giovedì 30 giugno 2016

LA DEMOCRAZIA? SOLO UN'OPINIONE. Come cade la maschera dei neoliberisti di Piemme

[ 30 giugno ]

Che il sistema economico globalizzato neoliberista avesse partorito regimi politici post-democratici (leggasi: oligarchici) lo sapevamo.
Fino ad ora, però, Lorsignori, le élite intendo, forti della loro egemonia, continuavano a mascherare il regime oligarchico come inveramento, per quanto perfettibile, della democrazia.

Ma la BREXIT ha fatto perdere la testa alle teste d'uovo—intellettuali, giornalisti, politicanti e saltimbanchi vari.
Sentite cosa si legge nell'editoriale de Il Sole 24 ore di oggi a firma, niente meno di A. Quadrio Curzio:
«Brexit passerà alla storia come una scelta sbagliata e molto costosa legittimata dalla volontà popolare di circa 650mila persone, cioè dello 0,12% dei 500 milioni di cittadini della Ue. Questo è infatti il numero di voti che, spostato dai pro-uscita ai pro-Europa, avrebbe fatto prevalere questi ultimi. Celebrare questo evento come il trionfo della democrazia è molto arduo». [il Sole 24 ore]
Roba da far rizzare i capelli anche a chi non li ha.
Anche volendo spogliare (come afferma certo positivismo giuridico) la democrazia di una sostanza etico-valoriale, anche riducendola a pura procedura, vale il principio che in democrazia è legittima quella decisione presa a maggioranza, e che un governo è legittimo solo  se dispone della maggioranza dei voti. 
E' il noto "principio di maggioranza", principio che certi liberali considerano adesso, dopo Brexit, un orpello.

Singolare quanto sintomatica l'equazione del Quadrio Curzio: la BREXIT avrebbe vinto "solo con" lo 0,12% dei milioni di cittadini europei". 

Vedete che delirio europeista? Si fa finta che non esistano più stati sovrani, che ci sia solo l'Unione europea e che essa sia già ciò che non è non potrà mai essere: uno Stato. Che quindi non esistano più cittadini inglesi, italiani o tedeschi, ma solo metafisici... "cittadini europei".

E' da ricordare al Nostro che gli euroligarchi non han perso solo in Gran Bretagna, ma tutti (tutti) i referendum in cui cittadini europei sono stati chiamati a dire la loro con dei referendum: Francia, Olanda, Irlanda e Grecia. 
Se poi dovessimo accettare l'equazione squinternata  del Quadrio Curzio potremmo dirgli che la Merkel governa grazie al voto di un misero 4% "dei milioni dei cittadini europei", e che Renzi alle europee prese solo il 2,2% di voti "dei milioni dei cittadini europei". Andrebbe ancora peggio se considerassimo, come fa lui, solo lo scarto di voti tra Merkel o Renzi con le opposizioni: saremmo anche in questo caso ai prefissi telefonici.. ma internazionali. Tiri dunque la comica conseguenza e dica che ogni singolo governo nazionale è illegittimo.

Ma devo concludere sottolineando un'altra, diciamo così, "piccola incongruenza".
Quadrio Curzio, sostiene in pratica che occorrono ben più ampie maggioranze per far si che una decisione importante sia legittima, che non basta il 50% più uno.

Facciamo finta che abbia ragione.
Perché mai dunque, assieme a tutta la nave ammiraglia padronale de Il Sole 24 Ore, è un paladino dell'Italicum e della schiforma istituzionale renziana, per cui domani potremmo avere un regime votato al primo turno solo da un quarto e forse anche meno dei cittadini italiani —che magari, al ballottaggio, vince solo per uno scarto, che so, anche di un voto solo?

Misteri della fede... liberale.

BREXIT: LA POSIZIONE DEI COMUNISTI INGLESI

[ 30 giugno ]

Dichiarazione del Partito Comunista della Gran Bretagna sul risultato del referendum UE

Il risultato del referendum rappresenta un colpo enorme e potenzialmente disorientante per la classe capitalista dominante in Gran Bretagna, per i politici al suo servizio e i suoi alleati imperialisti della UE, degli USA, del FMI e della NATO.

Il popolo si è espresso e la sovranità popolare ora esige che il Parlamento di Westminster accolga e metta in atto la sua decisione. La sinistra deve ora raddoppiare gli sforzi per trasformare questo risultato del referendum in una sconfitta per l'intero asse UE-FMI-NATO.

Ma è chiaro che il governo Cameron-Osborne ha perso la fiducia degli elettori e non può essergli affidata la responsabilità di negoziare l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea. Si dovrebbe dimettere immediatamente.

Il Partito Comunista non ha neanche fiducia che un governo Tory guidato da altri deputati come Boris Johnson, Michael Gove, Liam Fox e Iain Duncan Smith, favorevoli ai colossi economici e alle politiche imperialiste e neoliberiste, sappiano resistere alle pressioni della City di Londra, del grande business, degli Stati Uniti e della NATO per evitare l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea.

Se nessun governo alternativo può avere una maggioranza nella Camera dei Comuni, devono essere convocate senza indugio elezioni generali.

Questo rende ancora più importante che la direzione del partito laburista si impegni immediatamente a rispettare e attuare pienamente la decisione del referendum. Inoltre, dovrebbe chiarire la sua determinazione a negoziare i termini dell'uscita e trattati futuri con l'UE e gli altri paesi sulla base di nuovi accordi che mettano gli interessi dei lavoratori - qui e a livello internazionale - prima di quelli delle grandi imprese e del "libero mercato" capitalista.

In ogni caso, sarà anche fondamentale contrastare la recrudescenza della xenofobia e del razzismo scatenato dalle principali forze su entrambi i lati della campagna referendaria.

L'unità e la mobilitazione delle forze del movimento operaio e progressista sono essenziali al fine di spiegare i benefici dell'immigrazione e contrastare l'appello alla divisione e contro la classe operaia dell'UKIP e di altri partiti di destra e di estrema destra.

Ora dobbiamo lottare per garantire che la Gran Bretagna fuori dalla "Fortezza Europa" usi la sua libertà per accogliere le persone provenienti da tutto il mondo che vengono a lavorare, studiare e vivere qui e porti l'Europa a fornire un rifugio sicuro per i richiedenti asilo e i rifugiati.

Robert GriffithsSegretario generale
24/06/2016

*Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

mercoledì 29 giugno 2016

SINISTRA: ILLUMINISTI? NO "ILLUMINATI" di Aldo Giannuli

[ 29 giugno ]

Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel Pd e nei suoi alleati.

Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista).

Poi ci si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, altro illuminato progressista, che ha sentenziato che su argomenti così complessi non si può interpellare il popolo che evidentemente non ha gli strumenti per capire. In effetti la stessa cosa si può dire della Costituzione, del nucleare, del codice penale o civile, della responsabilità dei magistrati, e, in fondo anche divorzio, aborto o, diciamola tutta, anche decidere fra Repubblica e Monarchia non sono temi semplici alla portata del popolo bue. Magari questo lo pensò, nel giugno 1946, Umberto II di Savoia e, si sa, il sangue non è acqua.

Poi è giunto il verbo dell’eccelso storico e politologo Roberto Saviano che, dall’alto dei suoi studi, ha decretato che quelli che hanno votato Brexit sono tutti fascisti e nazisti! E Saviano è una delle teste più lucide dell’intellettualità di sinistra, anche se dovrebbe perdere ancora un po’ di capelli per giungere alla lucidità integrale.

