26 novembre. Emiliano Brancaccio (nella foto), docente di Fondamenti di Economia politica e di Economia del Lavoro all’Università del Sannio, lancia l’allarme: “E’ in atto la ‘mezzogiornificazione’ dei Paesi periferici europei. L’esito finale di questo processo potrebbe essere l’implosione stessa di tutto il sistema di Eurolandia”.
D. Lei parla di ‘mezzogiornificazione’ dell’Europa: di che cosa si tratta?
R. L’espressione ‘mezzogiornificazione’ è stata coniata dall’economista americano Paul Krugman, ma il suo significato profondo può esser fatto risalire ad alcuni economisti italiani, tra cui Augusto Graziani. Essa indica che il dualismo economico che ha caratterizzato i rapporti tra il Nord e il Sud Italia si sta riproponendo oggi, su scala allargata, nei rapporti tra i Paesi ‘centrali’ e i Paesi ‘periferici’ di tutta l’Unione monetaria europea.
La ‘mezzogiornificazione’ è in atto o è terminata con l’unificazione europea?
La ‘mezzogiornificazione’ è tuttora in atto. La nascita della moneta unica europea l’ha accentuata e la crisi iniziata nel 2008 le ha impresso un’ulteriore accelerazione. Basti guardare la forbice che si è venuta a creare tra gli andamenti dell’occupazione: mentre l’Italia, la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo e la Grecia negli ultimi cinque anni hanno perso oltre 6 milioni di posti di lavoro, la Germania ha visto crescere l’occupazione di un milione emezzo di unità. Lo stesso dicasi per le insolvenze delle imprese: tra il 2008 e il 2012 sono aumentate in Spagna del 200 per cento e in Italia del 90, mentre in Germania sono addirittura diminuite del 3 per cento. Si tratta di divergenze colossali, che dal Dopoguerra non hanno precedenti storici.
Colpa di quel profilo ‘liberista’ dei Trattati dell’Unione europea che denunciavate nella “Lettera degli Economisti” del 2010?
L’Ue è stata edificata su basi competitive, conflittuali. Il livello di coordinamento politico tra i suoi Paesi membri è ridotto ai minimi termini. Quasi tutto è affidato ai meccanismi del mercato, che in genere tendono ad accentuare i divari, non certo a ridurli. I Governi nazionali oggi non possono usare le tradizionali leve della politica economica, come il bilancio pubblico, la politica monetaria o la politica del tasso di cambio. Molti si sono augurati che questa sorta di ‘vincolo esterno’ imposto dai Trattati europei costringesse l’Italia e gli altri Paesi periferici dell’Unione a realizzare le riforme necessarie a modernizzare i loro apparati produttivi, in modo da renderli competitivi con quelli dei Paesi centrali. Ma questa speranza si è rivelata una mera illusione. Anziché creare convergenza fra i Paesi europei, il ‘vincolo esterno’ alle politiche nazionali ha favorito la divergenza, accentuando i divari economici che già sussistevano prima della nascita dell’euro.
Le autorità della Germania possono essere considerate responsabili di questi andamenti?
Le autorità di Governo tedesche si sono dimostrate incapaci di assumere un vero ruolo di leadership europea. La Germania, gigante economico, si comporta tuttora come un nano politico. La pretesa tedesca è di continuare a crescere al traino di altri Paesi, sfruttando la domanda di beni e servizi proveniente dall’estero. Ieri erano i Paesi periferici dell’eurozona a trainare la Germania, oggi le autorità tedesche sperano di trovare altre locomotive, situate all’esterno dei confini dell’Unione.
Quindi?
La conseguenza è che il Paese più forte dell’Ue, anziché espandere la domanda interna e fungere da volàno per lo sviluppo economico dell’intero Continente, preferisce attuare politiche di deflazione interna per ridurre le proprie importazioni e aumentare le esportazioni. Come abbiamo segnalato anche di recente nel “monito degli economisti” pubblicato il 23 settembre scorso sul Financial Times, questa strategia non è sostenibile. Ogni guadagno della Germania corrisponde a una perdita più che proporzionale per i Paesi periferici. La conseguenza è che l’Unione, nel suo complesso, continua a registrare un calo dell’occupazione, con effetti distruttivi sull’unità europea.
Su queste colonne avevamo già comparato la crisi dei Paesi mediterranei europei a una ‘questione meridionale’ ampliata a livello continentale: che potenzialità presenta questo modello interpretativo della crisi europea?
Tra i Paesi in crisi ve ne sono anche di extra-mediterranei, come ad esempio l’Irlanda. E alcuni paesi del ‘centro’ dell’Unione non se la passano benissimo, come ad esempio l’Olanda. In generale, però, l’idea di cogliere su scala europea una riproposizione del problema storico delle divergenze tra Nord e Sud Italia mi sembra corretta. Per lungo tempo il ‘meridionalismo’ è stato considerato una teoria polverosa, antiquata, superata dagli eventi. Stimati studiosi avevano addirittura suggerito di ‘abolire il Mezzogiorno’ dalle categorie interpretative delle vicende economiche nazionali.
E oggi?
Oggi invece possiamo cogliere dalla questione meridionale nuovi spunti per l’analisi del presente. Penso che se oggi recuperassimo la questione meridionale e la riproponessimo in chiave aggiornata e su scala continentale, potremmo fornire un’interpretazione della crisi europea molto più pregnante di quelle che vanno per la maggiore. Inoltre, conoscere la storia dei rapporti travagliati tra Nord Italia e Mezzogiorno aiuterebbe anche a indagare sui possibili sviluppi politici della crisi europea.
