lunedì 30 aprile 2018

SUBITO AL VOTO! di Piemme

[ 1 maggio 2018 ]

Dunque Matteo Renzi ha affossato ogni possibile alleanza — Hops! "contratto di governo" — coi Cinque Stelle.
Meglio così, che sarebbe stata una  disgrazia: per il popolo lavoratore e per il Paese.

Per Luigi Di Maio, invece, disgrazia è già. Egli è bruciato: bruciato come primo ministro in pectore, bruciato come leader pentastellato.
E questa è una buona notizia.

Indisponente la sua boria governista, direttamente proporzionale ai suoi clamorosi cedimenti politici e programmatici. Morale della favola: a forza di fare salti mortali si è rotto l'osso del collo.

Si illude se pensa che col discorso fatto ieri possa rimettersi in pista.

Ma...
Ma, al di là della fuffa —"Noi siamo postideologici, né di destra né di sinistra —, una cosa giusta (una sola) il Di Maio l'ha detta: a questo punto, ha dichiarato, che si vada al voto, e che ci si vada a giugno.

Il rischio infatti, nel caso non si torni alle urne, è che la spuntino i poteri forti, che Mattarella tiri  fuori dal suo cilindro un mostro in nome della governabilità e della stabilità (di lorsignori): "del Presidente", "tecnico", di "larghe intese" o come diavolo si vorrà chiamarlo. Questo è infatti ciò che vogliono "i mercati", quindi le élite italiane ed europee ed i loro due principali partiti: Pd e Forza Italia. 

Vincerà il centro-destra? Sarebbe il male minore. Poi ce la vedremo.

Elezioni subito avrebbe un altro vantaggio, che non avremo tra i piedi Luigi Di Maio. A meno che Giggino, e la cupola che lo ha messo al posto di comando, non faccia fare alla regola ferrea dei due mandati la stessa fine delle altre, ovvero non se la metta sotto i piedi.

Di Maio, nel suo apologo di ieri ha concluso pomposamente: "i  cittadini debbono decidere o Rivoluzione o restaurazione!"

Rivoluzione, rivoluzione, e per questo devi toglierti di mezzo! Anche per la salvezza del Movimento Cinque Stelle.

LA DOPPIA MORALE TEDESCA di Sergio Cesaratto

[ 30 aprile 2018 ]

CHI NON RISPETTA LE REGOLE?
Italia e Germania, le doppie morali dell'euro

Il filo rosso del libro

Il ragionamento che svilupperemo nel libro può essere così sintetizzato. Vi sono delle “regole del gioco”, ben note all’analisi economica, che rendono un’unione monetaria sostenibile. Tali principi prescrivono che gli squilibri esterni (delle partite correnti) fra i Paesi di un’area valutaria vadano regolati col concorso sia dei Paesi in avanzo che dei Paesi in disavanzo. Queste regole sono analoghe a quelle già imperfettamente applicate nel sistema aureo, un sistema monetario internazionale a cui l’euro è considerato affine. Con la copertura di precetti monetaristi, le regole nei fatti adottate nell’Eurozona sono invece altre, e sono in buona misura quelle desiderate dalla potenza europea dominante, in maniera tale che la moneta unica non ne contraddica il modello economico mercantilista. Il fatto che tali regole non abbiano funzionato nello stabilizzare l’area euro è condiviso; ma perché sbagliate, oltre che contorte, o perché non rispettate? Il processo di riforma delle regole, attualmente in corso, sembra basarsi sulla seconda tesi.

Nel primo capitolo cominceremo col domandarci perché il nostro Paese si sia imbarcato nella moneta unica. Troveremo la risposta nell’argomentazione, patrocinata in particolare da economisti ed esponenti politici dell’area del centrosinistra, che il Paese sarebbe stato in grado di regolare i propri conflitti e un uso considerato troppo spregiudicato del bilancio pubblico solo attraverso l’importazione di regole dall’esterno. Il Paese sembra però aver pagato duramente tale scelta, in termini economici e sociali, attraverso un rigore fiscale che ne ha minato domanda interna e produttività, e da ultimo i medesimi conti pubblici. 

Nel secondo capitolo mostreremo come la violazione di corrette regole del gioco abbia generato la crisi dell’Eurozona, sebbene tale inosservanza abbia all’inizio portato momentanei vantaggi ad alcuni Paesi europei, nell’illusione che con la moneta unica gli squilibri di partite correnti fossero irrilevanti. 

Nel terzo capitolo illustreremo perché il modello tedesco sia incompatibile con le regole del gioco, anzi sia fondamentalmente basato sulla trasgressione di tali principi. Ciò non sorprende, in quanto quello che definiremo “mercantilismo monetario” tedesco è precisamente l’opposto della cooperazione richiesta in un’unione monetaria mutualmente vantaggiosa, dunque sostenibile. Tratteremo poi dei diversi vantaggi che la Germania ha tratto dalla moneta unica, spesso applicando una morale per sé e una per gli altri, e della sua scarsa memoria storica. In virtù della moneta unica la Germania ha rafforzato il proprio modello realizzando una “super competitività”, ciò che rende oggi difficile il riequilibrio dell’Eurozona, perfino se Berlino cominciasse ad accettare regole del gioco più leali. 

Nel quarto capitolo effettueremo un viaggio nel surreale, esaminando le proposte di riforma degli ordinamenti che regolano la politica fiscale dell’Eurozona. Alle timide aperture di Macron verso una governance fiscale comune, la Germania sembra aver risposto con la proposta di un irrigidimento delle regole esistenti. Le proposte tedesche si basano sul principio che il settore privato debba subire perdite nel caso di un intervento finanziario europeo a favore di un Paese membro in difficoltà. Con uno sguardo all’Italia, questo significa rendere il suo debito pubblico più rischioso, e dunque maggiormente insicuro e instabile. Il nostro suggerimento è che il Paese ponga un veto a tali irresponsabili progetti, tracciando una “linea del Piave” nell’obiettivo della stabilizzazione del debito pubblico. Se, da un lato, un’effettiva riforma dell’Eurozona richiederebbe un’unione politica, dall’altro nelle conclusioni ricordiamo le ragioni per cui tale unione non sia un obiettivo concepibilmente in vista. Purtroppo il modello tedesco appare di ostacolo anche a ragionevoli e meno ambiziose proposte.

Come nella conferenza, ho cercato di fondare le mie affermazioni sulla migliore e più aggiornata letteratura internazionale, ove possibile citando autori tedeschi. Mi riferirò qui e là alle mie Sei lezioni (Cesaratto 2016), dove ho spiegato in termini accessibili alcuni aspetti più tecnici della crisi europea e, soprattutto, illustrato l’esistenza di impostazioni eterodosse in economia politica (a cui mi riferirò qui col termine “post-keynesiane”).


Chi non rispetta le regole?
Italia e Germania, le doppie morali dell’euro
di Sergio Cesaratto
f.to 14×21 brossura con bandelle | pp. 128
ISBN 978 88 6830 704 2 | € 14,00

INCIUCI (EUROPEISTI) DI SINISTRA

[ 30 aprile 2018 ]

Sul sito La città futura è appena apparso un articolo di critica alla Dichiarazione congiunta tra il Bloco de Esquerda portoghese, France Insoumise di Mélenchon e gli spagnoli di Podemos — ne davamo notizia il 18 aprile.  In Italia quella dichiarazione  è stata subito fatta propria da Potere al Popolo
Pubblichiamo la prima parte dell'articolo da la Città Futura, ampiamente condivisibile...