Poi la Melandri ha ritwittato con simpatia la massima di un tale: “Ma perché anziché negare il voto nei primi 18 anni non lo togliamo negli ultimi 18 di vita?”. Giusto, solo che c’è un problema: fissare il termine a quo calcolare i 18 ultimi, visto che la gente si ostina a morire a casaccio nelle età più disparate. Certo, si potrebbe fissare per legge il “fine vita” (e l’evoluzione ideologica del Pd va in questa direzione “giovanilistica”), però non credo converrebbe tanto all’on Giovanna Melandri che, insomma, proprio una ragazzina non è più ma solo una ex bella donna. Potremmo proseguire con gli esempi.

Sta venendo fuori tutta l’anima ferocemente classista, elitaria, antipopolare di questa sinistra dei salotti.

Io appartengo ad un’altra sinistra, che sa perfettamente di dover affrontare le sfide del mondo della globalizzazione, ma che non dimentica il Psi che organizzava le scuole di alfabetizzazione per insegnare agli operai a leggere e scrivere per conquistare quel diritto di voto che questi oggi vorrebbero togliere; che non dimentica il “cafone” Peppino Di Vittorio, che un titolo di studio non lo prese mai ma che insegnò ai braccianti a non togliersi il cappello davanti ai “signori” e che a questi intellettuali di “sinistra” avrebbe potuto insegnare molte cose; che non dimentica le scuole delle repubbliche partigiane come quella organizzata nell’Ossola da Gisella Floreanini; non dimentica intellettuali come Umberto Terracini, Antonio Gramsci, Concetto Marchesi, Vittorio Foa, che erano veri grandi intellettuali (non come questi cialtroni della gauche caviar) che non nutrivano nessuna spocchia intellettuale e la vita l’hanno spesa per emancipare culturalmente, economicamente e politicamente le classi popolari.

La mia sinistra non ignora i problemi dell’oggi, ma non si piega all’idea che la migliore sinistra è … la destra elitaria e classista.

Lo confesso, questa sinistra al chachemire, la sinistra delle terrazze romane , ebbene si, mi fa schifo non solo politicamente, ma più ancora moralmente ed umanamente, perché la “sinistra” neoliberista ed elitaria non esiste: è solo una ignobile truffa. Il Pd? E’ più spregevole della Lega e dell’Ukip, credetemi.


* Fonte: aldogiannuli.it

SOVRANITÀ NAZIONALE E SOCIALISMO di Mpl

[ 29 giugno]

Ci prendevano per matti...


Quando, nel marzo del 2012, come Movimento Popolare di Liberazione, sollevammo la tesi che nel nostro Paese si poneva nuovamente la "questione nazionale", che senza la liberazione dalla gabbia dell'Unione europea non avremmo avuto né sovranità popolare né democrazia.
Ora, dopo la batosta della Brexit, le élite euriste tremano, sentono che la loro Unione oligarchica va in disfacimento. Dicevamo allora: la disgregazione della Ue è ineluttabile, e sotto le sue macerie resteranno le fondamenta degli stati nazionali. E solo su quelle fondamenta si poteva e doveva basare un nuovo progetto di Paese.
Qui sotto un capitolo Manifesto del M.P.L., adottato dalla prima Assemblea nazionale (marzo 2012). 

Sovranità nazionale e socialismo

«Non vediamo oggi, in seno alle classi dominanti italiane componenti disposte a battersi sul serio per uscire dall’Unione europea, sganciare l’Italia dalla morsa della globalizzazione liberista per ricollocarla dentro nuovi scenari geopolitici. Ove domani si manifestassero il popolo lavoratore non dovrebbe esitare a costituire un’alleanza comune.
Compito pressante dell’oggi è costruire un fronte ampio del popolo lavoratore, un'alleanza solida tra il proletariato e parti consistenti delle classi medie. Dentro questa alleanza il proletariato non dovrà stare a rimorchio ma agire da forza motrice. E per questo serve un soggetto politico rivoluzionario, che aiuti la classe degli sfruttati a diventare classe dirigente nazionale. Solo un fronte popolare con al centro i lavoratori può avere la forza e la determinazione per un cambio di sistema capace di portare l’Italia fuori dal marasma. E' da questo contesto che discendono i compiti, le funzioni e il profilo del Movimento Popolare di Liberazione.
Ma essi dipendono anche dalla nostre finalità, dai nostri scopi ultimi.


Vi è ancora chi considera l’uscita dall’Unione europea e l’abbandono dell’euro come idee velleitarie ed estremistiche. E’ vero esattamente il contrario. Il disfacimento dell’Unione europea e la fine dell’euro sono processi oggettivi, oramai irreversibili. Velleitari sono coloro che si illudono di fermare queste tendenze facendo gli esorcismi, mettendo toppe che sono peggiori del buco. Estremisti psicotici sono gli oligarchi di Francoforte e Bruxelles, disposti a dissanguare intere nazioni pur di tenere in vita una moneta moribonda e ingrassare la rendita parassitaria. Il problema non è se abbandonare l’euro o meno, il problema è chi guiderà questo processo. Se al potere resteranno i servi politici del capitalismo finanziario ne faranno pagare le salate conseguenze alle masse lavoratrici. Se sarà un governo popolare a pilotare l’uscita, i sacrifici, certo inevitabili, saranno anzitutto addossati ai parassiti, e i frutti di questi sacrifici saranno utilizzati per il bene comune della maggioranza e la rinascita del paese. 


E’ in questo quadro che il MPL considera la riconquista della sovranità nazionale una stella polare. Senza sovranità nazionale non c’è quella popolare, non c’è democrazia. Solo riconquistando questa sovranità politica, economica e monetaria il paese può risorgere su nuove basi, sganciandosi dalla soffocante morsa dei mercati finanziari internazionali per proiettarsi verso altri orizzonti regionali e mondiali. Se Un’ Europa dei popoli vedrà un giorno luce essa nascerà sulle macerie di quella di Maastricht.
Siccome è sotto gli occhi di tutti che non siamo alle prese con una recessione ciclica ma con una crisi storico-sistemica di un modello di produzione e di vita, dovere di chi guarda al futuro è immaginare un’alternativa di società e agire per realizzarla. Sarebbe assurdo fare grandi sacrifici per poi ritrovarci alle prese con una società esposta a crisi cicliche devastanti, incapace di assicurare un reale benessere collettivo, generatrice di diseguaglianze e squilibri, lacerata dai conflitti sociali.

Il MPL scende in campo per contrastare questa crisi e soprattutto per uscire dal sistema neoliberista globalizzato che ha fatto del capitalismo un dogma. Per liberare il paese dalla corruzione, dalle ingiustizie, dalla dittatura delle banche e della finanza internazionale. Per liberarci dalla dittatura del mercato. 
Scende in campo per non accettare supinamente la distruzione sistematica della natura, della nostra vita e del futuro delle nuove generazioni; per affermare che l'alternativa è una società socialista che metta l'economia al servizio della collettività e della difesa di tutti i beni comuni.
Sappiamo che questo approdo è ancora lontano, che occorrono tempi lunghi affinché lavoratori e cittadini possano riuscire a prendere in mano i loro destini. Solo allora la società sarà matura per fare a meno del mercato, per togliere ai mezzi di produzione e di scambio la loro forma capitalistica e ai beni la loro forma di merce.
Fino ad allora coesisteranno forme diverse di proprietà, quelle capitalistiche e quelle statali, quelle pubbliche e quelle autogestite. Fermo restando che il governo popolare dovrà aiutare il nuovo a crescere e il vecchio a perire.
L’alternativa di oggi è lottare o soccombere. Quella di domani sarà la liberazione o il ritorno a forme più brutali di oppressione».

martedì 28 giugno 2016

SPAGNA: DOVE HA PERSO LA SINISTRA di Miguel Muñoz

[ 28 giugno ]

Un'analisi comparata del voto del 26 giugno, con particolare attenzione al risultato deludente della coalizione tra Podemos e Izquierda Unida.
Sono passati solo due giorni e i media spagnoli registrano la riacutizzazione delle tensioni interne a Podemos, tra
'errejonistas' e 'pablistas'. L'ala di Íñigo Errejón era contraria alla alleanza elettorale con Sinistra Unita.