Noi meridionali dovremmo cioè farci carico di una previsione politica?
Essendo ben consapevoli di quelli che sono stati gli effetti deleteri di un irrisolto dualismo economico tra Nord e Sud Italia, noi meridionali in effetti abbiamo più elementi di altri per lanciare un allarme sui possibili effetti politici delle enormi divergenze economiche in atto: proseguendo di questo passo, i Paesi periferici dell’Unione potrebbero a un certo punto vedersi costretti ad abbandonare l’eurozona per cercare di contrastare gli attuali processi di desertificazione produttiva.
* Fonte: Emiliano Brancaccio
**intervista di Lauro Amendola su Il denaro del 16 novembre 2013
D. Lei parla di ‘mezzogiornificazione’ dell’Europa: di che cosa si tratta?
R. L’espressione ‘mezzogiornificazione’ è stata coniata dall’economista americano Paul Krugman, ma il suo significato profondo può esser fatto risalire ad alcuni economisti italiani, tra cui Augusto Graziani. Essa indica che il dualismo economico che ha caratterizzato i rapporti tra il Nord e il Sud Italia si sta riproponendo oggi, su scala allargata, nei rapporti tra i Paesi ‘centrali’ e i Paesi ‘periferici’ di tutta l’Unione monetaria europea.
La ‘mezzogiornificazione’ è in atto o è terminata con l’unificazione europea?
La ‘mezzogiornificazione’ è tuttora in atto. La nascita della moneta unica europea l’ha accentuata e la crisi iniziata nel 2008 le ha impresso un’ulteriore accelerazione. Basti guardare la forbice che si è venuta a creare tra gli andamenti dell’occupazione: mentre l’Italia, la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo e la Grecia negli ultimi cinque anni hanno perso oltre 6 milioni di posti di lavoro, la Germania ha visto crescere l’occupazione di un milione emezzo di unità. Lo stesso dicasi per le insolvenze delle imprese: tra il 2008 e il 2012 sono aumentate in Spagna del 200 per cento e in Italia del 90, mentre in Germania sono addirittura diminuite del 3 per cento. Si tratta di divergenze colossali, che dal Dopoguerra non hanno precedenti storici.
Colpa di quel profilo ‘liberista’ dei Trattati dell’Unione europea che denunciavate nella “Lettera degli Economisti” del 2010?
L’Ue è stata edificata su basi competitive, conflittuali. Il livello di coordinamento politico tra i suoi Paesi membri è ridotto ai minimi termini. Quasi tutto è affidato ai meccanismi del mercato, che in genere tendono ad accentuare i divari, non certo a ridurli. I Governi nazionali oggi non possono usare le tradizionali leve della politica economica, come il bilancio pubblico, la politica monetaria o la politica del tasso di cambio. Molti si sono augurati che questa sorta di ‘vincolo esterno’ imposto dai Trattati europei costringesse l’Italia e gli altri Paesi periferici dell’Unione a realizzare le riforme necessarie a modernizzare i loro apparati produttivi, in modo da renderli competitivi con quelli dei Paesi centrali. Ma questa speranza si è rivelata una mera illusione. Anziché creare convergenza fra i Paesi europei, il ‘vincolo esterno’ alle politiche nazionali ha favorito la divergenza, accentuando i divari economici che già sussistevano prima della nascita dell’euro.
Le autorità della Germania possono essere considerate responsabili di questi andamenti?
Le autorità di Governo tedesche si sono dimostrate incapaci di assumere un vero ruolo di leadership europea. La Germania, gigante economico, si comporta tuttora come un nano politico. La pretesa tedesca è di continuare a crescere al traino di altri Paesi, sfruttando la domanda di beni e servizi proveniente dall’estero. Ieri erano i Paesi periferici dell’eurozona a trainare la Germania, oggi le autorità tedesche sperano di trovare altre locomotive, situate all’esterno dei confini dell’Unione.
Quindi?
La conseguenza è che il Paese più forte dell’Ue, anziché espandere la domanda interna e fungere da volàno per lo sviluppo economico dell’intero Continente, preferisce attuare politiche di deflazione interna per ridurre le proprie importazioni e aumentare le esportazioni. Come abbiamo segnalato anche di recente nel “monito degli economisti” pubblicato il 23 settembre scorso sul Financial Times, questa strategia non è sostenibile. Ogni guadagno della Germania corrisponde a una perdita più che proporzionale per i Paesi periferici. La conseguenza è che l’Unione, nel suo complesso, continua a registrare un calo dell’occupazione, con effetti distruttivi sull’unità europea.
Su queste colonne avevamo già comparato la crisi dei Paesi mediterranei europei a una ‘questione meridionale’ ampliata a livello continentale: che potenzialità presenta questo modello interpretativo della crisi europea?
Tra i Paesi in crisi ve ne sono anche di extra-mediterranei, come ad esempio l’Irlanda. E alcuni paesi del ‘centro’ dell’Unione non se la passano benissimo, come ad esempio l’Olanda. In generale, però, l’idea di cogliere su scala europea una riproposizione del problema storico delle divergenze tra Nord e Sud Italia mi sembra corretta. Per lungo tempo il ‘meridionalismo’ è stato considerato una teoria polverosa, antiquata, superata dagli eventi. Stimati studiosi avevano addirittura suggerito di ‘abolire il Mezzogiorno’ dalle categorie interpretative delle vicende economiche nazionali.
