sabato 28 luglio 2018

QUAL È LO SCONTRO DECISIVO? di Alessandro Chiavacci

[ 28 luglio 2018 ]



Non è nostro costume pubblicare interventi che attengono alla vita interna della nostra organizzazione. Facciamo un'eccezione con questo denso contributo critico del compagno Chiavacci poiché non solo riteniamo cogenti le questioni di cui tratta — natura e giudizio sul governo giallo-verde, politiche economiche keinesiane e/o liberiste, funzione dello Stato, quindi la questione dell'immigrazione — non solo perché ne condividiamo la sostanza, ma anche perché riteniamo che quanto Chiavacci sostiene sia rilevante per tutta la sinistra patriottica.  Siccome il Comitato centrale di P101 è chiamato in causa, sarà esso a rispondere.

UNA PROPOSTA A P101

Agli inizi di luglio avevo proposto, al neo eletto ufficio politico di P 101 di promuovere, prima fra le forze sovraniste, poi, successivamente, verso il governo, una campagna per chiedere una commissione d’inchiesta interparlamentare sul ruolo delle cosiddette “Ong” nei riguardi della immigrazione. La mia richiesta si basava sul fatto che il problema della immigrazione clandestina verso l’ Italia non si riduce a quello della risposta da dare ad una immigrazione spontanea da diversi paesi africani, ma riporta ad un progetto sovranazionale ispirato dalla finanza sovranazionale, con sostegni diversi, di cui le Ong sono strumenti e soggetti.

La richiesta di una commissione d’inchiesta parlamentare sulla questione mi sembrava del tutto comprensibile. In più, io auspicavo che la commissione d’inchiesta fosse INTERPARLAMENTARE, cioè coinvolgesse i parlamenti di molti dei paesi coinvolti dalla questione delle migrazioni, sia europei (in primis al gruppo di Visegrad, all’Austria, alla Slovenia, alla Macedonia e potenzialmente anche alla Russia, nord africani (ovviamente la Libia, eventualmente anche Tunisia, Algeria, Egitto e i paesi di provenienza del flusso migratorio. Non mi chiedete come avrei fatto io a coinvolgere questi paesi: la nostra restava una proposta che, una volta ottenuto il consenso del governo, sarebbe marciata sulle gambe dei governi e non sulle nostre.

L’assunzione alla base di questa proposta era evidentemente il riconoscimento che sul tema delle migrazioni si gioca una partita mondiale, che va ben al di là della pur giusta scelta di Salvini di opporsi agli sbarchi delle Ong, e che riguarda un confronto mondiale fra sovranismo e forze globaliste.

Il Comitato centrale della nostra organizzazione che si occupava dell’argomento era il 23 luglio. La conclusione che mi è stata riportata, è che, benché sia apprezzato e condiviso l’intento della proposta, gli organi dirigenti di P101 ritengono che lo scontro fondamentale sarà a settembre al momento della presentazione del Def [quindi la Legge di bilancio, NdR]. In altri termini, secondo P101, lo scontro fondamentale sarà sulla violazione dei vincoli europei riguardo deficit e debito pubblico.

Il Documento di Economia e Finanza è il documento che ogni governo è obbligato a presentare alla Commissione Europea con cui dichiara le intenzioni per i prossimi 3 anni. Nel Def 2017, l’ultimo politicamente significativo del governo Gentiloni, le cifre relative all’indebitamento netto dello Stato italiano sono dell’1,6% del Pil per il 2018, dello 0,9% per il 2019 e del pareggio di bilancio per il 2020.

Le cifre indicate nel Def sono significative ma non del tutto impegnative per i governi in carica. Infatti per il 2017 il deficit pubblico effettivo è risultato del 2,3% anziché dell’1,9 originariamente previsto a causa, secondo Padoan, delle crisi bancarie, mentre il Def “a legislazione corrente” presentato dal governo Gentiloni ad aprile per il 2018 prevede già un deficit pubblico dell’1,8% contro l’ 1,6 previsto.