Nella foto da sinistra: Pablo Iglesias di Podemos e Alberto Garzon leader di IU, nelle elezioni nella stessa coalizione.

Era la novità principale della campagna elettorale rispetto alle elezioni del 20 dicembre. Dopo diversi mesi di urticante telenovela Podemos e Izquierda Unida (IU) hanno alla fine raggiunto un accordo storico per partecipare insieme alle elezioni del 26 luglio. L'obiettivo dei partiti di Pablo Iglesias e Alberto Garzón era chiaro: contendere la vittoria al partito Popolare (PP). Davano per scontato, come quasi tutti i sondaggi, che sarebbero diventati la seconda forza del Paese incollati al PP.

Invece no, l’atteso sorpasso sui socialisti del PSOE non è arrivato. Non solo. L’alleanza Unidos Podemos, che si pensava avrebbe moltiplicato i voti, ne ha, al contrario, persi per strada più di un milione —esattamente 1.089.670— rispetto alla somma che Podemos, IU e le diverse liste territoriali ottennero a dicembre. Questi dati si traducono comunque in 71 seggi, esattamente gli stessi che ottennero le due formazioni separatamente.

La somma dei voti di Podemos, In Comú Podem, En Marea, Compromis-Podem e IU-20D Unidad Popular il 20 dicembre scorso fu di 6,139,404 voti. Questo 26 luglio la stessa coalizione ne ha presi 5.049.734. Catalogna e Paesi Baschi si sono dimostrate le comunità autonome con i risultati migliori. In Catalogna, In Comú Podem, guidata da Xavier Domenech conserva la prima posizione ed i suoi 12 seggi, malgrado abbia perso 81.354 voti. Nei Paesi baschi è la lista con il maggior numero di voti (31.000 voti in più del 20 dicembre), ottenendo 6 seggi, uno in più del Partito Nazionalista Basco (PNV).

Nella Comunità Valenciana Compromis-Podem conserva la seconda posizione ed i suoi 9 seggi. Anche se rispetto alla somma di voti ottenuta a dicembre con Esquerra Unida del Pais Valencià (EUPV) ne perde 129,617. Situazione simile in Navarra e nelle Isole Baleari dove la coalizione ottiene due seggi e conserva il secondo posto ma con meno voti rispetto alla somma di dicembre quando andarono separati.

Particolarmente impietoso è il caso di Madrid, dove l'alleanza sperava di superare i 10 seggi ottenuti da Podemos e IU separatamente il 20 dicembre scorso. Ne hanno ottenuti invece 8 e avendo perso più di 216.580 voti. Conservano sì la seconda posizione, ma lontano dal PP, che ha quasi il doppio dei voti. Anche in Galizia En Marea ha anche preso una batosta, dando il secondo posto al PSOE, perdendo uno dei 6 seggi che aveva e quasi 66.445 voti. Il secondo posto è stato perso nella Canarie anche se in questo caso si conservano 3 deputati. In Aragona si manifesta la medesima tendenza generale, con gli stessi deputati, 2, e meno voti rispetto a quelli ottenuti separatamente tra Podemos e IU.

In Andalusia, considerata una regione chiave da Unidos Podemos, la coalizione passa da 10 a 11 seggi, ma ha perso più di 200.000 voti rispetto alla somma di Podemos e IU nel mese di dicembre. Curiosamente perdono il seggio ottenuto nella provincia di Almería, dove si era presentato il generale Julio Rodriguez, una delle stelle di Podemos e dove Iglesias stesso era andato a sostenere la sua campagna. Al contrario, ottengono un seggio a Jaén con il sindacalista Diego Cañamero che diventa deputato. Mantiene d’altra parte i suoi record a Cordoba (Manolo Monereo sarà deputato), Málaga, Huelva, Granada e Cadice. A Siviglia i seggi passano da 2 a 3.

Nelle due Castillas, dove ottennero i risultati più poveri risultati il 20 dicembre, non sono riusciti a decollare, conservando 1 seggio nella regione di Castilla-La Mancha e conservando i 3 in Castiglia e Leon. Essi hanno inoltre mantenuto l’unico seggio in Estremadura, Murcia, Cantabria e La Rioja oltre ai due delle Asturie.

Da sinistra: Alberto Garzon (IU) e Pablo Iglesias


I musi lunghi dei leader dell’alleanza Unidos Podemos erano il tratto predominante quando sono comparsi in pubblico una volta avuti i risultati definitivi. Tutti hanno riconosciuto i brutti risultati, ma Iglesias ha ribadito la continuità della alleanza. "I risultati delle elezioni non sono soddisfacenti, avevamo aspettative diverse. Siamo preoccupati per la perdita di sostegno del blocco progressista", ha affermato. "Forse abbiamo bisogno di tempi più lunghi", ha detto Iglesias a proposito dell’aspettativa del suo partito di vincere le elezioni.

Se ci sarà questa “continuità” lo sapremo presto dai risultati delle prossime riunioni dei dirigenti. Nessuno scenario è da escludere.

* Fonte: Cuarto Poder
** Traduzione a cura della Redazione

SALTIMBANCHI DELLA SINISTRA EUROPEISTA di Militant



[ 28 giugno ]


Michele Serra, Roberto Saviano, Beppe Severgnini e compagnia cantando...


Al cuore del vero e proprio terrore che sta rappresentando la Brexit per il ceto politico europeista sta un dato: a differenza della Grecia, la Gran Bretagna non fallirà. Anzi, come timidamente stanno dicendo diversi economisti, l’indebolimento della sterlina e la riappropriazione di alcuni strumenti economici non più mediati da Bruxelles, dovrebbe aumentare addirittura la competitività del paese. Un discorso che ci interessa il giusto, tutto interno alle classi dominanti inglesi, ma il fallimento dell’unica “narrazione forte” agitata dalla Ue contro ipotesi di uscita sta terrificando i commentatori filo europeisti. Fuori dalla Ue non c’è il paventato disastro sociale e politico. Se disgraziatamente la Gran Bretagna dovesse continuare a crescere economicamente, lo spettro ideologico verrebbe meno e a quel punto ogni altra argomentazione si scontrerebbe col principio di realtà per cui l’Ue non è il nostro unico orizzonte.

In questa maratona dialettica che ha mobilitato tutti i pasdaran europeisti, l’altra “narrazione forte” è data dallo “scontro generazionale” disegnato dal voto: da una parte i vecchi, reazionari e xenofobi, dall’altra i giovani, progressisti e cosmopoliti.

Uno dei più triti cliché populisti, cavallo di battaglia del renzismo, viene fatto proprio da tutta la sinistra funzionale, quella à la Saviano. Eppure, stando ai dati, anche questo è un altro artificio populista non confermato dai fatti. Secondo le analisi del voto, i giovani, semplicemente, non hanno votato. Alla faccia della “generazioni Erasmus”, ai “giovani” – non si sa bene per quale motivo destinatari naturali delle virtù progressiste – del referendum gliene è fregato il giusto. Tra i 18 e i 24 anni hanno votato il 36% degli elettori.

