo radicale per potere essere pubblicata (la mia traduzione è poi apparsa su Micromega[7]).
Ma il progetto che suggerisco non è solo di tornare in maniera concordata alla sovranità nazionale e monetaria. E' possibile proporre una moneta comune europea[8]. Per combattere la speculazione internazionale, la UE e la BCE dovrebbero gestire, sulle orme di quanto proponeva John M. Keynes a Bretton Woods, una moneta comune europea, l'EuroBancor, di fronte al dollaro e allo yen[9]. Così si potrebbero coniugare efficacemente sovranità nazionale e cooperazione europea, stabilità e sviluppo.
Purtroppo però buona parte della sinistra ritiene che la sovranità nazionale sia da demonizzare perché sempre di destra. Eppure, senza reclamare il potere democratico delle nazioni, la sinistra rischia di apparire cedevole verso i poteri forti e di allontanarsi dal sentimento popolare nel nome di un nuovo “sol dell'avvenire”, il nobile ideale europeista».
* Fonte Micromega
NOTE
[1] Martin Schulz, la Repubblica, Quel doppio shock che risveglia l'unione, 21 marzo 2014
[2] Frédéric Lordon, Manifesto-Le Monde Diplomatique, Si può uscire dall’euro con una moneta comune, agosto 2013
[3] Etienne Balibar, Manifesto-Le Monde Diplomatique, Un nuovo slancio, ma per quale Europa? Marzo 2014
[4] Democracy, Solidarity and the European Crisis, Lecture delivered by Professor Jürgen Habermas, 26 April 2013, Leuven
[5] Streeck Wolfgang, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli 2013
[6] FT, 16 marzo 2014 “Europe should say no to a flawed banking union”
[7] Vedi Micromegaonline, Enrico Grazzini, Lafontaine e la trappola dell’euro, 21 maggio 2013
[8] Enrico Grazzini, Micromegaonline, Da moneta unica a valuta comune: una terza via per superare l’Euro, 27 dicembre 2013; Massimo Amato, Luca Fantacci, “Fine della finanza. Da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne”, Donzelli, 2012; Daniela Palma e Guido Iodice, Euro e monete nazionali, the best of both worlds, pubblicato da keynesblog il 26 agosto 2013; Alfonso Gianni, Micromegaonline, Tra perseverare nell’euro e uscirne, c’è una terza strada da percorrere, 3 settembre 2013, e Alternative per il socialismo N. 28
[9] John Maynard Keynes “Eutopia. Proposte per una moneta internazionale”, a cura di Luca Fantacci, et al./edizioni, 2011
La sinistra aristocratica italiana sottovaluta i guasti dell'Europa reale e dell'euro e sogna la democrazia dell'Europa federata e di uno stato federale; rischia così di rimanere elitaria, isolata e senza troppo popolo (e voti). Rischia di rimanere minoritaria se non minuscola, e che alle elezioni europee vincano le proposte della destra conservatrice o fascista; o che, nel migliore dei casi, stravinca il populismo né di destra né di sinistra di Grillo che ha una politica confusa e chiusa verso l'Europa, ma che è assai più pronto a intercettare gli umori popolari contro questo euro disastroso. L'Italia è allo stremo. Neppure la crisi del '29 è stata così violenta, le famiglie non sanno come arrivare alla fine del mese, la disoccupazione e la povertà dilagano, i giovani non trovano lavoro e non hanno prospettive, ma l'opposizione di sinistra, per usare un eufemismo, sembra latitare: chiede con grande moderazione “meno austerità” e “più democrazia in Europa”. Ma difficilmente queste parole d'ordine possono mobilitare la resistenza a questa Europa reale.
Il brutto trionfo elettorale di Marine Le Pen dovrebbe svegliarci. Il governo liberal-socialista di Hollande ha seguito le ricette liberiste dell'Unione Europea e della Merkel e incassa una giusta sconfitta politica ed elettorale forse irreversibile. Il compagno tedesco Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, dice che occorre invertire la rotta e fare finalmente le riforme per lo sviluppo. Ma non fa nessuna autocritica sulla folle austerità imposta dalla sua alleata di governo Angela Merkel, giustifica ed esalta l'euro di Maastricht, e tace sul fatto che con questi trattati e con il Fiscal Compact uscire dalla crisi è impossibile[1]. Alexis Tsipras lotta giustamente per opporsi all'austerità che rovina la Grecia e per superare i trattati vigenti; vuole ridiscutere i debiti e avviare delle riforme radicali della UE e dell'eurozona. Ma il dibattito sull'euro e sulla UE deve rimanere aperto, soprattutto nella sinistra italiana. Una vivace discussione sull'euro non può che fare bene in un contesto in cui troppo spesso una sinistra autoreferenziale discute soprattutto delle ultime affermazioni di Vendola o di Cuperlo, senza però affrontare apertamente e criticamente i problemi reali che interessano milioni di persone.