E oggi?
Oggi invece possiamo cogliere dalla questione meridionale nuovi spunti per l’analisi del presente. Penso che se oggi recuperassimo la questione meridionale e la riproponessimo in chiave aggiornata e su scala continentale, potremmo fornire un’interpretazione della crisi europea molto più pregnante di quelle che vanno per la maggiore. Inoltre, conoscere la storia dei rapporti travagliati tra Nord Italia e Mezzogiorno aiuterebbe anche a indagare sui possibili sviluppi politici della crisi europea.
Noi meridionali dovremmo cioè farci carico di una previsione politica?
Essendo ben consapevoli di quelli che sono stati gli effetti deleteri di un irrisolto dualismo economico tra Nord e Sud Italia, noi meridionali in effetti abbiamo più elementi di altri per lanciare un allarme sui possibili effetti politici delle enormi divergenze economiche in atto: proseguendo di questo passo, i Paesi periferici dell’Unione potrebbero a un certo punto vedersi costretti ad abbandonare l’eurozona per cercare di contrastare gli attuali processi di desertificazione produttiva.
* Fonte: Emiliano Brancaccio
**intervista di Lauro Amendola su Il denaro del 16 novembre 2013
31 commenti:
Sì, va be', la diagnosi è giusta, ma la terapia?
Cominciamo adesso ragionare, meglio da domani? Non è un po' tardi?
Tanto ammiro Brancaccio quanto mi irrita il tono "diplomatico" di dire le cose, quasi a non voler "esagerare" a dire la verità ( .... in questo mondo di ladriii ...). Per non perdere autorevolezza accademica? OK, comprensibile. O per non perdere autorevolezza politica? Qui ci sarebbe da aprire un discorso troppo lungo, ma anche troppo urgente e necessario ormai.
La questione meridionale un problema comunque lo stimola subito, pensando alla Grecia, all'Italia, ecc. Ovvero il nesso tra corruzione-inefficienza e sfruttamento-rapina.
Il mainstream neoliberista suggerisce a mio avviso un rapporto di consequenzialità inverso al vero, che però fa molta presa sulla superficialità e l'ignoranza che sono il terreno fertile del populismo più deleterio, quello fatto apposta per fottere le vittime della "divergenze" documentate da Brancaccio.
Colpisce il dato dell'occupazione: - 6 milioni nei PIIGS, + 1,5 milioni in Germania (un quarto! e gli altri 3/4 che fine hanno fatto?)
E' ovvio che in questa situazione le politiche economiche dovrebbero dettarle i PIIGS, e la Germania starsene zitta dalla vergogna, ma tant'è, è esattamente il contrario.
Se ci pensi bene, se non fosse per Brancaccio che riunisce grandi economisti intorno alla tesi della uscita dall'euro, ci troveremmo in una gabbia di pazzi, con quel venduto di Scalfari da un lato e madama Bagnai a urlacchiare per mettere il culo al sole dall'altro. Senti a me, uno serio e freddo come Brancaccio serve assolutamente alla causa.
R.I.
Più che altro sa bene di cosa parla e (come Scalfari) e non è un ingenuo a caccia di notorietà (come Bagnai). Questi che credono che la terapia sia starnazzare "fuori dall'Euro" "fuori dall'Euro" stanno cominciando a diventare un problema mi pare
bvzm1
L'Italia è (era) uno stato nazionale con una sua politica fiscale che prevedeva trasferimenti alle sue zone svantaggiate, come avviene regolarmente in altri paesi (p.es. USA: 30% del bilancio federale è destinato a trasferimenti). Se ciò avvenisse in Eurozona è stato calcolato, da Sapir mi pare, che la Germania dovrebbe destinare il 9% del suo PIL ai PIIGS, il ché è inaccettabile economicamente e soprattutto politicamente. Ergo l'euro da cui nascono questi squilibri è insostenibile, girarci intorno una perdita di tempo. Brancaccio dovrebbe decidersi e dirlo fuori dai denti.
Simile a quella di Brancaccio ma a mio parere una delle migliori rappresentazioni dello stato dell'economia Italiana è quella che Cesare Pozzi ha lasciato oggi sul Blog Orizzonte 48, siamo al Requiem Eterna, con o senza Euro, per l'enorme perdita di filiere industriali e di conoscenze, siamo letteralmente al si salvi chi può, e tra un pò ce ne accorgeremo quasi tutti!
Brancaccio, da buon allievo di Graziani, ha anticipato sempre tutti. Quando scriveva che era opportuno ragionare su una uscita dal mercato unico europeo e non solo dall'euro, quel ricottaro di Bagnai diceva che il "protezionismo" era una cosa troppo estrema. Adesso che Cipro e il Regno Unito ne discutono, la questione della crisi del mercato comune europeo diventa di attualità. Prendiamo spunto da questo giovane, grande studioso che fa onore al Mezzogiorno senza pretendere di tirarlo dalla giacchetta, e lasciamo perdere i mediocri economisti che si atteggiano a pagliacci della politica.