Però “i giovani erano per la Ue”, ci dicono i sòla mediatici, soggiogando ideologicamente quella sinistra prona ai diktat culturali di Bruxelles. Saviano, peraltro, è lo stessa persona che qualche settimana diceva delle elezioni napoletane
«De Magistris è adesso pronto a vincere un nuovo ballottaggio catalizzando forze che vanno dall’ex rettore democristiano dell’Università di Salerno, Raimondo Pasquino, alle avanguardie di Hamas a Napoli […] De Magistris in questo modo ha parlato ai tifosi, agli ultrà, perché è questo che ha costruito attorno a sé: un appoggio strappato agli ultimi residuali centri sociali».
Il disprezzo aristocratico dell’intellettuale agiato verso le classi popolari è davvero disarmante, ma ci racconta il personaggio che è sempre stato Saviano. In buona compagnia, peraltro:

Il recupero di certe retoriche da parte di pezzi di sinistra è invece meno comprensibile, se non attraverso un estremo tatticismo alla canna del gas che si serve di Saviano per andare contro le classi subalterne inglesi pur di inserire il voto per il Brexit nei propriframe analitici completamente scollegati dalla realtà, tutti ultra-ideologici e politicisti (del tipo: “avreste fatto meglio a rimanere nella Ue, poi costruire il partito comunista, poi prendere la maggioranza dei voti e instaurare il socialismo in tutta Europa”: come non averci pensato prima!).

A questa logica contorta e smentita dai numeri reali, se ne aggiunge un’altra, più manifestamente classista ed elitaria, per cui le classi subalterne voterebbero sovente “di pancia”, disinformate, vittime dei populismi, eccetera.

Motivazioni generiche e, come sempre, ultra-elitarie, che non tengono in considerazione il contesto in cui si è prodotto questo voto popolare contro la Ue. E’ vero che quasi mai le classi subalterne votano per i propri interessi materiali (questo però vale sempre, anche quando si invoca la democrazia referendaria come strumento di partecipazione popolare), ma questo è un fenomeno prodotto dalla copertura culturale che mistifica gli interessi reali della popolazione. Il capitalismo, detto altrimenti, si riproduce ancheattraverso forme di assoggettamento culturale che determinano la natura alienata delle scelte politiche del proletariato. 
Se “le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti”, questo comporta che anche la maggioranza dei lavoratori tenderà ad essere assuefatta al dominio ideologico del capitale. Nel voto sulla Brexit però è avvenuto esattamente il contrario: tutta la struttura economica, tutta la produzione culturale, quasi tutto il ceto politico liberale, in una parola: tutti coloro che contribuiscono alla sedimentazione delle idee dominanti in una società, erano manifestatamente per il remain. Se gli elettori hanno bocciato questa visione egemonica è proprio perché hanno votato di pancia invece che di testa, hanno cioè votato in base alle proprie condizioni di classe e non alla propria mistificata rappresentazione di sé data dal contesto capitalista delle idee dominanti.

L’altra argomentazione priva di logica è quella per cui Ulster e Scozia avrebbero votato per il remain, *dunque* la direzione del voto “democratico” e “progressista” certificherebbe una volontà di Europa. Tra le varie scemenze sentite in questi giorni, questa è la più grossolana. 

A parte celare volutamente tutto il dibattito intorno all’involuzione politica dello Sinn Féin, che quantomeno dovrebbe far prendere cum grano salis le sue posizioni, ma l’Ulster ha un governo di centrodestra, guidato dal Partito unionista democratico, che è un partito unionista, filo-inglese e liberista. Dunque, nell’Ulster il voto è già tendenzialmente “di destra”, solo che se votano per il remain questo si trasforma magicamente in voto “di sinistra”. Miserie della politica e dei suoi politicanti social. La Scozia, viceversa, è governata da un partito di centrosinistra, lo Scottish national party, che da anni sfrutta l’Unione europea come contrappeso all’invadenza inglese negli affari della nazione scozzese. Ed è proprio in questo senso che va letto il voto nord-irlandese e scozzese per il remain: l’eventualità dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue consente alle due nazioni colonizzate di richiedere una riammissione, a quel punto mandando in crisi l’unità britannica e procedere così all’agognata liberazione. Una mossa tattica peraltro condivisibile, dove la differenza politica decisiva tra le forze in campo è attorno all’adesione o meno al dominio inglese. Sono questioni interne alla dialettica britannica, difficilmente generalizzabili, che assumono una valenza decisiva in quel contesto ma non replicabili su scala continentale.

* Fonte: MILITANT BLOG

BREXIT: UN LIBERALE (che non ha portato il cervello all'ammasso) di Luca Ricolfi

[ 27 giugno ]


Quasi tutti, nel fronte eurista, hanno perso la testa, vittime di compulsivi conati antidemocratici. Tra gli altri, ne dava conto Marco Mori. Non tutti gli adepti della élite eurista, sono tuttavia sprofondati nel ridicolo. Invitiamo alla lettura di questo intervento di Luca Ricolfi, apparso su Il Sole 24 Ore di domenica.

IL POPOLO E' SOVRANO QUANDO "VOTA COME DEVE"

«Il 24 giugno è San Giovanni, patrono di Torino. Quindi per la città è giorno di festa, e succede che si passi una serata con amici e conoscenti, a chiacchierare del più e del meno e a guardare i fuochi d’artificio.

Quest’anno però era diverso, a tenere banco erano solo due argomenti: la caduta di Fassino per mano di una neo-sindaca grillina (Chiara Appendino), e il capitombolo dell’Europa sotto i colpi del Brexit. E i discorsi?

Un po’ di tutto, ma quello che più mi ha colpito, un po’ girando per i siti un po’ parlando con le persone che conosco (quasi tutte favorevoli a Fassino e al «Remain»), è il tratto che li accomunava: l’animosità contro il suffragio universale. Il discorso più moderato che ho sentito suggeriva che i referendum dovrebbero essere indetti solo su materie semplici e comprensibili (tipo: sei pro o contro i matrimoni gay?) e che il referendum sul Brexit proprio non si doveva fare.

I più estremisti suggerivano drastiche limitazioni del suffragio: per votare si dovrebbe almeno avere la licenza media (ma c’è anche chi dice: la laurea); oppure: per votare si devono avere meno di 70 anni. In breve: a vecchi e ignoranti bisognerebbe togliere il diritto di voto.

Trovo tutto ciò estremamente interessante. Non per il contenuto di simili pensieri, ma per i soggetti da cui provengono. Gli stessi che parlano con sufficienza, talora con disprezzo, del popolo che vota Cinque Stelle o sceglie Brexit, sono prontissimi a lodarne la saggezza, la maturità democratica, la lungimiranza, quando il popolo vota nel modo giusto. Gli stessi che invocano ad ogni occasione la necessità di passare dalla fredda Europa dei tecnocrati, autoritaria e burocratica, alla calda Europa dei popoli, luminosa e
democratica, immancabilmente si spaventano non appena, con un referendum, ai popoli vien concesso di dire la loro su qualcosa di importante. Insomma, qui c’è qualcosa che non torna, innanzitutto sul piano logico. E questo qualcosa, ho l’impressione, ha a che fare proprio con il concetto di popolo.

La condizione del popolo, oggi in Europa, è strana e deplorevole. Non tanto perché il popolo è il popolo, e quindi per definizione è il “basso” del sistema sociale, ma perché il suo rapporto con la politica è innaturale e disturbato. In molti paesi europei, verosimilmente in tutti quelli di matrice occidentale, accade un fenomeno inedito: i partiti progressisti affermano di voler rappresentare le istanze del popolo, ma il popolo non li vota, preferendo ad essi i movimenti e partiti cosiddetti populisti, siano essi di destra, di sinistra o incollocabili (come il Movimento Cinque Stelle). E viceversa i ceti medi impiegatizi, gli insegnanti, gli intellettuali, gli artisti, i professionisti, persino molti imprenditori e manager preferiscono votare i partiti progressisti, o quel che resta dei partiti conservatori tradizionali. Insomma un vero quadrilatero amoroso disturbato: la sinistra dice di amare il popolo, ma il popolo non ama più la sinistra. I ceti alti e medi prediligono la sinistra, che però dice (o finge?) di rappresentare i ceti bassi.