Questa Europa fa male, molto male. Ormai una forte minoranza dell'opinione pubblica che sta diventando maggioranza non sopporta più l'euro ed è sempre più critica verso questa UE che impone una crisi che non finisce più. L'elettorato si sta polarizzando e radicalizzando, e la rabbia contro questa Europa della disoccupazione e della povertà – altro che austerità! austerità è un delicato eufemismo! -, sta dilagando. Però se i ceti popolari votano massicciamente a destra, qualche colpa anche la sinistra ce l'avrà!
La nostra proposta è che per rifondare l'Europa occorre recuperare la sovranità nazionale sia in campo politico che in quello economico, senza cederla a questa UE neoliberista. Occorre prendere atto che questa Europa è antidemocratica e persegue politiche intrusive e ferocemente liberiste che prolungano e approfondiscono la crisi. Queste politiche, senza abolire Maastricht, sono irriformabili. Non è più possibile farsi illusioni. Dopo la caduta del muro e dopo la fine della minaccia sovietica, dopo la riunificazione della Germania e l'allargamento a est, l'Unione Europea ha subito una mutazione genetica rispetto alle speranze dei padri fondatori. L'attuale Unione Europea è un “non stato”, una istituzione intergovernativa che opprime i popoli, che è diretta dalla finanza ed è guidata da una sola nazione, la Germania, e che è solo debolmente legittimata da un Parlamento senza potere eletto nel 2009 dal 43% dei cittadini europei. L'Europa non ci protegge dalla crisi ma ci affossa. In questo contesto per uscire dalla crisi è necessario rivendicare la sovranità economica e monetaria degli stati – anche se sarà ovviamente parziale, perché la sovranità piena non è più possibile nella globalizzazione . A livello politico la sovranità popolare si esprime attualmente, nel bene e nel male, solo a livello nazionale dove esistono istituzioni elette dai cittadini. La sovranità nazionale e la democrazia non possono essere cedute gratis all'Unione Europea in cambio dell'austerità.
La sinistra non dovrebbe lasciare alla destra la rivendicazione della sovranità nazionale in nome di un astratto ideale europeista. Sovranità nazionale è un concetto ambiguo ma non può essere confuso con il bieco nazionalismo sciovinista e xenofobo di Le Pen o con l'isolazionismo britannico. Battersi per la sovranità nazionale deve invece significare semplicemente che esigiamo la democrazia e non vogliamo essere diretti da tecnocrazie opache asservite alla finanza e ai governi dei paesi dominanti. Oggi è necessario lottare perché i popoli possano decidere democraticamente le loro politiche economiche: ma questo è possibile solo a partire dagli stati nazionali. Solamente recuperando l'autonomia degli stati in campo economico e monetario e la sovranità nazionale in campo politico è possibile tentare di rifondare su basi aperte, democratiche e completamente nuove una Europa dei popoli. In questo senso occorre rivendicare una sovranità nazionale aperta alla cooperazione europea e alle battaglie democratiche contro la crisi all'interno della UE, per esempio per la ristrutturazione dei debiti alla Grecia.
Habermas e Streeck. Il dibattito sulla sovranità nazionale in Europa
In Francia Frederic Lordon[2] e Jacques Sapir sostengono la sovranità nazionale e l'uscita coordinata degli stati dall'euro con la creazione di una moneta comune, l'Eurobancor (di cui parleremo in seguito); mentre il filosofo marxista Etienne Balibar afferma invece che tornare alla sovranità nazionale sarebbe storicamente regressivo. Balibar mira piuttosto alla democratizzazione dell'Europa[3]:“L’unica soluzione è fare blocco assieme, costruire contro-poteri e non dissolversi in una frammentazione di stati”. In Germania si è aperto un dibattito vivace tra Jurgen Habermas e Wolfgang Streeck. Il filosofo Habermas vorrebbe che la Germania (proprio questa nazione…) si desse la missione di guidare in maniera lungimirante il processo di formazione costituzionale degli Stati Uniti d'Europa dal momento che questo processo nel lungo periodo sarebbe estremamente positivo per la stessa nazione tedesca[4]. Habermas mostra così la radice idealista e hegeliana del suo pensiero. Wolfgang Streeck, direttore del Max Planck Institute for the Study of Societies, indica invece che a causa della pressione del capitale finanziario crescono le divergenze tra i paesi europei e aumenta il pericolo per le democrazie; per lui è improponibile affidare proprio alla Germania il compito di fondare l'Europa unita. Allo stato attuale, secondo Streeck, gli Stati Uniti d'Europa sono impossibili perché non esiste un demos europeo e perché l'Unione Europea, espressione del dominio della finanza, prevarica i popoli e la democrazia. Meglio quindi ritornare alla sovranità nazionale in modo che le nazioni possano anche riprendersi il diritto di svalutare o rivalutare le loro monete[5].