RedWolf
Io veramente non li sopporto questi discorsi da stadio: Sì Brancaccio è bravo ma non ha mai mandato lanciato una bestemmia quando faceva il chirichetto in chiesa, sì Brancaccio tifa Napoli ma non ha mai partecipato a una rissa con gli ultrà del Milan, sì brancaccio è bravo ma è educato, non ha mai alzato il dito medio, non ha mai reso cornuto nessuno, non ha mai partecipato a una gara di rutti, ecc...ecc....
Si capisce che per la gggggggente un tipo del genere è alquanto sospetto. Ma giustamente quando gli italioti sono convinti che la vita si impara andando ai tè danzante o allo stadio la domenica a fare i babbalei, queste sono le conseguenze.
Brigadoon
Non vorrei aver avviato con la mia futile osservazione una tifoseria pro/contro Brancaccio, che non serve a niente e a nessuno.
Averlo a Chianciano è sicuramente un valore aggiunto fondamentale, da sfruttare al massimo per la causa comune dell'uscita dal guado del nostro Paese e non solo.
Siamo già ridotti in macerie e non è ancora finita l'opera di distruzione. Arrestare tale processo ed avviare la ricostruzione è indispensabile, si tratta però di capire come è possibile farlo e decidere, nell'arco delle possibilità reali, qual'è il modo giusto per farlo. Cosa che Brancaccio ha già battezzato da tempo "uscita da destra/uscita da sinistra", un modo un po' rozzo, insufficiente ma efficace per poter intavolare un discorso significativo.
Oppure un CLN "economico", in cui diavolo ed acqua santa congelino il loro naturale antagonismo per il bene comune di tutti.
E' ormai evidente, più che altro a livello europeo, che "le destre" sono partite prima e sono attualmente in vantaggio nella "gara della salvezza".
E' però altrettanto evidente che le condizioni oggettive del nostro Paese lo pongono di gran lunga in testa alla lista dei maggiori danneggiati da questo tipo di UE iperliberista.
Perciò la missione di unire le forze antagoniste al sistema e farle crescere è potenzialmente realizzabile al di là di ogni più rosea previsione, e di questa grande responsabilità occorre farsi carico nel migliore dei modi.
I trasferimenti nord-sud in Italia hanno funzionato male, ma hanno funzionato. Le sanzioni della Troika non funzionano e non funzioneranno mai per quello che dicono i vari Monti di turno.
A mio avviso in entrambi i casi le cause esterne che castrano la sovranità nazionale giocano il ruolo decisivo nell'impedire qualsiasi opera di risanamento, a cominciare da quello morale. Con questo non ci si scarica la responsabilità, anzi occorre caricarsi un peso gigantesco, la gestione della fine degli imperi.
Alberto Conti
caro bvzm1
Che sei per soggiacere alla pistola alle tempia dell'euro passi ma paragonare Brancaccio e Scalfari questa è proprio una volgare cazzata.
A Bagnai abbiamo rivolto diverse critiche, ma certo non "starnazza", come invece fa Lei, senza portare infatti uno straccio di argomento serio.
1) una moneta unica ha IN SE' un profilo ultraliberista, avrebbe fatto danni anche in presenza di dettagli dei trattati meno liberisti.
2) il "vincolo esterno" non poteva funzionare, perchè la struttura economica di un paese deriva da fattori culturali, storici, geografici, climatici e geologici assolutamente immodificabili.
3) una riforma dei trattati in senso meno liberista, volta ad aiutare fiscalmente i paesi in difficoltà, sarebbe assolutamente insufficiente a frenarne la desertificazione produttiva, così come fu insufficiente in italia tra nord-sud: l'italia starebbe alla germania come la calabria sta alla lombardia, ma mi pare che i lombardi sono più benestanti dei calabresi.
4) tutte queste cose erano chiare già negli anni 60-70 a economisti con un grado normale di intelligenza.
antonio.
Redazione
Che si pensi che starnazzi va anche bene, (sarebbe carino capire dove e quando, ma insomma anche voi fate quel che potete); che si pensi che sia per "la pistola alla tempia" può andare benissimo (visto che sono riusciti - con il vostro aiuto - a creare un pericolo maggiore) anche se non è vero; ma che si legga quel commento come un assimilazione di Brancaccio a Scalfari fa solo torto alla vostra intelligenza. Pi di qualunque cazzata
bvzm1
Bravo antonio, grazie per i tuoi lumi. Non ti preoccupare che gli economisti di media intelligenza li conosciamo bene, anche Brancaccio, tranquillo.
Ma poi vieni a dircele tu queste cose, che in un vecchio post avesti una discussione con D'Andrea in cui tu ritenevi che il controllo dei capitali non servisse a una ceppa perché L'Argentina... il Maracanà.... Pelè Garrincha, il mago do nascimento, ecc...ecc.....
e poi vieni qui a fare la critica ai liberisti e agli altri di non capirci niente.
Bene, allora ti racconto un aneddoto: LA FINE DEL CONTROLLO DEI CAPITALI E' STATO VOLUTO DAI LIBERISTI, e non ci vuole molto per capirlo. Basta un economista o uno storico economico di media intelligenza per capirlo.
William Wilson
@Alberto. Secondo me quando si parla di uscita da destra/sinistra si fa un grande equivoco. Questa è solo una concettualizzazione, che vuole indicare due modi diversi: o fare un programma di controllo e limitazione dei capitali e tutela delle classi povere o lasciare che le libere forze del mercato facciano la loro (ig)nobile strada.
Questo non significa che solo una forza può fare un modo di uscire e un'altra deve fare perforza l'altra via. Chinuque in teoria può proporre l'uscita da sinistra. Perfino Berlusconi.