L’abbassamento delle stime di crescita per il 2018, dall’ 1,5% previsto dal governo Gentiloni all’1,1 dell’ultima stima del Fmi darebbero spazio per una rallentamento della riduzione del deficit anche per il 2018 e 2019.

L’intenzione dichiarata dal governo Conte e dal ministro Tria sembrano, secondo le ultime dichiarazioni, di violare gli obiettivi previsti rimanendo comunque all’interno, per il 2019, del 3% di deficit sul Pil, e di rimandare di un paio di anni il pareggio di bilancio.

Posto che i valori del deficit previsto per il 2019 e il 2020 avrebbero comunque dovuto essere riviste al rialzo, è questo lo sconvolgimento economico che il governo giallo-verde si preparerebbe a porre in atto? E’ questa la scelta strategica che ci imporrebbe di sostenere, contro l’aggressione della Ue, le scelte di questo governo?

Io noto che l’aggressione a questo governo è già cominciata, ed è in pieno svolgimento. Ricordo che la magistratura ha bloccato “tutti i conti” riferibili alla Lega di Salvini, per un valore di 49 milioni che tale partito non ha. Il che significa che se qualche militante volesse fare una sottoscrizione questi soldi andrebbero direttamente nei fondi bloccati dalla magistratura. Il procuratore torinese Armando Spataro chiede ai giudici della costa di proibire le decisioni del ministro dell’interno volte ad impedire lo sbarco delle Ong con i migranti. Il presidente dell’ Inps Boeri è in pieno conflitto con il governo e da qualche parte si auspica la disobbedienza della Pubblica Amministrazione nei confronti del Governo. La Ong spagnola Open Arms si propone di portare in giudizio governo italiano e guardiacoste libici, ha già simulato un paio di incidenti mortali per i profughi e il servetto Fratoianni vuole imbarcarsi con le navi della Open Arms. La commissione europea porta in giudizio l’ Ungheria di fronte alla Corte di Giustizia europea per le sue posizioni sull’immigrazione. Famiglia Cristiana titola “vade retro Salvini”, Nigrizia denuncia come non cristiano il governo italiano per la posizione sui migranti, in qualche chiesa provano a proibire l’accesso ai leghisti, e, in sostanza, la chiesa cattolica, che si suppone eserciti il suo “magistero spirituale” su una inezia tipo 1,3 miliardi di individui, sta scendendo massicciamente in campo contro Salvini.

Invece, secondo P101, quale sarebbe il terreno fondamentale di scontro…? Quello della violazione dei parametri imposti dalla Ue, terreno che è incerto quanto al suo verificarsi, poco significativo nei rapporti con la Ue (che prevede sforamenti in caso di “riforme strutturali”, e la flat tax potrebbe esserlo), poco rilevante sul suo significato economico, denso di forti possibili conseguenze negative secondo le modalità con cui tale violazione avverrebbe.

P101 immagina un forte, decisivo scontro a settembre con il ministro Tria, che pare il più sensibile al rispetto dei parametri europei, ma proprio oggi Conte nega contrasti con Tria e ribadisce “Non esiste che lasci” e “Non va considerato un elemento estraneo a questo governo”.

E poi, quali sarebbero le destinazioni del deficit che questo governo si proporrebbe di realizzare? Attualmente le ipotesi sembrano: la realizzazione della flat tax, che Tria ribadisce sarà nella prossima finanziaria, il completamento della Tav, ribadita da Toninelli e Salvini, che certo rientra fra gli investimenti, ma a me non pare fondamentale, oppure l’ipotesi sollevata da Tria di far scattare le clausole di salvaguardia sull’Iva, in modo tale da realizzare sotto apparente coercizione un trasferimento dell’imposizione da quella diretta a quella indiretta.