*  *  *


«Anche se nelle elezioni per il parlamento europeo non è possibile presentare liste transnazionali, in questa direzione si muove esplicitamente dal 2016 DiEM25, ovvero Il Movimento per la democrazia in Europa 2025, lanciato dall’ex ministro delle finanze greco Varoufakis, cui hanno aderito De Magistris e il movimento Generation S, lanciato dall’ex leader del partito socialista francese Hamon
A tale iniziativa hanno tentato di rispondere il 12 aprile il Bloco de Esquerda portoghese, France Insoumise di Mélenchon e gli spagnoli di Podemos lanciando a loro volta, anche in funzione delle elezioni europee previste per il prossimo anno un “movimento comune”. Come base programmatica le tre organizzazioni hanno steso una dichiarazione firmata a Lisbona.
Tale intento unitario è importante in particolare per France Insoumise e Podemos che non fanno parte del Partito della sinistra europea. D’altra parte il coordinamento a livello europeo di queste due forze risulta piuttosto complicato, dal momento che mentre Podemos mira a rappresentare una “alternativa democratica, popolare e in favore dei diritti umani e della sovranità popolare”, ma tutta interna al processo di unificazione europea, France Insoumise mira ad una “uscita concertata dai trattati europei” con il fine di rinegoziare nuove “regole”, ma al contempo, in caso di mancato successo di questo piano A, ha previsto un “piano B”, ossia la “uscita della Francia dai trattati europei”.
Dal momento che Podemos non intende prendere in considerazione il “piano B”, questo tratto caratteristico della politica europea della formazione di Mélenchon è stato omesso dalla dichiarazione di Lisbona. In tal modo, però, quel delicato equilibrio che era stato individuato affiancando al “piano A” un “piano B”, che aveva permesso una convivenza pacifica anche in Italia a formazioni della sinistra radicale “filo-europee” e “anti-europee” appare compromesso, dall’esigenza di France Insoumise di non farsi richiudere in un ambito sovranista dinanzi alla prospettiva paneuropea di Generation S.
In tal modo si sono venuti a costituire due movimenti delle forze della sinistra europea le cui prospettive rischiano di apparire, ai non addetti ai lavori, analoghe, tanto che persino Sinistra Italiana, volendo schierarsi a sinistra dei socialisti europei, guarda con interesse a entrambi i progetti. Inoltre non prevedendo nemmeno come piano di riserva la possibilità di una rottura con l’Unione europea si rischia di lasciare ulteriore spazio alle forze populiste che accrescono i loro consensi dal momento che le classi popolari sentono sempre più sulla loro pelle il peso delle politiche di austerità imposte dall’Ue e avvertono come utopistico il progetto di una sua democratizzazione. Infine l’abbandono del precario equilibrio rappresentato dalla posizione di Mélenchon, potrebbe produrre più che una necessaria ricomposizione in vista delle prossime elezioni europee delle forze antagoniste al capitalismo, un’ulteriore frammentazione fra “sovranisti” ed “europeisti”.
Quest’ultimo rischio pare per il momento scongiurato per quanto concerne Potere al popolo! (PaP). Appena tre giorni dopo la dichiarazione di Lisbona, era possibile leggere in evidenza sul sito di Pap: “la nostra adesione all’appello di Podemos, France Insoumise e Bloco De Esquerda”.
La questione, che sorgerebbe immediatamente in chi non conosca la complessa logica da inter-gruppi che presiede alle decisioni in PaP, è quale popolo abbia avuto la possibilità di riunirsi e deliberare in tre giorni questa adesione senza riserve a: “un appello importantissimo, proposto da tre delle forze popolari e di alternativa più grandi d’Europa, a cui non possiamo sottrarci”. Il non addetto ai lavori, a questo punto, dubiterebbe che una presa di posizione su una questione così importante e spinosa sia stata presa secondo lo spirito di una formazione che si autodefinisce Potere al popolo!, ossia che attraverso un ampio dibattito democratico che abbia coinvolto il popolo di PaP e in cui un’ampia maggioranza si sia espressa a favore dell’adesione incondizionata. Tanto più che nello stesso post si tiene a rimarcare nuovamente che “Potere al popolo! è nata per restituire la sovranità democratica al popolo, alla maggioranza”.
Presumibilmente si sarà deciso di aderire immediatamente e senza riserve per la necessità di mantenere buoni rapporti con quelle forze della sinistra europea che, come Podemos e France Insoumise, hanno riconosciuto PaP come un importante referente della sinistra radicale italiana. Inoltre si sarà scelto di non aprire un’ampia e democratica discussione che coinvolgesse la base per non mettere in difficoltà la complessa logica di inter-gruppi, con posizioni su diverse questioni cardine discordanti, che ha sinora ha diretto Pap. Per questo nell’adesione all’appello si è scelto di evidenziare gli aspetti più avanzati della dichiarazione, piuttosto che ragionare sugli elementi deboli e/o problematici. Anzi si è inserito un necessario: “Dobbiamo rompere i trattati militari che ci vincolano ad una follia guerrafondaia che non condividiamo” di cui purtroppo non c’è traccia nell’appello.
Del resto anche questo giornale nel numero precedente ha fatto una scelta analoga, ossia di tradurre subito la dichiarazione sottolineandone in modo volutamente unilaterale gli aspetti più avanzati. Adesso, però, ci pare giunto il momento di approfondire la riflessione ed evitare che le contraddizioni reali ora messe a tacere non riesplodano in maniera deflagrante nel momento in cui ci si troverà a definire la linea per le elezioni europee. Perciò, altrettanto unilateralmente, ci concentreremo sugli aspetti contraddittori».
(continua QUI)

domenica 29 aprile 2018

CIAO DEMENTE di Sandokan

[ 29 aprile 2018 ]

Essendo che tra tutti i quotidiani "borghesi" quello che mi fa più schifo è la Repubblica, non sono un lettore della rubrica (L'Amaca) di Michele Serra.

Avendo quella (L'Amaca) del 20 aprile suscitato un vespaio me la sono andata a leggere. Vi prego, fatelo anche voi —vedi sotto.

Il vero motivo della sua riflessione è la sonora sberla che tutte le liste di sinistra han preso il 4 marzo —quindi l'attacco al "populismo", considerato un'opzione per minus habens. Il pretesto è la notizia di cronaca, quella dell'aggressione compiuta a Lucca da un alunno verso un professore.
Sentiamo cosa scrive Serra?

«Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza».

In parole povere: i proletari, per loro natura, sono maleducati e violenti, mentre i figli di papà sono gente per bene. A parte che le statistiche sugli atti di bullismo dimostrerebbero che questi sono più numerosi proprio nei licei, (Serra che brutta fine ha fatto!) abbiamo un distillato chimico di ciò che è diventata la sinistra liberal-snob di questo Paese, la ragione che spiega perché essa tiene ai Parioli e sfracella nelle periferie popolari. 

Che dire? Tal Simone Monica mi ha rubato le parole. Ecco cosa ha risposto a Serra proprio nella sua pagina Facebook:



«Serra sei tu il povero, non in senso di squattrinato, in senso proprio di povero ritardato.

Eticamente sei un mollusco, un tacchino ha più dignità di te. Intellettualmente sei il solito verme, solito perché in ottima compagnia in quel giornalino di caratteri inutili che ben rappresenta la vostra inettitudine.
Ciao demente».

sabato 28 aprile 2018

M5S: UN "CONTRATTO" NON È UN'ALLEANZA? di Piemme

[ 28 aprile 2018 ]

Ho la netta sensazione di essere preso per il culo.