La questione interessante a me pare questa: sbagliano i benestanti a guardare a sinistra? E sbaglia il popolo a guardare altrove?

La mia risposta è che, tutto sommato, i benestanti fanno benissimo a prediligere questa sinistra, che è molto attenta alle loro esigenze e molto distratta su quelle di chi sta in basso, quelli che io amo definire “i veri deboli”: incapienti, artigiani, lavoratori autonomi, lavoratori in nero, disoccupati, esclusi dal mercato del lavoro, abitanti delle periferie. Sarei meno sicuro che sia anche vero il reciproco, ossia che facciano bene i ceti bassi a fidarsi dei partiti populisti.

Per certi versi, mi pare che facciano male. I due fronti che si osteggiano in Europa, a me paiono afflitti entrambi da mancanza di visione, e da una formidabile inadeguatezza delle rispettive classi dirigenti. Se il Brexit ha vinto è innanzitutto perché gli uomini (e le donne!) che contano in Europa, non sono stati all’altezza del sogno di Altiero Spinelli. Ma una volta messi da parte Juncker, Hollande, Merkel, Renzi, Cameron, possiamo pensare che a farci sognare siano Marine Le Pen, Farage, Grillo o Salvini? Di per sé, l’idea di un’Europa delle Nazioni, senza la Gran Bretagna ma estesa “dall’Atlantico agli Urali” non è affatto insensata o peregrina, e risale addirittura alla fine degli anni ’50, quando de Gaulle ebbe a formularla per la prima volta. Il guaio è che alla guida della destra in Europa non c’è un de Gaulle, ma solo (per ora) una modesta squadra di agitatori politici, che una volta al potere potrebbero anche farci rimpiangere la sbiadita classe dirigente europea di oggi: insomma l’establishment europeo deve accontentarsi della signora Merkel («l’unico uomo di Stato europeo», copyright Massimo Fini) ma dall’altra parte non è ancora nato un nuovo de Gaulle che sappia prenderne il posto.

Se però guardiamo le cose da un altro punto di vista, quello dell’economia e della politica sociale, non sono così sicuro che la fiducia del popolo nei partiti populisti, e soprattutto la sua sfiducia nei partiti progressisti che vorrebbero rappresentarlo, non siano tutto sommato ben riposte. Non sono così sicuro, in altre parole, che sia fondata l’accusa che, sotto sotto, benpensanti e governanti illuminati rivolgono al popolo, ossia di essere cieco e abbindolabile, fino al punto di votare contro i propri interessi. È vero, le campagne populiste hanno puntato il grosso delle loro carte sulla paura per gli immigrati, visti come temibili concorrenti in materia di posti di lavoro e accesso al welfare, ma anche come fonte di disordine e di insicurezza per la loro specializzazione in alcune materie criminali, come il furto, il traffico di droga, lo sfruttamento della prostituzione.


A tutto ciò l’Europa civile e illuminata ha saputo opporre soltanto l’imperativo morale dell’accoglienza, il valore superiore dell’inclusione sociale, e talora anche il disprezzo per chi ha paura, accusato di basarsi su mere percezioni, distorte dalla propaganda e dalla credulità, anziché sulla cruda realtà delle cifre statistiche (vedi le ricorrenti polemiche su criminalità reale e percepita). Non hanno pensato, i dispregiatori del popolo e delle sue paure, che la maggior parte di coloro che di paura non ne hanno (o ne hanno poca, o sanno dominarla con la ragione) vivono in zone protette, o comunque non degradate, delle nostre affluenti società moderne. Soprattutto, non hanno pensato, i rieducatori del popolo rozzo e credulone, di consultarle davvero, le statistiche sulla criminalità e l’immigrazione in Europa (si veda il grafico in pagina). È un lavoro difficile, perché i dati sono lacunosi e le fonti vanno integrate e raccordate, ma non è impossibile farlo. E se lo si fa, il quadro che
emerge non dà così torto al popolo ingenuo ed ignorante. Secondo la ricostruzione della Fondazione David Hume, su 28 paesi europei per cui si hanno dati, il tasso di criminalità relativo degli stranieri è sempre (tranne in Irlanda e in Lettonia) superiore rispetto a quello dei nativi. In media gli stranieri delinquono 4 volte di più, con punte di 12 in Grecia, 7 in Polonia, 6 in Italia, 5 nelle civilissime Svezia, Austria, Olanda.

Che dire?

Forse il popolo non fa bene a fidarsi delle forze populiste, che talora alimentano i peggiori sentimenti dell’animo umano. Ma forse il popolo, più che fidarsi dei populisti, non sa a chi altri affidarsi, e votandoli fa una scommessa tanto scettica quanto disperata. Più che credere negli agitatori anti-sistema, il popolo pare diffidare dell’élite illuminata che lo rispetta quando “fa la cosa giusta”, e ne prende commiato quando fa quella sbagliata».


* Fonte: Il Sole 24 Ore del 26 giugno

lunedì 27 giugno 2016

SPAGNA: PERCHÉ HA PERSO PODEMOS? di Piemme

[ 27 giugno ]

Cinque sono i dati salienti della tornata elettorale spagnola.

(1) In primo luogo il successo del Partito Popolare, ovvero della destra storica spagnola, erede diretta del franchismo. Dentro questo successo, quello personale di Rajoy, che ora riceverà il mandato per formare il governo. Molto probabilmente di "larghe intese" con il Partito socialista —così come chiedono le classi dominanti spagnole e gli oligarchi euro-tedeschi
(2) La sostanziale tenuta del Partito socialista che ha evitato l'annunciato sorpasso da parte di Podemos e può quindi, vendere cara la pelle nell'ipotesi di dover governare assieme a Rajoy e il partito Popolare.
(3) Il vero e proprio crollo di Ciudadanos, la neonata formazione neoliberista che, sul lato destro del panorama politico spagnolo, ha cercato di emulare Podemos.
(4) Il forte calo dei votanti. Un dato rilevante se si pensa che da sei mesi la Spagna era senza governo ed in una ininterrotta campagna elettorale ossessivamente alimentata dai media.
(5) La sconfitta elettorale di Unidos Podemos. L'alleanza tra il movimento di Pablo Iglesias e Sinistra Unita non solo non scavalca il Partito socialista, ma perde una milionata di voti rispetto ai voti che le due formazioni ottennero a dicembre.

Come spiegare il "fracaso", il fallimento di Podemos?

Le prime analisi dei flussi elettorali indicano che, mentre una piccola parte di ex-elettori di Podemos e Sinistra unita ha votato per i socialisti, la maggioranza non si è recata alle urne o ha votato scheda bianca. Un fallimento che sarebbe stato catastrofico senza i notevoli successi nei Paesi Baschi ed in Catalogna —che si spiegano per le peculiarità di queste due nazioni e per il decisivo contributo dei movimenti indipendentisti.




Allora la vera domanda è non tanto perché non c'è stato l'annunciato "sorpasso", ma perché centinaia di migliaia di cittadini che a dicembre votarono Podemos o Sinistra unita hanno scelto l'astensione?

A rischio di sbagliarmi, ed avendo seguito la campagna elettorale spagnola, anzitutto nelle sue ultime battute, azzardo la mia spiegazione.

La ragione che a me pare prevalente è che Podemos, anzitutto attraverso le dichiarazioni in pompa magna del suo leader carismatico, ha scelto un posizionamento elettorale moderato, posizionamento che tanti elettori hanno respinto.