In Europa si incendia il dibattito sul futuro della UE e dell'euro: in Italia curiosamente sembra che la sinistra non sia ancora culturalmente pronta ad affrontare apertamente questi temi, che peraltro sono discussi animatamente anche in Grecia all'interno della stessa Syriza. Nella sinistra italiana, una volta scartata l'ipotesi di uscire unilateralmente dall'euro, considerata come catastrofica, prevale l'allineamento alle tesi pro-euro e pro-UE, e spesso le opinioni eterodosse vengono accantonate e censurate, come vedremo, ed escluse a priori dal dibattito pubblico. Le mie critiche alla sinistra, anche ai pezzi nobili e pensanti della sinistra, come il Manifesto e Sbilanciamoci, tendono a riaprire un dibattito che è ineludibile perché la sinistra possa ancora contare qualcosa in Italia.
La bestemmia monetaria dell'euro
L'euro, la moneta unica prevista per tutti i 28 stati dell'Unione Europea e utilizzata da 12 paesi [qui l'autore commette un banale errore, com'è noto dei 28 paesi che compongono l'Unione europea, sono 18 quelli la cui moneta è l'euro, Ndr], sul piano economico è una solenne bestemmia: infatti significa che 12 paesi molto differenti, dalla Spagna alla Germania, dall'Italia all'Olanda, dal Portogallo alla Lettonia, sono soggetti allo stesso tasso di interesse, devono avere la stessa base monetaria e subiscono lo stesso tasso di cambio verso i paesi extraeuropei. Ma è chiaro come il sole che le esigenze sono diverse nei diversi paesi: un paese che corre troppo, in cui l'inflazione è elevata, ha bisogno di alti tassi di interesse; invece un altro paese (come l'Italia) che è fermo necessita di tassi bassi per stimolare gli investimenti. Un paese come la Germania può riuscire ad esportare con l'euro a 1,40 sul dollaro; altri paesi invece con lo stesso tasso di cambio non riescono più ad esportare e a compensare l'import, e sono quindi costretti ad accendere debiti. Le esigenze sono molto differenti.
La moneta unica presuppone paesi con tassi di inflazione, livelli di competitività, debiti pubblici e bilance dei pagamenti sostanzialmente in equilibrio o tendenzialmente in equilibrio. Altrimenti la moneta unica, che non permette svalutazioni e rivalutazioni della moneta, cioè flessibilità monetaria, agisce in senso esattamente contrario: disequilibra le economie dei paesi. Amplifica le divergenze. Quelli più competitivi e in surplus commerciale guadagnano ed erogano crediti; quelli in deficit accendono debiti e perdono competitività. Se i paesi meno competitivi non possono svalutare – che non significa fare qualcosa di immorale ma significa solo riprezzare i prodotti nazionali verso i compratori esteri – le divergenze si approfondiscono e generano un perverso circolo vizioso. La moneta unica applicata in diversi contesti economici aumenta i differenziali delle economie reali. La Germania diventa sempre più competitiva; gli altri paesi invece perdono industria. La Germania impone una politica deflattiva per ridurre i deficit altrui e per garantirsi che le siano restituiti i debiti. Ma la politica deflattiva comprime l'economia , provoca la crisi fiscale dello stato, la disoccupazione, la precarizzazione del lavoro, la riduzione dei redditi, della domanda e degli investimenti. Diventa così sempre più difficile restituire i debiti. Non a caso i debiti pubblici dei paesi mediterranei continuano ad aumentare inesorabilmente nonostante l'austerità. In questa situazione l'euro sarà sempre in bilico. Questa è la realtà dell'euro. Questi processi connessi alla moneta unica in aree valutarie non ottimali, ovvero in paesi profondamente diversi, sono chiaramente spiegati nei libri di testo dell'economia monetaria; ma molti politici ed economisti di sinistra, vuoi per idealismo vuoi per incompetenza, vuoi per mancanza di spirito critico e per conformismo, non hanno voluto riconoscere la realtà.
La verità è che per molta parte della sinistra il sogno di un'Europa unita e federata, degli Stati Uniti d'Europa, ha sostituito il sogno fallito del comunismo. La sinistra ha perso la testa e si è innamorata perdutamente dell'idea di Europa, una Europa che però la tradisce spudoratamente con la finanza. Inoltre la questione della moneta unica è stata considerata – salvo eccezioni – “minore” dalla sinistra italiana. Il problema, afferma una certa sinistra europeista, non è l'euro: “le difficoltà sono ben più profonde, radicate nell'economia reale”. Certamente l'euro non è l'unica causa delle difficoltà europee e dei paesi del mediterraneo; ma sicuramente fa parte del problema e non della soluzione perché amplifica le difficoltà dell'economia reale, soprattutto quando scoppiano le crisi. Non è un caso che l'Europa sia oggi il malato del mondo. Le questioni monetarie non possono essere sottovalutate perché hanno un posto assolutamente centrale nell'economia. La moneta non è neutra, come invece afferma l'ideologia monetarista. Ha effetti immensi sul piano economico, politico e simbolico.