Mi sono spiegato?
VIANDANTE
willy wilson,
1) simpatico il tuo umorismo su pelè e garrincha, ma non va oltre il mezzuccio retorico volto a offendere l'interlocutore, atteggiamento poco scientifico e poco materialistico.
2) il fatto (vero) che il liberismo non vuole il controllo dei capitali non inficia qui i 4 punti che ho elencato.
3) io non sono contrario a priori al controllo dei capitali, dico solo che secondo me non funzionerebbe.
antonio.
antonio,
E il mago do nascimiento no? :)))))))
Comunque la mia intenzione non era offendere, era per buttarla sullo sfottò, se ti sei offeso me ne scuso.
Sai quel'è il fatto? E' che mi sono stufato di sentire persone che dicono "non non si può fare così, perchè sennò viene il partenone mannaro a mangiare i bambini, quindi paga l'IMU e taci" oppure cose del tipo "No, non si può applicare la MMT, no Keynes è un cazzaro del '900, siamo nel 2000, non possiamo fare la fine dell'Argentina, quindi meglio finire come la Russia degli anni '90" (già la Russia degli anni '90 dove i liberali si mangiavano i bambini, e non in senso figurato, ma veramente).
Con questo non voglio dire che tu proponga per l'Italia una soluzione simile a quella russa, ma personalmente se devo scegliere preferisco fare la fine dell'Argentina che la fine della Russia degli anni '90.
William Wilson
wilson,
io posso compendiare forme MOMENTANEE di controllo dei capitali in caso di uscita dall'euro.
invece condanno decisamente il controllo dei capitali "strutturale e permanente" volto alla "repressione finanziaria" di cui parla il farneticante d'andrea.
un certo marxismo (in questo in compagnia di simpatici compagni di merende come fascisti e iperanarcocapitalisti) non ha capito che i tempi sono cambiati rispetto a 50 anni fa, non ha capito che oggi LA GRAN MASSA DI PERFIDA RENDITA E' IN MANO (direttamente o per interposte banche, stati, fondi pensione, ecc.) ALLE CLASSI MEDIOBASSE, ed è frutto dei risparmi che sono il frutto delle LOTTE che fecero salire i salari al di sopra della mera sussistenza.
d'andrea dice che i prestiti sono dai ricchi ai poveri: è pazzo!
nel capitalismo moderno gli indebitati (che lui vuole favorire) sono gli imprenditori!
d'andrea e molti altri sono rimasti a 50 o 150 anni fa... oppure devo pensare male, ovvero che dietro certe idee ci siano gli interessi di una certa parte di imprenditoria?
i risparmiatori sono GIA' ampiamente vessati: ma dove minkia la vedete sta rendita??????
ma secondo te chi ha VERAMENTE i soldi li investe in btp o obbligazioni societarie guadagnando, togliendo imposte e inflazione, tra il -1 e +1%?
quindi diciamo la verità: si vuole RAPINARE il risparmio.
d'andrea dice "non è giusto l'interesse"... lo diceva pure baffetto... lo dicevano pure i massacratori inquisitori cattolici, lo dice oggi il fascismo islamico.
tu ti sei stancato? io mi sono strastancato di fascisti travestiti da compagni che pretendono, ergendosi a divinità, di decidere cosa è giusto e ingiusto, al di fuori della LOGICA e dalla natura delle cose.
ma per fortuna contano come il 2 di coppe...
caro d'andrea, PAGA i debiti che hai e non rompere.
antonio.
(p.s. a proposito degli "interessi negativi" del d'andrea)
wilson,
conosci direttamente i costumi indios? io sì. allora, vai in un villaggio, c'è un indio che ha una canoa (kattivone proprietario!) e che oggi non la usa. tu la vuoi usare per pescare. lui te la dà e tu peschi 10 pesci, torni, gliela ridai.
a questo punto l'indio vuole 2 pesci che tu hai pescato ma tu gli spieghi "a belli capelli, tu sei un perfido rentier parassita, inoltre io ti ho custodito per un giorno la canoa, quindi TU devi darmi 2 pesci".
io dico che ti prendono e fanno tiro a segno con le frecce al curaro...
antonio.
Ciao Antonio,
per ravvivare un po' il dibattito, potresti dire quali forme di controllo momentanee introdurresti in caso di uscita dall'euro? In generale, riproporresti oggi -con i dovuti accorgimenti- la legge bancaria del 1936, con ad esempio la separazione tra banche d'investimento e banche commerciali, la segmentazione settoriale del credito, ecc?
Per curiosità poi: che tu sappia chi ha veramente i soldi dove li investe? Non so infine di preciso cosa sia la "repressione finanziaria" di D'Andrea, comunque se ci riferisce ai rendimenti dei titoli di debito pubblico non andrebbe fatto a tuo avviso qualcosa per ridurre la spesa per interessi che, in presenza di 20 anni di avanzo primario, mi sembra siano la voce responsabile dell'ascesa del debito pubblico?