Di Maio e i suoi pappagalli van ripetendo che essi non vogliono una "alleanza" col Pd ma... un "contratto di governo (col Pd)" 

Recita la TRECCANI:


«ALLEANZA: unione fra partiti, enti, organismi varî, costituita per il conseguimento di scopi comuni».Quindi precisa:  «Alleanza atipica, innaturale, quella che si forma, per ragioni di necessità o di opportunità, tra forze politiche o schieramenti parlamentari divisi tra loro per diversità di tradizioni e d’indirizzo». 
"Innaturale" o "naturale", giusta o sbagliata (e per noi è sommamente sbagliata) non c'è dubbio alcuno che l'eventuale accordo tra M5S e PD per dare vita ad un governo sarebbe nient'altro che un'alleanza politica. Per la precisione, trattandosi del governo del Paese, la forma più alta di alleanza. Un'alleanza ad alto e diabolico potenziale.

E' dunque davvero patetica la trovata escogitata dai pentastellati e pronunciata da Di Maio il 5 aprile scorso all'uscita dal secondo giro di consultazioni:
«Noi non proponiamo un’alleanza di governo ma un contratto di governo per il cambiamento dell’Italia. È un contratto sul modello tedesco e che noi proporremo perché vogliamo che le forze politiche si impegnino di fronte agli italiani sui punti da realizzare».
Ognuno capisce che formare un governo assieme al PD equivarrebbe a dare vita ad un'alleanza. Che avvenga sulla base della stipula di un "contratto" — orribile nozione, segnaliamo, presa in prestito dal Diritto Civile e Commerciale — non ammoscia ma al contrario rafforza l'alleanza stessa. Al netto degli arzigogoli semantici un "contratto" tra due partiti politici corrisponde ad  "patto politico", un patto che poi il Parlamento (in teoria sovrano) dovrebbe accettare e convalidare.

E' talmente vero quanto diciamo, e talmente insincero Di Maio, che quando quel triste 5 aprile usciva dall'ufficio di Mattarella egli pronunciava il solenne giuramento di obbedienza e devozione per entrare nella stanza dei bottoni, il sacro atto di fede atlantista e eurista che i poteri forti volevano sentirsi dire per dare semaforo verde: 
«Ho sempre detto, durante la campagna elettorale che con noi al governo l'Italia rimarrà alleata dell'Occidente, nel Patto Atlantico, nell'Unione europea e monetaria».
Qui c'è tutta la sostanza del "contratto", ovvero dell'alleanza col partito dell'élite per eccelenza, il Pd. C'è la prova provata del tradimento del mandato ricevuto da tanti cittadini da parte di Di Maio e dei suoi sodali.

Il resto, anche ove i renziani rifiutino l'inciucio, sono dettagli, il resto è fuffa...



venerdì 27 aprile 2018

GRAMSCI, UN TRIBUTO di Moreno Pasquinelli

[ 25 aprile 2018 ]

Son passati ottantuno anni da quel 27 aprile del 1937, giorno della dipartita di Antonio Gramsci. 

Quaderni dal carcere, da lui scritti mentre era dietro le sbarre e in un precario stato di salute, sono senza dubbio alcuno la sua opera magna, il suo più grande lascito.  

Le sue riflessioni di tale ampiezza, il suo pensiero di così raffinata profondità strategica,  tanto incompiuti e frammentati, i Quaderni che ci ha consegnato, che non è facile, al netto della sterminata critica esegetica della sua opera, tentare di indicare il posto che essa occupa nel grande deposito del pensiero politico moderno. 

Proviamo tuttavia a farlo per veloci schizzi.

Primo punto: UMANESIMO ASSOLUTO

Gramsci fu prima di tutto un comunista, animato da una incrollabile fede nella ragione, nell'uomo che ne è portatore, negli intellettuali nazionali-popolari suoi custodi spirituali, negli "umili" in quanto sola potenza materiale della redenzione rivoluzionaria dell'umanità.

Secondo punto: UN MARXISMO OLTRE MARX

Non è lecito ingabbiare il Nostro nel perimetro del pensiero marxista, le sue riflessioni, anzi, ne hanno spezzato certi angusti steccati. Esploratore della complessità, prese le distanze dalle ossificate e presunte "ortodossie marxiste", aprì al marxismo nuovi orizzonti di ricerca e abbozzò un metodo critico e nuovo di interpretazione dei fenomeni sociali.

Terzo puntoLA POLITICA AL PRIMO POSTO

Gramsci va considerato un teorico della politica, per ciò stesso un filosofo, poiché, proprio come il Nostro direbbe, ogni idea politica possiede un nucleo necessariamente filosofico, una visione del mondo —quindi dell'uomo e della sua missione storico-emancipatrice.

Quarto puntoFILOSOFIA DELLA PRASSI  

Le sue riflessioni filosofiche non hanno tuttavia un carattere astratto-speculativo ma concreto-determinato: la storia sociale è il suo fondamentale campo d'indagine, gli uomini i soggetti che la fanno in condizioni che sì, son oggettivamente date, ma co-determinate dal pensiero, cioè sempre sottoposte allo loro opera creativa. 

Quinto punto: UN GRANDE ITALIANO

Gramsci è, assieme al Machiavelli, il più grande pensatore politico italiano, occupa quindi un posto di primo piano nella vicenda della filosofia politica occidente. Di contro ad ogni panlogismo  cosmopolitico l'Italia era, per il Nostro, centro geometrico delle sue indagini e solo orizzonte storico plausibile.

Sesto punto: GUERRA DI POSIZIONE

Gramsci — al netto della giusta critica ad ogni economicismo e della centralità dell'ideologia come fattore determinante della potenza egemonica di una data classe sociale — non è, come invece Lenin è da considerare, un pensatore dialettico della catastrofe. Si potrebbe definire il Nostro un scienziato della trasformazione per concrezione, dell'avanzata per accumulazione molecolare di forze ben organizzate.

Settimo punto: EGEMONIA

Per  Lenin due sono le principali condizioni di possibilità della rivoluzione socialista, che cioè trascinano grandi masse sulla scena: l'agonia (oggettiva) del sistema capitalistico (imperialismo), e il crollo (oggettivo) della catena di comando della borghesia . Per Gramsci, essendo la "maturità delle condizioni oggettive" un feticcio, l'attuabilità della rivoluzione dipende anzitutto dalla maturità soggettiva degli oppressi, dal loro grado di coscienza politica, di consapevolezza teleologica.

Ottavo Punto IL PARTITO COME MODERNO PRINCIPE

Gramsci non solo accoglie l'idea leninista dell'assoluta centralità del Partito politico, la ridefinisce e la rafforza. Esso non è soltanto elemento dirigente e d'avanguardia di una classe in ascesa, è molto di più, è un complesso e multiforme apparato nazionale-popolare per l'egemonia sulla società civile. Un partito che non ha solo funzione di guida nel conflitto, esso è l'essere del conflitto; esso è volontà organizzata e concentrata, agente coesivo e disciplinato che da forma politica all'indistinto sociale; animatore di una riforma intellettuale e morale che trasforma anzitutto le masse; costruttore di un nuovo "senso comune".