I tedeschi lo sanno e ci hanno spinto a sottoscrivere dei trattati, a partire da quello di Maastricht e del fiscal compact, che rispecchiano in pieno la loro filosofia deflattiva (e gli interessi delle loro banche e della loro industria). L'euro è nato a immagine e somiglianza del marco; la BCE ha uno statuto ancora più restrittivo della Bundesbank, e il fiscal compact condanna tutti gli stati a non avere debito, ad annullare qualsiasi politica di rilancio della domanda di stampo keynesiano, ad avere bilanci asfittici e sempre in equilibrio, senza deficit. In questo modo è annullata alla radice qualsiasi possibilità di investimento per il futuro e qualsiasi possibilità di ripresa. Siamo in un vero e proprio cul de sac, e con il fiscal compact – la restituzione accelerata dei debiti pubblici e la compressione drastica della spesa pubblica - la situazione è destinata drammaticamente a peggiorare.
La UE non ci aiuta ma ci bastona. La Commissione UE nel suo ultimo rapporto ha dato la pagella all'Italia e ci ha bocciato. Per rilanciare la competitività la UE ha decretato che l'Italia deve abbassare ancora il costo del lavoro, parametrare i salari alla produttività aziendale e differenziare i salari in base alle aree territoriali (cioè realizzare le gabbie salariali). Il paradosso è che la sinistra, anche quella radicale e soi disant comunista-marxista, sembra sottovalutare questi espliciti e dettagliati diktat neocoloniali. Non sorprendiamoci poi se Grillo fa le battaglie “populiste” contro l'Europa e conquista nove milioni di voti! Per fortuna, dico io, che in Italia c'è Grillo e non Le Pen!
A sinistra molti suggeriscono che occorre completare l'euro, la “moneta unica incompiuta”, grazie a una maggiore integrazione europea a livello di politica fiscale e di bilancio, e grazie a una maggiore centralizzazione sulle decisioni economiche, magari accompagnata da una maggiore democrazia delle istituzioni europee. Ma non si può innalzare un grattacielo su fondamenta di sabbia e argilla. Altrimenti si producono mostri come l'Unione Bancaria su cui recentemente l'autorevole Wolfgang Munchau sul Financial Times ha scritto un articolo titolato “L'Europa dovrebbe dire no ad una unione completamente sbagliata”[6]. Prima bisogna abbattere le cattive fondamenta e poi ricostruire l'edificio su solide basi. Del resto la centralizzazione europea sulle politiche economiche è già in atto, ed è fortemente negativa per l'economia e la democrazia. Grazie al Six Packs la Commissione UE dà già la sua approvazione preventiva – o il suo rifiuto – ai bilanci pubblici dei paesi europei, anche prima dei Parlamenti nazionali. I governi e i Parlamenti sono già sorpassati ed esautorati. Anche il governo Renzi, dopo avere alzato la voce, e dopo che forse avrà ottenuto qualche concessione marginale, dovrà abdicare al vincolante potere europeo.
Il governo Renzi e i trattati da ripudiare
Il governo Renzi cerca di trattare all'italiana con la UE: dice che rispetterà i vincoli dell'austerità ma vuole fare anche manovre espansive e di crescita. Vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Il problema è che gli italiani firmano i trattati internazionali pensando a come evaderli; ma i tedeschi pretendono invece (legittimamente) che i trattati sottoscritti vengano rispettati integralmente e senza eccezioni, fino all'ultimo comma. Sapendo che esistono i furbi, i tedeschi hanno imposto delle sanzioni automatiche per chi infrange i trattati europei: le sanzioni scattano in caso di non rispetto degli accordi e possono essere sospese solo con un voto a maggioranza qualificata (molto improbabile) di due terzi dei paesi europei. Gli aiuti ai paesi in crisi verranno poi concessi solo alle draconiane condizioni della Troika (UE, BCE, FMI), che sono più pesanti di quelli del FMI e del Washington Consensus.
Quando Renzi ha presentato all'Unione la sua politica economica con velleità semi-espansive, Josè Manuel Barroso, il presidente della Commissione UE, gli ha risposto che “i trattati vanno rispettati integralmente”. E soprattutto gli ha ricordato che “i trattati possono essere modificati solo con l'unanimità di tutti i paesi della UE”. Cioè è impossibile riformarli! In pratica è possibile solo ripudiarli!