Di che parlo? Parlo di alcuni clamorosi errori compiuti da Pablo Iglesias.
Provo ad elencarli senza seguire un rango per importanza.

(1) I dirigenti di Podemos hanno voluto credere ai sondaggi, che davano per acquisito il "sorpasso". "Io sarò il primo ministro di un governo coi socialisti", ha più volte ripetuto Iglesias: vertigini del successo che spiegano non solo una sicumera indisponente, ma quanto prigioniero Iglesias si sia dimostrato del cerchio magico dei media, e quanto poco egli percepiva i sentimenti più profondi di tanti suoi elettori, quanto bolliva nella pentola della sua base sociale. Questo, diciamo così, potrebbe essere considerato un peccato veniale, parzialmente perdonabile, non possono esserlo invece quelli capitali.
(2) Errore clamoroso si è rivelata la fretta governista, incarnata nella proposta politica centrale della campagna elettorale: quella del governo di coalizione con il Partito socialista, il principale pilastro, più ancora del Partito popolare del regime euro-oligarchico —che è come se qui gli M5S proponessero un governo di coalizione col Pd. Gli elettori più radicali e di base di Podemos e Sinistra unita hanno respinto questo....inciucio.
(3) Per giustificare questa alleanza di governo con il Partito socialista, Iglesias ha fatto concessioni programmatiche ai socialisti che sarebbero state considerate impossibili solo pochi mesi prima. Nessuna proposta di nazionalizzazione di banche e settori strategici per colpire i santuari della casta oligarchica, abbandono totale della rivendicazione storica della sinistra spagnola di uscita dalla NATO, nessun riferimento al superamento dell'ordinamento istituzionale monarchico.
(4) Un vero e proprio autogol la dichiarazione rilasciata da Pablo Iglesias dopo il dirompente successo popolare della Brexit. Citato: «Giorno triste per l’Europa. Va cambiata, perché da un’Europa giusta e solidale nessuno vorrebbe andarsene. Cambieremo l’Europa». Che pena! Una dichiarazione di fede europeista che lo ha collocato al fianco delle euro-oligarchie che dice di voler combattere. Uno tsiprismo fuori tempo massimo. Un errore clamoroso, questo aver reiterato proprio dopo Brexit, il suo europeismo, visto che oramai quasi la metà degli spagnoli è nel campo dell'euroscetticismo e che l'eurofilia è in rapido declino di consensi anche da quelle parti.
(5) Non solo Iglesias ha affermato che Podemos è la "vera socialdemocrazia dei nostri tempi" (sic!), negli ultimi giorni di campagna è giunto a tessere le lodi di Jose Luis Rodriguez Zapatero, qualificato come, testuale! "...il miglior presidente della democrazia" [Democrazia il regime monarchico di Spagna??]. Zapatero, ovvero il primo ministro socialista sotto il cui governo sono state adottate in Spagna (e gli spagnoli se lo ricordano molto bene) le più radicali e antipopolari misure neoliberiste e austeritarie —come qui fece Prodi tanto per capirci.
Iglesias non sembra sapere o volere correggere la rotta. Sembra si sia incartato, ha perso lo smalto...

Nella sua dichiarazione a caldo di ieri notte ha anzi aggravato le cose, insistendo comunque per un'alleanza coi socialisti, dicendo che Podemos è ancora pronta a costruire una "blocco progressista contro il blocco conservatore", il quale ultimo avrebbe "aumentato i suoi consensi". 

Una dichiarazione molto grave quindi, e per due regioni, non una sola. 

La prima è che Iglesias ha teso ad accreditare una svolta a destra dell'elettorato che non c'è stata —Partito Popolare e Ciudadanos assieme hanno perso anche loro in voti assoluti. Ricordiamo che durante la campagna Iglesias aveva più volte ribadito che più che i seggi si sarebbe dovuti considerare i voti assoluti. 
La seconda è che inopinatamente lo stesso Iglesias, venendo meno alla principale narrazione su cui Podemos è sorta ed ha sfondato, ovvero essere alternativa ad entrambi i due pilastri del regime oligarchico —leggi: oltre la dicotomia destra(PP) e sinistra (POSOE)— ora ripropone niente meno che la minestra riscaldata del falso bipolarismo "progressisti/conservatori".

Iglesias sembrava un populista radicale intelligente, un leader coraggioso deciso a rompere il bipolarismo che ha ingessato la Spagna dopo Franco. E' finito nella palude del più modesto dei politicismi pseudo-macchiavellici, facendosi arruolare come truppa di complemento del sistema eurista e come salvagente del bipolarismo comunque moribondo.

Ps.
Tante volte Iglesias ha detto di considerarsi un alunno di Antonio Gramsci.
Altro che Gramsci e lotta per l'egemonia attraverso una lunga guerra di posizione per conquistare le casematte nella società civile. Qui siamo in presenza di un'impaziente guerra di movimento elettoralista per accedere al vertice delle istituzioni di quella che si scrive "democrazia spagnola" ma si deve leggere "monarchia".






PROGRAMMA 101: AVANTI!

[ 27 giugno ]

«Il mio stato d'animo sintetizza questi due sentimenti e li supera: sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista per la volontà». 
ANTONIO GRAMSCI

All'Assemblea che si terrà presso l’Hotel Sole, via della Rose, CHIANCIANO TERME (SI)si partecipa su invito.

Per informazioni: 
scrivi a: appello@programma101.org 
o telefona al 3477815904 (Leonardo) 
Oppure vai al sito di Programma 101


Programma dei lavori


Crisi sistemica, sollevazione popolare, rivoluzione democratica

Relatori: Norberto Fragiacomo e Moreno Pasquinelli

E’ una crisi senza fine. L’avevamo detto subito che, data la sua natura sistemica, quella scoppiata nel 2008 non sarebbe stata una crisi come le altre. Le classi dominanti, specie in Europa, non hanno alcuna ricetta per uscirne se non perseguire politiche neoliberiste e antipopolari che aggravano il marasma.
Ma così non può continuare. Questa consapevolezza è forte nei più ampi strati popolari, ma c’è un nemico: il pessimismo, la rassegnazione, l’idea che in futuro andrà ancora peggio. Nei settori più politicizzati c’è un altro nemico: l’idea che il popolo non sia più capace di ribellarsi, di riprendersi la sovranità che gli spetta.



Non bisogna basare la politica sull’umore dei cittadini, mutevoli per loro natura, ma sulle condizioni oggettive. Da questa crisi generale, volenti o nolenti, si uscirà solo con svolte radicali, che cambieranno a fondo l’Italia e l’Europa.
Una rivoluzione democratica non è solo necessaria, è possibile. In caso contrario le classi dominanti tenteranno di trasformare in vere e proprie dittature gli attuali regimi oligarchici.
Quanto è realistica questa nostra visione? A quali condizioni una sollevazione popolare potrà vincere? Quali gli ostacoli da superare? Quali le forze protagoniste? Queste le domande alle quali i relatori, ed il successivo dibattito, cercheranno di dare una risposta.