(Fine Prima parte)

25 aprile 2018






giovedì 26 aprile 2018

LA MEDICINA AMMALATA di Alessandro Ruocco

[ 26 aprile 2018 ]

Dentro e oltre la battaglia tra vaccinisti e anti-vaccinisti. Qual è lo stato di salute della medicina oggigiorno? Quanto è fondata e credibile la sua pretesa scentifica? Fino a che punto il "sapere medico" ubbidisce al comando dei colossi farmaceutici? E qual è lo scopo primario di questi ultimi: la salute o il profitto?
Pubblichiamo un contributo che farà discutere...

* * *

Dai problemi economici all’overtreatment, fino alle mode anti-vaccino e alla pseudoscienza: una panoramica dello stato attuale della medicina in Italia


“Diffidate dei medici, sono stati loro ad uccidermi”, riportano le lapidi della Roma antica. E in effetti per secoli, addirittura fino all’inizio del Ventesimo secolo, la scienza medica ha probabilmente ucciso più pazienti di quanti ne abbia curati. Si parla in questo caso di “effetti iatrogeni”. Senza fare un torto alle numerose pratiche chirurgiche scoperte e dimenticate in epoche antiche, il cosiddetto “sapere medico” si era giocoforza dovuto appoggiare a nozioni apprese da antichissimi trattati di scienze naturali, ricolmi di intuizioni tanto brillanti quanto drammaticamente sbagliate. Intervenendo sul corpo del paziente secondo schemi di pensiero completamente scollegati dalla realtà si poteva al massimo sperare di non fare troppi danni. Soltanto l’inesauribile, spesso irrazionale, bisogno di salute dell’uomo ha potuto incoraggiare la pratica secolare della medicina malgrado i suoi innumerevoli fallimenti.

Nello sfavillante storytelling del progresso scientifico, la medicina moderna è il frutto di un lungo e doloroso sviluppo che ha trasformato il medico — di fatto, il professionista dal track record più letale della storia — in una sorta di sacerdote laico, emblema delle infinite possibilità dateci dal progresso. Spesso le scoperte che hanno rivoluzionato l’assistenza medica sono nate in seno ad altre branche del sapere: Pasteur, che confutando la generazione spontanea dà il via alla microbiologia. Fleming che scopre la penicillina, liberando l’uomo dall’infezione, sua prima causa di morte. Di fatto il primo cambio di paradigma totalmente interno alla medicina è probabilmente la scoperta di quello che oggi viene chiamato “studio controllato randomizzato (RTC)”: suo prototipo un esperimento del 1747 eseguito dal medico di bordo James Lind per individuare la cura dello scorbuto. Sembra incredibile, ma a nessuno era mai venuto in mente di suddividere una popolazione di ammalati in più sottogruppi, somministrando loro cure diverse per verificare se e quali funzionassero. Affinati con la matematica, la statistica e la psicologia, con gli RTC si è potuto indagare, combinare e mettere al vaglio tutte le mirabolanti scoperte provenienti dai più diversi ambiti di ricerca. La medicina giungeva così alla sua maturità. Raggiunto e superato il “punto di pareggio” tra investimenti e ricavi – tra morti e vivi, potremmo anche dire – il suo esorbitante costo ha finito per essere ripagato da una scienza solida ed effettiva, capace di salvare (o perlomeno di migliorare) innumerevoli vite.

Ma è nel momento in cui supera questo punto di pareggio che un paradigma scientifico, proprio come una macchina industriale, deve iniziare a fare i conti con il problema dei suoi (per così dire) “rendimenti decrescenti”. È questa la sfida alla quale oggi la medicina è confrontata. Come garantire un’adeguata cura del malato a fronte di un apparato sanitario sempre più costoso, impersonale e appesantito dalle proprie tare strutturali? È naturale che, abituati ormai all’idea del medico moderno come serissimo uomo di scienza e di tecnica, certe pratiche bizzarre quando non francamente esoteriche vengano facilmente stigmatizzate come un ritorno, letterale, al Medioevo. Ma è davvero questo e soltanto questo — lo spauracchio della pseudo-medicina — il nemico con cui fare i conti?


  Nello storytelling del progresso scientifico, la medicina moderna è il frutto di un lungo sviluppo che ha trasformato il medico in una sorta di sacerdote laico, emblema delle infinite possibilità del progresso  



Molti danni, totalmente evitabili, sono dovuti ancora all’ingiustificabile inerzia con cui l’intero apparato biomedico si rifiuta di migliorare. Attenzione: non “malasanità”, ovvero l’errore medico dovuto a imperizia, negligenza o imprudenza; parliamo di pervasive scelte nella pratica diagnostico-clinica lontanissime dalla buona letteratura scientifica. È il caso del primario di un reparto ostetrico privato che si produce con una sicumera quasi apprezzabile se non fosse una delle questioni più pressanti della cattiva sanità italiana, in una difesa delle percentuali stellari di parti cesarei della propria clinica: le affermazioni del dottore sono più situazionismo lisergico che scienza, ma si tratta pur sempre di argomenti tecnici, non identificabili dal lettore come boiate. Oppure i tanti casi di medici di famiglia che per scarso aggiornamento delle conoscenze o mancanza di pazienza nel rapporto coi propri assistiti prescrivono un farmaco “di marca” invece che generico, visite specialistiche e terapie non indicate tra i rimborsi dello Stato. Negli ambulatori e nei pronto soccorso è poi routine sottoporre i pazienti a esami diagnostici spesso invasivi, perfettamente inutili e dunque dannosi: per le radiazioni assorbite nel corso dell’indagine, per tutte quelle piccole patologie non pericolose e che non avrebbero causato alcun danno, ma che una volta trovate danno inevitabilmente il via ad altri accertamenti e interventi a cascata.


Nemmeno i più famosi e incensati successi della lotta mondiale contro il cancro sono al sicuro. L’utilizzo del test per la misurazione dei livelli di PSA (Antigene Specifico Prostatico) per lo screening del cancro alla prostata, dopo essere stato utilizzato per massicce campagne di prevenzione a livello mondiale è tristemente caduto nel corso degli anni sotto i colpi della letteratura scientifica, ed è stato definito dal suo stesso scopritore un “costosissimo disastro per la salute pubblica”. E fra enormi polemiche, critiche e proteste delle associazioni di pazienti si addensano nubi addirittura sullo screening mammografico per il cancro al seno. Una pratica considerata letteralmente salvavita è stata intanto ristretta a specifiche fasce di popolazione maggiormente a rischio (in Italia, donne fra i 49 e i 69 anni o con particolari familiarità per la malattia), in attesa di possibili ulteriori conferme di rispettabilissimi studi che ne avrebbero evidenziato la natura di lama a doppio taglio. Letteralmente: per ogni tumore individuato precocemente si condannerebbero 10 donne sane ad andare sotto i ferri e a vivere per anni con il peso, farmacologico e psicologico, di una diagnosi dubbia di tumore. Così come qualsiasi intervento medico, che comporta possibili benefici terapeutici e possibili effetti collaterali, anche l’aumento della potenza e dell’utilizzo delle pratiche di indagine ha un costo. Per ogni persona sana sottoposta a trattamento, le liste di attesa inevitabilmente si allungano. Perché le risorse sono finite ma il bisogno di salute è in continuo aumento.