I tedeschi hanno accettato una sola importante (contro)riforma proposta da Renzi: quella del lavoro precario, che deregolamenta completamente il mercato e rende il lavoro una merce indifesa e senza valore, una merce che costa poco e si butta quando si vuole. La riforma di Renzi è simile a quella del socialista Peter Hartz promossa in Germania dieci anni fa dal governo rosso-verde di Gerhard Schröder che ha generato milioni di posti di lavoro sottopagati. Così anche in Italia, grazie alla UE, ci saranno i mini job alla tedesca a 400 euro al mese. Del resto se non si può svalutare la moneta si svaluta il lavoro: questa è la legge ferrea della moneta unica. Ma insieme al lavoro si svaluta anche il capitale nazionale: così è più facile per le aziende estere conquistare le banche e le industrie di un paese in debito, magari privatizzate in nome dell'Europa. E così i paesi più deboli cadono nel sottosviluppo, nella subordinazione e nella povertà.
Patriottismo economico, Europa e globalizzazione
Ma la sinistra che si vorrebbe marxista o alternativa non si accorge del pericolo. Un esempio per tutti: in un mio articolo sul Manifesto a proposito dell'assalto di Telefonica a Telecom Italia principale azienda tecnologica nazionale, scrivevo tra l'altro che «Il patriottismo economico è necessario per contrastare la globalizzazione selvaggia”. Matteo Bartocci, autorevole editorialista del suddetto quotidiano mi ha allora pubblicamente redarguito. Riferendosi al mio articolo scriveva: “Tutto ciò è preoccupante …. Già nel definire «straniere», mani europee, si indirizza l’opinione pubblica verso una concezione competitiva della presenza dei singoli stati nell’Unione. Se poi ci si mette di mezzo anche il «patriottismo» i termini della questione si fanno ancora più sinistri. In tutta la discussione sul mercato delle aziende e sulla politica industriale la dimensione europea semplicemente scompare...”. Il marxista Bartocci non si accorge neppure che all'interno dell'Europa gli stati competono già ferocemente e che la svendita delle maggiori aziende nazionali, soprattutto nel campo delle tecnologie e del risparmio, condannerà l'Italia al sottosviluppo e alla dipendenza. Questa è la pericolosissima minaccia incombente! Gli speculatori vogliono i gioielli e le banche dei debitori. Altro che Telefonica … ci vorrebbero tanti nuovi Mattei! Forse bisognerebbe ricordare a Bartocci le pagine di Marx sul colonialismo inglese e quelle di Lenin sull'imperialismo e il sottosviluppo.
La sovranità nazionale è democrazia
Si dice che gli stati non contano più nulla perché la finanza ormai è globalizzata e quindi l'Europa e l'euro sono necessari per difendersi dalla globalizzazione. Ma la verità è un'altra. La UE e l'euro non ci hanno procurato né stabilità né sviluppo. L'euro non ci ha veramente difeso dalla speculazione internazionale, è un freno per lo sviluppo e la cura dell'austerità uccide il paziente. I paesi europei che non hanno adottato l'euro (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Polonia, ecc, ecc) e hanno una loro moneta nazionale stanno molto meglio di noi. In Italia in cinque anni di crisi abbiamo perso circa l'8,5% del PIL e il 30% degli investimenti. I redditi sono scesi al livello dei primi anni '90, quando l'euro ancora non c'era, e l'Italia ha il 13% di disoccupazione. Un terzo delle famiglie è a rischio povertà, aumenta la pressione fiscale, diminuisce la spesa pubblica e tuttavia cresce il debito pubblico, e l'Italia non può più neppure manovrare la sua moneta. Opera con una valuta sostanzialmente straniera che impone il fiscal compact. E' francamente difficile affermare che … fuori dall'euro saremmo stati peggio!
Sul piano politico la democrazia si esprime esclusivamente a livello nazionale. Nessuno della Troika (commissione UE, BCE, FMI) è stato eletto dai cittadini. Il Parlamento della UE non ha praticamente poteri e serve soprattutto a dare una patina di legittimità alle decisioni dei governi e della Commissione UE. Non può proporre disegni di legge. Anche se i socialisti prevarranno nel Parlamento europeo, i trattati intergovernativi avranno vita propria, almeno fin quando non verranno aboliti. Come pensa Schultz di rovesciare, come promette, le politiche UE? I parlamenti e i governi nazionali sono invece, nel bene e nel male, eletti democraticamente, e possono rigettare i trattati. A livello nazionale i popoli possono influenzare – seppure con molta fatica! - la politica economica e di bilancio (fisco e spese pubbliche) perché hanno l'arma potente del voto, delle mobilitazioni sociali e sindacali, della lotta e della partecipazione democratica. Tutto questo per ora non esiste a livello europeo – e prevedibilmente non esisterà ancora per parecchi anni – . I trattati intergovernativi non sono stati sottoscritti dai popoli ma possono essere ripudiati dai Parlamenti nazionali o rigettati via referendum. In Italia un referendum sull'euro attualmente non si può fare. Ma sarebbe giusto farlo. In Francia e in Olanda i popoli si sono già espressi contro una falsa Costituzione Europea per salvaguardare la loro sovranità. E la Svezia e la Danimarca con un referendum hanno deciso di non entrare nell'eurozona. Beati loro! La Polonia ha rimandato l'ingresso nell'eurozona. Una forma felice di nazionalismo! Solo recuperando la sovranità nazionale è possibile che i popoli possano difendersi dalle politiche neocoloniali della UE e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Senza sovranità nazionale non ci può essere neppure un'ombra di democrazia.