Il nuovo soggetto politico e la questione del populismo

Relatori: Manolo Monereo e Diego Melegari

Un nuovo fantasma si aggira per l’Europa: il "populismo". Ogni movimento, ogni forza politica che osa opporsi al regime ed al pensiero unico delle oligarchie viene etichettato come populista. Ma cos’è il populismo?
Dal punto di vista teorico, ormai non siamo più soli a sostenere che ci si debba confrontare seriamente con questa categoria. Ma è dal punto di vista pratico che la questione ha un’importanza capitale. Oggi, in un certo senso, l’intera lotta politica, e la stessa lotta di classe, sembrano svolgersi dentro il “campo da gioco” del populismo.
Vi è dunque un populismo dei dominanti (si pensi a Renzi), ed un populismo dei dominati. Se per il potere il populismo è una necessità dovuta alla straordinaria crisi di consenso di cui soffre, per le classi popolari esso può essere, dopo il tracollo verticale delle tradizionali organizzazioni politiche e sindacali, lo strumento della riscossa.
Occorre perciò attrezzarsi per combattere la battaglia su questo terreno. Da ciò derivano conseguenze assai rilevanti sul tipo di soggetto politico da costruire, sulle rotture teoriche da operare, sulle modalità dell’azione politica, su modi e linguaggi utili a veicolare il nuovo messaggio politico, sociale ed anche ideale.

CLN: alleanze e idee per la liberazione dalla gabbia europea

Relatori: Ugo Boghetta e Marco Mori

Se lo scontro si farà davvero duro come pensiamo, l’esigenza di costruire un fronte ampio non sarà solo nostra. Da tempo parliamo, e non solo noi, della necessità di costruire una sorta di CLN. Ma un vero Comitato di Liberazione Nazionale potrà sorgere solo nel vivo della lotta.
Ora è il momento di porsi in concreto tre questioni: quali le idee-forza in grado di mobilitare i più ampi settori popolari per arrivare all’uscita dalla gabbia europea? Quali forze sociali e politiche saranno spinte a coalizzarsi contro il nemico comune? Cosa fare già oggi affinché prenda forma domani il fronte ampio della liberazione?

domenica 26 giugno 2016

A CHE SERVE LA TEORIA IN POLITICA?

[ 26 giugno ]

BREVI NOTE SUL CONVEGNO DI PARMA

Come annunciato si è svolto ieri a Parma, organizzato dai compagni di ROSS@, l'incontro "IL FILO DI ARIANNA". Annunciandolo noi ci eravamo presi una licenza poetica, titolando "Un convegno coi fiocchi", volendo segnalare quanto fossero importanti e dirimenti i due temi posti in discussione, ed anche lo spessore dei relatori.

I compagni parmensi, ne siamo sicuri, oltre a mettere in rete le registrazioni video filmate, faranno un resoconto scritto per consentire a chi non c'era, di farsi un'idea di quanto detto. Essi, ne siamo certi, tireranno le loro conclusioni.

Noi tiriamo le nostre, limitandoci a quel che ci pare essenziale.

Anzitutto ottimo il livello teorico, dove per ottimo è da intendersi la capacità degli intervenuti di aver saputo stare ai punti indicati dai promotori e quindi messo carne al fuoco. In particolare segnaliamo — oltre agli interventi di Giorgio Cremaschi (a destra nella foto sopra) e Sergio Cararo, che hanno sottolineato l'importanza della vittoria di Brexit e denunciato le posizioni pro-Ue di certa sinistra nostrana— i contributi di Carlo Formenti, Samuele Mazzolini, Moreno Pasquinelli e Mimmo Porcaro. 

Carlo Formenti perché, ribaltando la vecchia lettura "operaista" sulla "composizione di classe", ha fornito spunti decisivi per quanto attiene invece alla natura e ampiezza del fronte nemico, del suo carattere composito, della pervasività dell'ideologica della narrazione mondialista ed eurista, di come le élite oligarchiche esercitano la loro egemonia —anzitutto sulle fasce giovanili.  Formenti ha descritto quello che ha chiamato, in barba alle suggestioni nuoviste indotte dai nuovi mezzi di comunicazione, modello non solo di lavoro ma di vita "walmart", in cui gli sfruttati e gli oppressi, lungi dal sentirsi tali, si immedesimano invece con il nemico, ovvero proprio con quelle élite che succhiano loro, da ogni poro possibile, ogni singola goccia di plusvalore, relativo e assoluto.

Mazzolini perché ha saputo riassumere, e non era facile, il pensiero di Ernesto Laclau sul "populismo" e del perché le sue proposizioni sono di attualità e ci aiutano a capire certi nuovi fenomeni politici (vedi M5S o Podemos con il loro mantra anti-casta) etichettati dispregiativamente dalle élite come "populisti". In particolare Mazzolini si è soffermato sui cardini della visione laclausiana, e tra queste, la capacità di un movimento di agire sul livello passionale della politica, di parlare al cuore e non solo alla testa di chi sta in basso, sulla imprescindibile funzione carismatica del capo, da non confondere con il caudillo che tutto fa e disfa, ma come elemento capace di essere perno di un organismo collettivo.


Moreno Pasquinelli e Diego Melegari
Pasquinelli ribadendo l'opzione populista e del perché essa è imprescindibile per chiunque voglia oggi costruire un soggetto politico di massa per la liberazione dal regime oligarchico, ha segnalato i limiti del discorso laclausiano sul populismo —e del perché esso non ha attecchito nella sinistra italiana—, ha sottolineato come alcuni pezzi del suo discorso, in particolare sui meccanismi che presiedono alla lotta per l'egemonia —al di la delle evidenti differenze con l'impianto gramsciano— sono oggigiorno utilissime.
In una società dove oramai è diventato "senso comune" l'idea che la principale divisione è tra chi sta in alto e chi sta in basso (matrice di ogni populismo antioligarchico), il movimento POLITICO che va costruito e per cui c'è uno spazio ampio, malgrado qui in Italia esso sia ricoperto temporaneamente da M5S, è dunque "necessariamente populista". 

Pur nelle differenze è emerso chiaro il filo conduttore filosofico tra i tre: riguardo al patrimonio teorico lasciato in eredità da Marx, occorre salvare il bambino ma gettare una volta per tutte l'acqua sporca. E qual è quest'acqua sporca? La cattiva e teleologica filosofia della storia di matrice hegeliana (contaminatasi col tempo con darwinismo e positivismo) che vuole concepire l'epopea umana come un irreversibile  movimento in avanti, che dall'arretrato muove necessariamente verso l'avanzato, come un ineluttabile processo verso l'emancipazione e la libertà. Di qui l'idea che più il capitalismo sviluppa le sue forze produttive, più il socialismo sarebbe vicino. Di contro a questa concezione meccanicistica ed economicistica, tutti e tre i relatori hanno insistito che invece centrale è la funzione della politica, quindi la necessità di un potente soggetto politico che, pur sempre tenendo conto della situazione reale, riesca non solo a risvegliare le forze sovversive latenti, ma sappia anche plasmarle entro un orizzonte rivoluzionario. 

Mimmo Porcaro, oltre ad aver convenuto con queste proposizioni, non ha esitato ad attualizzarle ed a portare alle estreme conseguenze ciò che va dicendo e scrivendo da anni. 
In estrema sintesi: dopo la fine del fordismo e del ciclo keynesiano, dopo il crollo dell'URSS e del movimento operaio organizzato, quattro decenni di neoliberismo dispiegato ci consegnano una società profondamente mutata, polverizzata e frantumata, ove la classe operaia non può più agire come centro di un fronte
Stefano Zai e Mimmo Porcaro (a destra)
egemonico antagonista. La cosiddetta "sinistra radicale" non ha saputo capire né riconoscere questi profondi cambiamenti, e ciò ci aiuta a comprendere perché, dopo essere stata satellite e complice del Pd, è chiusa in una riserva in cui è destinata a passare a miglior vita. Anche noi, ha sostenuto Porcaro, siamo in ritardo, ma possiamo ancora essere della partita, a patto di muovere da categorie fondamentali quali "popolo" e "nazione", intrecciandole strettamente al principio che prima dell'economia viene la politica, rideclinando modernamente il socialismo come società in cui il bene comune sovraordina tutto il resto, ripensando la struttura economica come un sistema misto, in cui forti elementi di economia nazionalizzata e pianificata convivano con settori necessariamente mercantili. Ci servono prima possibile, ha concluso Porcaro quattro, cinquemila militanti per dare vita ad un partito democratico di massa, che sia il perno di un blocco gramscianamente nazionale-popolare, che includa, assieme al lavoro dipendente, la piccola e media impresa ed ovviamente i diversi settori dell'esclusione sociale.