La bancarotta del sistema sanitario

I ritmi vertiginosi delle nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche (utili o meno) si accompagnano a costi sempre più alti e spesso pervertono l’ordine fra domanda e offerta di salute: già venti anni fa ciascun nuovo farmaco aveva il 50% di probabilità di essere meno efficace di un suo analogo già in commercio. Il dato è peggiorato, e ampliare i criteri di definizione di ciò che è patologico per giustificare i massicci investimenti a monte è una strategia continuamente perseguita. La strada corretta, il processo di revisione sistematica indipendente degli studi scientifici che dovrebbe stabilire quali sono le terapie migliori e più appropriate, è semplicemente troppo lento per riuscire ad arginare gli interessi dell’industria e delle associazioni di malati (spesso comunque finanziate dalle stesse industrie farmaceutiche), impegnati a spingere perché i più recenti ritrovati siano resi disponibili nel più breve tempo possibile. Purtroppo però è anche l’unica strada percorribile, perché le regole del progresso e del mercato (fortunatamente) non possono essere fermate, e l’unico modo per garantire il diritto alla salute è cambiare il paradigma con cui si valutano e si offrono le prestazioni sanitarie. Non essere all’altezza della sfida significherà inevitabilmente il fallimento della salute pubblica.

Anche quando perfettamente giustificate, per uno Stato che prevede una assistenza sanitaria nazionale rispondere a tutte queste richieste è enormemente costoso e ha come effetto più visibile la diminuzione del tempo “frontale” che un medico può dedicare ai suoi pazienti. Si lede così una parte importantissima della dimensione di cura, quella che per generazioni di medici era stata l’unica arma contro malattie allora incurabili: il rapporto di fiducia e di comprensione tra medico e paziente. Non serve inoltrarsi in pontificazioni sui massimi sistemi: nelle realtà sanitarie dove il tempo frontale viene tutelato si assiste a un crollo verticale dei contenziosi giuridici. Nel caso di esiti prognostici sfavorevoli e addirittura di errore medico, il recupero del rapporto umano è visibilmente in grado di aumentare la soddisfazione del paziente per le cure e di garantirgli delle aspettative più sostenibili per tutti. Si spendono così miliardi per interventi altamente tecnologici dall’utilità incerta proprio mentre lamentiamo l’insufficienza di risorse per la prevenzione, il recupero della funzionalità dopo la malattia, l’assistenza terminale.

  Si spendono miliardi per interventi altamente tecnologici dall’utilità incerta mentre lamentiamo l’insufficienza di risorse per la prevenzione, il recupero della funzionalità dopo la malattia, l’assistenza terminale  

Se è possibile individuare una deriva strutturale dell’apparato biomedico non è dunque quella dell’intervento a basso impatto dei “rimedi naturali”, ma quella di fenomeni ampiamente studiati e documentati che hanno dei nomi: overtreatment, overdiagnosis, low value (sovratrattamento, sovradiagnosi, basso valore). Il loro impatto sulla salute della popolazione è sia diretto, sotto forma di danni iatrogeni, che indiretto come cattivo utilizzo delle risorse economiche. Ma allora perché se ne parla così poco? E soprattutto: perché è così difficile parlarne?

Il metodo scientifico e i suoi nemici


È facile puntare il dito verso i ciarlatani: ci pare del resto di averne in testa un’immagine chiarissima, uscita fuori da qualche film sul vecchio West. Ci manca tuttavia un termine per definire un medico che prescriva un farmaco o un intervento inutile (o inutilmente costoso), che conduca e pubblichi un trial mal concepito, che si esponga con troppa leggerezza al conflitto di interesse nei suoi rapporti con l’industria farmaceutica. Fin dalla nascita dell’Evidence Based Medicine (o EBM, nella gloriosa definizione di David Sackett: “Un approccio alla pratica clinica dove le decisioni risultano dall’integrazione tra l’esperienza del medico e l’utilizzo coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del paziente”) ci si è subito trovati in difficoltà nel trasmettere a un grande numero di professionisti i risultati delle più recenti e rigorose metanalisi e delle linee guida (“manuali” di algoritmi diagnostici e terapeutici redatti mediante un insieme di studi scientifici di settore) internazionali indipendenti, come quelle prodotte dagli eccellenti istituti inglesi del NICE e della Cochrane Collaboration.

Una più recente declinazione della costante cattiva applicazione del sapere medico è la quantità di linee guida di scarsa qualità redatte da molte società scientifiche interamente costruite attorno alla sponsorizzazione da parte di case farmaceutiche. Prima ancora di essere riuscita ad imporsi come prezioso strumento di razionalizzazione empirica della pratica clinica, la linea guida è stata utilizzata come un banale metodo di promozione di nuovi farmaci, spesso semplici permutazioni chimiche di composti già esistenti, dall’efficacia identica. Eppure qualunque la provenienza, la guideline è il risultato di un insieme di studi peer-reviewed, tutte parole chiave che forniscono l’illusione di qualcosa di irrimediabilmente scientifico!


  Prima di riuscire a imporsi come prezioso strumento di razionalizzazione empirica della pratica clinica, le linee guida sono state utilizzate come un banale metodo di promozione di nuovi farmaci  


Il singolo studio più letto sul portale online di PLOS riporta schiettamente il titolo “Why Most Published Research Findings Are False”. Il metodologo John Ioannidis, uno dei più grandi protagonisti contemporanei della EBM, presenta una rigorosa analisi degli strumenti statistici e metodologici abitualmente impiegati per raggiungere le conclusioni degli studi scientifici. Dimostra così che più dell’80% della ricerca pubblicata presenta risultati probabilmente falsi. Dal 2005 ad ora il lavoro di Ioannidis non è stato smentito, eppure non siamo ancora riusciti a compiere un passo significativo nella direzione giusta.

La probabilità di un risultato falso aumenta ancora di più in presenza di bias nel disegno, nella conduzione o nella pubblicazione dello studio. I trial clinici di efficacia comparata non vengono replicati perché decisamente meno appetibili per le riviste scientifiche. Nel suo libro Bad Pharma il medico e divulgatore scientifico Ben Goldacre mette la ricerca biomedica sul tavolo operatorio, e ne espone pedissequamente le criticità trasformando una chirurgia esplorativa in un reperto autoptico. Il libro chiude con l’analisi di un dato shock, in grado anche da solo di peggiorare enormemente la qualità dell’evidenza scientifica utilizzata dai medici di tutto il mondo: la metà degli studi registrati, condotti e completati nel mondo non viene mai pubblicata. Una casa farmaceutica che sta portando a termine più studi di efficacia di un nuovo farmaco è perfettamente libera di pubblicare solo quelli che indicano risultati positivi.

Questi aspetti problematici, assieme a tantissimi altri che richiederebbero (e hanno richiesto) interi libri per poter essere esplorati, si consolidano nelle inevitabilmente confuse stime della percentuale di medicina basata su forti evidenze di comprovata efficacia: il 20%. Per un altro 40-45% di percorsi diagnostico-terapeutici la robustezza scientifica delle prove a nostra disposizione è già molto più scarsa.

Apocalittici e integrati

Ci sono, indubbiamente, cose ancor più preoccupanti dell’overtreatment. La moda dell’antivaccinismo è una di queste. L’antivaccinismo affonda le sue radici in complesse forme di resistenza culturale, nate in un’epoca dove sottoporsi al vaccino del vaiolo, di gran lunga la scelta preferibile, comportava comunque un rischio di morte del 2%. Ma in poco tempo la profilassi vaccinale poteva già vantare i margini di rischio più bassi fra tutti gli interventi medici esistenti, e degli indici di efficacia fra i più alti.