Tria aveva anche avanzato la proposta che la commissione Ue escludesse gli investimenti pubblici dal computo del deficit: una proposta sensata, rilevante e coerente con la teoria economica ortodossa. Ma dubito che la Commissione si lascerà convincere, e in più dubito anche della capacità di questo governo di fare investimenti in un’ottica di pianificazione economica, e infatti il solo investimento di cui si sente parlare è quello della Tav.

Il fatto che una forza sovranista di stampo socialista come P101 affidi il suo giudizio sul governo alla realizzazione di un relativo deficit di spesa secondo un’ottica più o meno keinesiana mi sembra una follia.

In un articolo pubblicato tempo fa da questo stesso blog, Sollevazione, (Ciao ciao Keynes, specie nella parte prima), avevo espresso la mia convinzione che il keinesismo avesse notevoli carenze intrinseche, e che in ogni caso non fosse uno strumento adeguato per l’azione politica socialista e sovranista.

Non ripeterò le argomentazioni di allora, che oggi dovrei anche ampliare e integrare, ma voglio andare al nucleo centrale, o più evidente, di quel discorso.

Il keinesismo rappresenta lo Stato come un compratore di beni e servizi come gli altri. Era il modo che aveva Keynes di far passare il suo discorso fra capitalisti, politici e accademici di formazione liberista. “Se lo Stato spende in situazione di crisi ci guadagniamo tutti” sembrava dire, e così faceva passare fra i capitalisti estremamente riluttanti l’idea di una parziale socializzazione dei profitti (o dei risparmi, o del plusvalore: scegliete voi) realizzata attraverso la spesa in deficit e la manovra sulla moneta. Il problema è che lo Stato, anche solo fermandosi al piano economico, NON E’, NON E’ MAI STATO un compratore di beni e servizi; e soprattutto, non lo è oggi, dopo 80 anni di stato sociale o di stato interventista.

In quell’articolo ricordavo che lo Stato è in primo luogo un produttore di norme, un legislatore; in secondo, un proprietario di aziende e di beni pubblici; in terzo luogo un produttore di servizi; in quarto luogo un redistributore del reddito; e solo in quinto luogo un acquirente di beni e servizi.

Tanto per esemplificare, e solo per rimanere alla composizione della spesa pubblica, oggi essa è rappresentata in Italia (dati Istat) all’84% da redistribuzione del reddito ( pensioni e altre prestazioni in denaro, stipendi della P.A., interessi sul debito, aiuti a famiglie e imprese) e solo al 16% da acquisti di beni, servizi e investimenti.

LA BATTUTA DI STIGLITZ

L’amico Leonardo Mazzei mi chiese allora: “Vabbè, ma sempre spesa è, no…?” No, non è così. Per spiegarlo citerò un episodio. Nel maggio 2012 Joseph Stiglitz, a margine di un convegno, ebbe uno scambio di battute con Mario Monti. “Perché, con la disoccupazione che avete, non aumentate la spesa?” chiese Stiglitz. “Abbiamo i vincoli europei sul deficit” rispose Monti “Perché, non lo conoscete il teorema del moltiplicatore del bilancio in pareggio…?” chiese Stiglitz, e Monti, imbarazzato, non seppe che replicare.

Il teorema del moltiplicatore del bilancio in pareggio, dovuto all’economista Haavelmo, dimostra come, anche se compensata da maggiore imposizione fiscale, un aumento di spesa pubblica genera comunque un aumento del prodotto interno lordo, e nella stessa misura dell’aumento di spesa (il moltiplicatore del bilancio in pareggio è infatti uguale a uno). Il problema è che questo non vale se la spesa si compone di redditi distribuiti anziché di beni e investimenti. In tal caso, occorre confrontare la propensione ad investire e a spendere dei soggetti che percepiscono il reddito con quella di chi deve pagare le imposte, e il moltiplicatore potrebbe anche assumere un valore negativo. Dunque, il sapere a chi e come si prende e a chi e come si distribuisce è di molto maggiore importanza sul “ quanto” si spende.