Forse ho messo tanta carne sul fuoco, comunque mi interesserebbe conoscere meglio il tuo pensiero e le tue eventuali proposte. Ciao
Lumumba
@antonio, veramente i debiti sono anni che si pagano a colpi di avanzi primario e qua non è una questione di essere contro il tasso d'interesse, si vuole solo sottrarre l'Italia dal speculazione finanziaria, che può piacere o non piacere, a me piace, per esempio.
anonimo 7.49,
secondo me il debito dovrebbe servire a finanziare la partecipazione statale nell'economia produttiva, la quale deve dare utili maggiori del tasso d'interesse sul debito. in questo modo gli interessi non vanno ad aumentare il debito.
se invece:
- il debito si usa per coprire attività assistenziali (es. voragini inps)
- il debito finanzia attività produttive in perdita (es. alitalia)
si presenta il problema che dici (che comunque oggi è molto inferiore a 20 anni fa).
ma se si verificano le 2 gravi inefficienze che ho scritto, che colpa ne hanno quei kattivoni che ti hanno prestato i soldi?
antonio.
lumumba,
lascio stare eventuali momentanei controlli dei capitali che non è detto abbiano successo e non è detto che siano utili (rispetto a quali fini?).
qua il problema è più grave, il problema è che "certa gente" mi pare che voglia usare l'uscita dall'euro col vero fine ultimo di soddisfare la sua eccitazione erotica intorno al termine "espropriare" (= rubare).
questa la "repressione finanziaria":
http://www.appelloalpopolo.it/?p=8958
vi ricordo che:
1) chi ha veramente i soldi li ha nei paradisi fiscali da quel dì (quindi al massimo reprimi i fessi) e investe in particolari tipi di fondi ("edge" o "private") che sono sbarrati ai comuni mortali (tramite soglie di capitale di accesso alte) e rendono il triplo.
2) i tassi reali negativi sono stati la causa delle bolle (immobiliari e altro) degli anni 2002-2008, ovvero di pessime allocazioni degli investimenti. se tu erodi artificialmente il risparmio questo tenta di riversarsi in settori errati. e voglio vedere come fai, dopo avere represso il risparmio, a costringerlo col fucile a riversarsi su settori utili.
poi che un'autorità statale sia esperta e onesta abbastanza per gestire efficientemente certe cose è tutto da vedere...
3) distruggere i risparmiatori (lavoratori dipendenti) significa che l'opera di investimento verrà effettuata solo dagli imprenditori...
4) i tassi negativi sono ingiusti, inopportuni, fuori dalla logica. in certi momenti (improvvise esplosioni inflattive) si verificano naturalmente... ma pianificarli strutturalmente e giuridicamente è un obbrorio, un suicidio economico.
5) non mi pare che la repressione finanziaria fino agli anni 90 abbia evitato crisi, sconquassi vari sul cambio o fughe di capitali (basta guardare i cambi storici lira/dollaro o marco). ma infatti NON E' la stabilità economica il fine della repressione finanziaria made in d'andrea $ c.
antonio.
Ciao Antonio,
correggimi se sbaglio, ma mi sembra che negli anni 80 non ci sia stata alcuna repressione finanziaria. Anzi è in quegli anni che il debito pubblico cresce esponenzialmente per effetto sia della politica monetaria USA di alti tassi d'interesse imposta da Volcker, sia per la necessità (imposta dallo SME) di attrarre capitali per puntellare un tasso un cambio insostenibile per la nostra economia. Proprio negli anni 80 poi viene smantellata su diktat europeo tutta una serie di misure (dall'abolizione del vincolo di portafoglio e dei massimali sugli impieghi al famoso "Divorzio" Banca d'Italia-Tesoro) che negli anni 70 avevano permesso di finanziare il debito pubblico a basso costo.
Certo, fin quando negli anni Ottanta i titoli di Stato ad alto rendimento venivano collocati all'interno (per la gioia di piccoli risparmiatori ma anche di grandi imprese che si facevano prestare a bassi tassi d'interesse i capitali per impiegarli nell'acquisto di titoli ben più remunerativi...), essendo il debito pubblico la controparte del risparmio privato, l'economia nel suo complesso ne beneficiava. Rimane però il fatto che siano stati gli alti tassi d'interesse la causa dell'esplosione del debito pubblico, oggi collocato in buona parte anche all'estero.
Le tue argomentazioni hanno comunque una ragionevolezza. A questo punto però ti chiedo:
1) È opportuno a tuo avviso tentare di ridurre il debito pubblico? Sicuramente c'è anche un problema di efficienza della spesa pubblica (sull'INPS ricordo che i suoi deficit derivavano in particolare dal finanziare le ristrutturazioni produttive delle grandi imprese, ed adesso versa in grave crisi a causa dell'incorporazione di un Inpdap in forte deficit grazie all'evasione contributiva dello Stato...), però è da 20 anni che l'Italia registra un avanzo primario, e che il problema, mi pare, sia sempre la spesa per interessi.
2) In uno scenario di politica economica libera dal cappio europeo, bassi tassi d'interesse non potrebbero comunque favorire un processo di espansione economica? Quali sarebbero le tue linee guida di politica monetaria?
Grazie della disponibilità.
Lumumba
http://www.unich.it/docenti/bagnai/blog/Cat_01.JPG
http://keynesblog.files.wordpress.com/2013/06/sp-reale-netto.png
1) negli anni 80 il debito aumentò del 60% mentre la spesa al netto degli interessi del 50%, quindi non furono gli interessi i maggiori responsabili.
erano invece gli anni delle mega infornate di dipendenti pubblici...
come vedi anche negli anni 60 i tassi erano positivi al pari degli anni 80.
l'andamento dei tassi reali è inversamente proporzionale a quello dell'inflazione. durante gli shock inflattivi degli anni 70 il debito A LUNGO TERMINE dovette essere emesso a tassi alti, negli anni 80-90 l'inflazione crollò mentre quel debito continuava a pagare tassi alti. solo per questo i tassi reali erano fortemente positivi. si può ovviare all'inconveniente emettendo debito a tassi variabili o ancora meglio indicizzato all'inflazione.