Uscire dall'euro e creare l'eurobancor, la moneta comune ispirata a Keynes
E' necessario difendere le economie nazionali dall'attacco predatorio che questa Unione Europea promuove per conto della finanza e dei paesi ricchi. Chi scrive suggerisce che la sinistra proponga un'uscita concordata dei paesi europei dall'euro (Germania compresa, se vuole). Non è solo la mia proposta. E' la proposta dell'uomo di sinistra che forse più di ogni altro in Europa si intende di finanza: Oskar Lafontaine, ex ministro tedesco delle finanze, ex presidente della SPD, fondatore della Linke tedesca. Secondo Lafontaine (che a differenza di Schulz ha fatto autocritica per le sue passate posizioni pro-euro) bisognerebbe abolire Maastricht, convenire il ritorno alla sovranità monetaria degli stati e concordare un regime di cambi fissi aggiustabili. Secondo Lafontaine bisognerebbe buttare la moneta unica per salvare l'Europa e impedire che la Germania divenga il bersaglio dei popoli europei che soffrono per l'euro. Ma la sinistra europea e italiana non vuole neppure ascoltare le sue tesi e discuterne. Quando ho proposto a Sbilanciamoci.info, uno dei migliori think tank della sinistra italiana sull'economia, un articolo che comprendeva la traduzione della proposta di Lafontaine, la redazione (o forse parte di essa) ha rifiutato la pubblicazione. La soluzione di Lafontaine è forse apparsa troppo radicale per potere essere pubblicata (la mia traduzione è poi apparsa su Micromega[7]).
Ma il progetto che suggerisco non è solo di tornare in maniera concordata alla sovranità nazionale e monetaria. E' possibile proporre una moneta comune europea[8]. Per combattere la speculazione internazionale, la UE e la BCE dovrebbero gestire, sulle orme di quanto proponeva John M. Keynes a Bretton Woods, una moneta comune europea, l'EuroBancor, di fronte al dollaro e allo yen[9]. Così si potrebbero coniugare efficacemente sovranità nazionale e cooperazione europea, stabilità e sviluppo.
Purtroppo però buona parte della sinistra ritiene che la sovranità nazionale sia da demonizzare perché sempre di destra. Eppure, senza reclamare il potere democratico delle nazioni, la sinistra rischia di apparire cedevole verso i poteri forti e di allontanarsi dal sentimento popolare nel nome di un nuovo “sol dell'avvenire”, il nobile ideale europeista».
* Fonte Micromega
NOTE
[1] Martin Schulz, la Repubblica, Quel doppio shock che risveglia l'unione, 21 marzo 2014
[2] Frédéric Lordon, Manifesto-Le Monde Diplomatique, Si può uscire dall’euro con una moneta comune, agosto 2013
[3] Etienne Balibar, Manifesto-Le Monde Diplomatique, Un nuovo slancio, ma per quale Europa? Marzo 2014
[4] Democracy, Solidarity and the European Crisis, Lecture delivered by Professor Jürgen Habermas, 26 April 2013, Leuven
[5] Streeck Wolfgang, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli 2013
[6] FT, 16 marzo 2014 “Europe should say no to a flawed banking union”
[7] Vedi Micromegaonline, Enrico Grazzini, Lafontaine e la trappola dell’euro, 21 maggio 2013
[8] Enrico Grazzini, Micromegaonline, Da moneta unica a valuta comune: una terza via per superare l’Euro, 27 dicembre 2013; Massimo Amato, Luca Fantacci, “Fine della finanza. Da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne”, Donzelli, 2012; Daniela Palma e Guido Iodice, Euro e monete nazionali, the best of both worlds, pubblicato da keynesblog il 26 agosto 2013; Alfonso Gianni, Micromegaonline, Tra perseverare nell’euro e uscirne, c’è una terza strada da percorrere, 3 settembre 2013, e Alternative per il socialismo N. 28
[9] John Maynard Keynes “Eutopia. Proposte per una moneta internazionale”, a cura di Luca Fantacci, et al./edizioni, 2011
9 commenti:
Il dott. Grazzini, in questo pregevole saggio di estrema attualità, cerca di arrivare alla "quadratura del cerchio" e il problema non è facile visto che "sinistra", di per sé - ma secondo opinioni non unanimi - implicherebbe l' internazionalismo. Per alcuni sovranità nazionale e sinistra sarebbero pertanto termini antinomici. Ma c'è chi sostiene che farsi mettere le briglie dalla filosofia spesso sia pernicioso. Dewey preferirebbe assegnare il primato alla "prassi" non alla filosofia, visione del mondo che assegna il primato ideologico al risultato, cioè al successo .