QUATTRO TERRITORI

Dicendo che lo Stato, nell’economia, è in primo luogo un legislatore, in secondo un proprietario, in terzo un produttore, in quarto un redistributore prima di essere un acquirente, non intendevo solo fare una critica estemporanea alle politiche keinesiane, ma individuare QUATTRO TERRITORI sui quali si può sviluppare la politica economica di un governo e dunque rilevanti per un soggetto socialista e sovranista. Cominciamo dal primo.

PRIMO TERRITORIO: LEGISLAZIONE

Questo territorio è così vasto che non sono certo in grado di trattarlo. Posso solo esporre qualche notazione che ha effetto sul reddito nazionale, sul bilancio dello Stato, e sul sistema produttivo italiano.

Il turismo, principale industria italiana, è oggi oggetto dell’attività “predatrice” dei motori di ricerca on line, di nazionalità americana, tedesca, olandese. Si tratta di Trivago, di Expedia, di Trip advisor, di Booking.com, di Airbnb e altri. Sfruttando la loro posizione oligopolistica sul mercato, questi soggetti ottengono commissioni del 15% o superiori sul valore della prenotazione. Considerando che il fatturato della ospitalità in Italia è, per il 2017, di 22,5 miliardi di euro, anche una stima prudenziale fa ritenere che oltre un miliardo di euro finisca all’estero, con perdite di qualche centinaio di milioni per l’erario.

Airbnb riferiva di gestire (ma il dato è vecchio) 200.000 bed and breakfast, sabotando, a parte le conseguenze per il reddito nazionale e per l’erario, l’industria alberghiera italiana.

Nei trasporti di linea la rete tedesca Flixbus sta soppiantando la rete italiana Baltour, organizzata anni prima dalla senese Sena.

La liberalizzazione selvaggia del trasporto taxi organizzata da Uber sta sconvolgendo le imprese locali.

Amazon sta sconvolgendo il commercio al minuto e inizia a inserirsi nel commercio di farmaci (“vi procuriamo anche la ricetta del vostro medico di fiducia…”) potenzialmente spazzando la rete delle farmacie.

La politica dei centri commerciali garantisce buoni introiti Imu ai Comuni ma elimina piccole imprese, desertifica i centri storici e aumenta i problemi di traffico. La creazione di grandi “outlet” con 150 o più negozi permette a grandi imprese multinazionali di controllare direttamente la fase della distribuzione senza creare nessuna propria rete di distribuzione, gestita con il sistema del franchising, che significa “guadagni a me, rischi a te”.

SECONDO TERRITORIO: PROPRIETÀ

Lo Stato, nelle sue varie articolazioni, è proprietario di imprese, beni pubblici, frequenze. Io vorrei vedere come il governo Conte si muoverà nei confronti di Eni, Enel, Rai, Poste e Cdp, reti di telecomunicazioni, reti autostradali, risorse idriche, minerarie , spiagge e nei confronti delle 10.000 (pare) società municipalizzate.

TERZO TERRITORIO: PRODUZIONE DI SERVIZI, OVVERO AUTORIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

Una delle carenze della contabilità nazionale, costruita dai keinesiani con concetti liberali è l’incapacità di valutare il prodotto della Pubblica Amministrazione, che infatti viene valutato sulla base dei costi, presupponendo che una ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e materiali sia già stato fatto. La conseguenza paradossale è che se un governo demagogico raddoppiasse gli stipendi della P.A. senza fare alcun cambiamento il Pil della P.A. raddoppierebbe, mentre se un governo dotato di poteri magici a parità di risorse e di stipendi raddoppiasse la produzione di servizi il Pil della P.A. non cambierebbe.