Eppure, le polemiche sulla sicurezza dei vaccini sono argomento ormai quotidiano. I collegamenti (assolutamente infondati) con l’autismo, la presenza (innocua, e comunque ormai inesistente) di svariati componenti tossiche sono non solo sopravvissute a decenni di pubblicazioni scientifiche dai risultati inequivocabili, ma si ritrovano circolanti e in sfolgorante salute sui social network, sui gruppi whatsapp dei genitori, eccezionalmente nello studio del pediatra. Oggi la percezione di qualsiasi genitore giovane, ben istruito e coscienzioso è probabilmente quella di una continua guerra di trincea contro una massa oscura, confusa e pulsante di madri e padri, associazioni e professionisti di ogni genere dediti anima e corpo a sabotare il più grande trionfo della scienza medica dopo il lavaggio delle mani.

Il calo delle coperture sotto i livelli-soglia del 95%, dopo aver destato legittima preoccupazione tra i professionisti del settore, è immediatamente diventato (forse meno verosimilmente, è troppo presto per valutare) vera e propria emergenza sanitaria, poi istituzionale, infine culturale strictu sensu. L’ultimo atto: uno scontro da fine-dei-tempi combattuto in prima linea in quel magico luogo dove è possibile trovare contemporaneamente articoli di giornale, proclami istituzionali, comunicati di associazioni scientifiche e culturali, feroci insulti tra mamme: il social network.


  Si discute della scientificità di tante pratiche: l’omeopatia, la fitoterapia, l’agopuntura, la pet therapy hanno diritto di essere accolte ufficialmente in seno alla medicina?  

Stiamo familiarizzando con due nuove categorie antropologiche: da un lato i difensori dei lumi della scienza e della tecnica, dei chiari benefici che hanno apportato alle nostre vite, del rigore col quale accademia e industria conducono quotidianamente i loro sudati esperimenti. Dall’altro chi non si fida di case farmaceutiche con indotti miliardari e pratiche opache, di categorie professionali custodi di saperi estremamente complessi, delle sospettosamente scintillanti magnifiche sorti e progressive.


Si litiga sulla scientificità di tante cose. L’omeopatia ha diritto di essere accolta ufficialmente in seno alla medicina? Così come la fitoterapia, o l’agopuntura, i massaggi, la pet therapy, l’analgesia naturale nel parto? La lista delle pratiche “francamente sospette” in medicina è lunga. Affrontarle con il fervente debunking (giustamente) riservato alle pericolose derive antivacciniste potrebbe essere anche completamente inutile. Il dibattito non è solo autoreferenziale, ma incapace di autolimitarsi. A monte dei motivi che spingono a non vaccinare, a rallentare il progresso della medicina è la loro capacità di affermarsi come nuova cifra comune del dibattito. Influenzando a cascata media, politici e professionisti li costringe a rincorrerlo fino alla completa normalizzazione delle sue disfunzioni: siamo così entusiasticamente, superficialmente concentrati sulle pseudoscienze che è inevitabile dimenticarci che i veri problemi culturali della medicina sono da ricercare, radicatissimi, al suo interno.

Medicina alternativa e pseudoscienze

Quando ci chiediamo “come può un medico laureato sostenere la validità scientifica di semplici pillole di zucchero dopo aver passato anni a studiare sui libri universitari?” la drammatica risposta è che nei percorsi di formazione non c’è niente che fornisca ai futuri medici una seria preparazione su cosa siano i concetti di scetticismo, efficienza, efficacia, appropriatezza, value. Diversi neolaureati avrebbero difficoltà a sviscerare il termine “trial controllato randomizzato”, la pietra fondante del loro stesso lavoro. Le competenze puramente tecniche della statistica sono appena sfiorate. E questi giovani studenti, unica speranza del (necessario) cambio di paradigma della Evidence Based Medicine ma lasciati soli dalla formazione accademica, partecipano al dibattito pubblico sulle pseudo-medicine assieme a tutti gli altri. Imparando così a identificare in fenomeni culturali passeggeri e relativamente poco rilevanti il tarlo della pseudoscienza. Come medici si troveranno magari a discutere dal vivo con una madre che si rifiuta di far vaccinare il figlio, preoccupata da quello che potrebbe andare storto. Privi di adeguati strumenti per identificare, gestire e combattere le idiosincrasie del mondo biomedico, le loro risposte saranno facilmente insicure o, al contrario, troppo aggressive. Probabilmente inefficaci. Il genitore forse finirà con l’andare dall’unico professionista apparentemente libero di discutere apertamente dei problemi della medicina moderna, di non farlo sentire un matto paranoico. Disgraziatamente, sarà proprio lui a offrirgli come soluzione definitiva un inutile rimedio alternativo. In taluni casi, meno gravi, si potrebbe salutare questo genere di soluzioni come un’alternativa a un possibile overtreatment; ma il rischio è di aprire la strada a una banalizzazione di questi approcci anche in casi più gravi, mettendo a rischio la salute del paziente e quella pubblica.


E allora? Il sistema sanitario è soltanto un inutile baraccone asservito all’industria farmaceutica? Assolutamente no. Le donne in travaglio dei paesi industrializzati sono sovramedicalizzate, è vero, ma la mortalità per parto è ai minimi storici. Gli accessi al pronto soccorso sono troppi, è vero, ma le possibilità offerte dalla terapia intensiva possono fare miracoli. E forse non siamo capaci di garantire una gestione dignitosa del fine vita di pazienti terminali oncologici, ma a molti altri abbiamo regalato preziosi anni di relativa salute. Che sia stato possibile raggiungere questi risultati eccezionali in quasi tutti i campi della scienza medica nonostante i problemi strutturali del sistema e gli enormi interessi economici in gioco suggerisce che si potrebbe ottenere molto di più: riorganizzando le priorità, tenendo in maggior conto la letteratura scientifica a disposizione e utilizzandola per condurre ricerche comparative che dal semplice risultato clinico sviluppino percorsi terapeutici più complessi ed integrati in grado di generare maggior salute nel lungo termine, prendendo in considerazione i bisogni della popolazione e l’effettivo impatto epidemiologico delle malattie e non soltanto una “percezione” del bisogno di salute semplificato a desiderio di un maggiore ricorso alla tecnica. Ma per farlo è prima di tutto necessario riportare il dibattito nei toni e soprattutto nelle sedi più appropriate.

  Si potrebbe ottenere di più riorganizzando le priorità, tenendo in maggior conto la letteratura scientifica e conducendo ricerche comparative che sviluppino percorsi terapeutici più complessi  

I problemi più urgenti, di fatto, sono la tendenza al sovraintervento tecnico, al sottointervento umano e alla mancanza di integrazione fra i diversi servizi sanitari. La verità è che spesso i pazienti sono meno malati di quanto credono e meno assistiti di quanto vorrebbero. In questo contesto, è davvero ragionevole mettere all’indice pratiche a basso impatto chimico e ad alto coinvolgimento del paziente come l’omeopatia? Il dibattito è legittimo. Una cosa accomuna tutte o quasi le medicine “alternative” o “complementari”: l’impianto teorico fortemente orientato alla presa in carico della persona malata nella sua interezza, non solo corpo ma anche mente, cultura, paure, sogni. Questa domanda di fatto esiste ed è fondata in un preciso bisogno al quale una medicina intesa come semplice e diretta applicazione di un sapere tecnico non potrebbe rispondere.