2) l'inps è il vero unico problema nazionale. raccoglie 2 e spende 3, 110mld di buco quest'anno, soldi che devono essere presi ai cittadini che lavorano. il problema sono i milioni di pensionati che per decenni hanno versato troppo poco per poco tempo e ricevono troppo e per troppo tempo. ma non possono essere toccati perchè votano per "certi partiti". nessun paese al mondo ha una % di pensionati e una quota di pil a loro sacrificata come l'italia.
3) a mio avviso si potrebbe ridurre progressivamente il debito uscendo dall'euro (e svalutando), senza tagliare niente, per il semplice effetto del pil positivo e di un'inflazione n'anticchia maggiore.
qualche risparmiatore con quote di debito a lungo, emesso a tassi bassi, momentaneamente ci rimetterebbe, ma il nuovo debito può essere tranquillamente emesso a tassi reali leggermente positivi. basta che questo debito poi venga usato in attività produttive il cui valore aggiunto è uguale o maggiore al tasso reale.
ma insomma, un imprenditore (lo stato in questo caso) deve essere profondamente scemo o corrotto per non ottenere utili almeno uguali a un tasso reale (esempio) del 2%!
qualche investitore straniero ci rimetterebbe sul cambio, ma questo fa parte del gioco, e se non è ritardato non avrà investito grosse quote sul debito piigs e avrà anche quote in monete che si rivalutano.
4) non mi fido di sti pseudocompagni che "tagliamo, espropriamo". ne conosco tanti, tutti prof universitari, imprenditori, professionisti, dirigenti statali, tutta gente da 5000 al mese in su, gente che con la classe bassa non ha nulla da spartire.
vorrei vedere sti compagni se sarebbero disposti ad affittare una delle loro case e PAGARE LORO un affitto all'inquilino perchè gli fa il favore di custodirgli la casa (stessa cosa dell'interesse negativo)!!!
chi sostiene ste bestialità dovrebbe essere internato in manicomio.
antonio.
Antonio,
sul rapporto debito pubblico / interessi mi sembrano più completi i riferimenti, i dati e le tabelle riportati in questo sito, da cui se ne ricava che gli interessi hanno determinato in modo fondamentale il debito pubblico (che, ripeto, non costituiva un problema finché questi era collocato all'interno dell'Italia ed emesso in lire...):
http://leprechaun.altervista.org/debito_pubblico_italiano.shtml
Dalla tua ultima risposta, comunque, si ricava indirettamente che bassi tassi d'interesse favoriscono l'azione di "risanamento" del debito, quando questi sono appunto più bassi del tasso di crescita. Si può conciliare questa necessità con la tutela del risparmio? In ogni caso, se ho ben compreso, tu sostieni che non occorra effettuare operazioni di cancellazione del debito, bensì ridurne il peso grazie ad un PIL che crescerebbe svincolato dai vincoli europei.
L'INPS poi addirittura come "il vero unico problema nazionale": saremmo a cavallo se fosse veramente "l'unico" problema che abbiamo! E poi prendersela con i pensionati, che addirittura "toglierebbero risorse" ai "cittadini che lavorano"; dimenticando la solidarietà inter-generazionale stabilita con il sistema previdenziale a ripartizione...; dimenticando le enormi regalie elargite alle grandi imprese con cassa integrazione, prepensionamenti, ecc.; dimenticando la gestione degli immobili degli enti previdenziali e le operazione di cartolarizzazione, e soprattutto l'incorporazione dell'Inpdap che, parola del presidente Mastropasqua, a causa dei mancati versamenti dei contributi sui lavori dipendenti da parte dello Stato sta portando al fallimento l'INPS. Antonio, mi sembra che su questo punto ti sia pienamente allineato alla propaganda "ultraliberista": i "privilegi" dei pensionati, la spesa pubblica come male assoluto...
Sicuramente c'è un problema di efficienza e di sprechi sulla spesa pubblica, inutile negarlo. È un problema che va affrontato, indubbiamente, ma al momento è secondario rispetto alla priorità costituita dai vincoli europei che ci stanno soffocando, ne convieni? Capisco infine che certi "pseudocompagni" ti possano mettere paura con le loro follie dirigiste. Però da qui a prendersela con lavoratori (i pensionati di domani) e pensionati...
Lumumba
1) sì, io sono per una riduzione del debito tramite crescita, senza default e senza tassi negativi.
2) secondo me nessuna ideologia o forza politica è portatrice di tutte le verità o tutte le falsità. se i liberisti dicono che la struttura inps è assurda, in questo hanno ragione. comunque non è come dici tu, cig e inpdap sono problemi minoritari, c'entrano poco coi 110 mld di buco annuale. la "solidarietà intergenerazionale" è retorica, si è arrivati all'assurdo che i giovani pagano contributi al 45% del lordo!
il sistema, o a ripartizione o contributivo, deve essere almeno in pareggio.
io scorporerei la gestione assistenziale (che coprirei con le tasse) da quella previdenziale che deve essere coperta integralmente dai contributi.
io sono A FAVORE della spesa pubblica, ma l'inps è un assurdo.