Entro il governo Conte sembrano pullulare le proposte di intervento sulla P.A.: la ministra Bongiorno propone di prendere le impronte digitali per rilevare le assenze sul lavoro, dalle parti dei 5 stelle si parla di premiare il whistleblowing (cioè la soffiata) e di creare “agenti provocatori” per snidare i casi di corruzione ed i corrotti. Queste proposte, oltre ad essere insignificanti, hanno il grave difetto, dato dalle concezioni liberiste che le animano, di vedere il lavoratore della Pubblica Amministrazione, e la stessa P.A., come possibile fonte di reati anziché di vedere, sia il lavoratore che la stessa P.A. come soggetto finalizzato alla realizzazione del bene comune. Non sono le singole proposte ad essere di per sé sbagliate (magari lo sono anche), ma è proprio l’ottica che è sbagliata.

Per spiegare perché quelle proposte sono irrilevanti e sbagliate farò due esempi concreti: il caso della mia scuola e quello della società romana dei trasporti, l’ Atac.

Il caso della mia scuola

Lo scorso anno, dato che una collega membro del consiglio di istituto era andata in pensione, mi è stato chiesto di sostituirla. Visto che questi incarichi sono molto poco ambiti, la mia accettazione è stata apprezzata con plauso e sollievo dagli altri insegnanti per lo scampato pericolo.

Uno dei compiti del consiglio di istituto è l’approvazione del bilancio: un bilancio limitato perché, come è noto, gli stipendi sono pagati dal tesoro e le strutture, la loro manutenzione e i consumi spettano alla provincia.

Guardando il bilancio, assieme alla dirigente, abbiamo individuato un caso di utilizzo improprio delle risorse di 43.000 euro: di per sé non granché, ma comunque il 10% del nostro bilancio. Si trattava di questo: l’ Ufficio Scolastico Regionale, per ragioni a noi ignote, aveva deciso di appaltare i servizi di pulizia di un certo numero di scuole, compresa la nostra, ad una società esterna, con la conseguenza che i nostri bidelli erano costretti all’inattività. D’intesa fra dirigenza, consiglio di istituto e RSU abbiamo chiesto all’ Ufficio scolastico regionale di rivedere tale assegnazione.

Capisco che qualcuno dirà che quella dell’USR era una misura assistenziale (specie per quella società) e un modo per espandere la spesa pubblica assistenziale. Il fatto è che la nostra scuola aveva dovuto rinviare di un anno, per mancanza di fondi, la realizzazione del registro elettronico, i fondi per i corsi di recupero e per i corsi di alfabetizzazione non ci sono, la carta igienica e quella per le fotocopie ci sono a giorni alterni.

Se racconto questo caso non è per vantare la nostra attività, ma per dire due cose: la prima è che anche in un settore cronicamente sottodotato di risorse come quello della scuola, ci sono sprechi. La seconda è che le scuole pubbliche e private, in Italia, sono 67.000. Escludendo le scuole private, quelle dell’infanzia gestite dal Comune, e considerando che le singole scuole sono normalmente raggruppate in istituti che hanno l’autonomia di bilancio, le istituzioni scolastiche sono 8288. Ci sono poi i bilanci del ministero, quelli degli uffici scolastici regionali e provinciali e quelli di altri istituti vari, nazionali e regionali, comunque legati alla pubblica istruzione. Quindi, nel solo settore della istruzione, i bilanci sono probabilmente vicini a 9.000. Ci sono poi i settori della Università e della Ricerca, anch’essi dipendenti dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Miur). Fatta una stima ragionata, si può valutare che in un solo ministero, quello della Istruzione, Università e Ricerca i bilanci siano fra 15.000 e 20.000. Pensate che le proposte della Bongiorno sulle impronte digitali, o quelle penta stellate sul whistleblowing e sugli “agenti provocatori” possano avere qualche efficacia…? E quelle di qualche ministro che da Roma, a scadenze regolari, propone “tagli lineari” a questo o a quel ministero…?