Certo si può faticare ad accettare come legittima una pratica medica che consiste nel prescrivere del semplice zucchero, anche perché (ammettendo che ne vogliamo riconoscere l’effetto placebo) il piano terapeutico ha come pilastro fondamentale il consenso informato. Ma è rischioso abbandonare questa domanda a operatori pseudo-sanitari, incapaci da parte loro di intervenire qualora il paziente necessiti di cure più “classiche”. Al pari della libera e onesta informazione, per la relazione di cura è fondamentale condividere la scelta con il paziente. Il tentativo di pilotarla scadendo nel terrorismo psicologico per pura questione di principio rischia di aumentare lo scollamento fra medici e assistiti. D’altra parte la riappropriazione di questa dimensione da parte della medicina ufficiale dovrebbe essere graduale e ponderata.

Il futuro della medicina

Anche la grandiosa pratica vaccinale vanta una lunga storia di clamorosi insuccessi: non così pittoreschi come vorrebbero i proto-Wakefield, ma abbastanza importanti e frequenti da rendere chiaro che, nella situazione attuale, basterebbe un passo falso compiuto in totale buona fede per confermare tutte le paranoie gonfiate che agitano il paese e produrre incalcolabili danni a lungo termine. C’è dunque assoluto bisogno che le istituzioni, i medici e i media spieghino ai non professionisti che le cose non sono mai perfette, e che migliorarle è un processo difficile e tortuoso, che necessita della collaborazione di tutti.

Per fortuna, fra naturopati talebani in odore di radiazione dall’albo e piazzisti delle industrie farmaceutiche le cose si muovono, nonostante si debba fare un po’ di attenzione per accorgersene. Progetti come Slow Medicine si occupano proprio di trovare nuovi percorsi di mediazione fra l’evidenza scientifica e la centralità dell’individuo; per una medicina “sobria, rispettosa, giusta” e per colmare il surreale gap fra conoscenze accumulate e la loro capacità di generare salute. Uno dei suoi fondatori, Giorgio Bert, studia e scrive di Medicina Narrativa, un promettente tentativo contemporaneo di codificare gli strumenti del racconto soggettivo del malato per poterlo assistere in maniera più completa, personalizzata e soddisfacente. Nel Regno Unito, Ben Goldacre faceva seguire alla pubblicazione del suo libro il lancio della campagna Alltrials, una iniziativa dall’ambizioso obiettivo di rendere obbligatoria la registrazione e la pubblicazione di ogni singolo trial condotto. Dal 2014 le società scientifiche e i progetti editoriali che aderiscono ai principi della campagna continuano ad aumentare, e si cominciano a vederne i primi effetti nei tavoli di discussioni del Parlamento Europeo.

Trovare soluzioni al pervasivo overtreatment è l’obiettivo della campagna di Slow Medicine Choosing Wisely; ripresa e ampliata dall’incredibile GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sull’Evidenza), una fondazione indipendente che si occupa di studiare praticamente tutte le questioni affrontate in questo articolo, garantire corsi di formazione specifici a professionisti ed offrire soluzioni chiare, basate sulle migliori evidenze scientifiche e votate alla messa in sicurezza del più prezioso bene di cui può disporre un paese. Una gigantesca eredità organizzativa, culturale, filosofica e scientifica, il miglior esempio moderno di virtuosismo del pubblico sul privato, dell’uguaglianza sul privilegio: il Sistema Sanitario Nazionale.


* Fonte: Alessandro Ruocco

Ruocco È laureando in Medicina e Chirurgia, con una tesi in metodologia della ricerca. Scrive sulle bacheche dei suoi amici su Facebook

mercoledì 25 aprile 2018

ALITALIA: È L’ORA DELLA LIBERAZIONE!

[ 25 aprile 2018 ]
 

Incredibile ma vero: I confederali hanno firmato ieri un altro accordo infame...

Qui sotto il comunicato Cub Trasporti - AirCrewCommittee




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ALLA VIGILIA DELL’ALTA STAGIONE,  MENTRE CRESCE IL TRASPORTO AEREO,  SENZA CHE SIA RESO NOTO UN PIANO INDUSTRIALE E SENZA ALCUNA TRASPARENZA SUI CONTI AZ I COMMISSARI DI ALITALIA E LE “LORO” OO.SS. CONFERMANO IL TAGLIO DI 1480 POSTI DI LAVORO E RILANCIANO IL BUSINESS DEI LICENZIAMENTI CON L’ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE PER I DIPENDENTI A ZERO ORE

INTANTO LA COMMISSIONE ALLA CONCORRENZA DELLA UE, A FRONTE DELLA “DISINTERESSATA” PRESSIONE DI LUFTHANSA E RYANAYR, APRE L’INDAGINE SUL PRESTITO PONTE EROGATO AD ALITALIA

Anche i simboli hanno un loro significato nella vertenza Alitalia.
Ad un anno esatto dal Referendum (24.4.2017) che bocciò il “Verbale di Intesa” sottoscritto al Mise, CgilCislUilUgl, AnpacAnpav ieri hanno firmano un altro Accordo della Miseria e la UE, pur di esercitare una indebita pressione sulla futura cessione di Alitalia, su mandato delle Compagnie concorrenti che vogliono definitivamente espropriare il ricco mercato del trasporto aereo italiano, sempre ieri, ha aperto ufficialmente l’indagine sul prestito erogato alla Compagnia di Bandiera italiana.

UNA EMBLEMATICA PARABOLA PER UN PAESE PRIVO DI UNA ADEGUATA CLASSE POLITICA, SINDACALE E MANAGERIALE

Quello che appare un vero e proprio bollettino di guerra scatenato contro i lavoratori AZ, colpevoli di non aver assecondato i tagli ai salari e agli organici, nonchè la liquidazione di Alitalia, non trova alcuna spiegazione dai dati di crescita del traffico passeggeri e merci: è la prova dell’insipenza di Calenda&Soci, dei sindacati della miseria e di un management incapace e in malafede.

UN TRAFFICO PASSEGGERI E MERCI IN GRANDE CRESCITA

Ieri il Direttore Generale di Enac, Alessio Quaranta, dichiarava sul quotidiano Il Tempo che il 2018 “sarà un anno boom per il turismo in Italia” , che “sarà una stagione estiva eccellente” e che “preannuncia il tutto esaurito”, dopo che nel 2016 e nel 2017 “il traffico complessivo nel nostro Paese è cresciuto del 7,1% contro il 4,5% degli altri Paesi”, nonchè che in Italia “nei prossimi 12 anni i passeggeri saranno 280 mln contro gli attuali 160 mln (+75%)”.

Inoltre è di oggi la dichiarazione dell’AD di AdR, sul quotidiano Il Messaggero che, riferendosi all’aeroporto di Fiumicino, esalta le sue “performaces anche sulle destinazioni di lungo raggio“, nonchè il “consolidarsi dei mercati cinesi e coreani che fanno registrare volumi di crescita a 2 cifre (21,1%)”

Nonchè il quotidiano Milano Finanza di oggi sottolinea che da gennaio a marzo 2018 a Fiumicino si è registrato un + 7% di passeggeri e che il traffico sul lungo raggio ha conseguito un +17,9%, arrivando addirittura a +57,4% nel mese di marzo u.s nella direttrice da e verso il Nordamerica.

Per non parlare di quanto pubblicato da Avionews oggi stesso che, solo a titolo di esempio, sottolinea come Alitalia non abbia partecipato alla gara per i collegamenti aerei in regime di continuità da/per Pantelleria e Lampaedusa da/per Palermo, Trapani e Catania, aggiudicatasi da Danish Air Trasport per il periodo 1.7.2018 al 30.6.2021: avrebbero fatto comodo alle casse AZ oltre 38,5 mln di euro (circa 13 mln di euro all’anno!) per un servizio da assicurare con 2 Atr-72 ma inspiegabilmente i Commissari AZ hanno preferito proseguire, con il plauso dei “loro” sindacati, con la politica dei tagli a loro ordinata da Gentiloni&Co.