Di conclusioni, da questo convegno, se ne potrebbero trarre diverse.
Tra queste noi preferiamo citare quella che Pasquinelli ha perentoriamente gettato a bomba nel dibattito: "Compagni, siamo davvero, tutti noi, d'accordo con la sostanza della proposta politica esposta da Porcaro? Se sì, guardate che il soggetto politico nuovo di cui c'è tanto bisogno ce lo abbiamo già a portata di mano".



BREXIT: ECCO LE DICHIARAZIONI PIÙ INCREDIBILI... di Marco Mori

[ 26 giugno ]

La dittatura nazi-UE dichiara guerra alla Gran Bretagna. Ecco le dichiarazioni post brexit più incredibili.

Lo storico voto del brexit ha avuto un altro vantaggio. L’UE ha definitivamente mostrato la sua natura, assimilabile solo ad un altro totalitarismo ben conosciuto: il nazismo. 

L’UE oggi è un ordinamento di carattere spiccatamente imperialista che punta a sottomettere chiunque non si pieghi al proprio volere, che poi non è altro che quello della grande finanza. In sostanza, come ho riferito al Parlamento Europeo davanti al gruppo EFDD, l’UE è il primo totalitarismo finanziario della storia.

Proprio su questo punto si nota la differenza principale tra il nazismo “storico” e questo nuovo modello.Mentre il nazismo nasceva come risposta al neoliberismo, questa nuova dittatura è propriamente l’essenza del neoliberismo e punta a distruggere ogni altro Stato nazionale che osi rifiutare il mantra del mercato “uber alles” (sopra tutto!).

Lo scopo principale di questo pezzo è quello di riportare le dichiarazioni rilasciate, a vario titolo, dagli esponenti di questa oscena dittatura contro la Gran Bretagna, esse meritano di essere riepilogate, perché si tratta di vere e proprie dichiarazioni di guerra. Cominciamo questa oscena rassegna.


Juncker, il Presidente con evidenti problemi con l’alcol della Commissione Europea, ha subito gettato benzina sul fuoco precisando che “non sarà un divorzio consensuale”. Si è poi lanciato anche in una chiarissima minaccia: “presto dimostreremo che Londra stava meglio dentro l’Unione”.

Ed ancora, per spezzare le reni ad ogni altro tentativo dei popoli di abbandonare questa criminale dittatura, ha anche affermato: “il fronte populista sparso negli altri stati membri non la spunterà”.

Era davvero dai tempi del nazismo e del fascismo che non si sentivano questi toni tra nazioni europee. Juncker, anziché rispettare le decisioni di uno Stato sovrano e di impostare con esso rapporti importati al rispetto, alla pace ed alla solidarietà, sceglie immediatamente la via del conflitto. Peraltro per restare in tema nazismo, Juncker, ha aggiunto che senza la GB il ruolo della Germania in UE sarà ancora più centrale, alla faccia di chi ritiene che in Europa ci sia reciprocità di condizioni tra le nazioni partecipanti.

Il kapò Martin Schulz parimenti, già prima del referendum, aveva criticato il referendum “Cameron scandaloso, tiene in ostaggio un intero continente”. Strano, stranissimo concetto di democrazia. Le opinioni, peraltro assolutamente legittime della maggioranza, secondo questi soggetti non dovrebbero contare più.

Donald Tusk ha invece parlato di “decisione politicamente drammatica”. Anche qui, cosa ci sia di drammatico in un popolo che vuole rimanere indipendente e sovrano, non si riesce a comprendere. Tale scelta infatti non impedirebbe affatto, se l’UE non si ponesse in modo aggressivo verso il Regno Unito, di informare i rapporti con esso a criteri di rispetto, collaborazione e solidarietà. Il brexit significa solo che Bruxelles non potrà più imporre la propria volontà nella Gran Bretagna, ma che dovrà accettare di essere alla pari con essa. Solo le dittature non accettano questi principi basi della convivenza civile.

Non sono poi mancate le classiche dichiarazioni contrarie alla decenza di Mario Monti (cosa faccia costui ancora a piede libero è un mistero…), che ha precisato che il referendum é stato un uso irresponsabile delle democrazia. Che vi deve dire ancora questo soggetto inqualificabile per farvi capire che desidera e vuole imporre definitivamente una dittatura nel continente?

Non poteva neppure mancare la dichiarazione del nulla cosmico, Matteo Renzi, che proprio stamani ci ha ricordato che “l’Europa non è finita, ma ora deve svegliarsi”. Una “supercazzola” inutile quanto fastidiosa da parte di chi, in realtà, non ha il coraggio di esprimere alcuna opinione.

A proposito di nullità nostrane, come non rimarcare Giorgio Napolitano, che ha definito il naturale corso della democrazia “una scelta sciagurata”. Non avevamo dubbi su cosa pensasse chi ha dedicato la vita a leccare il culo al potere in ogni sua forma. Siccome oggi il potere è quello della finanza internazionale, Napolitano ha subito deciso dove ricollocare la sua lingua felpata.


Certamente meno comici, ed assai più pericolosi, sono invece i tentativi di destabilizzare l’unità della Gran Bretagna sostenendo una nuova campagna indipendentista in Scozia e il distacco dal Regno anche di Londra ed Irlanda del Nord. Se Paesi stranieri sosteranno, come pare, tale scenario, saremo difronte ad un atto ostile a cui certamente seguirà una reazione simmetrica che potrebbe portare forti conflitti in Europa.Avvisiamo subito i disperati falchi di Bruxelles che la GB non è l’Ucraina e non si farà disintegrare facilmente dai potentati stranieri.

Anche molti giornalisti si sono dimostrati completamente asserviti al potere con una serie di dichiarazioni che ripudiano ogni forma di democrazia, insultano gli elettori che hanno detto sì all’uscita. In tanti, onestamente in troppi, hanno coniato la bestemmia del referendum quale abuso di democrazia. I giornalisti che dicono questo andrebbero radiati immediatamente dall’ordine. Ma in realtà non mi aspetto neppure sanzioni disciplinari.

Dire che la democrazia è un male da estirpare oggi è diventato di moda in questa Europa nazista. E paradossalmente per i media gli estremisti sono coloro che, come me, denunciano duramente questo stato di cose.

Tra gli esponenti più squallidi del giornalismo italiano, oltre Gianni Riotta, che ha avuto l’indecenza di rimarcare che la povera Jo Cox è morta invano, anche questa Nathania Zevi merita menzione. Ci ha infatti deliziato così:

Si è poi affrettata a dire che era una provocazione, certo che lo era! Era una provocazione all’intelligenza!

Merita lo screenshot anche il tweet di Alan Friedman, altro autentico spirito liberale:

Insomma si rispetta la democrazia, ma chi ha votato come non la pensa lui è un cretino.

D’altronde questi “pseudo” giornalisti, sono gli stessi che omettono di ricordare anche all’Italia, che grazie all’UE e all’euro, abbiamo perso 1/3 del settore manifatturiero ed il 25% della produzione industriale. L’Unione Europea ha avuto su di noi gli effetti di una guerra e solo persone disinformate da giornalisti di regime possono ancora credere in essa. Dunque chi sono i cretini, caro Friedman?

Gli euro-nazisti vanno fermati, il tempo è sempre meno e la loro pericolosità per la pace mondiale aumenta di giorno in giorno.

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