Poiché siamo in un momento storico drammatico, uno sguardo alla storia recente e passata potrebbe essere illuminante. La storia, maestra degli umani, dice che l'esasperazione delle teorie sovranitarie può condurre a catastrofi e chi considera negativamente l'avventura Le Pene è di questo parere sebbene non sia detto che la Le Pen sia una fanatica.
Tuttavia sappiamo pure che ogni maestro può essere corrotto così che i suoi insegnamenti possono mirare all'inganno.
Nel caso specifico, affidandosi al "naso", maestro di tutti gli esseri viventi (dall'ameba all'homo sapiens) ed in questo caso anche pensanti ,(considerato il disastroso esito dell'U.E.) sembrerebbe conveniente optare per le soluzioni sovraniste (cum grano salis). Bisogna tener presente per altro che nel discorso entra anche la melodia fascinosa della Libertà.
La "Reconquista" della Sovranità Nazionale (come la "Reconquista" spagnola contro i musulmani) si fonda sul sentimento della PATRIA E "NON" sul nazionalismo.
Il sentimento di Patria presuppone la profonda fratellanza fra tutte le patrie che in ultima analisi diventano la comunità originaria oggi oppressa che si ribella contro la comunità artificiale degli oppressori.
Ossia la Patria E' PROFONDAMENTE DI SINISTRA!
Essere patrioti oggi significa cercare alleanze con le classi operaie (e non) sfruttate dall'imperialismo tecnocratico delle élite cosmpolite che si "travestono" da Europa.
Lo dico a tutti i compagni: riprendiamoci anche noi l'orgoglio di essere italiani ma reinterpretando il concetto in maniera comunista, sapendo che su quel terreno del sentimento della Patria potremo trovare punti di incontro anche con forze che sono diverse da noi ma che sono disposte a lottare con noi.
Noi comunisti dobbiamo sentire l'orgoglio della nostra storia di italiani non in maniera conflittuale con le altre Patrie (come invece fa il nazionalismo che è per costruzione imperialista) ma al contrario sentendo la profonda affinità che ci lega alle altre proprio perché sono anch'esse delle Patrie ossia di per sé stesse opposte e antagonioste al sistema élitario tecnocratico di oggi.
Domanda da cento pistole: ci può essere Patria senza Nazione?
PATRIA, NAZIONE, INTERNAZIONALISMO
Sarei prudente ad accettare il pragmatismo americano alla Dewey. Il primato della prassi? Ma praxis, per Marx, e penso avesse ragione, era sempre pensiero in atto.
I comunisti francesi (staliniani) usavano dire: "Il mio paese è la Francia, la mia patria è l'Unione sovietica".
Fuori metafora: se chiedete ad un cittadino del Canton Ticino qual'è la sua patria vi risponderà che è la Svizzera; tuttavia la sua nazionalità è italiana.
Di più Svizzera è una delle più antiche nazioni europee, ma è una Nazione composta da diverse nazionalità, quattro per l'esattezza. Oppure prendete la Russia, che senza dubbio è una nazione, ma al suo interno convivono molteplice nazionalità.
Quello di cui occorre sbarazzarsi è il concetto razzista e fascista della nazione come fosse fondata su sangue e stirpe. Ogni nazione è invece un risultato della storia, una comunità che si forgia nella storia e nella lotta, e quindi per sua natura anche contraddittoria e sottoposta a mutamento.
Tra le nazioni esiste infine un rango. Ci sono nazioni imperialiste e nazioni sottoposte al giogo dell'imperialismo, oppresse. Nazioni che svolgono quindi un diverso e opposto ruolo nel concreto contesto storico.
Non tutti i nazionalismi sono quindi sciovinisti e reazionari. Si può essere nazionalisti e per la fratellanza tra i popoli, ovvero internazionalisti.
Confondere "l'internazionalismo proletario" con quello borghese-imperialista (che si maschera dietro al "cosmopolitismo" kantiano) è il più grave errore di certe sinistre europee. Dietro alla forma apparentemente simile, la sostanza è opposta.