Il caso Atac

L’azienda romana dei trasporti pubblici, l’ Atac, è in crisi da diversi anni. Nel 2017 vanta un deficit di 200 milioni di euro su un bilancio di 1100 milioni di euro, un debito di 1,5 miliardi, una flotta di veicoli senescente in cui i mezzi nuovi sono spesso “cannibalizzati” per trovare i pezzi di ricambio per quelli vecchi perché le aziende fornitrici non forniscono più i ricambi necessari, dato che l’azienda è in ritardo con i pagamenti. Molte corse vengono soppresse, i contratti di servizio violati e il Comune si assume per ora l’onere delle penalità comminate dalla regione.

In questa situazione, i radicali hanno proposto, a norma dello Statuto Comunale, un referendum per la privatizzazione dell’ Atac, cioè per l’assegnazione con una gara di appalto del trasporto pubblico di Roma.

Ora, qualcuno pensa che un nuovo amministratore, dotato di luminose capacità gestionali, di un alto senso civico e di sprezzo per il lucro sia capace di individuare e risolvere in modo significativamente migliore degli amministratori precedenti i problemi del trasporto pubblico di Roma…?

Ma per piacere! L’unica possibile soluzione dei problemi dell’ Atac sta nell’interpellare i suoi 12.000 lavoratori. Non le sue rappresentanze sindacali, che hanno già dato prova delle loro qualità di sottomissione e di collaborazionismo in passato (basta chiedere ai lavoratori), ma proprio i lavoratori stessi. Quelli che conducono gli autobus, quelli delle pulizie, quelli delle mense (ora soppresse) quelli dell’officine e ricambi, quelli della controlleria o della commercializzazione e di ogni altro settore in cui si articoli l’attività dell’ Atac.

La soluzione per l’ Atac (come per molti settori della Pubblica Amministrazione) non sta nell’attendere un nuovo e illuminato amministratore, né nell’attendere passivamente i propri diritti sindacali, ma sta nel farsi della classe operaia classe dirigente. E’ quello che aveva capito Gramsci quando nella Torino del dopoguerra lanciò i Consigli di fabbrica contro le vecchie Commissioni Interne. Consigli di fabbrica, non RSU. Consapevolezza organizzata dei lavoratori, non referendum. Potere operaio, non sindacalismo.


QUARTO TERRITORIO: REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO

Anche in questo territorio non posso che dare delle notazioni. Per questo, come per altri settori dell’intervento dello Stato, sarebbero necessarie commissioni tecniche specifiche.

Do per scontato che i lettori di Sollevazione rifiutino la “flat tax”. A parte i problemi di equità, il progetto Siri a cui le proposte concrete del governo giallo verde faranno più o meno riferimento ha il problema dell’insostenibilità, visto che 50 miliardi di copertura sono previsti dall’entrata “una tantum” della pace fiscale, e il problema fondamentale che favorisce i soggetti che risparmiano, tesaurizzano e esportano il denaro all’estero anziché quelli che consumano e investono. Agli elettori della lega, convinti di lavorare fino ad un certo giorno di giugno per lo Stato, andrebbe spiegato che lo Stato redistribuisce in forma di reddito verso le persone il 65% dei suoi introiti, un 16% lo spende acquistando dai privati beni e servizi (e dunque ne aumenta il fatturato) e ne “consuma” come reddito per i suoi dipendenti solo il 19%. (Istat, Contabilità nazionale).

Parlare dell’elemento “redistribuzione del reddito” nel ruolo dello Stato significa anzitutto parlare di sistema fiscale, e io non ne parlerò adesso per non dire quattro banalità, ma anche degli stipendi dei dirigenti pubblici, e delle loro liquidazioni. E’ probabile che le liquidazioni di due o tre dei manager di Stato o di qualche banca posseduta dalle Fondazioni equivalgano al peso della manovra sui vitalizi. Del resto, anche i manager delle 10.000 società municipalizzate non lo fanno gratis.