3) convengo che l'euro è il problema principale. non me la sono mai presa coi lavoratori.
me la prendo invece coi pensionati che versarono 400/mese per 20 anni e ricevono 2000 per 60 anni (40 loro e 20 la vedova).
antonio.
lumumba,
"certi "pseudocompagni" ti possano mettere paura con le loro follie dirigiste"...
no, è che tutti i compagni che conosco sono degli ipocriti con una barca di soldi che non vengono da una stirpe di braccianti come me.
"famo a rivoluzzzzzione!"... e poi:
- compagno A: prof universitario da 6000 al mese
- compagno B: proprietario di 7 appartamenti
- compagna C: negozio + centro massaggi shatsu + psicologa da 80 euri l'ora.
evasori fiscali naturalmente.
però vogliono colpire i kattivi "rentiers"...
alla fine vincono sempre gli stessi.
poi ci lamentiamo che gli operai votano berlusca o le pen...
antonio.
http://keynesblog.com/2013/12/04/i-tassi-sotto-zero-congelano-la-deflazione/#comment-12364
antonio.
Antonio,
a me risulta che l'incorporazione dell'Inpdap stia dando il colpo di grazia all'Inps, grazie all'evasione contributiva di quello Stato che poi fa la voce grossa contro "l'evasione fiscale". A me risulta poi che i contributi dei lavoratori basterebbero per sostenere il pagamento delle pensioni. Ed "i pensionati che versarono 400 euro al mese" saranno comunque una percentuale esigua. Il problema è che all'Inps gli hanno addebitato prestazioni di vario genere, tra cui quelle assistenziali che, come dici bene anche tu, andrebbero addebitate alla fiscalitá generale. Poi se ci mettiamo la "crisi" con licenziamenti e forte calo dei contratti a tempo indeterminato, quindi dei contributi...Comunque per capire, dato che potrei anche io essere in errore: tu quali proposte avresti per riformare l'Inps? Quali sono stati i passaggi principali che hanno portato l'Inps a questo stato? Le riforme Amato, Dini, Prodi, ecc., in questo contesto, che ruolo hanno giocato?
Lumumba
(ASCA) - Roma, 5 dic - L'Inps ha chiuso il 2012 in rosso, con un disavanzo di 9,8 miliardi di euro. Il saldo negativo tra entrate e uscite e' da imputarsi all'incorporazione dell'ex Inpdap, l'Istituto di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, e l'ex Inpdai, cioe' il fondo per le pensioni dei dirigenti d'azienda. In buona sostanza l'Inps e' in larga misura creditore dello Stato che gli ha accollato una gestione non sorretta da adeguate risorse. Nel dettaglio, il totale delle uscite ammontano a circa 392 miliardi e, di queste, le prestazioni istituzionali, pari a 296 miliardi, coprono il 75% circa di tutte le uscite. A fronte di queste uscite, il totale delle entrate si colloca attorno a 382 miliardi, di cui 306 miliardi di entrate correnti e 20 miliardi di entrate in conto capitale. Dei 306 miliardi di entrate correnti, 208 miliardi derivano dai contributi pagati dai datori di lavoro e dai lavoratori dipendenti e autonomi. I trasferimenti che lo Stato e gli altri enti pubblici erogano all'Istituto ammontano a circa 94 miliardi pari al 24,6% di tutte le entrate dell'Istituto. Dal Bilancio Sociale presentato oggi a Roma emerge che nel 2012 la spesa pensionistica lorda complessiva dell'Inps e' stata di 261,5 miliardi di euro. La cifra e' data dalla somma della spesa previdenziale (236,7 miliardi di euro, pari al 90,5% del totale), che serve direttamente a coprire le posizioni contributive, e quella assistenziale (24,8 miliardi di euro, pari al 9,5%), che copre gli interventi dello stato sociale, il cui onere e' sostenuto integralmente dallo Stato. Con riferimento alla tipologia di pensione goduta, nel Bilancio si evidenzia che il 55,3% dei pensionati riceve una pensione di vecchiaia o di anzianita', con un assegno mensile di 1.417 euro. Lo rende noto l'Inps nel Bilancio Sociale 2012, dove si legge che la quota dei titolari di sole pensioni ai superstiti e di invalidita' e', rispettivamente, pari al 9,2% (856 euro mensili) e 3,8% (789 euro). Il 9,1% dei pensionati percepisce una pensione di tipo assistenziale, con un importo medio di 488 euro al mese; il 12,8% una pensione di tipo Ivs (Invalidita', vecchiaia e superstiti) con 1.466 euro; mentre il 9,9% cumula prestazioni di natura sia previdenziale che assistenziale (1.472 euro).
l'inpdap ha scaricato sull'inps 10mld di buco, piccola parte dei 110 totali di buco del 2013.
per me le pensioni andrebbero tagliate di netto, a partire dai 1500 al mese e con % progressive. oppure stabilire un tetto massimo di pensione a prescindere dai contibuti, come negli usa, dove anche chi ha contribuito un botto non prende più di 2500$ (oddio, questo si sarebbe dovuto fare dall'inizio).
antonio.
una cosa interessante:
https://img.timetric.com/index/italy-net-household-saving-rates-oecd-eo.png
il risparmio è perfettamente correlato con la QUOTA SALARI del prodotto nazionale.
antonio.
Grazie delle precisazioni Antonio, buone cose
Lumumba
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