Per certi sinistrati noi dovremmo rinunciare a considerarci italiani per considerarci "europei". E questo per loro sarebbe più "nobile". Come se l'Europa reale, questa Unione europea non fosse ciò che effettivamente è, un'entità che la finanza imperialistica si è costruita su misura (oligarchica, liberista e antidemocratica), ma fosse un'Europa socialista di popoli liberi e fratelli.
Si scambiano lucciole per lanterne.
Io quando si parla di sovranità tenderei a sottolineare il concetto semplice e tecnico di sovranità popolare, nel senso di chi la esercita.
La dimensione in cui è più facile riconquistare ed esercitare una sovranità popolare democratica è quella nazionale.
Se fosse più facile acquistare l'emancipazione dei ceti subalterni in una dimensione sovranazionale sarei pure l'europa (purchè contempli le differenze culturali).
Non mi andrei a infognare su concetti di patria (sul piano dell'azione politica non del dibattito) che si prestano come alle solite strumentalizzazioni.
La sinistra elitaria che affrontiamo ogni giorno porta avanti come battaglia un internazionalismo finto, in realtà è un rifiuto della nazione in favore di una sorta di ubernazione (europea) che si è liberata anche del concetto di patria, in piena linea con le più recenti influenze filosofiche.
Per loro internazionalismo è diventata una lotta alle sovranità, mentre dovrebbe essere la semplice solidarietà e comunanza di intenti fra gli oppresse TRA le varie nazioni
Sono argomenti da sabbie mobili.
Il sogno della pace universale (cioè, concretamente, dello stato mondiale in cui tutti i conflitti diventano guerre civili) è stato realizzato dal capitalismo predatorio anglosassone e gran parte della ex-sinistra ha pensato bene di usarlo come foglia di fico per partecipare al magna-magna.
Alcune fra le rare persone serie rimaste a sinistra stanno pensando a una ritirata strategica verso lo stato nazionale d'impronta socialdemocratica, riletto a forti tinte progressivo-mazziniane in modo da minimizzare gli elementi di attrito col verbo umanista.
Rimane il fatto che a livello europeo l'opposizione al mostro europeo rimane quasi ovunque appannaggio delle 'destre' (che hanno l'enorme vantaggio di poterla collegare alla crescente insofferenza verso l'invasione migratoria), ed è in queste che bisogna sperare per costruire un'opposizione efficiente.
L'Europa si è rivelata l'ANTI NAZIONE per eccellenza ed è logico che la faccenda possa dispiacere alle cosiddette "destre" che tendono a identificare patria e nazione. La "nazione" viene intesa come qualcosa di legato anche ad un territorio. In questo contesto teorico l'attuale "mostro Europa" collide pure con una concezione di STATO pensato in funzione della Nazione/Patria. E' pertanto inevitabile che le destre siano cromosomicamente avverse al "Mostro Europa". La Sinistra parte da un'altra visione del Mondo che, stranamente, tende ad assumere le connotazioni di un IMPERO : un mosaico unificato e composto da un coacervo di popoli sommatoria di patrie e di nazioni diverse, cementato però da una idea solidaristica che non ha bisogno di tradizioni culturali comuni maturate in secoli e secoli di contiguità "nazionale".
Secondo questa interpretazione si capisce come le sinistre, estimatrici di un certo internazionalismo (tipico comunque anche degli "imperi" sovra nazionali) siano più propense a tenere in vita il "mostro Europa" il quale, almeno così com'è attualmente, è per altro minacciosamente lesivo della libertà dei singoli popoli ma pure dei singoli individui. Quest'ultima caratteristica, comunque, fa del Mostro Europa uno strumento ideale per annientare ogni resistenza ad una omologazione oppressiva, antidemocratica e anti libertaria che possa essere messa in atto da un eventuale nuovo ordine europeo. E ciò è difetto capitale dell'attuale Mostro Europa che inevitabilmente non può che atterrire le cosiddette destre tradizionali (da non identificare necessariamente con le destre "fasciste")
Pietro
"La Patria può essere profondamente di sinistra"?
Si può rispondere di sì, sebbene non sempre. Vediamo la storia recente: il Vietnam è stato direi platealmente ed eroicamente , una vera ed esemplare "patria di sinistra". Lo stesso può dirsi per Cuba. E della Cina forse no? Così per la Corea del Nord. Della defunta URSS si può dire che fosse di sinistra ma che non era una patria nel senso comune del termine che implicherebbe un retroterra etnico storico "comune" che invece era stato ereditato in forma artificiosa dallo Zarismo. E l'Italia potrebbe essere una "Patria di Sinistra? Si può rispondere negativamente senza esitazioni specie se si pensa al PD che con la sinistra, dalla tragica scomparsa di Berlinguer in poi, pare aver poco a che fare.
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