CONCLUSIONI

I dirigenti di P101 hanno deciso di non considerare prioritaria la proposta relativa alla commissione d’inchiesta sul rapporto fra Ong e migrazioni, ignorando che è su quella che si sta svolgendo contro il governo italiano, e proprio adesso, una battaglia di portata micidiale. Propongono invece di sostenere il governo giallo verde in un presumibile scontro con l’ Europa e i suoi vincoli (che ovviamente anch’io auspico e sostengo) ma a prescindere dai contenuti economici pratici di tale rottura; mentre secondo me le forze socialiste e sovraniste dovrebbero certo sostenere questo governo come risultato della rivolta popolare contro i vincoli posti dell’ Europa, ma con una proposta economica propria, e su quella base confrontarsi e scontrarsi con il governo. Una dialettica con il governo giallo-verde è necessaria, ma per instaurare una tale dialettica bisogna prima costituirsi come Antitesi.


5 commenti:

gengiss ha detto...

Il protezionismo è ( può essere) di sinistra.
Dopo 30 anni di tabù possiamo ridire l’ovvio.

https://coniarerivolta.org/2018/07/20/i-dazi-di-trump-ovvero-il-protezionismo-al-servizio-dei-profitti/

Anonimo ha detto...

@ gengiss [sic]

Il protezionismo non è necessariamente di sinistra. Può non esserlo affatto. Trump è un capitalista come un altro. Sarà anche divertente vedere i liberal avere un travaso di bile al giorno, ma il suo protezionismo ha solo lo scopo di ripristinare i profitti di certi settori del capitalismo americano. Si badi bene che dopo l'incontro con Juncker, il Donald ha già fatto marcia indietro su alcune sue decisioni. E poi nessun si faccia l'illusione che le produzione riportate in America riportino anche condizioni di paga e lavoro come quelle di decenni fa.


@ Alessandro Chiavacci

Molti spunti interessanti, anche se ci sarebbero degli appunti da fare, soprattutto sull'interpretazione di Keynes. A mio parere, non va buttato affatto via. Ma qui apriremmo un discorso troppo lungo e troppo tecnico.
Tuttavia è apprezzabile che finalmente qualcuno sfati il tabù delle amministrazioni pubbliche. La cosa migliore da fare sarebbe riconoscere che, per decenni e, seppure in modo limitato dalle ristrettezze di bilancio, ancora oggi, la PA è in gran parte uno strumento assistenziale e clientelare. Il compito di svolgere certi servizi fondamentali è solo l'ufficialità e, per giunta, viene spesso fatto in maniera pietosa, lentissima, cavillosa quando si vuole bloccare ad ogni costo, invece distratta quando si decide di non volere vedere certe cose... Ma la verità è che intere branche dell'impiego pubblico sono state la moneta per l'acquisto del voto da parte delle classi politiche della prima repubblica. Risultato: un settore pubblico difficilmente difendibile, privo di qualsiasi prestigio, facile bersaglio di retoriche privatizzatrici e del risentimento di molti, a volte motivato solo dal rancore e dall'invidia di chi si sarebbe voluto imbarcare per privilegi e prebende ma non c'è riuscito, ma altre volte giustificato da chi razionalmente vede una miriade di storture ed è pure spesso costretto a farci i conti.
Riguardo il caso dell'Atac, siamo certi che una compagnia di trasporti pubblici, anche se di una metropoli, abbia mai avuto bisogno di quei 12000 dipendenti? Quanti, poi, gli "amministrativi" sul totale? E che gran bella amministrazione, se questi sono i risultati? Ci ricordiamo o no che poi non ci sono quasi mai i controllori e soprattutto sugli autobus, chissà quanti sono i viaggiatori che pagano davvero il dovuto? Ovunque sia andato in giro per il mondo, si entra solo da una porta e si mostra un biglietto valido oppure si compra dall'autista. Non paghi? Ti sbattono fuori. Vengo a sapere che solo ora lo stanno "sperimentando" a Roma... Ma per cortesia!
Tornando a quei 12000, ma perché non se ne reindirizzano quanti più possibile ai municipi, che oggi sembrano non essere più in grado di gestire neanche più banalissime emissioni di carte d'identità? Serve prendere appuntamento mesi prima, quando appena cinque o sei anni fa si andava direttamente e si sbrigava tutto, anche se al costo di rimetterci una mattinata?