NON VEDONO, NON SENTONO E NON PARLANO E FANNO DANNI
Alla vigilia della “summer” e mentre ancora non è stata assunta una decisione sul futuro di Alitalia, CgilCislUilUgl+AnpacAnpav hanno ratificato 1480 “eccedenze di personale” da gestire con la Cigs per altri 6 mesi, fino al 30.10.2018: un credito ai Commissari AZ, dopo quello concesso loro sull’iper-sfruttamento dei precari, che ben si guardano dal pubblicare i dati ufficiali sui conti AZ.
Aberrante è il vanto sbandierato dai soliti noti di aver imposto uno sconto alle pretese aziendali per 120 unità in meno del semestre precedente: 90 comandanti, 360 assistenti di volo, 1030 personale di terra.

L’ENNESIMA FIRMA A NOME E PER CONTO DI CHI?
Le altre OO.SS. continuano a firmare senza neppure indire una assemblea e mentre hanno la assoluta certezza che ogni sacrificio effettuato in passato dalla categoria è stato bruciato dall’aumento indiscriminato dei costi: ogni 100 euro di risparmio sul costo del lavoro è aumentata la spesa per altri capitoli di 200 o 300 euro, vanificando quanto reso disponibile dai lavoratori.

E’ incredibile che la categoria, dopo che ha bocciato l’ennesima miserabile intesa sui licenziamenti e sui tagli salariali, non sia più stata consultata: CgilCislUilUgl e gli altri sindacati si guardano bene dall’indire un confronto con i lavoratori (...alla faccia dei falsi impegni sulle consultazioni decantati nei pericolosi accordi interconfederali!) per avere un mandato ad agire ma continuano a riservare le decisioni alle segreterie nazionali, di fatto smentite e delegittimate anche dai loro iscritti.

UNA LINEA DA ARCHIVIARE E BATTUTA DAL VOTO DI 2 CONSULTAZIONI
In realtà nell’accordo di ieri sono contenuti assunti industriali (revisione ed ottimizzazione del network, adeguamento del dimensionamento dell’organico, ecc.) che, oltre a restare sconosciuti ai lavoratori (pure ai sindacati firmatari?), non dovrebbero essere nella disponibilità nè dei Commissari AZ, nominati da un Governo sconfitto dal voto alle elezioni politiche, nè dei sindacati che, dopo la sconfitta referendaria, si sono trincerati in un rancoroso autoritarismo, in contrasto con la categoria.

ESPULSIONI E BUSINESS DEI LICENZIAMENTI
Anche nell’ultimo Accordo sulla Cigs non esiste una sola parola sui criteri di applicazione della cassintegrazione, lasciando i lavoratori esposti alle scorribande aziendali, come sicuramente emergerà anche dall’inchiesta della Procura di Civitavecchia sia in tema di utilizzo della Cigs (un bancomat per la ristrutturazione!), sia di cessione di attività mentre si sospendono i dipendenti.

In compenso si annuncia che riparte il Business dei licenziamenti con gli assegni di ricollocazione per i cassintegrati: una nuova sperimentazione che non costituisce un augurio a chi è stato messo a zero ore, visti anche i fallimentari risultati raggiunti con le politiche attive sia per i 2251 dipendenti AZ licenziati a fine 2014 e per i 1666 lavoratori Almaviva espulsi ad inizio del 2017.

D’altra parte per evitare la Cigs a zero ore per 320 dipendenti sarebbe bastato spalmare su tutti la riduzione ottenuta del taglio dei posti di lavoro complessivo da 1600 a 1480 f.t.e., senza accettare di sacrificare qualcuno in ossequio alle malsane pretese dei Commissari AZ.

ECCO L’ASSALTO DELLA UE DA RESPINGERE CON DETERMINAZIONE
Mentre si infliggono ad Alitalia altri tagli, pur di tentare di stroncare qualsiasi intenzione di tutelare gli interessi dei lavoratori, del Paese e della collettività, è stata avviata l’inchiesta della Commissione UE sulla congruità del prestito ponte con le prescrizioni sugli aiuti di Stato.

Tale iniziativa che non si concluderà a breve termine, come tutti sanno, è scatenata dalla rapacità di Lufthansa e Ryanair (quest’ultima beneficia di ingenti aiuti di Stato indiretti da parte del nostro Paese): una pretesa che il futuro Governo dovrà respingere con determinazione, facendo anche appello alla LEGITTIMA FACOLTÀ DELL’ITALIA DI NAZIONALIZZARE la Compagnia di Bandiera.

Cub Trasporti - AirCrewCommittee

Roma 24.4.2018 

martedì 24 aprile 2018

IL NOSTRO 25 APRILE

[ 24 aprile 2018 ]

Riceviamo e pubblichiamo dalla sezione di Foligno di Programma 101








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CONTRO LA DITTATURA FASCISTA IERI

CONTRO L’EURO-DITTATURA OGGI

Sono trascorsi più di 70 anni dalla liberazione dell'Italia dalla feroce occupazione nazi-fascista.


Con lo stesso spirito dei tanti italiani che allora combatterono contro gli oppressori, noi denunciamo e combattiamo gli oppressori di oggi.

Quella lotta, infatti, non è finita. Alla vecchia dittatura è subentrata la nuova: abbiamo un nuovo oppressore, un nuovo nemico da combattere.
Cascina Raticosa: I primi ribelli della IV Brigata Garibaldi

Sono le classi dirigenti ed i loro partiti , i quali, oggi come ieri, pur di obbedire a potenze esterne, hanno provocato lo sfascio del Paese, gettato sul lastrico milioni di cittadini con le loro crudeli politiche di austerità, calpestato la Costituzione svendendo la sovranità popolare e nazionale.

Contro ogni celebrazione ritualistica e ipocrita, evitando ogni collusione con la sinistra di regime, le compagne ed i compagni umbri di Programma 101 saranno a Cascina Raticosa (sulle montagne tra Foligno e Trevi), rifugio e poi comando della IV Brigata Garibaldi dove, nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 1944, ventiquattro giovani partigiani furono catturati dai nazisti e inviati al lager di Mathausen, fra i quali  Augusto Bizzarri, Franco Pizzoni e Franco Santocchia. Mentre lì trovarono la morte Catarinelli Filippo, un bambino di 8 anni, e Salvati Gregorio.*




Invitiamo a celebrare con noi l’anniversario del 25 aprile, facendo nostra la lezione della Resistenza, difendendo gli ideali di chi combatté per una Patria sovrana e democratica, fondata sugli ideali dell’eguaglianza, della libertà e della fratellanza.*


In particolare vogliamo ricordare la umbra IV Brigata Garibalidi la quale, assieme alla Brigata Gramsci, non solo diede filo da torcere ai nazi-fascisti, ma liberò per mesi la Valnerina e lì proclamò la prima Repubblica partigiana.

Appuntamento a Ponze di Trevi per le ore 11:30.
Di lì marceremo per Cascina Raticosa. 
Poi ritorneremo a Ponze per pranzare e festeggiare tutti assieme.


* *La targa commemorativa di Cascina Raticosa venne distrutta anni addietro. 

Il partigiano novantenne folignate Enrico Angelini [nella foto in basso], che all'età di 19 anni entrò nella IV Garibaldi, di sua iniziativa, con raschietto ed acquaragia, si recò nuovamente in montagna e cancellò la svastica.


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