Dissento anche sulla presunta inutilità degli agenti provocatori e di chi faccia soffiate su illeciti e altra zozzeria. Intendiamoci: sbagliato presentare cose simili come la bacchetta magica, ma a questo punto non capisco cosa ci sia di sbagliato. Sbagliato è tollerare i giri di mazzette e l'uso sconsiderato delle amministrazioni pubbliche.

Anonimo ha detto...

Pur non facendo parte dell'organizzazione mi permetto di fare due considerazioni:
Un nuovo arco costituzionale vedrebbe le due forze al governo come il nuovo centro-destra populista. Manca completamente una sinistra populista di ispirazione socialista. Questa dovremo costruire se vogliamo lasciare un segno tangibile per il cambiamento.
Le alleanze: le organizzazione che aspirano a questo posizionamento sono divise, spesso in contrasto e/o competizione tra loro. E' arrivato il tempo di una costituente della sinistra populista, la quale dovra' rapportarsi tatticamente anche con un'eventuale spaccatura a sinistra del movimento 5 stelle e con la lotta senza quartire ai rimasugli della sinistra sinistrata.

Anonimo ha detto...

@anonimo delle 1:37

La tua analisi del pubblico impiego è più vera, a pensarci bene, e più spietata della mia. Il problema è che tu invece ne ignori le cause. Quale sarebbe stato l'alibi con cui generazioni di classi dominanti hanno costruito uno stato clientelare se non l'apparato concettuale keinesiano, che ha permesso loro di sostenere che anche se una spesa è inutile, ci sarebbero state conseguenze positive per il Pil o per l'occupazione? La "malvagia teoria delle ricadute" avrebbe detto il papa francy dei bei tempi ( o chi per lui) della Evangelii gaudium. Il metodo di intervento economico dei socialisti è sempre stato, è oggi, e sempre sarà, quello della PIANIFICAZIONE: ovvero il metodo, opposto a quello keinesiano, della individuazione dei settori in cui intervenire e dell'intervento puntuale; dell'adozione di una stretta, puntuale consequenzialità fra mezzi e fini; dell'intervento strategico. Il problema è che i sovietici hanno stravolto e svilito il concetto di PIANIFICAZIONE scambiandola con la PIANIFICAZIONE INTEGRALE, cioè sulla demenziale proibizione della iniziativa privata. Hanno cioè fondato l'intervento pubblico non sulla SUPERIORITÀ di questo rispetto a quello privato, per la ovvia superiorità di una visione globale rispetto ad una ondividuale: ma sul concetto ambiguo, però grandemente evocativo per il risentimento degli sfruttati, di sfruttamento. Nel momento in cui ci congediamo dal keinesismo dobbiamo parallelamente separarci dal cretinismo della pianificazione integrale della III internazionale.
Purtuttavia, che la sinistra nel xxi secolo sia ancora legata al keinesismo, cioè alla catena che il capitale le ha gettato addosso nel xx secolo, o che addirittura identifichi il suo ruolo in quello del liberale e anticomunista lord keynes è segno di quanto è profonda la subordinazione intellettuale del movimento operaio del xx secolo e quanto è grande la strada che dobbiamo percorrere per tornare alla luce.
(a.c.)

Anonimo ha detto...

@anonimo delle 1: 37, anonimo delle 9:49
Aggiungo che 12000 lavoratori atac in una città metropolitana come Roma sono pochi. Se non fosse per le dimensioni della popolazione, basta guardare all'entità dell'iniziativa privata non coperta dal servizio pubblico, come gli autobus turistici o i taxi collettivi la notte. @anonimo delle 9: 49: sono d'accordo, purchè ci ricordiamo che le forze socialiste e sovraniste sono al momento una componente minoritaria, infinitamente minoritaria del processo di riconquista della sovranità nazionale (a.c.)

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